Strong ha scritto:Ieri guardavo radiocorsa e nell'amarcord mi sono gustato l'ennesima pillola su eddy.
Quel ciclismo non l'ho vissuto, è vero, e forse per questo non avrei diritto di proferire parola ma sentire che ad una liegi o alla pa-ru il secondo ed il terzo arrivano ad oltre 6 minuti di distacco mi ha fatto pensare che se accadesse ora smetterei di guardare la tappa o la classica a 10/20km dall'arrivo.
Tu che hai vissuto le dinamiche del passato e vivi quelle attuali, cosa pensi di questa riflessione?
Ben detto, vivere il passato e vivere il presente. Questa è "la sintesi" necessaria.
Premetto: sono due luoghi comuni sia quello del ciclismo anni 10 dei fighetta, sia quello dei campioni che vincevano senza avversari degli anni 70 del secolo scorso.
Sono entrambe visioni superficiali e monoscopiche.
Il ragionamento di Prof, ricercatamente critico ma non monoscopico e passatista, era mirato e costruito solo sull'analisi sportiva e non sul contorno costituito dallo spettacolo per gli spettatori in loco e men che meno su quello televisivo. Era una opinione, personale, sui valori sportivi.
Il prodotto televisivo allora era ancora in pratica radiofonico con l'aggiunta di immagini sfocate.
Se dobbiamo considerare questo aspetto, le valutazioni cambiano per forza.
Per sincerità debbo dirti che lo spettacolo televisivo ha nella mia memoria del periodo infantile il colore grigio dello schermo di allora. Il colore veniva piano piano aggiunto nei giorni successivi dalla lettura (ascoltata, da mio padre nel mio caso) e poi dalla rilettura della Gazzetta dello Sport e soprattutto successivamente dalla lettura sfogliata e risfogliata di magazine come la Domenica del Corriere e dopo di Ciclismo Illustrato e altri (BS è dell'inizio anni 80).
E' naturale che il mito di quegli anni si costruiva e rafforzava anche sul proprio lavoro di immaginazione e di auto-fascinazione. E spesso il lavoro di auto-fascinazione era condiviso e collettivo, ovvero il lato bello del "bar sport".
La memoria era più narrativa che visiva e c'era pure lo spazio (tanto) per la libertà narrativa.
Lo spettacolo allora veniva costruito sulla narrazione, oggi sulle immagini ed anche sui tempi televisivi.
Lo spazio narrativo non è più quello di allora, ha meno libertà ma sono aumentate le narrazioni. E' evidente che le "palle" leggendarie di un Beppe Conti oggi trovino anche reazioni ilari, ma è d'altro canto innegabile che una larga parte della platea ciclofila è comunque relativamente disposta ad ascoltare quelle "palle" e ad accettarle con voluta indulgenza.
Di converso, i nuovi media consentono una vera e propria vivisezione dell'evento ed una proliferazione dei racconti, la maggior parte dei quali è autoprodotta dagli appassionati.
Quindi l'auto-fascinazione che allora si costruiva e restava limitata alla memoria dei singoli o dei piccoli social network reali (famiglia, bar sport), oggi si estende ad una rete di rapporti mondiale e si sorride al fatto che a questa rete partecipino pure i colombiani, i venezuelani, i giapponesi, i cinesi, i turchi e così via, che allora non potevano assistere alle monumento.
Allora c'era lo spazio solo per un Eddy Merckx (inteso come il vincitore) e poco più, adesso possiamo vivere quasi in tempo reale (e senza attendere giorni) la storia di un Tom Stamsnijder che arriva a Roubaix quasi con il solo cerchio.
Oggi anche un bimbo può nell'arco di pochi minuti farsi decine di estratti video ed individuare blooper tattici o curiosità e diffonderle in rete con la stessa dignità di una firma prestigiosa.
Allora non si poteva e per soddisfare l'interesse ci si affidava a chi era sul posto, che poi magari riferiva a sua volta notizie subodorate.
Ricordo che il videoregistratore fece la sua comparsa massiva dopo la fine della carriera di Eddy Merckx, giusto per inquadrare.
Che Prof utilizzi tinte forti e sia insofferente al pastello non v'è dubbio, ma nelle sue parole c'è un patrimonio di osservazione che non può essere ridimensionato in una sterile critica anagrafica e men che meno può essere una occasione per una sorta di "conflitto sportivo-generazionale".
Mi spiace per quello che ha scritto Meriadoc, ma se debbo essere tagliente come lui, dico che lo aspetto al varco (con molta pazienza decennale ovviamente
) quando sarà lui a celebrare i campioni degli anni 2000 irrigidendosi criticamente nei confronti dei campioni degli anni 30 di questo secolo, perché conoscendolo avverrà.
Il mio suggerimento è quello di fare invece tesoro del "colore" che c'è nelle parole di Prof e di reprimere istinti censori di mera chiusura, che finiscono poi per togliere valore anche alle rispettabili opinioni di Meriadoc.
In tal modo sorge naturale il dubbio che uno richieda la censura quando non ha la forza intellettuale e la convinzione personale nelle proprie idee ed argomentazioi rifiutando il dialogo, anche serrato. Quindi è un errore metodologico.
Nessuno può negare che il ciclismo, uno degli sport con più storia, anzi Storia, abbia bisogno, si costruisca e si nutra di storia e continuità storica. Una volta (anni 90) lo vivevo anch'io come un esercizio sterile, ma dopo i 40 anni (con 35 anni di passione e conoscenza storica) appare evidente il filo logico e la forza di questo inevitabile processo.
E questo non avviene solo nel vissuto degli appassionati. Ho assistito ad una piacevole conversazione tra Bugno ed un "vecchio" che anni prima lo aveva criticato per la sua abulìa competitiva e vedendo il Gianni Bugno dare ragione a questi scherzandoci sopra si aveva la misura della forza intergenerazionale di questo sport. E se questo sport, ancora una volta, ripartirà sarà solo grazie a questo grande patrimonio culturale consolidato in oltre un secolo di incredibile Storia.
Pertanto se è innegabile che oggi lo spettacolo televisivo è di gran lunga migliorato e la fruizione mediatica è esponenzialmente più composita e globalizzata, è anche vero che il valore sportivo globale di quel ciclismo anni 70 non era inferiore geograficamente a quello odierno ed il valore sportivo, lo si voglia o no, era assoluto. La bellezza di quel ciclismo era data in primis dalla polivalenza degli attori di allora (protagonisti dalle pietre alle cotes) ed è legittimo ed umano (anche sul piano della performance sportiva) ambire ad avere anche oggi dei campioni polivalenti.
Siccome la maggior parte degli appassionati pensano che Peter Sagan (e dietro lui anche altri si spera) possa e debba essere protagonista in tutte le monumento, mentre la maggior parte dei tecnici non vuole perseguire questa strada, è legittimo ed anzi auspicabile il forte riferimento agli anni 70 per rivedere, ma soprattutto rivivere (per chi è over 40) quelle antiche emozioni. Non è solo amore e nostalgia del passato, è passione per il ciclismo odierno, perché saranno cambiate le bici, le riprese televisive ed i media interessati, ma le bici ed i pedali vanno calcati oggi esattamente come allora.
Ora spero nella pax generazionale e nella condivisione intergenerazionale anche qua. Meno testosterone e più neurone.