di Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di ottobre
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Ivan racconta la sua disavventura alla Vuelta
Parlare di se stessi in terza persona, non perché si ha un disturbo della personalità o si soffra di schizofrenia, ma perché non si ricorda nulla di quanto si è vissuto. È accaduto a Ivan Basso che il 7 settembre scorso, in occasione della quattordicesima tappa della Vuelta (Bagà - Andorra, Collada de la Gallina), ha vissuto in prima persona una giornata da incubo lungo la discesa dell’Envalira: 24 chilometri velocissimi, a 4° di temperatura. Pioggia mista a neve e una crisi d’ipotermia che poteva finire in tragedia. Ivan non si ricorda quasi niente di quanto gli è accaduto. Di quel che è successo ha solo qualche contorno, come in un brutto sogno. Quello che sa, quello che oggi ci racconta, lo sa perché a sua volta l’ha recuperato dai ricordi di chi gli ha raccontato quel che è successo.
«È proprio così: ho pochissime immagini e molto confuse di quanto mi è capitato quel giorno. È come se ciò che stava capitando a Ivan non mi riguardasse. Vivevo in un altro mondo, in una bolla, come se fossi sospeso. Ricordo il grande freddo, improvviso e penetrante. Poi delle voci, e tutto ad un tratto mi sono ritrovato in ammiraglia. Di come mi hanno fermato, di come mi hanno tolto di bicicletta, di cosa sia successo nei minuti successivi non ricordo nulla. È come se in bicicletta ci fosse Ivan e io fossi da un’altra parte. Quella cosa è successa a lui, non a me. Anche se poi l’ho recuperata e l’ho fatta mia. E adesso ne posso parlare».
Ti era mai capitato qualcosa simile in venticinque anni di carriera?
«Mai successo nulla di simile. Tante volte ho patito il gelo e il freddo, ma mai mi sono trovato a vivere una cosa così. Come mi ha spiegato il dottor Magni, quello che è accaduto a me può essere paragonato come meccanismi a quando capita di prendere una congestione. Quante volte ci si è trovati a fare una bella grigliata con gli amici: si mangia e si beve tutti assieme e poi solo uno sta male. Perché subentrano due/tre fattori e ogni fisico ha la sua reazione. Nel mio caso ha influito il balzo termico. Più di 30 gradi il giorno prima e solo quattro gradi il giorno dopo. Acqua, neve e vento. Ventiquattro chilometri di discesa velocissimi e gelidi. Può aver anche influito anche il fatto che io, quest’anno, dopo lo stop forzato del Giro, non avevo corso molto e l’ultima volta che avevo preso la pioggia era stato al Giro di Romandia. Poi, altro fattore, più o meno a metà discesa abbiamo incontrato una galleria, ben protetta, nella quale ci siamo un po’ riscaldati, poi siamo nuovamente usciti e lì ho subìto un altro shock termico. È in quel momento che ho avvertito il cedimento fisico centrale. Fino a quel momento era stato periferico: sentivo freddo ai piedi, alle mani, ma ce la facevo».
Poi cosa ricordi?
«Che Mario (Scirea, ndr) mi diceva qualcosa via radio, ma io facevo fatica a capire. Per me era solo una sorta di ninna nanna. Non avevo la forza di reagire. Ce l’avete presente quando si fa un brutto sogno, e nel sogno ti dici: dai è un sogno, svegliati… Io lì faticavo a reagire. Ad entrare in connessione. Ivan era altrove. Ero al limite dello svenimento. Mario e i miei compagni sono stati provvidenziali, perché davvero avrei potuto farmi del male, finire contro una parete oppure giù in un burrone, e forse non sarei qui a raccontare quanto mi è accaduto. Ho davvero rischiato l’osso del collo. Scendevo in uno stato di incoscienza totale, mi hanno raccontato che non governavo il mezzo ed era pauroso vedermi scendere a quella velocità. Da quanto mi hanno riferito, ho fatto perdere anni di vita a molti».
Sai che c’è chi ha scritto che questo è forse stato il tuo canto del cigno, non si può correre contro l’età…
«Allora, lo so anch’io che non sono più un ragazzino, però penso anche di aver dimostrato di poter pedalare a grandi livelli e con i migliori in una grande corsa di tre settimane. In quei giorni in Spagna, ho letto dichiarazioni di Valverde e Rodriguez che dicevano che temevano Basso perché era quello che pedalava meglio in salita. Non dico che avrei vinto la Vuelta, ma sono convinto che sul podio o al massimo nei cinque sarei arrivato. Purtroppo in questo caso non è stata la salita a mettermi in ginocchio, ma la discesa. Una lunga discesa da brividi: in tutti i sensi».
Quando ti sei reso conto di quanto era successo?
«Qualche minuto dopo essere salito in ammiraglia. Con il riscaldamento sparato a manetta. Ad un certo punto ho preso coscienza di dove fossi finito. Fino a quel momento ero rimasto in stato confusionale totale, mi hanno raccontato che farfugliavo parole incomprensibili. Se fosse stato per me, sarei anche ripartito, ma Mario si è opposto con decisione, e credo che abbia fatto la cosa più giusta: gliene sarò sempre grato. Poi sono arrivato in albergo, mi hanno accompagnato in camera e mi hanno avvolto tra le coperte di lana. Mi sono messo sotto al calduccio e ho dormito tre ore. Solo quando la temperatura è tornata nella norma, ho fatto una doccia calda. Dopo aver patito il freddo così tanto, non è assolutamente raccomandabile fare subito una doccia calda, perché i piedi e le mani si gonfiano tantissimo. E fanno anche tanto male».
Quanti giorni sei stato a riposo?
«Due. Il 10 settembre sono tornato in sella e ho fatto un bel giretto dalle mie parti. Ora l’obiettivo è chiudere al meglio una stagione che per me è stata semplicemente maledetta. Prima contraddistinta da un grosso ascesso perineale che mi ha fatto saltare il Giro e, adesso, questa crisi di ipotermia che in un sol colpo mi ha privato di un buon risultato al Giro di Spagna e della maglia azzurra per Firenze. Ad ogni modo io non sono uno che si arrende tanto facilmente. E non ho intenzione di chiudere così la mia carriera. Ho ancora un anno di contratto, e voglio onorare la mia maglia il meglio possibile. Mi sento bene e ho la testa giusta per continuare anche dopo il 2014. I valori che avevo durante al Vuelta erano ottimi: peso 68 chili, watt 430. Anche se questi numeri vanno interpretati e il valore assoluto va collocato. La mia caratteristica è che i valori che ho nella prima settimana li ho anche nella terza: è questo che fa la differenza. Significa che ho un fisico ancora integro. Che il mio recupero è buono e posso ancora dire la mia».
Tanto è vero che sono in tanti a farti la corte: Nibali su tutti.
«La cosa non può che farmi piacere. In questo modo viene riconosciuto il mio lavoro, la mia esperienza e la mia serietà. Però è anche vero che, come ho sempre detto, io ho un dovere di riconoscenza verso la Cannondale di Paolo Zani. Ho un dovere di riconoscenza con tutto il gruppo di Roberto Amadio. Ho un dovere di riconoscenza con lo staff della Cannondale: questa è la mia famiglia. E oggi sono riconoscente anche a Mario Scirea che ha avuto l’intelligenza e la forza di fermare Ivan. Cosa che io non avrei mai fatto. Anche perché non c’ero…».