Lemond mi ha chiesto di postare questa nuova puntata del libro di Guimard ( un tuffo nella giovinezza, per me).
Negli anni Novanta il doping artigianale, seguito nel ciclismo da noi, a
differenza di tutti gli sport dei paesi dell'Est dove erano anni avanti,
cedeva il passo alla tacnoscienza. Per avere la misura di ciò, basti pensare
che la ricerca dei miglioramenti delle prestazioni sportive era stata
commissionata dal CONI ai tristemente celebri dott. Conconi e Ferrari.
Insomma era l'inzio di quel doping organizzato allo scopo di poter
raggiungere la ricerca ben più avanzata dei Paesi dell'Est. A partire da lì,
niente era come prima, perché certi corridori (o sportivi in generale)
potevano avere un'assistenza che altri non potevano permettersi, ormai non
tutti erano alla pari: da una parte le squadre (di calcio, rugby, basket o a
titolo individuale altri sportivi) che avevano i mezzi per un doping
scientifico e i medici/preparatori competenti, dall'altra quelli che
restavano ignoranti. Il prodotto di base "miracoloso ha un acronimo famoso
*EPO* e, a partire dal 1992 i risultati e ogni "palmarès" non avevano più
alcun senso almeno per cinque/sei anni. Poi il senso lo riacquistarono,
perché il consumo di EPO si diffuse a "toute le monde" e quindi tutti dopati
uguale a nessuno dopato. Io sto solo dicendo la verità, la verità in tutta
la sua crudezza. (Nota mia, per gli altri sport non mi interessa
specificare, chi vuole può andare a leggersi quali squadre hanno trionfato
ad es. nel calcio italiano e internazionale, ma per i ciclismo, che mi
interessa particolarmente posso accludere la seguente tabella, a titolo di
esempio ho scelto le gare più importanti, per gli anni (sei) che vanno dal
1992 al 1997
Giro d'Italia
1992 Miguel Indurain
1993 Miguel Indurain
1994 Evgenij Berzin
1995 Tony Rominger
1996 Pavel Tonkov
1997 Ivan Gotti Pavel
Tour de France
1992 Miguel Indurain
1993 Miguel Indurain
1994 Miguel Indurain
1995 Miguel Indurain
1996 Bjarne Riis
1997 Jan Ullrich
Vuelta
1992 Tony Rominger
1993 Tony Rominger
1994 Tony Rominger
1995 Laurent Jalabert
1996 Alex Zülle
1997 Alex Zülle
Campionato del Mondo
1992 Gianni Bugno
1993 Lance Armstrong
1994 Luc Leblanc Claudio
1995 Abraham Olano
1996 Johan Museeuw
1997 Laurent Brochard
Siamo negli anni di piombo, durante i quali un corridore, prima di firmare
il contartto, chiedeva prima di tutto il nome del medico della squadra. E se
il medico non disponeva dei "protocolli EPO", nessun corridore si sarebbe
imbarcato in una simile squadra. Ho vissuto questa esperienza nel 1997,
quando ero direttore sportivo alla Cofidis. Nessun medico francese, per
quanto ne so, aveva ancora la piena maestria per utilizzare l'EPO, tranne la
Festina, ma si può considerare francese? E questo è ciò che si chiama il
ciclismo a due velocità. Intendiamoci bene, io non dico che i corridori
francesi non volevano avere a che fare con l'EPO, dico soltanto che i medici
francesi non volevano o non sapevano farlo. Infatti nel 1995, il mio ultimo
anno alla Castorama, parecchi miei corridori sono andati dal nostro medico:
Armand Mégret per chiedergli di essere trattati con l'EPO! Quando lui ha
risposto con un no secco e deciso, i corridori l'ànno trattato da
incompetente e allora lui si è ritirato a vita privata. Era un periodo
terrificante. Lo stesso anno, alla partenza della Freccia Vallone i
corridori sono venuti a trovarmi, per dirmi che correvano solo per stare in
gruppo, non potendo fare di più e questo sentimento di tristezza e
resignazione, unita all'umiliazione è durato per molto tempo. Gli altri
vincevano tutto, senza grandi sforzi e i nostri correvano "a bloc" tutta la
corsa, ma alla minima accelerazione, si staccavano. In una salita della
Liegi si intesero voci del genere: "Allora i piccoli francesi, sempre dietro
eh".
Freccia Vallone 1995
1995 Laurent Jalabert Maurizio Fondriest Evgenij Berzin
Liegi Bastogne Liegi 1995
1995 Mauro Gianetti Gianni Bugno Michele Bartoli
(*) Laurent Jalabert correva per una squadra spagnola: La Once
La sconfitta è sempre difficile, ma quando è ingiusta è ancora peggio e, per
forza di cose, questa rassegnazione era vissuta male da parte di alcuni, che
lavoravano con passione tutto l'anno.
Ma poi, inevitabilmente,
diventatava domanda di doping, perché altrimenti non c'era altra speranza e
come avrebbero potuto continuare a svolgere quella professione. Il ciclismo
è come la società, alcuni sono meno forti moralmente, meno scrupolosi, e
pertanto meno armati per resistere e lottare. E una volta inseriti
nell'ingranaggio è quasi impossibile uscirne indenni. Ma fortunatamente noi
abbiamo saputo resistere e, in definitiva, l'abbiamo scampata bella. Io non
sono un uomo troppo impressionabile, ma questa deriva mi ha dato il
voltastomaco, perché avevo informazioni molto inquietanti. Ne avevo parlato
a lungo con L. Fignon, per esempio, e lui mi aveva raccontato la sua
esperienza nella Gatorade, dove aveva terminato la sua carriera. Avevo
fiducia nel suo giudizio e anche lui si diceva "accorato/scoraggiato" per
simili pratiche e quando ne parlavamo, vedevo bene che si sentiva impotente
e aveva paura. E' stata questa la ragione per la quale ha rifiutato tutti i
"protocolli" italiani. Aveva carattere e intelligenza ... lui.
Alla fine quasi (o tutte) le squadre si sono organizzate e quindi i
corridori disponevano di tutti i mezzi, con uno staff medico intiero a loro
disposizione per somministrare loro l'EPO: Esso era diventato un diritto
per gli atleti (nota mia: la cosa mi pareva anche giusta, perché così si
pareggiavano le cose; è da quando sono piccino che lo dico: tutti dopati è
uguale a nessun dopato, dal punto di vista della competizione, poi ciascuno
sceglie, della sua vita, quello che vuol farne, vedere le leggende di
Achille e Gesù). Nel 1997, quando ero direttore sportivo alla Cofidis, mi
sono scontrato con i corridori, perché abbiamo rifiutato di mettere a loro
disposizione le centrifughe. In effetti i ragazzi volevano poter verificare
quotidianamente il valore di ematocrito che era il solo mezzo allora per
verificare una eventuale assunzione di EPO. D'altra parte si aveva un
ispessimento del sangue e quindi era bene controllare, specie la notte a
riposo, e, a certe ore fisse, si dovevano svegliare per pedalare sui rulli,
al fine di evitare embolie, sincopi etc. L'UCI aveva finito, dietro
pressioni, per reagire e fissare un tasso di ematocrito. A me sembrava anche
troppo il 50% , ma ad es. i colombiani affermavano che il 52% andava bene,
perché molti di loro superavano allegramente (per loro c'era però il fatto
di vivere in altitudine) il 60%. Naturalmente non c'era solo il ciclismo
sotto EPO, nel calcio, in Italia ad es. ci fu il caso della Juventus di
Torino, ma tutto poi passò sotto silenzio, perché ci sono degli sport che
non si possono toccare. A proposito del calcio non c'erano parecchi campioni
del mondo di passaporto francese?
Evidentemente eravamo in piene schizofrenia, perché poi il fissare una
soglia all'ematocrito, era un modo per legalizzare l'EPO. Certo era meglio
che niente, ma ...
P.S.
(Nota mia, nel c.d. caso Fuente (emotrasfusioni) erano implicati atleti di
tutti gli sport più popolari, fra cui il solito tennista spagnolo, ma
provate a domandarvi chi è stato condannato?)
Alla fine quasi (o tutte) le squadre si sono organizzate e quindi i
corridori disponevano di tutti i mezzi, con uno staff medico intiero a loro
disposizione per somministrare loro l'EPO: Esso era diventato un diritto
per gli atleti (nota mia: la cosa mi pareva anche giusta, perché così si
pareggiavano le cose; è da quando sono piccino che lo dico: tutti dopati è
uguale a nessun dopato, dal punto di vista della competizione, poi ciascuno
sceglie, della sua vita, quello che vuol farne, vedere le leggende di
Achille e Gesù). Nel 1997, quando ero direttore sportivo alla Cofidis, mi
sono scontrato con i corridori, perché abbiamo rifiutato di mettere a loro
disposizione le centrifughe. In effetti i ragazzi volevano poter verificare
quotidianamente il valore di ematocrito che era il solo mezzo allora per
verificare una eventuale assunzione di EPO. D'altra parte si aveva un
ispessimento del sangue e quindi era bene controllare, specie la notte a
riposo, e, a certe ore fisse, si dovevano svegliare per pedalare sui rulli,
al fine di evitare embolie, sincopi etc. L'UCI aveva finito, dietro
pressioni, per reagire e fissare un tasso di ematocrito. A me sembrava anche
troppo il 50% , ma ad es. i colombiani affermavano che il 52% andava bene,
perché molti di loro superavano allegramente (per loro c'era però il fatto
di vivere in altitudine) il 60%. Naturalmente non c'era solo il ciclismo
sotto EPO, nel calcio, in Italia ad es. ci fu il caso della Juventus di
Torino, ma tutto poi passò sotto silenzio, perché ci sono degli sport che
non si possono toccare. A proposito del calcio non c'erano parecchi campioni
del mondo di passaporto francese?
Evidentemente eravamo in piene schizofrenia, perché poi il fissare una
soglia all'ematocrito, era un modo per legalizzare l'EPO. Certo era meglio
che niente, ma ...
P.S.
(Nota mia, nel c.d. caso Fuente (emotrasfusioni) erano implicati atleti di
tutti gli sport più popolari, fra cui il solito tennista spagnolo, ma
provate a domandarvi chi è stato condannato?)
Spesso si sente dire che la colpa è degli sponsor, del sistema, degli
organizzatori, delle squadre e dei direttori sportivi. Quello che posso
dire, dopo essere stato corridore, direttore sportivo, dirigente federale
etc. è che la responsabilità principale è, nella maggior parte dei casi e
dei tempi, degli atleti medesimi. Nel caso dell'EPO sono stati alcuni
ciclisti (ma non sa se ci sono stati anche altri "sportivi") che per primi
sono andati da Ferrari e Conconi e, come ho già detto, la generalizzazione è
avvenuta dopo, a partire dal 1997. In quell'anno due terzi almeno del
plotone mondiale disponeva degli stessi prodotti. La situazione poteva
stabilizzarsi se non fosse scoppiato "l'affare Festina". Il controllo fu
fatto su questa squadra, ma sarebbe stato lo stesso per qualsiasi altra,
perché, visto il modo nel quale ci si riforniva, era imperativo avere sul
posto (in ciascun paese) un modo per trovare il prodotto. Bruno Roussel,
d.s. della Festina, ha detto al processo: "Ho preferito controllare il
sistema, piuttosto che lasciare soli i corridori di fronte al potenziale
pericolo di tale medicamento". E questo è vero. Bruno non ha agito male,
perché non aveva proprio nessuna scelta, ma ciò nonostante l'ànno linciato.
(nota mia, come si sa, si ha sempre bisogno di un capro espiatorio
)
Devo aggiungere che a me interessa parlare della Francia, perché negli altri
paesi il passar sopra a l'etica era un costume di vita e quindi nessuno (o
quasi) provava un senso di colpa. In Francia era diverso, perché i francesi
sono sempre stati legalitarii: l'emergenza delle mafie, non fa parte della
nostra storia, e non abbiamo, come in Italia e Spagna un'economia parallela
(in nero). Erede del 1789 il nostro popolo rifiuta la logica del sottobosco
e noi abbiamo sviluppato forme di organizzazioni collettive più solide e
nonostante ciò ...
Nel 1997, quando ho ripreso la direzione sportiva della Cofidis non
sopportavo quello che vedevo. Era l'epoca nella quale si accusavano i
francesi di non sapersi allenare, oppure si trattavano i loro dirigenti da
... Ciò che era finito erano invece il binomio d.s. e amore per il proprio
mestiere. Finiti i tempi benedetti dove potevamo pensare a delle strategie
insieme ai corridori e, sempre con loro, costruivamo solidarietà, amicizia e
gioia di stare insieme.
Invece vivevamo una grande amarezza quotidiana
ed eravamo ormai entrati in uno schema di ragionamento rudimentale e
regressivo. Ad es. questo corridore può essere sia in buona forma o
totalmente bloccato, secondo la *preparazione* che aveva fatto. Era
allucinante, perché i corridori arrivavano al Tour senza aver corso da più
di un mese, perché erano in *preparazione*
Venivano in squadra appena
usciti dalla loro *ibernazione* e insomma non eravamo più sullo stesso
pianeta.
Il medico della Festina l'à ben raccontato nel suo libro: un
direttore sportivo non poteva più continuare il suo mestiere spinto dalla
passione, non c'era più la possibilità di educare e formare; solo gli
"stregoni" detenevano le chiavi del successo. Essi soli eleboravano i
programmi di allenamento e quelli di corsa e i parametri erano basati
esclusivamente sui diversi prodotti e protocolli ed essi modificavano la
preparazione unicamente in funzione di queste esigenze. Insoma i d.s. erano
diventati dei semplici autisti e la sola domanda che si facevano era: "Il
dosaggio sarà quello giusto?". In un anno alla Cofidis per me era come se ne
fossero passati dieci ed ho finito per chiedermi: che ci faccio io qui? Un
buco nero.
Approfitto dell'occasione per rispondere a quelli che mi domandano spesso:
"Se si legalizzasse il doping, tutti sarebbero sul piede di parità?" Non
fissare le regole, sarebbe la morte dello sport quale noi lo conosciamo
(nota mia, quale sport intende però non lo dice). Ed io scelgo i limiti
dell'antidoping, rispetto al dover passare la mia vita ai funerali. (nota
mia, altamente drammatico, capita in tutti quelli che hanno pochi argomenti,
ma confusi.
)
Dopo un po' più di dieci anni all'inferno, dieci anni nei quali non contiamo
più i corridori privati dei loro titoli o messi in stato di non nuocere, la
lista è troppo lunga, dopo drammi umani come quelli di Marco Pantani e Frank
Vandenbrouche, siamo oggi usciti da questo stato di tenebre? Questi ultimi
anni, dopo l'introduzione del passaporto biologico, e di nuove tecniche
nella lotta al doping, i progressi sono stati considerevoli. Il plotone è
stato messo sotto sorveglianza attiva e i corridori sono stati obbligati a
"disarmarsi", così facendo il il livello globale si è riequilibrato (nota
mia, quest'ultimo per ammissione sua era già stato fatto nel 1998 quando
tutti avevano a disposizione l'EPO e per il resto lui pensa che se
l'antidoping è cresciuto la ricerca contraria invece sia rimasta ferma:
ognuno si illude come può e vuole.)
In altri sport si urla che non c'è il doping da loro! Io potrei citare
numerosi sport, ma penso essenzialmente al calcio e lì posso assicurare che
si sbagliano di grosso. Chi si è indignato quando, durante i mondiali in
germania 2006, la FIFA ha deciso che non ci sarebbero stati controlli del
sangue? Sappiamo tutti che cosa significhi questa decisione, il doping è nel
calcio, come nel ciclismo e quelli che pretendono il contrario sono dei
BUGIARDI!
Oggi il ciclismo, almeno, sembra aver fatto la sua rivoluzione, anche se,
come sempre, ci ci saranno dei cadeveri al bordo delle strade, ma alla fine
penso si sia sulla strada giusta per ritrovare la credibilità.