Quaderni di Storia del ciclismo…..

Il mondo dei professionisti tra gare e complessità, e più in generale l'approccio al ciclismo di ogni appassionato
Morris

Quaderni di Storia del ciclismo…..

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1961 - Lo Stelvio, nel Giro del Centenario dell’Unità d’Italia, incoronò “Gabanì” Arnaldo Pambianco.

Il Giro d’Italia 2012 tornerà sullo Stelvio, la montagna quasi sempre bianca.
“Piccolo San Bernardo”, il forumista, in altro thread mi ha chiesto:
piccolo san bernardo ha scritto: 2) Qualche anno fa,Facoltosi mi disse che (mi pare all'inizio degli anni 60) c'era una tappa che doveva finire sul Resia, e nel percorso c'era la inedita scalata di Gavia+Stelvio (e stranamente, lo è tuttora :o ), ma poi non se ne fece più nulla e la tappa finì a Bormio dopo avere scalato il classico versante di Prato allo Stelvio del passo anonimo...la notizia è vera? E come mai ci fu tale cambiamento? La neve sul Gavia?
La risposta è in questo spezzone del mio ultimo libro, pubblicato nello scorso giugno: “Arnaldo Pambianco - il campione e l’uomo”, un volume formato A4, con copertina cartonata, di 240 pagine con oltre 150 foto, edito da Gegraf. Il ricavato, andrà tutto in beneficenza, a favore della “Casa della carità” di Bertinoro, paese natale e di residenza di Arnaldo.

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Note: nel riporto che segue, sono state tolte alcune foto, nonchè gli ordini d'arrivo e la classifica generale delle due tappe estrapolate....

19a Tappa: Vittorio Veneto - Trento

Fu la tappa che più di tutte dimostrò, anche senza la visibilità di altre frazioni, quanto Arnaldo Pambianco, fosse il più forte del lotto del Giro del Centenario e quanto la sua Maglia Rosa fosse meritata. È sempre stato così, in una corsa di 21 giorni, c’è sempre una tappa che testimonia il migliore e che va letta a scanso delle risultanze. Gabanì quel giorno fece capire definitivamente ai prestigiosissimi avversari la sua superiorità, il suo inesauribile serbatoio di energie, la sua “inattaccabilità” in salita. Agli avversari non restava che la speranza di una sua crisi, o di un suo cedimento mentale, di fronte all’ansia che nasce quando il traguardo s’avvicina. Arnaldo, nella Vittorio Veneto – Trento, di 249 chilometri tutti in quota e col tempo inclemente di quel tanto da renderli ancora più difficili, fu attaccato, tanto direttamente, quanto a mo’ di specchietto per confonderlo e lo si lasciò il più possibile solo, per costringerlo a spremersi fisicamente e mentalmente. Ma lui non crollò, anzi tirò fuori una grinta che gli osservatori più attenti, alla fine della frazione, fra le righe, testimoniarono. Chi avrebbe potuto, nel tappone del giorno dopo, fargli perdere il Giro, quando, Gaul a parte, più per passato che per presente, nessuno era più forte di lui in salita? Era una domanda che già dava risposta, lasciando solo quel piccolo spazio all’imprevedibile che anche la ragione sempre accetta e mette in conto.
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Passo del Falzarego – Da sinistra: Anquetil, Pambianco, Gaul, Suarez e Massignan

La Vittorio Veneto Trento offrì subito un episodio che andava visto come un primo segnale delle volontà di sgretolare la resistenza di Gabanì: l’attacco di Rik Van Looy. Nelle volontà del belga, c’era la speranza di innervosire la Maglia Rosa e di porsi a riferimento per qualche altro. Arnaldo, non cadde nel tranello e lasciò fare. Il grande belga rimase per una trentina di chilometri al comando, con piccolo vantaggio, fino al punto di essere praticamente costretto a rialzarsi. Sulle ceneri del tentativo dell’iridato, partirono n quattro: Galdeano, Garau, Guarguaglini e Boni che, insieme, percorsero il Cadore e raggiunsero ai piedi del Falzarego un vantaggio di oltre 5 minuti. Sulla lunga ascesa, il vantaggio dei fuggitivi andò a sciogliersi, ed in cima, Galdeano riuscì a transitare al comando, seguito da Garau a 20”, quindi Mas a 25”, Taccone e Massignan a mezzo minuto, Defilippis a 35” Pambianco ed il gruppo a 40". Distacchi lievi, dunque. Ma la situazione cambiò lungo la discesa, dove Van Looy, correndo i rischi del più coraggioso, si portò al comando insieme a Galdeano. Nella scia dei due restarono Trapé, Brugnami e Massignan. Arnaldo però, avvertì subito il pericolo e si gettò all'inseguimento con Suarez. Dal plotone, si mossero Junkermarin e Gaul, poi pure Anquetil e, sul Pordoi, dai fianchi bianchi di neve, restarono al comando in ventisei: tutti i migliori, più qualche gregario. Sulla vetta, passò in testa Taccone su Massignan, ma i big erano tutti lì. Ancora una volta fu la discesa a fare la voce grossa, grazie al fatto di essere avvolta da una coltre di nebbia e con una sopraggiunta pioggia, fitta e gelata. Defilippis non misurò i pericoli e si buttò alla ventura e, quando la strada tornò in pianura, il Campione d’Italia aveva accanto solo Massignan, Junkermann e Brugnami. A 1’10” inseguivano Anquetil, Van Looy, Pambianco e Mas, mentre il gruppo con Gaul, era mezzo minuto indietro. Pochi chilometri dopo, mentre dietro ai quattro, i migliori si ricompattarono, si ebbe la chiara sensazione che il tentativo dei fuggitivi, con Defilippis in una gran bella posizione in classifica, fosse serissimo. La Maglia Rosa, anche se mancavano 90 chilometri al traguardo, vide il pericolo e diede l'anima nell’inseguimento. Trovò un involontario aiuto solo nella discesa che portava ad Ora, per il tentativo di Van Looy di sgretolare la compattezza dei migliori. Anche qui, dunque, Arnaldo fu costretto a controllare e a dare il massimo.
A trentotto chilometri da Trento, la tappa visse un altro importante fase: dal drappello dei migliori evasero Balmamion e Battistini, seguiti da Schroeders, ed ai tre si aggiunsero Van Tongerloo, Pizzoglio e Brugnami. Col passare dei chilometri si stava profilando l’eventualità, più incredibile: Van Tongerloo, che in classifica aveva un ritardo di 3’46” nei confronti di Pambianco, poteva riconquistare le insegne del primato. Nessuno intendeva dare una mano alla Maglia Rosa che poteva fidarsi solo sulle ormai ridotte forze di uno stoico Assirelli. Sembrava corressero tutti per fargli perdere il Giro. In fondo, anche altri, escluso Van Looy, che aveva due compagni davanti, poteva avere degli interessi. Gabanì sì si accostò ad Anquetil, ma il gesto di risposta del francese fu eloquente. A quel punto, Arnaldo si innervosì e la sua reazione fu un tormentone per i pedali. Per la gran parte in prima persona, si lanciò in una mezzora di rincorsa mozzafiato. A Trento, sotto lo striscione, il distacco fu di 2’40”: la Maglia Rosa era stata difesa con successo. Pambianco si mise ad imprecare contro tutto e contro tutti, nemmeno volle sapere chi avesse vinto la tappa. Costei, era andata a Schroeders, per pochi centimetri su Brugnami. Alle interviste diede sfogo alla sua rabbia, ma nel dopotappa, ci fu una dichiarazione che parlava per tutte, poco rimarcata dall’osservatorio. Jacques Anquetil, a domanda su chi l’avesse impressionato di più nella tappa appena conclusa, rispose immediatamente: “Pambianco!”. Accanto, lo stesso Van Looy, di fatto confermava il giudizio del francese. “Oggi – disse – ho capito che non vincerò questo Giro. Pambianco? Impressionante quanto è andato forte, ma ha speso tutto, ed è inevitabile che domani la paghi”. Già, domani, nel tappone, con il Pénnes (m. 2211), il Monte Giovo (m. 2094) e lo Stelvio (m. 2757), per 275 chilometri e nove ore di bicicletta, si sarebbe eletto il vincitore di quel Giro storico. E se costui fosse stato Gabanì, per contenuti tecnici, di forza, di coraggio e di passione, si sarebbe potuto dire che a vincerlo, era stato un campione che l’aveva dominato.


20a Tappa: Trento - Bormio

L’Angelo della Montagna Charly Gaul, annuncia il Campione in Maglia Rosa: Arnaldo Pambianco

“Ci sono cose nella vita ben più importanti dello sport, ma lo sport sa ruggire, come nessuno, i valori estremi di intensità emotiva, fisica e mentale, che un essere umano può possedere”. Questa massima, opportunamente coniata attraverso letture, esperienze ed elaborazioni da parte di chi scrive, rappresenta il sunto più profondo dell’interesse che l’ha mosso verso le note e gli interpreti di questa originale forma espressiva umana. Un’immanenza che s’è imposta pian piano e che s’è sublimata nel crescente impegno e negli interessi di ricercatore e di narratore di gesta così esemplari per il proprio universo. Quel che fece Arnaldo Pambianco il 10 giugno 1961, senza enfasi, è la dimostrazione fedele di quanto quella massima sia vera.
La Trento-Bormio di 275 chilometri, rappresentava la sostituzione durissima e per taluni aspetti con ancor maggior fascino, della tappa originaria, resasi impossibile per lo stato d’inagibilità del Passo Gavia. Era l’ultima carta rimasta nel mazzo del grande Vincenzo Torriani, il quale, infastidito per le polemiche che erano sorte (molte delle quali pretestuose), aveva fatto lavorare tutta la notte gli spazzaneve, per rendere agibile il Passo dello Stelvio, allora come oggi, colle più alto mai percorso dal Giro d’Italia. Era, infatti, caduta l’ennesima neve, che aveva imposto quell’appendice, al lavoro dei giorni precedenti.
Negli occhi del patron, sembrava leggersi una frase menzionata ai più intimi: “Volete la corsa durissima, con tanto di Stelvio? Bene, io vi darò lo Stelvio!”.
Arnaldo partì da Trento, consapevole di essere da solo contro tutti, ed altrettanto consapevole di aver speso più energie di ogni suo grande avversario per la Maglia Rosa. Era stato protagonista già alla prima tappa e, venti giorni dopo, nella frazione precedente, era stato ancora quello che aveva dovuto rispondere a tutti. Insomma, si chiedeva: “se io sono in riserva, ne ho ben donde, ma gli altri, come saranno?”. Nel frattempo, aveva capito che non era la salita il terreno per lui più pericoloso, ma le discese e quelle pianure, dove serviva respirare. Sulle pendenze, doveva solo ragionare, fidandosi di quel suo passo che sapeva competitivo. Paradossalmente, aveva meno paura dello Stelvio, piuttosto che la discesa del Pennes e del Giovo. Però, si diceva ancora: “l’importante è che rimanga calmo, anche perché la tappa è lunga e le crisi possono arrivare da un momento all’altro”.
Il gruppo si mise in marcia da Trento, combattendo contro un vento impetuoso, che minacciava burrasca e che faceva spostare lungo il cielo nuvole cariche di pioggia. Partirono tutti con molta calma, ed il ritardo sulla tabella di marcia, divenne presto pesante. Il Passo Pennes fu affrontato a ranghi ancora compatti.
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La testa del gruppo sul Pennes

La bellezza del colle con tornanti sempre più stretti e duri sullo sfondo di un paesaggio stupendo, ove la vallata sotto s’apriva a cornice, non stuzzicò gli ardori agonistici. C’era molta paura della distanza, forse. Soltanto all’ultimo chilometro d’ascesa, scattò Massignan, con Taccone a ruota: c’erano in palio i punti per la classifica del Gran Premio della Montagna. I due passarono la cima in quest’ordine e l’abruzzese, coi punti conquistati, si assicurò la matematica certezza di aver vinto la rassegna degli scalatori. Il gruppo dei migliori scollinò a poco più di mezzo minuto. Come aveva previsto Pambianco, fu la discesa del Pennes, non asfaltata, a scatenare i fuochi. Quindici chilometri da creare panico in chi seguiva la corsa in auto e pure un bel mazzetto per quei corridori che, sovente, in ogni epoca, san far dire agli altri che sono degli incoscienti. A fine discesa, in testa c’era Bruno Mealli, della Bianchi, uno che pur non diventando mai famoso nelle orbite di tanti, per i palati fini del ciclismo, resterà perennemente un gran discesista. Dietro Mealli, a 25”, un Van Looy ispirato e deciso a giocare ogni carta possibile per vincere una grande corsa a tappe. Ad una manciata di secondi dall’iridato, il gruppo sgranato con Pambianco che aveva dovuto superare un gap suppletivo per una foratura e che trovò nella ruota del gregario Oreste Magni, il modo per affrontare il guaio il più velocemente possibile.
L’arrivo della salita di Monte Giovo, convinse sempre più Van Looy ad insistere: acciuffò e lasciò Mealli e si mise a pedalare come fosse uno scalatore di gran pregio, al punto da far desistere chi di questa variabile era il “re”, ovvero Charly Gaul, che evitò di insistere nell’inseguimento. In cima al Giovo, il Campione del Mondo passò con 1’10” su Taccone, Massignan e Conterno, con 1’20” su Mas, Junkermann e Fischerkeller, 1’30” su Brugnami e Anquetil, 1’40” su Gaul, Pambianco.
Il tentativo del grande belga sembrava solo un modo per cuocersi, invece, nella discesa su Merano, su di lui piombarono Brugnami, Junkermann e Fischerkeller, ed i quattro, grazie all’ottimo accordo, iniziarono a mettere mattoni importanti sulla corsa. Nella pianura che anticipava le prime rampe dello Stelvio, il vento fortissimo parve inchiodare i fuggitivi, invece aumentò il loro vantaggio. Per il vento cadde Trapè, che era il primo degli inseguitori, il quale andò a sbattere contro un masso segnaletico e si ruppe il femore. Forse anche per l’accaduto, il gruppo dei migliori iniziò a pedalare con circospezione e lo scarto coi battistrada, a metà pianura, raggiunse i 5 minuti. Davanti intanto, Fischerkeller si produsse in grandi tirate per il capitano Van Looy e poi, dato tutto, si staccò. Poco più avanti Brugnami, forse per il vento o le sue proverbiali disattenzioni, toccò la ruota di Junkermann, ed i due caddero. Ebbe la peggio l’italiano, che fu costretto a darsi medicare ed a cambiare ruota, ma entrambi si ricongiunsero con Van Looy e trovarono la forza per dare quel “di più” che giunge quando si è arrabbiati. La traduzione di quella nuova animosità fu evidente: ai piedi dello Stelvio, i tre di testa contavano un vantaggio sul gruppo della Maglia Rosa, pari a 8’10”. Junkermann era virtualmente il nuovo leader della corsa.
Le salite, come si sa, non hanno pietà per i corridori e quella dello Stelvio, è da sempre una delle più impietose. I tre davanti, a vari livelli, lo provarono a loro spese. Mentre la neve ai bordi cresceva come se fosse pronta ad accompagnarli sirena verso un falso paradiso, prima Junkermann e poi, tre chilometri dopo, Brugnami, si ritrovarono prede di quel combinato di atrocità e sfinimenti che sono le crisi in bicicletta. A dieci chilometri dalla vetta, passò Van Looy che pareva discretamente fresco, Bugnami seguiva a un minuto, ed a cinque, c’erano Gaul, Anquetil, Suarez e Taccone, che precedevano a loro volta di una ventina di secondi Pambianco, Massignan, Battistini, Van Est e Fontona. Il volto della Maglia Rosa però, era di quelli che stanno interpretando un ruolo votato al freddo, forse per sincronia con la temperatura a zero gradi del bianco ambiente circondante. La neve, infatti, stava crescendo fino a formare due muri alti più di otto metri e la strada si riduceva ad un viottolo poco più largo di una vettura. Era il paesaggio dei grandi scalatori, era tempo di teismo montano e l’Angelo della Montagna Charly Gaul, si svegliò.
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Da “Sport Illustrato”, l’azione dell’Angelo della Montagna, Charly Gaul

Il lussemburghese col danzare sui pedali che l’aveva eletto leggenda, se ne andò davanti a tutti. Raggiunse Brugnami e lo piantò, andò a caccia di Van Looy e acciuffò il belga, che era stato per tre chilometri leader virtuale della classifica generale. L’iridato crollò di schianto a sei chilometri dalla vetta e mentre Gaul stava scrivendo il suo copione, dietro, Anquetil tentò il tutto per tutto contro Pambianco. A poco più di due chilometri dalla vetta, il francese, per circa trecento metri restò leader virtuale, pagando un ritardo dal capitano della Gazzola di 2’, Suarez era a 2’20”, Brugnami a 2’35” e Arnaldo a 3’.
Ma Gabanì aveva calcolato tutto. Aveva accarezzato le residue forze di un Giro d’attacco e decise che era il momento di usarle. Il pubblico, che aveva sfidato ogni incoscienza giungendo fin lassù, quasi fosse esso stesso un corridore, poté assistere, spesso dall’alto della neve, ad uno spettacolo. Pambianco, senza illeciti aiuti, con un uomo della giuria che lo guardava a ridotta distanza, iniziò la sua fantastica progressione, il meglio di quel suo passo in salita che l’aveva contraddistinto fin da ragazzino. Mentre pedalava non osò pensare alla gloria, per quella c’era ancora tempo, ma a dimostrare a se stesso che era pure cresciuto nell’uso del suo motore. Gli incitamenti che echeggiavano come fossero richiami di ciò che aveva di più caro, dalla famiglia a quella gente della sua Bertinoro che amava e che sapeva e sentiva giunta fin lassù, intenerirono le sue fibre così sottoposte a guerreggiare col freddo e la fatica. Stava interpretando il suo sogno, ma non doveva pensarci: c’era Anquetil che annaspava da superare e c’era una discesa con l’Angelo della Montagna da seguire a non troppa distanza. Assorbì a velocità più che doppia l’esausto Brugnami, superò di slancio Suarez e con l’aggiunta del piglio dei campioni, raggiunse e staccò Anquetil.
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Passo dello Stelvio 10 giugno 1961 – L’immagne emblematica di Arnaldo Pambianco, solo, in Magla Rosa ed in bello stile, sul mitico Colle, al tornante n. 38.

Sotto lo striscione del Gran Premio della Montagna, a quota 2757, Gaul passò in testa con 3’25” sulla Maglia Rosa Gabanì, “Monsieur Chrono” era terzo a 4’. Il resto per la vittoria al Giro del Centenario dell’Unità d’Italia, non era più nei giochi. C’era ancora la discesa dello Stelvio, l’ultima di quella giornata e del Giro. Era viscida, pericolosa, traditrice. E la discesa è una variabile del ciclismo che diventa cinica, quando la si svolge al lumicino, con l’acido lattico che ha cosparso il corpo di lame e la mente è offuscata al punto di dire alla vista che c’è nebbia. Una costante indipendente dall’abilità d’ognuno: quando si giunge in cima nel rosso più profondo, si va incontro a distacchi impensabili. Ed è quello che capitò ad Anquetil che non solo non raggiunse Pambianco, in fondo, in cima, fra i due, c’erano solo 35”, ma vide Gabanì allontanarsi fino a dimostrare che il ragazzo di Bertinoro, coi suoi occhi azzurri, c’aveva visto giusto a centellinare le sue forze sull’ascesa dello Stelvio. Se ne accorse pure Gaul che non solo non guadagnò sulla Maglia Rosa facendola tremare, ma si vide avvicinare. Un altro esempio, dunque, di quanto il ciclismo italiano si potesse vantare nell’aver trovato, nel garibaldino Pambianco, un fior di campione. Già, perché proprio lui, che aveva attaccato a Torino, era ancora il più fresco, forse per adeguarsi alla temperatura che oscillava sullo zero, o per dire al cielo, che nel frattempo s’era rannuvolato minaccioso, che era pronto a qualsiasi rovescio. O forse ancora, per ringraziare e dire “sono con voi”, alle migliaia di volti che, sulle strade di fine discesa, ormai prossime al traguardo di Bormio, stavano illividendosi di freddo. Arrivò sulla linea del rettilineo d’arrivo l’Angelo della Montagna ad annunciare al mondo che, a 2’07”, sarebbe giunto un Campione in Maglia Rosa coi bordi tricolori, dominatore d’un Giro che era l’orgoglio ed il segno d’un popolo. Il suo nome era Arnaldo, ed il suo cognome Pambianco, ma era così modesto e di cuore, da sentirsi “qualcuno”, mentre lo chiamavano Gabanì.
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Bormio – L’arrivo della Maglia Rosa

Morris


alfiso

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da alfiso »

Morris ho aspettato, e non inutilmente ;), il tuo post nonostante l'ora tarda. Musica :violino:
Grazie!


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lemond
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da lemond »

Ma voi che fate, andate a letto quasi quando io mi levo? :D Comunque, come sempre, il forum dovrebbe "alzarsi in piedi" quando scrive Maurizio. :clap:

P.S.

Non so se, al di fuori della Toscana, si usa "levarsi"?


Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì :bll:

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.

"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono." :)
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piccolo san bernardo
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Località: La faccia da pazzo psicotico di Peter Sagan (Brindisi)

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da piccolo san bernardo »

Come si dice dalle mie parti..."mi si sono rrizzicati li carni" (ossia, pelle d'oca, per intenderci! :P )

:clap: :clap: :clap:


SUCCESSI AL FANTACICLISMO
2009:Giro di Romagna,una tappa alla Vuelta,vincitore classifica sprinter e 3o alla FantaVuelta
2010:Giro del friuli, 5o in classifica generale finale
2012:Campione italiano e mondiale a cronometro
2013:Una tappa al Giro(Cherasco)
Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Troppo buoni, troppo buoni! ;)

Adesso .... la seconda puntata.... ;)


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

….. Dal mio libro “Echi di Ciclismo” – 1997 Gegraf


A Gaul, bastò solo una salita….

Il Giro d'Italia 1959 ebbe un cast perfetto, tutti i migliori vi presero parte. Di Van Looy il primo acuto, con una delle sue regali volate sul rettilineo di Salsomaggiore. Gli rispose Jacques Anquetil, nella cronometro svoltasi sempre nella medesima cittadina termale. Gaul giunse ottavo e rimediò 1'30" di distacco, ma il giorno dopo, da Salsomaggiore si arrivò all'Abetone, e l'asso lussemburghese mise subito sul piatto le sue intenzioni, conquistando la tappa e la Maglia Rosa. Sgretolò gli avversari uno ad uno, con una condotta quasi irridente.
L'ultimo a cedere fu il "Sire di Herentals", quel Van Looy che per sfatare la sua fama di corridore adatto solo alle corse in linea, s'era andato appositamente a preparare alla Vuelta di Spagna. Il grande Rik, che nella storia del ciclismo, anche se non ha mai vinto una grande manifestazione a tappe, è stato certamente uno dei più forti, cercò in tutte le maniere di contrastare il passo vellutato dell'Angelo della Montagna. Quel giorno però, nemmeno il sole ed il caldo, poterono frenare la furia agonistica di un sublime Charly Gaul.
Dopo quella tappa la sua popolarità divenne quella di un campione italiano. Ci fu chi scrisse a "Sport Illustrato", una rivista la cui completezza e competenza era così tangibile da rimanere ineguagliata nella storia dell'editoria sportiva italiana, per dichiarare cittadinanza ad un uomo che aveva superato, in Italia, la fama che aveva nel suo Lussemburgo. Marcel Ernzer che, con Gaul, ha compiuto praticamente tutta la carriera, d'altronde, lo aveva sempre detto: "In Italia Charly è come un dio. La gente impazzisce per lui!"
Con Gaul in “Rosa”, il Giro arrivò a Roma, in una tappa in cui i corridori trovarono quel gran caldo che la fece definire la "tappa della sete". Qui, Anquetil, attaccò senza mezze misure l'Angelo della Montagna, sapendo bene l'allergia da Sole che spesso lo colpiva. Ma Gaul rispose da par suo. La sua squadra si sciolse al fuoco incrociato di Faema e Fynsec, le squadre di Van Looy ed Anquetil, ed alla fine si avvantaggiò un quintetto, composto dal "sire di Herentals" e da Haevenaers (compagni di squadra), da Gaul, e dai due francesi della Fynsec, Anquetil e Delberghe, i quali, nell'ordine, giunsero sul prestigioso traguardo della capitale. Da solo, l'Angelo della Montagna aveva dovuto togliere le proverbiali "castagne dal fuoco".
Due giorni dopo, Charly Gaul, infastidito da un forte dolore al ginocchio sinistro, vinse con grande regalità la cronoscalata del Vesuvio, rafforzando il primato in classifica. In non perfette condizioni, ma capace di correre gli otto chilometri ad una media record così forte, da rimanere imbattuta fino agli anni novanta, ovvero con ben altro asfalto e ben altre biciclette. Un mostro! Charly comunque, ebbe modo di lamentarsi per l'inefficienza della sua squadra che lo stava costringendo a correre da solo contro tutti.
Una constatazione veritiera che ebbe modo di provarsi nella Napoli-Vasto, dove ad attaccare fu Nencini, e Gaul, coinvolto in una caduta, dovette fare come una crono per ricucire il gruppo. Anquetil lo attaccò a San Marino, approfittando di uno dei soliti momenti di amnesia del lussemburghese, guadagnando preziosi secondi. Lo attaccò di nuovo, approfittando di una foratura, sulla spinta di Van Looy e Poblet, che poi vinse la tappa, in quel di Bolzano. Morale: nonostante un grande Gaul, sempre alle prese con un ginocchio ballerino, a Bolzano, la Maglia Rosa passò sulle spalle di Jacques Anquetil. La classifica quella sera vide il "gran signore normanno", anticipare Van Looy di 1'37" e Gaul di 1'48".
Una mazzata, ma Charly non disperava, anche se aveva perso quella "Rosa" che per dodici giorni lo aveva accompagnato. E venne la cronometro di Valle Susa: ben 51 chilometri a vantaggio dello specialista Anquetil. Il normanno non si smentì, vincendo con 1'20 su Baldini, 1'49" su Ronchini e 2'01" su un sempre in palla Charly Gaul. Quella sera l'Angelo della Montagna, doveva rendere in classifica quasi quattro minuti al francese e, alla fine del Giro, mancavano solo tre tappe. Ancora una volta, nonostante il lussemburghese avesse a disposizione un tappone, nessuno gli dava più credito, tutti i favori erano per Anquetil. Ed ancora una volta gli osservatori si sbagliarono!

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Charly in azione sul Piccolo San Bernardo. Nell'ammiraglia che lo segue, il grande Learco Guerra di lato e il meccanico Ottusi.

Charly Gaul, scolpisce il Piccolo San Bernardo

Nella Torino-St Vincent, non successe nulla di importante a parte la bella vittoria di Alfredo Sabbadin. Tutti attendevano la Aosta-Courmayeur, il tappone, la frazione del Monte Bianco. Gaul si alzò di buon'ora, fece colazione guardando la finestra dell'albergo che mostrava quelle montagne innevate, ma omaggiate dal Sole lucente. Erano quelli i luoghi che l'avevano eletto Angelo, strizzò l'occhio ai compagni di squadra, litigò coi meccanici per i rapporti e la bicicletta, rispose male a chi gli domandava quali erano le sue intenzioni, si rifiutò di firmare autografi, fu scortese coi giornalisti. "Come Bartali quando andava forte - commentarono i più anziani - quello oggi fa un strage".
Ebbero ragione, perché l'Angelo della Montagna, dapprima mosse qualche scatto, più dimostrativo che altro, comunque in grado di farlo passare per primo sulla vetta del Gran San Bernardo (con Massignan a 20”, Ronchini a l’45”, Battistini a l’50”, con Junkermann, Tinazzi, Baldini, Nencini, Fornara, Poblet e Gismondi, Van Looy a 2’ e Anquetil a quasi 3’), ma non affondò, rassicurando un addetto dell’EMI che l’aspettava lassù, con un significativo ammiccamento. In discesa, mentre i migliori si compattavano si camuffò fra loro con l’aria di chi, semmai, può vincere la tappa. Un atteggiamento sornione, che mantenne anche sulla Forclaz, dove passò quinto nel drappello dei 23 che scollinarono insieme la cima. Il suo nascondino però, finì dopo circa un chilometro dell’ultima ascesa di giornata, il Piccolo San Bernardo, scolpendo una delle più limpide pagine della storia del ciclismo. Sapeva, il piccolo Charly, di avere nei polpacci la forza per far suo quel Giro e mettere sulla più bella maglia di quei tempi, quella dell'Emi, la sua seconda Maglia Rosa.
Solo Graziano Battistini, ed un grandissimo Imerio Massignan in stato di grazia, cercarono di infastidire quel suo personale rapporto con la montagna. Ma l'omino Gaul deliziò tutti con un ennesimo assolo di classe purissima. L'Angelo della Montagna, sui 296 chilometri di quella infinita tappa, quando tutti pensavano che avesse perso, ed a soli cinquanta chilometri dal traguardo, innescò una danza che solo lui poteva ballare.
Scollinò sul Piccolo San Bernardo con 1'10" su Massignan, 2'35" su Battistini, 3'35" sul tedesco Junkermann, 4'50" su Nencini e via via gli altri fino ai 6'10" di Anquetil. La discesa, vide Gaul difendersi benissimo, fino a giungere a Courmayeur in perfetta solitudine. Alla fine di quella tappa era di nuovo il padrone della Maglia Rosa. Il giorno dopo, al Vigorelli di Milano, fu incoronato per la seconda volta, tra un tripudio di folla festante ed esaltata da quella impresa.
Charly era la personificata fantasia della gente, sul ciclismo di quei tempi. Stravagante com'era, poco incline a tutte quelle che erano le normalità d'un campione, a ventisei anni e mezzo, aveva vinto due Giri ed un Tour. "Un fenomeno", come ripeterono gli antichi rivali Learco Guerra ed Alfredo Binda. La sua vendetta di classe, sul Giro sfuggitogli per un bisogno corporale nel 1957, era fatta.

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Charly Gaul nell'immagine simbolo del Piccolo San Bernardo

Note:
Con l’impresa sul Piccolo San Bernardo, Charly Gaul compose, per molti osservatori, il suo quarto affresco. Dopo Briancon (Tour de France 1955), Bondone (Giro 1956) e Aix les Bains (Tour de France 1958). Gli zoom sulla sua carriera ne evidenziano altri, anche se meno famosi. Di certo, sulla decisiva “Tappa del Monte Bianco”, come venne definita quella sopra, confermò quanto sia giusto definirlo un Campione Leggendario.
Di seguito il significativo ordine d’arrivo di quel 6 giugno 1959:

1° Charly Gaul (Lux - Emi) in 9h 32’50” alla media di 31.004 kmh
2° Imerio Massignan (Ita - Legnano) a 36"
3° Graziano Battistini (Ita - Legnano) a 3'43"
4° Gastone Nencini (Ita - Carpano) a 3'57"
5° Henri Van Looy (Bel - Faema) a 5'18"
6° Giorgio Tinazzi (Ita – Torpado) "
7° Hans Junkermann (Ger - Faema) "
8° Diego Ronchini (Ita – Bianchi) "
9° Nino Defilippis (Ita - Carpano) a 6'05"
10° Miguel Poblet (Esp - Ignis) a 6'41"
11° Guido Carlesi (Ita – Ghigi) a 6'45"
12° Rino Benedetti (Ita – Ghigi) a 7’51”
13° Alessandro Fantini (Ita – Atala) a 8’26”
14° Ernesto Bono (Ita – San Pellegrino) a 9’08”
15° Desiré Keteleer (Bel – Carpano) a 9’44”
16° Jacques Anquetil (Fra – Fynsec) a 9’48”
17° Angelo Conterno (Ita – Carpano) a 11’36”
….
34° Agostino Coletto (Ita – Carpano) a 18’08”
43° Ercole Baldini (Ita – Ignis) a 21’41”
44° Vito Favero (Ita – Atala) “

Morris


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Dal vecchio Cicloweb difficile da trovare….

Su Charly Gaul

Non è facile, scansando dolore e lacrime, ricordare un amico, uno come Charly Gaul. Non lo è, per il carattere del personaggio, sempre attento, in ogni discorso, a non esternare troppe parole in più, intingendo le sue frasi di pause, come se volesse mantenere un alone di mistero, o prendersi il respiro per un ulteriore personale approfondimento. Anche in questo, era proprio come Marco Pantani, il ragazzo a cui ha voluto un bene immenso, come fosse un figlio e non solo il prosecutore del tratto agonistico ed artistico che li legherà indissolubilmente all'eterno.
Quando guardavi quegli occhi azzurri che ancora sapevano forare le lenti di quegli occhiali sì comuni nelle primavere in più, ti avvolgeva nel suo fascinoso mondo di ricordi e ti sembrava un padre, o un nonno, a cui avresti voluto carpire l'impossibile, senza esagerare oltre il rispetto che si deve all'autorità di famiglia. Certo, m'ha raccontato tanto, forse anche più di quel che m'aspettavo, ma sono consapevole di non aver potuto entrare nel gesto che viene dall'istinto e che io, tutt'altro che campione, potevo solo ammirare. Era diverso per Marco, perché fra i due insisteva l'idioma inenarrabile di quel condensato di intuiti e di irrazionali "perché", patrimonio esclusivo dei leggendari, mi vien da dire, supremi.
Oggi, 8 dicembre, sarebbe stato il 73esimo compleanno di Charly. Lo avrei chiamato per gli auguri, ed invece sono qui, con la fatica della tristezza che si accompagna al dolore, a ricordarlo come uno che sta nell'olimpo dello sport, e dire, che fino ad otto anni fa, apparteneva ai sogni di un bambino che aveva saputo colpire ed infatuare pian piano. Già, perché conoscendo e stringendo amicizia con lui, ho raggiunto quell'obiettivo di vita che si dipanò fin dai tempi del triciclo. Ed è proprio da qui che voglio partire a raccontarlo, senza entrare nei testi coi quali Cicloweb aprì le sue porte a Graffiti. Lì, c'è il tratto conosciuto ed oggettivo della sua grandezza, mentre ora, a rapide puntate, porterò il "personale" di un rapporto, arricchito di foto in gran parte inedite, che si concluderà con una lunga intervista costruita sulle interlocuzioni di questi ultimi sette anni.

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"...Dai ricordi dell'infanzia nasce un nome"

........ La nostra memoria è davvero incredibile, sulla soglia dei quarant'anni ti dimentichi di quello che t'ha detto un tizio due minuti prima, mentre ti ricordi con fulgida sicurezza sensazioni e menzioni avvenute quando eri un piccolo bambino che voleva conoscere e registrava tutto ciò che lo circondava. Ricordo bene quando mia sorella Giovanna, tifosa di Baldini e Pambianco, nomi che in casa mia erano tanto quotidiani, si rivolse al corridore di famiglia, mio fratello Lorenzo, per dirgli che il Giro l'avrebbe vinto Charly Gaul.
Si era ai primi di giugno del 1959, ed io avevo quattro anni. Sembra impossibile, ma ricordo bene quei momenti, anche se mi sfuggivano i significati di quelle discussioni che, per il mio fresco cervello, erano troppo complicati. Qualcosa però mi rimaneva dentro, al punto di spingermi a dimenar sul triciclo tutte le mie forze, sempre col "gigantesco" berrettino da corridore in testa. Poi mio padre, forse per amore paterno, più che per mia specifica richiesta, mi mise in piedi sulla pedana della sua "Lambretta", mi strinse tra le sue gambe e mi portò a vedere una corsa, dove quelle belle maglie colorate correvano una alla volta. In seguito seppi che si trattava di una cronometro e che quella gara si chiamava G.P. Tendicollo Universal.
Si correva a Forlì e lì, tra una selva di gambe, ebbi la fortuna di vedere uno smilzo e ossuto personaggio più "vecchio" degli altri, su cui appoggiarono una maglia color rosa che tutti volevano toccare. Lo vidi bene quell'uomo, così magro con quel nasone e quella smorfia intrisa di sorriso e sofferenza. Lo chiamavano Fausto Coppi, ed anche la mia piccola mente capì che si trattava di qualcuno assai speciale. Speciale al punto che quando la "voce grossa e tonante" annunciò la vittoria di Ercole Baldini, mi chiesi come fosse possibile che tutta duella gente dividesse i suoi applausi e le sue urla alla pari, fra quell'omone che aveva vinto in maglia gialla e che alzava dei fiori strani e lunghi, e quell'ossuto col nasone, sulla cui maglia bianca ne avevano appoggiata una rosa. Ero confuso, ma stranamente entusiasta pure io. In fondo, senza saperlo, avevo collegato due grandi momenti di uno sport che allora schiacciava pure il calcio attraverso figure di grande nobiltà.
A casa, intanto, si continuava, specie a tavola, a parlare di quei nomi che correvano in bicicletta, proprio quell'aggeggio che io chiedevo al posto di quel triciclo sempre più stretto. E poi, io dovevo correre come il mio "dado" Lorenzo, che s'era messo la maglia dell'EMI, la stessa di Charly Gaul, un nome che mi suonava sempre più familiare.
Una familiarità, data dal fatto che, effettivamente, la squadra di dilettanti di mio fratello, indossava le maglie usate dai corridori della vera "EMI" e Lorenzo aveva la stessa taglia del grande campione lussemburghese. E che fatica quando Giovanna cercava di farmi dire lussemburghese: una parola che io semplificavo sempre con "lughese"! Mio fratello aveva la cartolina di quel corridore che io vedevo sempre più uno di noi, ma che pareva ugualmente lontano ed irraggiungibile. Probabilmente, anche se il mio tifo s'era già costruito, ed era tutto per "Gabanin" Arnaldo Pambianco, che abitava, dicevano, a quattro chilometri da casa mia, sono stati quei mesi e quei giorni a crearmi le personali basi di un fascino che mi costruì un'immagine indelebile e leggendaria di Charly Gaul.
Una pergamena che mi fa dire, tutt'oggi, che se fossi stato un corridore avrei voluto essere come lui.
Anche quando il mio idolo "Gabanin" Pambianco vinse il Giro del Centenario, in quel vortice di gioia ed immanenze che m'hanno legato in maniera immortale al ciclismo, un posto l'ho sempre lasciato al pensiero che là c'era anche Charly Gaul, un nome che ancor prima di studiarne valenze e peculiarità, mi suonava come regale ed armonico. La dimostrazione l'ebbi quando costruendomi i "coperchini" per giocare col "micro-ciclismo" dove ero agonista, giornalista ed osservatore contemporaneamente, continuai a disegnare la maglia di Gaul, anche quando, nel 1963-64-65, era praticamente scomparso dai vertici mondiali.
Per conoscere il nome della sua ultima maglia quella della "Lamot", credo di aver scocciato tutti coloro che mi capitavano a tiro e di aver letto tutto quello che potevo. Ma la svolta avvenne quando potei finalmente leggere i resoconti delle sue imprese. Allora avevo solo nove-dieci anni, ed ero un piccolo prodigio di conoscenza (mi son fermato dopo): per me, leggere "Stadio" (il quotidiano sportivo più diffuso in quei tempi in Romagna), o "Lo Sport illustrato", rivista sportiva tutt'oggi ineguagliata, era più formativo ed importante che il sussidiario scolastico.
Charly Gaul s'affermò ermeneuticamente nel sottoscritto in quei giorni e credo di non accentuare nulla se dichiaro che al di là del curriculum che s'è costruito, sia da considerare oggettivamente come uno dei più grandi della storia del ciclismo. Sicuramente quello che più di ogni altro ha cementato sulla cultura ciclistica un settore del gesto agonistico: lo scalatore.

Intanto oggi, ad oltre cinquanta anni da quegli aloni che vissi da bambino e che sopra ho narrato, saluto un sogno vissuto con la gioia dell’esaltazione ed il dovere di tradurla: quei tre nomi, Ercole Baldini, Arnaldo Pambianco e Charly Gaul, così presenti nei pranzi e nelle cene di famiglia, non solo li ho conosciuti e ne sono diventato amico, ma su di loro ho scritto un libro. Nel 1997, Charly protagonista principe di "Echi di Ciclismo", nel 2000 con Rino Negri de la Gazzetta dello Sport, il volume su Ercole Baldini il “Treno di Forlì” e quest’anno, mezzo secolo dopo il suo storico successo al Giro del Centenario, la storia del mio compaesano Arnaldo Pambianco.
E non posso che chiudere queste puntate, con un’immagine che porterò sempre nel mio cuore: dopo 35 anni, i miei amici Charly ed Arnaldo si rincontrarono, ed io ero fiero di esserne stato una parte importante. Con l'emozione di quel bambino che cliccava i loro "coperchini" e sognava di imitarli.

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Morris


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Bitossi
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Certo che con Morris il forum riacquista una marcia in più... ;)

Mau, essendo tuo coetaneo (classe di ferro...), sul Giro 1959 posso avere solo informazioni recuperate nel tempo.
Quello che non mi spiego, e mi pare di non aver mai letto niente al riguardo, è il rendimento di Anquetil nella tappa del Piccolo S. Bernardo.
Andò in crisi clamorosa, stile Ullrich sul Galibier nel Tour 1998, o semplicemente andò col suo passo, non potendo rispondere a Gaul?
Certo che il ritardo di 9'48" all'arrivo, con quasi 4' presi anche in discesa, farebbero propendere per la prima ipotesi. Tanto più notando che salvò il 2° posto nella generale per soli 4".
Sempre a proposito del Giro 1959, la famigerata Wikipedia dà Anquetil nella squadra S. Raphael, che invece mi pare fosse di qualche anno dopo; immagino sia giusto il dato di Mémoire du Cyclisme (Helyett-Leroux), no?

Di Pambianco invece ho fatto in tempo ad avere qualche figurina Panini, forse in una delle mie prime raccolte... :D


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Ringrazio la mia mamma per avermi fatto studiare da ciclista
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Maìno della Spinetta
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Maìno della Spinetta »

296 km di tappa.
Una zomegnanata. Con bici di allora però...


“Our interest’s on the dangerous edge of things.
The honest thief, the tender murderer, the superstitious atheist”.
Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

Bitossi ha scritto: Mau, essendo tuo coetaneo (classe di ferro...), sul Giro 1959 posso avere solo informazioni recuperate nel tempo.
Caro Lorenzo, certo, sulla nostra generazione, ognuno di noi potrebbe scrivere un testo-insieme, che va dal romanzo alla sociologia, attraverso quei passi-segmento che spiegano tanto di quel che siamo, nei pregi, quanto nei difetti, ma che ci fanno forti e decisi verso i vertici, sia positivi che negativi.
In noi esiste un distinguo che ha sicuramente determinato, più di ogni altro, il nostro essere così: ci siamo forgiati fisicamente e mentalmente negli anni sessanta, il decennio di gran lunga migliore e più aperto e nitido del secolo scorso. Spesso lo dimentichiamo, poi se abbiamo voglia di sfogliare i fotogrammi della memoria, troviamo il modo di ritrovarci ricercatori soddisfatti. Ma è meglio troncare, altrimenti andremmo OT.... ;)
Quello che non mi spiego, e mi pare di non aver mai letto niente al riguardo, è il rendimento di Anquetil nella tappa del Piccolo S. Bernardo.
Andò in crisi clamorosa, stile Ullrich sul Galibier nel Tour 1998, o semplicemente andò col suo passo, non potendo rispondere a Gaul?
Certo che il ritardo di 9'48" all'arrivo, con quasi 4' presi anche in discesa, farebbero propendere per la prima ipotesi. Tanto più notando che salvò il 2° posto nella generale per soli 4".
Jacques ha sempre avuto un rapporto traballante coi colli over 2000 al Giro, forse per le temperature del periodo, o per piccoli problemi suoi di carattere asmatico, o d’allergia. Resta il fatto che le crisi di grande entità, o un rendimento non brillante, in Anquetil, sono sempre o quasi subentrati al cospetto di tappe con vette sopra i 2000 metri. Non erano le pendenze aspre a fargli paura, ma le altezze, dunque. Anche nel 1960, sul Gavia, andò in grande affanno e fu salvato grazie alla grande consistenza della sua squadra e dalle sfortune, unite ad un grado non eccelso di brillantezza di chi lo anticipò, tanto sul Colle quanto sul traguardo di Bormio. Salvò il Giro per 28” al cospetto di un Nencini che, nel 1960, poteva davvero fare doppietta Giro-Tour. All’uopo, ti copio incollo un’altra parte del libro che ho scritto su Pambianco, dove ci sono i passaggi sul decisivo Gavia e vi aggiungerò l’ordine d’arrivo di Bormio. Poi riprenderò il discorso sul Piccolo San Bernardo…. ;)

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Giro d’Italia 1960: Pambianco in cima al Gavia si protegge col classico foglio di giornale per affrontare la discesa. Pur lavorando da spalla, Gabanì passò sulla celebre salita, affrontata dal Giro per la prima volta, al terzo posto. Questi i passaggi: Massignan, a 1’35” Gaul, Pambianco a 2’10”, Nencini a 4’45”, Coletto a 4’50”, Anquetil a 5’, Rostollan a 5’05”, Carlesi e Van Looy a 5’10”, Battistini a 5’25”, Hoevenaers a 6’10”. Come dire: Anquetil a 2’50”, quindi lo Stelvio …aveva un precedente

Ordine d’arrivo (Bormio ’60).
1° Gaul, 2° Massignan a 14”, 3° Nencini a 1’07”, 4° Pambianco a 3’32”, 5° Carlesi a 3’41”, 6° Coletto st, 7° Anquetil st, 8° Hoevenaers a 5’15”, 9° Junkermann a 5’35”, 10° Bugnami a 5’55”.


Va altresì aggiunta una considerazione che vale per tutti: se giungi completamente vuoto di ogni energia al culmine delle altissime salite (ma anche in quelle minori, anche se con intensità più variabile), in discesa rischi di prendere una paga vistosa. Soprattutto a quei tempi, dove le discese erano pericolosissime per lo stato delle strade e l’immagine dello scollinamento di Pambianco sul Gavia nel ’60, lo fa capire benissimo. Nelle tre montagne decisive dei Giri ’59 (Piccolo San Bernardo), ‘60 (Gavia) e nel ’61 (Stelvio), Jacques, subì in discesa un allargamento del distacco rispetto al rivale di turno.

Tornando sulla crisi del grandissimo francese sulla discesa del Piccolo San Bernardo, va però detto, a sua attenuante, che forò tre volte, contro una sola di Gaul e nessuna degli altri. Diciamo che anziché nove, i minuti di distacco a Bormio, potevano essere sette e mezzo, ma la sostanza non sarebbe cambiata. Questo aspetto, tra l’altro, gli giocò a favore nel ’60, quando a forare almeno una volta furono gli altri (Pambianco, che si stava riportando su Gaul e Massignan, forò due volte e dopo la seconda resto fermo 2’ ad aspettare l’ammiraglia). Va poi aggiunta una constatazione che dice tanto circa le difficoltà di Jacques in certe altissime salite: lui era un grande discesista. Ed anche qui gli esempi non mancano.
Sempre a proposito del Giro 1959, la famigerata Wikipedia dà Anquetil nella squadra S. Raphael, che invece mi pare fosse di qualche anno dopo; immagino sia giusto il dato di Mémoire du Cyclisme (Helyett-Leroux), no?
Wiki, prende un granchio. La Saint Raphael, feudo del guru Raphael Geminiani (personaggio che mi piacerebbe tanto incontrare, visto che non avrei problemi di lingua, poichè parla ancora bene il dialetto romagnolo ;) ), aveva come capitano, che resterà tale fino alla tragica fine di carriera, il grande rivale di Jacques: Roger Riviere. Anquetil si unì al sodalizio di Geminiani solo nel 1962.
L’esatta denominazione della squadra di Jacquot nel ’59 era: Helyett-Leroux-Fynsec-Hutchinson. Nell’ambiente però la chiamavano tutti Fynsec, forse perché la tuta era così, come questa foto scattata il 14 giugno 1959 a Forlì alla punzonatura del Trofeo Tendicollo Universal.

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Allora non potevo saperlo, poi con gli anni l’ho scoperto. Quello fu il giorno della prima corsa che vidi. C’erano Coppi, Baldini, Riviere e, appunto, Anquetil.
Il filmato che segue, che postai sul vecchio forum, è una chicca.
http://www.vecchiazzano.it/video/tendicollo.wmv

Su Jacques, per i forumisti più giovani, si può saperne di più qui.
http://oldforum.cicloweb.it/viewthread.php?tid=6875
Di Pambianco invece ho fatto in tempo ad avere qualche figurina Panini, forse in una delle mie prime raccolte...
A proposito, prima o poi, magari su "Aneddoti, Inediti ecc" posterò, prima o poi, la storia della bilia di Pambianco che mi fu regalata in Spagna….. ;)

Ciao mitico Lorenzo!

P.S.
Non so se te l'ho mai detto, ma ti chiami come mio fratello, il corridore di famiglia..... ;) :)


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

Parigi Tours 1921: poteva accadere anche questo….

Una delle più sofferte edizioni di una Classica, fu la Parigi Tours del 1921. Si corse il 17 aprile, ma di primavera, in quel giorno, ci fu poco, anzi nulla. Il clima invernale e le stoiche condotte dei corridori che poi seguirono, ci riportano oggi, seduti su una poltrona a viaggiare sulla storia del pedale, un condensato ulteriore d’ammirazione e di stupore, che si dischiude su quel fascino che il ciclismo, specie se lontano, sa elevare su ogni ricercatore. Nel 1921, permaneva incontrastata l’era dei “forzati del pedale”, ed anche se le prove di un giorno, sapevano meglio digerire “quelle evasioni”, impossibili in un Tour de France o in un Giro d’Italia, insisteva sui corridori l’onore, unito al bisogno di farsi vedere per recuperare ingaggi, che li spingevano a superare i limiti del possibile, prima di dirsi vinti. Erano sostanze comuni a tutti, anche se in Henri Pelissier, uno dei più illustri, forse proprio il “più”, stava nascendo la volontà di far avanzare un altro gradino di quel suo spirito ribelle, tanto siamese, nella voglia di vivere una libertà tutta sua, ad una prorompente intelligenza.
Henri, era un genio, non ancora maledetto per l’incapacità di accettare l’unione del tempo con l’invecchiamento, che poi sarà la causa del suicidio di sua moglie e che spinse l’amante, due anni dopo, con la medesima pistola usata dalla defunta consorte, ad ucciderlo. Nel 1921, Henri era un campione che accettava poco la superbia con la quale si gestiva il ciclismo e che s’era ritrovato, due anni prima, con l’arrivo al professionismo del fratello Francis-Maurice, vista l’imponenza di costui, quel colosso in grado di dare altre gambe alla sua vulcanica mente, anche in direzione degli affari di gara e degli avversari. Nel ‘22, con l’arrivo del minore Charles, la famiglia diventò ancora più iperbole delle corse francesi, creando un saga, probabilmente ineguagliata sul pur corposo romanzo ciclistico. E come tutte le saghe, possedeva vertici d’ogni direzione, compresi gli episodi, dove un certo dominio, si trovava a fare i conti con una figura come l’italiano Pietro Linari, che poteva unire su un unico corpo, la mente di Henri ed i muscoli di Francis, chiamando così, a gran voce, il buon senso di un passo indietro [chi vuole leggere qualcosa a proposito può andare al thread “Aneddoti, curiosità e inediti ... (Per Morris & Co)”].

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I fratelli Pelissier: da sinistra Henri, Charles e Francis-Maurice

Sta di fatto che Henri Pelissier, tornando alla Tours del 1921, s’arricchì di altre motivazioni per giungere ad essere il primo e, praticamente l’unico nella storia, in termini semi individuali (con lui il solo fratello Francis), ad opporsi con ardore alla potenza di un organizzatore-padrone, come Henri Desgrange. Accadde tutto al Tour de France 1924, quando la protesta ed il conseguente ritiro dei Pelissier, nonché l’intervista ad Henri, diedero contenuti e riferimenti allo scrittore Albert Londres, per stendere un reportage che ha fatto epoca: proprio “I forzati della strada”.
La Parigi Tours 1921, s’aprì sotto l’insegna dell’inverno più cupo, con freddo, vento e pioggia gelida, pronta a trasformarsi in neve. Fin dal via, i Pelissier imposero un ritmo folle per rendere la corsa più dura di quel che già il maltempo stava rendendo. Il loro ritmo frantumò il gruppo, costringendo i più deboli, o troppo sofferenti, a desistere dal proseguire. Fra i ritiri a fiotti, c’erano pure degli avversari molto temuti dai fratelli. La conferma l’ebbero ad Ablis, quando Henri chiese ad un signore delle auto al seguito, che fine avessero fatto Girardengo e gli altri italiani: “Si sono ritirati e Chartres - fu la risposta - hanno detto che vi aspettano per la Sanremo dell’anno prossimo”. La notizia rese meno tagliente la marcia dei Pelissier, anche se con loro erano rimasti i connazionali Juseret e Barthelemy, ed i temibili belgi Mottiat e Tiberghien. Quattro uomini, a ben vedere, che sapevano interpretare più di altri le malefatte del tempo: tanto nel freddo, quanto nel caldo.
A Bonneval, i sei di testa incontrarono un deciso peggioramento del condizioni atmosferiche: la pioggia s’era trasformata in neve e le raffiche di vento erano diventate così forti, da sballottarli a destra e sinistra della carreggiata. Ormai esausti e semi-congelati, trovarono nel rifornimento di Cheteaudun, un’oasi ove poter ritornare a parvenze umane. Gli organizzatori avevano preparato per i corridori grandi recipienti di acqua calda, dentro ai quali in tanti dei pochi rimasti in gara, si gettarono a peso morto.

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Un’istantanea della Parigi Tours 1921

I Pelissier e gli altri quattro, indossati indumenti asciutti e ripresi gran parte dei sensi, si spostarono verso un vicino Caffè, per rifocillarsi ulteriormente. In Henri però, visto il tempo sempre inclemente e per nulla migliorato, subentrò il timore di compromettere la stagione estiva con un pesante malanno e pensò di ritirarsi. Francis, invece, non ne voleva sapere, decisissimo com’era a vincere una corsa che, due anni prima, lo aveva visto tagliare quello che era stato il traguardo, sbronzo e dietro un improvvisato allenatore, che nella vita faceva il prete. I due stavano ancora discutendo, mentre gli altri quattro avevano deciso di fermarsi ancora un po’ prima di decidere, quando videro dalla finestra del locale, il passaggio di un corridore che, per la neve, pareva una specie di Babbo Natale. Costui era Eugene Christophe, un grandissimo atleta, antesignano del ciclocross. Uno che era diventato famoso, nonostante la cura con la quale spuntava i suoi baffi e faceva conquiste femminili al punto di farsi chiamare “Il Gallo”, per aver vinto una Milano Sanremo undici anni prima, in condizioni incredibilmente simili e che diventerà la più massacrante dell’intera storia della Classicissima di Primavera. Christophe procedeva assai bene, nonostante un brevissimo stop al rifornimento, ed appariva deciso a bissare il successo colto nel 1920, quando aveva battuto in volata Barthelemy (corridore straordinario nella sua originalità), Dejonghe, ad altri 15 avversari, fra i quali nessun italiano.
Nel vedere “Il Gallo” così pimpante, nonostante le sembianze di un Babbo Natale, Francis scattò, ed Henri che aveva deciso di fermarsi, fece appena in tempo a dirgli: “Prendi il mio impermeabile, che ti servirà!”.
Il Pelissier rimasto in gara, ritrovate le forze, si lanciò ad inseguire il temibile avversario e fece una fatica abnorme, perché Christophe, non ne voleva sapere di cedere. Ciononostante Francis riuscì a raggiungerlo ed a staccarlo, anche per intimorirlo. A Chatel-Ierault però, capì che se non si fermava a bere qualcosa di caldo, si sarebbe dovuto ritirare come il fratello. Ed il primo Caffè che riuscì a scorgere, fra la bufera che lo accecava, lo vide entrare addirittura con la bicicletta, la cui porta fu opportunamente aperta dagli avventori del locale.

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Francis-Maurice Pelissier

Riavutosi un poco, grazie ad un punch debitamente preparatogli, Francis, fece in tempo a discutere coi tifosi lì presenti, auto-convincendosi che con un simile tempo, Christophe, avesse già raggiunto il primo treno utile per tornare a casa. Ma ci voleva ben altro per fermare la resistenza del “Gallo”. Ed infatti, mentre il più possente dei Pelissier stava sorseggiando il secondo punch, “Il Gallo” ripassò col solito passo e con le sembianze, stavolta, di un fantasma. Francis fu così costretto a ripartire in gran fretta, terminando il punch con un ultimo sorso, tanto lungo quanto denso di rabbia per non poterlo gustare come voleva. L’effetto del riposo e di quella “bevanda particolarmente ricca di alcol”, diede subito i suoi frutti: con una pedalata efficace, raggiunse Christophe e lo staccò nuovamente. A Chinon, quando il suo vantaggio aveva raggiunto i quattro minuti abbondanti, si fermò di nuovo, ma stavolta non perché fosse finito, ma per una foratura. Le energie per un rapido cambio di gomma non gli mancavano, ma erano le dita a far cilecca, perchè ormai congelate. Strappò il tubolare coi denti ed aspettò quel tanto che serviva a consentire a quei dieci bastoncini, di ritornare sensibili al minimo, per poter completare il cambio di tubolare. Durante quel segmento, che a Francis parve lungo un secolo, Christophe lo ripassò, ma stavolta in compagnia di Mottiat, detto “l’uomo di ferro” che, dopo esser stato in fuga coi Pelissier, si era fermato di più al rifornimento, trovando nuove e competitive forze. Francis-Maurice, non senza disperazione, pensò di poter lottare al massimo per un terzo posto, ma finito quel lungo cambio di gomma, ripartì ugualmente deciso. Raggiunse i due di testa, prima di ogni più ottimistica previsione e ciò gli diede un gran morale per un eventuale affondo finale. Ed infatti, sul piccolo strappo di Azway le-Rideau, quando la neve si era tramutata in fitta pioggia, riuscì a staccare i due avversari e, come una macchina azionata dal fango, giunse vittorioso sul traguardo di Tours. Una meta che poi fu raggiunta da soli otto corridori. Fu la vittoria più bella e sempre ricordata della sua ottima carriera.

Morris


herbie
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Iscritto il: sabato 26 febbraio 2011, 17:19

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da herbie »

Maìno della Spinetta ha scritto:296 km di tappa.
Una zomegnanata. Con bici di allora però...
già, aggiungiamoci le strade, e possiamo calcolare un bel 40% ampio di fatica in più rispetto alla stessa tappa se fosse fatta oggi.
Poi possiamo anche disquisire sulle cosiddette "esagerazioni" dei giri appena passati.
Poi possiamo disquisire su quanto fossero "equilibrati" quei Giri e su quanto sono "equilibrati" quelli di oggi.
P.S.: la cronometro della Val di Susa dove Anquetil prese un buon vantaggio era di 51 km., mica 150....

grazie a Morris per questi preziosissimi ed appassionanti racconti.

P.S.: sui motivi delle difficoltà di Anquetil nelle salite sopra i 2000 metri, da poliallergico quale sono, mi permetto di far notare che non poteva trattarsi di allergia. Più vai in alto e più l'allergico migliora rispetto agli altri perchè lassù non trova pollini e si riporta "alla pari" quanto a difficoltà respiratoria. Da una vita mi succede la stessa cosa.
Secondo me era proprio una certa minore predisposizione alla salita molto lunga, che, in situazioni psicofisiche ottimali in un così grande campione magari non emergeva (mi viene in mente Indurain) , ma con una minore brillantezza fisica o in calo di forma poteva palesarsi tutta d'un colpo con un cedimento improvviso.


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

Vista la ricorrenza odierna.....

Dal mio libro: "Arnaldo Pambianco, il campione e l'uomo"


L’eccezionale vittoria nella Freccia del Brabante

Val la pena ricordare, soprattutto per i giovani lettori, ma anche per qualche anziano vinto da eccessivo nazionalismo, o troppo indottrinato da un giornalismo che si è via via impoverito di realismo e capacità d’analisi, che le corse di un giorno, in Belgio, hanno un valore mediamente più alto di qualsiasi altra terra, Francia e Italia, ovviamente, comprese. Per raggiungere il medesimo valore oggettivo, francesi e italiani, devono far scendere in campo le loro classiche più prestigiose: poche, pochissime al confronto con la massa di ottime e l’eccezionalità di un numero comunque superiore, di quel Belgio dove il ciclismo è ancora oggi una religione. Ed è pur vero, che ai tempi più remoti o quelli dell’intorno il mezzo secolo dai nostri giorni, nell’epopea di Pambianco per intenderci, la distanza era pure maggiore, anche perché erano pochi i corridori, non del Benelux, che s’avventuravano a sfidare i colleghi locali. Lo stesso stile di quelle corse era diversissimo: battagliato dal primo all’ultimo metro, che obbligava i partecipanti ad un numero di scatti impensabile altrove. Ovviamente, questo confronto si inverte quando si parla di corse a tappe, ma chi nell’oggi insiste a valutare poco gli aspetti testé sopra, è bene che si studi sul serio la storia del ciclismo, senza far le prove con il “bla bla bla” degli albi d’oro, che sono spesso confondenti e, da soli, insufficienti nella conoscenza della materia.
In altre parole, questa premessa era un obbligo per far capire che nella storia di Gabanì stiamo per incontrare un’impresa, una delle sue migliori, sicuramente la meno conosciuta e ricordata, rispetto al suo stupendo valore.
Già la trasferta fu di quelle che lanciano segni di ciclismo antico, potremmo dire alla garibaldina. Erano in quattro gli italiani che anticiparono la spedizione più completa e decorosa per il Giro delle Fiandre: Arnaldo, Baldini e Adorni della Salvarani e Mealli della Cynar. Per loro, aldilà del viaggio comunque avventuroso, non c’era un minimo di assistenza, dall’ammiraglia, al direttore sportivo, al meccanico e al massaggiatore. Quattro da soli, padroni di un destino che aveva come ferri del mestiere la bicicletta, con un paio di tubolari di ricambio e la valigia con il minimo indispensabile. Quattro, che giunsero in un alberghetto minuscolo di Bruxelles, dalle parti della Stazione Nord, la zona della capitale belga più ricca di quei caffè cabaret particolari, definiti “tabarins”, dove comunque non potevano certo svagarsi, prima ancora che per le loro singole volontà, dalla ferrea disciplina che il proprietario dell’alberghetto, tanto abituato nell’ospitare corridori, imponeva. Ma poi, con la stanchezza del viaggio, chi avrebbe mai pensato ai “tabarins”? Si iscrissero alla Freccia del Brabante come fossero isolati, e lo erano nei fatti di quella occasione, aldilà delle maglie. La corsa era un summa del Fiandre, più corto d’una quarantina di chilometri, ma pur sempre duecento e più chilometri impegnativi e tutti da correre, come in ogni gara fiamminga o vallone. Una manifestazione che, nel 1964, segnava la quarta edizione ed era già popolarissima, come ogni appuntamento in grado di muovere la religione del ciclismo. L’avevano già vinta: Pino Cerami, il siculo che nel 1956 era diventato belga a tutti gli effetti e che, verso i quaranta anni, seppe divenire un bel cacciatore di classiche; Ludo Janssens, un finisseur di pregio anche se non di notissimo nome e, nel 1963, uno dei più grandi corridori potenziali mai giunti su una bicicletta, Jos Wouters. Tre belgi dunque, come belgi erano il 95% dei vincitori delle corse fiamminghe e valloni fino a metà degli anni sessanta. Vincere là, per uno straniero era dunque un’impresa di valore quasi epocale. Limitatamente agli italiani, un qualcosa di ancora maggiore. Prima della stagione 1964, infatti, sul suolo belga, zoomando ogni corsa, quindi anche le manifestazioni a tappe e le singole frazioni di esse, solo quattro azzurri erano riusciti ad imporsi: Alfredo Binda ai Mondiali di Liegi nel 1930; Fiorenzo Magni, nel Giro delle Fiandre nel 1949-‘50 e ’51 (di lì appunto l’appellativo di “Leone delle Fiandre”),. Fausto Coppi nella Freccia Vallone del 1950 e Loretto Petrucci nella Parigi Bruxelles del 1953. Ad onor del vero anche Fermo Camellini, vinse la Freccia Vallone nel 1948, tre mesi prima di diventare francese (terra in cui abitava dal 1921) anche per cittadinanza, ma considerare costui come espressione del movimento ciclistico italiano, è una forzatura che si fa polpette del buon senso.
Bene, con un simile rarefatto retroterra, potevano forse i quattro simil-pionieri, senza assistenza ed esperienze, ambire a rompere l’incantesimo che perdurava dal 1953? Era una domanda che si ponevano anche loro, ma che in Gabanì si sublimava con una sete particolare di vittoria: poteva essere la sua personale vendetta su Waregem.

La Freccia del Brabante 1964, si disputò mercoledì primo aprile, per la gran parte sotto una pioggia battente e con una temperatura piuttosto rigida. Come ogni competizione del luogo, fu battagliata fin dai primi chilometri ed ogni tratto in pavé, sia in pianura che sulle cote, rappresentava una frusta per ogni partente, nonché uno stimolo di passione in più per le urla d’autentico giubilo delle decine di migliaia di persone che assistevano all’evento. Poco dopo la partenza, infatti, già un’azione di gran nota, protagonisti Frans Brands, un belga dalle orecchie a sventola inconfondibili e il tedesco di origine polacca Hans Jaroszewicz, che si avvantaggiarono. Il vantaggio dei due non raggiunse per lungo tempo un’entità notevole, non già per un organico inseguimento del gruppo, che iniziò a perdere pezzi da dietro solo dopo una quarantina di chilometri, bensì per le continue scaramucce di corridori che scattavano, ma non avevano la forza di proseguire. Dopo settanta chilometri circa, in un momento di relativa calma, dal grosso uscirono due olandesi di nome, Huub Zilverberg e soprattutto Peter Post, corridore dalla classe cristallina che, una ventina di giorni dopo, superando allo sprint i belgi Benoni Beheyt, Campione del Mondo in carica e Yvo Molenaers, vincerà la Parigi Roubaix alla media record di tutti i tempi: 45.131 kmh!
Un particolare tipico delle corse belghe del periodo: Zilverberg e Post, erano compagni di squadra nella Flandria Romeo e Brands, che si trovava davanti, idem. Fughe a più uomini dello stesso sodalizio erano una componente della combattività di quelle manifestazioni e facevano parte dello spettacolo. A poco meno di cento chilometri dal traguardo di Bruxelles, i due inseguitori raggiunsero la coppia davanti, mentre una trentina di chilometri dopo, l’andatura imposta dal treno della Flandria, provocò il cedimento del tedesco Jaroszewicz. Cedimenti che coinvolsero anche quel gruppo che, nel frattempo, s’era spezzato in diversi tronconi e dove il solo Pambianco, fra gli italiani, era rimasto sul sempre più ristretto drappello degli immediati inseguitori il trio di testa. Adorni, causa foratura, era rimasto ulteriormente attardato, ed aveva preferito ritirarsi, mentre Baldini e Mealli erano nel secondo troncone. Carmine Preziosi, italiano di passaporto, ma belga d’adozione e vita, era addirittura nel terzo. L’azione del trio di testa proseguì veloce come fosse una cronosquadre, ignara del pavé, degli strappi, molti con fondo sassoso e della media davvero di nota viste le condizioni atmosferiche e la fatica per una fuga così lunga. Dietro, intanto, il gruppetto
sempre più risicato, stava producendosi in un veemente inseguimento. Arnaldo era lì, come un veterano di quelle corse e con la strana smorfia di chi, da generoso ed altruista, sta vivendo il suo giorno da killer, pronto a cogliere l’attimo fuggente e castigare ogni avversario. Ed attorno a lui non c’era certo poco: dall’iridato Beheyt, allo scaltro e veloce Emile Daems collezionista di gran classiche; dal temibilissimo Gilbert Desmet I che, nella miriade di successi annoverava una Parigi Tours e che, un mese dopo, vincerà anche la Freccia Vallone, al chirurgo delle corse non superiori ai 220 chilometri Willy Monty; da Jozef Planckaert, un gran corridore che si votava alle corse a tappe, ma che aveva la sua forza maggiore nelle classiche, come la Liegi Bastogne Liegi del 1962 aveva ampiamente dimostrato, al sempre più convincente e vincente Victor Van Schil; fino al trentenne giunto al pieno delle sue possibilità agonistiche Yvo Molenaers. Diversi di questi militavano nei medesimi sodalizi, quanto bastava per pensare col pessimismo della ragione all’impossibilità di lasciarseli dietro e vivere l’ottimismo della volontà consistente nell’onore di essere con loro in una corsa così tirata che li vedeva specialisti.
Ad otto chilometri dal termine, davanti restò il solo Peter Post. Frans Brands e Huub Zilverberg, avevano dato tutto e si sfilarono. Contestualmente, dal gruppo, che aveva ancora poco più di un minuto da recuperare su Post, un uomo dagli occhi azzurri, si lanciò con l’impeto di chi covava da tempo ciò che stava facendo. Era Arnaldo Pambianco, che sviluppò immediatamente un’azione da finisseur di razza, capace di esaltare all’istante la marea umana che stava ai margini della carreggiata. Furono meno di tre i chilometri che servirono a Gabanì per sorpassare a velocità doppia Zilverberg e Brands, poco più di cinque quelli necessari per superare nel medesimo modo, un grande corridore come Post. Ne restavano poco più di due per contenere il ritorno dei nobili avversari che aveva schiaffeggiato col suo sublime acuto. La beffa di Waregem stava per essere vendicata, con la sontuosa pedalata che elegge i Campioni reali, indipendentemente dalle etichette e dalle conquiste di un iride non assoluto, come quello dei dilettanti. Spingevano a tutta dietro, ma Gabanì di Bertinoro era un imprendibile folletto, ed arrivò sulla linea a bracca alzate (nella foto accanto tratta da Stadio), lasciando a Molenaers, Van Schil, Hermans e il Campione del Mondo Beheyt, che finirono nell’ordine a due secondi, il peso più feroce del suo schiaffo. Arnaldo aveva vinto in Belgio undici anni dopo Petrucci, quinto italiano della storia a cogliere il successo nella terra della religione ciclistica. Aveva annichilito Post, Molenaers e Beheyt che, diciotto giorni dopo, formeranno il podio più veloce d’ogni tempo, in una classica impietosa come la Parigi-Roubaix. Arrivò dopo cinque minuti l’amico Ercole Baldini, che gli disse: “Tè vint té Arnaldo? Ma quant ci andè fort!” (Hai vinto tu Arnaldo? Ma quanto sei andato forte!). (Maurizio Ricci - Morris)
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matter1985
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da matter1985 »

bellissimi questi tuffi nel grande oceano che e' la storia del ciclismo :clap: :clap: ti faccio i miei complimenti morris,anche se mi sono iscritto da pochi giorni,e' da qualche anno che leggo il forum e i tuoi racconti del passato fanno capire che sport nobile e' il ciclismo!era da tanto che volevo farteli questi complimenti :)


#JeSuisNizzolo
Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

Matter, ti ringrazio!
Sì, il ciclismo, considerando la sua intera storia, è uno sport nobile. Va però detto, che sono anni che è in fase discendente e non certo perché sta cambiando a veloci passi il mondo. Detto da un vecchio come me, può apparire come un segno di nostalgia, ma non è così, purtroppo.
Ciao e, di nuovo, grazie!


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Visto ciò che aspetta gli appassionati domenica ....

Amstel Gold Race - 10a Edizione: 29 marzo 1975
Il decennale dell’Amstel, riportò allo start Eddy Merckx. E che Merckx! Centotrentotto partenti, per un tracciato che stava seminando echi mondiali per le sue difficoltà e per quella ormai consolidata dimostrazione di far uscire, o un grandissimo nome, o un corridore in stato di grazia eccelsa. L’edizione del ’75, per chi scrive, fu per anni ed anni la migliore, per un motivo semplice e raramente raggiungibile: un testa a testa fra il più grande atleta “ogni sport” che gli occhi del sottoscritto abbiano mai visto, ed il più forte corridore, dopo il “sire”, tra l’altro ancora giovanissimo, che il periodo stava evidenziando. Un giudizio personale certamente, che trova conforto nei fatti. Purtroppo un duello brevissimo, per motivi che non sfuggono e che è inutile riportare. Sarà, ma in chi scrive, la totale grandezza dell’Amstel, si testimoniò indelebile in quella edizione. La corsa, di quel 29 marzo ’75, fece sbocciare i propri fiori agonistici sul Keutenberg, quando si formò al comando un drappello di nove uomini: Eddy Merckx e Bruyere della Molteni, Knetemann e Bal della Gan-Mercier, Thurau e Pronk della Ti-Raleigh, Maertens e Pollentier della Flandria, e Kuiper della Frisol-GBC. In discesa rientrarono sui primi anche Dierickx (Rokado), Delisle (Peugeot-BP) e Knudsen (Jollyceramica). A quel punto iniziò la recita luminosa dei due più forti e attesi: il super campione e il giovane emergente, vale a dire Eddy Merckx e Freddy Maertens. I due, su spinta di Eddy, lasciarono ben presto la compagnia, fino a dar gambe, faccia e protagonismo alla forte rivalità che li divideva, da quel contorto pomeriggio iridato di Barcellona ’73. In un anno e mezzo da quel giorno catalano, non era mai stata così pingue l’occasione di una resa dei conti. Merckx. continuò a scattare, in ogni angolo d’occasione, non solo in salita. Freddy rispose riportandosi sul sire, ogni volta, fino ad un chilometro e mezzo dall’arrivo, a metà dello strappo finale. Ma qui, lo scatto in progressione ed a tutto rapporto di Eddy, gli fu fatale. Merckx, senza mai voltarsi, imperterrito nella recita del suo copione si allontanò dallo sguardo intriso di atroce fatica di Freddy, ed andò a tagliare il traguardo a braccia alzate, illuminando la sua già radiosa maglia iridata: era il primo a vincere l’Amstel, coi colori arcobaleno. Maertens giunse a 15”, mentre Joseph Bruyere, fido scudiero del "cannibale", a 2’51” anticipò Dierickx e gli altri per il terzo gradino del podio. Il grande duello, a dispetto della giornata abbastanza normale per l’Olanda di fine marzo, aveva prodotto una selezione enorme: solo 35 dei 138 partenti giunsero al traguardo.
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Il primo trionfo di un iridato in carica

Ordine d’arrivo:
1° Eddy Merckx (Bel) Km 238 in 6h23’33” alla media di 37.231 kmh

2° Freddy Maertens (Bel) a 15”
3° Joseph Bruyère (Bel) a 2’51”
4° André Dierickx (Bel)
5° Michel Pollentier (Bel)
6° Cees Bal (Ned)
7° Gerrie Knetemann (Ned)
8° Didi Thurau (Ger)
9° Hennie Kuiper (Ned)
10° Knut Knudsen (Nor)
11° Bert Pronk (Ned)
12° Raymond Delisle (Fra)
13° Lucien Leman (Bel) a 7’39”
14° Piet Van Katwijk (Ned) a 8’29”
15° Frans van Looy (Bel)
16° Guy Sibille (Fra)
17° Nidi den Hertog (Ned) a 9’03”
18° Guy Leleu (Fra) a 17’12”
19° Jan Van Katwijk (Ned)
20° Roger Gilson (Lux)
21° Ward Janssens (Bel)
22° Frans Van Vlierberghe (Bel)
23° Ludo Peeters (Bel)
24° Henk Prinsen (Ned)
25° Jean-Pierre Berckmans (Bel)
26° Eric Jacques (Bel)
27° Don Allan (Aus)
28° André Chalmel (Fra)
29° Pierino Gavazzi (Ita)
30° Alfred Gaida (Ger)
31° Karl-Heinz Muddemann (Ger)
32° Johann Ruch (Ger)
33° Ghislain van Landeghem (Bel)
34° Jos Borguet (Bel)
35° Julien Stevens (Bel)


Curiosità


La primavera ’75 di Eddy Merckx
Anversa 18 gennaio: Campione del Belgio dell’Americana (con Patrick Sercu)
Gand 19 gennaio: 1° nell’Omnium
Anversa 25 gennaio: 1° nell’Omnium
Grenoble 01 febbraio: Campione d'Europa nell’Omnium
Anversa 07/13 febbraio: 1° nella Sei Giorni (con Patrick Sercu)
22/26 febbraio: 1° nel Giro di Sardegna
23 febbraio: 1° nella 2a tappa
25 febbraio: 3° nella 4a tappa
26 febbraio: 2° nella 5° tappa (semitappa “a”)
27 febbraio: 1° nella Sassari Cagliari
09/16 marzo: 2° nella Parigi Nizza
09 marzo: 1° nel Crono prologo
09 marzo: 7° nella 1a tappa
14 marzo : 1° nella 5° tappa
15 marzo: 4° nella 6a tappa (semitappa “a”)
15 marzo: 3° nella 6a tappa (semitappa “b”)
16 marzo: 5° nella 7a tappa (semitappa “b”)
19 marzo: 1° nella Milano-Sanremo
29 marzo: 1° nell’Amstel Gold Race
31 marzo/4 aprile: 1° nella Settimana Catalana
31 marzo: 4° nella 1a tappa
01 aprile: 2° nella 2a tappa
02 aprile: 2° nella 3a tappa (semitappa “a”)
02 aprile: 1° nella 3a tappa (s.tap.“b” – crono)
03 aprile: 3° nella 4a tappa
04 aprile: 3° nella 5a tappa
04 aprile: 2° nella classifica GPM
04 aprile: 1° nella classifica a punti
04 aprile: 1° nella classifica della combinata
06 aprile: 1° nel Giro delle Fiandre
13 aprile: 2° nella Parigi Roubaix
15 aprile: 2° nella Liegi-Ligny
20 aprile: 1° nella Liegi-Bastogne-Liegi
26 aprile: 1° nell’Omnium di Ginevra
26 aprile: 1° nell’Individuale a punti di Ginevra
27 aprile: 1° nel Criterium di Pogny
02 maggio: 1° nell’Handicap di Zurigo
04 maggio: 2° nel Campionato di Zurigo
13 maggio: 1° nel G.P. di Copenaghen
31 maggio: 1° nel G.P. di Woerden

Morris


Fabioilpazzo
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 15:44

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Fabioilpazzo »

Apperò che dorsali aveva Merckx.
Non mi ricordo chi su questo forum, fece notare che uno dei tanti miglioramenti che ha reso Gilbert quello che è oggi, rispetto al bel corridore degli anni prima, è probabilmente lo sviluppo dei muscoli dorsali...E questo mi fa pensare a quanto fosse clamoroso, in epoche ben lontane dalla ricerca della perfezione odierna, il fisico di Eddy.


Strong
Messaggi: 11043
Iscritto il: mercoledì 12 gennaio 2011, 11:48

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Strong »

Fabioilpazzo ha scritto:Apperò che dorsali aveva Merckx.
Non mi ricordo chi su questo forum, fece notare che uno dei tanti miglioramenti che ha reso Gilbert quello che è oggi, rispetto al bel corridore degli anni prima, è probabilmente lo sviluppo dei muscoli dorsali...E questo mi fa pensare a quanto fosse clamoroso, in epoche ben lontane dalla ricerca della perfezione odierna, il fisico di Eddy.
cè da dire che i dorsali si vedono solo se ti metti in quella posizione :diavoletto:


i fondamentalisti del ciclismo e gli ultras dei ciclisti sono il male di questo sport.
Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Fabioilpazzo ha scritto:Apperò che dorsali aveva Merckx.
Non mi ricordo chi su questo forum, fece notare che uno dei tanti miglioramenti che ha reso Gilbert quello che è oggi, rispetto al bel corridore degli anni prima, è probabilmente lo sviluppo dei muscoli dorsali...E questo mi fa pensare a quanto fosse clamoroso, in epoche ben lontane dalla ricerca della perfezione odierna, il fisico di Eddy.
Certo Fabio i dorsali di Eddy erano formidabili, non così i muscoli delle braccia (anche se è stato campione belga dei novizi di pugilato ;) :) ). Ho appena visto una domanda sulle completezze muscolari nel thread su Sagan e BH, ed in risposta scriverò qualcosa proprio a proposito di Merckx....
Ciao!


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

Una delle mie migliori soddisfazioni fin qui vissute, è stata quella di aver scritto un libro sui miei idoli ciclistici di fanciullezza: Ercole Baldini, Arnaldo Pambianco e Charly Gaul (sul quale, da più parti, mi si chiede la ristampa specifica, o l’aggiornamento del testo originario…). L’amicizia che è poi nata con loro, l’ho vista e la vivo come fosse…. un’apoteosi.
Un altro obiettivo che il tempo mi ha spinto a farlo diventare “soddisfazione”, era quello di mettere un altro mattone sul muro delle mie convinzioni circa il rilancio di questo sport così malato: non c’è e non ci sarà un nuovo ciclismo, fin quando non si cementerà sui mezzi e le possibilità moderne, quella passione e quella inventiva che era patrimonio dei dirigenti del pedale di un tempo.
In questo senso va l’ultimo libro che ho dato alle stampe e di cui riporto qui ….una piccolissima presentazione.

“LE CORSE DIMENTICATE” (Volume uno)
Storia, protagonisti ed inediti di tante prove significative”


Formato 15x21 – pagine 270

Uno zoom fra storia e cultura, che evidenzia le evoluzioni del ciclismo, il ruolo dei giornali nel suo decollo e quei lenti ma costanti segni di involuzione che l’hanno attanagliato. Oggi, il pedale agonistico vero, è in crisi nera, ed è perlomeno amaro constatare, in un mondo che si riempie la bocca di “mondializzazione”, quanto il ciclismo abbia dimenticato di non aver fatto, in Italia, l’italianizzazione….

…..dalla lunga introduzione del libro….

“Le corse per professionisti, protagoniste catalizzatrici dell’essenza degli atleti, sono dunque sempre più rare al nord e quasi del tutto sparite al sud, ed a poco valgono le internazionalizzazioni, vere o presunte, vantate dalla idrovora UCI, verso la quale, la Federazione Italiana è genuflessa, aldilà di ogni limite, definito con un tangibile eufemismo, “istituzionale”. Un libro, sulle manifestazioni ciclistiche che, di fatto, non ci sono più nel nostro Paese e che volesse essere totalmente sincronico alle letture odierne, dovrebbe trattarne a decine. Qui ho fatto la scelta delle più lontane, sepolte col cemento e dimenticate, limitando il segmento temporale a tutto il periodo dove il ciclismo era il primo sport nazionale, ovvero fino a circa metà degli anni sessanta. Ne seguirà un lavoro con tanti resoconti o materiali inediti, introvabili pure per i migliori ricercatori su internet, che piaceranno poco agli amanti del pedale dell’attualità, con tutto quel che c’è e che non ho trattato nemmeno a mo’ di eco sopra, ovvero al ciclismo delle “periodizzazioni” e delle specializzazioni esasperate, dei dottori come unici preparatori, della genuflessione e relativo masochismo degli atleti, dei dirigenti più scarsi fra quelli sportivi ecc. Piacerà, forse, a coloro che vogliono capire, o che amano, magari solo per curiosità, la storia che ci sta alle spalle. E che fra ordini d’arrivo intinti di corridori che per taluni non diranno nulla o sono fossili, vi siano degli zoom su di loro, rappresenta per me la coerenza con ciò che mi muove da sempre: sono gli atleti la quintessenza dello sport”.

Indice
Pagina 7 – Introduzione; Pagina 13 – Dal velocipede alla bicicletta; Pagina 16 – Firenze-Pistoia, la più antica corsa italiana; Pagina 18 – Milano-Torino 1876, la prima classica d’Italia; Pagina 19 – L’affermazione della bicicletta e l’avvio delle grandi corse; Pagina 23 – Torino - Milano 1893; Pagina 26 – L’arrivo del Ciclismo e le sue corse….. più dimenticate; Pagina 29 – Gran Fondo - La Seicento chilometri; Pagina 53 – Roma – Napoli – Roma; Pagina 75 – Corsa del XX Settembre (dal 1918); Pagina 87 – Roma – Napoli – Roma (dal 1928); Pagina 137 – Gran Premio Ciclomotoristico delle Nazioni (dal 1955); Pagina 241 – Corsa Nazionale; Pagina 245 – Milano – Bologna – Roma; Pagina 251 – Milano – Mantova; Pagina 269 – Indice; Pagina 270 – Note

E’ il primo volume, dunque, partito con la convinzione di far tutto in 300 pagine….ma che alla fine non ne avrà meno di 650-700…. Ed è forse il migliore, in chiave storica, fra quelli che ho scritto.

Ne riporto su questi quaderni, uno spezzone, il più inedito, anche per chi può definirsi “buon ricercatore”….anche su internet.

Quattordicesima Edizione – 19/20 settembre 1918
(Corsa del XX Settembre)

Il periodo particolare post conflitto, provocò diversi problemi alle società sportive, anche e soprattutto perché le Federazioni si stavano nazionalizzando con fatica e, spesso, si mostravano ancora legate ai localismi dei dirigenti. In più, insistevano difetti di comunicazione e circolazione di programmi ed intendimenti che, poi, finivano per creare sovrapposizioni o eccessivi buchi, nei calendari delle gare. In questo contesto, la Società “Forza e Coraggio” di Roma e, conseguentemente, il giornale “Il Messaggero”, sostenitore principale dell’attività ciclistica del sodalizio capitolino, si trovarono a conoscere abbastanza tardi della concomitanza con una manifestazione affascinante che, guarda caso, non escludeva la Capitale, anzi ne era sede d’arrivo, ovvero la Milano-Bologna-Roma.
Una corsa organizzata dalla Gazzetta dello sport, ovvero chi proponeva il Giro d’Italia, quindi con un peso “politico” enorme, che prevedeva due tappe, di cui la prima, proprio il 20 settembre. A quel punto, la “Forza e Coraggio”, decise di non cambiare data ed itinerario alla pensata propria creatura, ma ne modificò il nome: da Roma-Napoli-Roma a “Corsa del XX Settembre”, non già per chiarire differenze che, di fatto, si erano già sovrapposte e confuse senza cambiare le sostanze, ma per far capire che il percorso della manifestazione poteva cambiare, e non vedere Napoli come traguardo intermedio. Inoltre, pensò di affrontare la concomitanza pesante, senza abbandonare il mondo dei professionisti, le cui differenze con quello dei dilettanti, erano comunque all’epoca spesso inesistenti, o solo delle inezie, ma pensò di indirizzare la propria gara, almeno per il 1918, al termine significativo di “professionisti juniores”, ovvero un intendimento dell’UVI, per distinguere chi, indipendentemente dall’età, passava fra i professionisti. Erano i primordi di quella categoria, definita “indipendenti”, che si istituzionalizzò poco dopo, e che arriverà fino agli anni sessanta.
La XX Settembre di quell’anno, inoltre, propose una partenza unica fra i professionisti di poca militanza nella massima categoria, con quei dilettanti che, nelle altre edizioni passate, avevano corso a gruppo loro (come d’altronde avverrà in futuro). Ovviamente, le classifiche rimanevano separate. Fatto sta, che l’impiccio della concomitanza fra due gare col medesimo arrivo in Roma, creato principalmente per colpe dell’UVI, non fu indolore: la Milano-Bologna-Roma, che si corse 12 anni dopo la prima trionfale edizione, nonostante qualche presenza straniera, fu un fiasco e non venne più riproposta e la XX Settembre del 1918, passò inosservata nella storia del ciclismo, tant’è che tanti, tantissimi storici e conseguenti almanacchi, non la considerano. Ma ci fu, eccome! Anzi, fra le due manifestazioni cosiddette concorrenti di quell’anno, a perderci di meno, fu la XX Settembre, non solo perché continuò, ma anche perché poté collaudare perfettamente un percorso nuovo, che verrà riproposto quasi interamente l’anno successivo. Un tracciato che era da tempo negli intendimenti degli organizzatori e che vedeva traguardo intermedio, nonché di tappa, la città di Perugia, per poi ritornare in Roma, con la seconda frazione. Le due tappe, di 170 chilometri la prima e di 175 la seconda, vennero poi unite con una classifica finale a punti. Aderirono a questa proposta, 41 corridori: 10 professionisti e 31 dilettanti.

Roma – Perugia
La partenza fu data alle 8 del mattino da Piazzale Ponte Milvio e la corsa si mosse abbastanza spedita fino al traguardo a premio di Narni, dove passò primo Mario Santagostino. Il medesimo corridore passò in testa, stavolta in solitudine a Terni, ed al traguardo di tappa di Perugia, superò in volata Marzio Germoni. A due minuti e 32”, completò il podio, il sorrentino Francesco Di Gennaro, mentre Orlando, 4° assoluto a 9’17”, fu il primo dei dilettanti. Completarono il percorso della prima tappa in tempo massimo, 26 ciclisti.

Sul vincitore.
Mario Santagostino nacque a Roma nel 1888. Non si conoscono la data ed il luogo di morte. Professionista dal 1909 al 1921, con una vittoria. Un corridore tenace, che a quanto si sa, non ha mai praticato il ciclismo con costanza, anche se la sua carriera professionistica è stata lunga. Come tanti altri, fu frenato nel periodo atleticamente migliore, dalla guerra. La vittoria nella prima tappa della “XX Settembre” 1918 è l’unica del suo palmares, ma i piazzamenti ottenuti sono a dimostrare un discreto valore. Nel 1912, l’unico anno in cui fu accasato, correndo per la Globe, chiuse 5° il Giro d’Italia che si svolse per squadre. Nel 1915, fu 2° nella Milano-Pavia-Milano e nel 1918, cinquanta giorni dopo l’infelice conclusione della XX settembre, finì 12° il Giro di Lombardia. L’anno successivo, fu 6° nella Milano Sanremo e, nel 1920, fu 3° nella seconda tappa del Giro dei Tre Mari, che si concludeva a Benevento.

Ordine d’arrivo:
1° Mario Santagostino Km 170 in 7h21’48” alla media di 23,129 kmh; 2° Marzio Germoni; 3° Francesco Di Gennaro a 2’32”; 4° Orlando (1° dilettante) a 9’17”; 5° Giuseppe Pifferi a 10’24”; 6° Giovanni Cocchi a 19’17”; 7° Massimiliano Porta; 8° Attilio Montagni; 9° Alfredo Jacobini; 10° Nicola Landi; 11° Nicola Bianchedi. Seguono altri 15 corridori in tempo massimo.

Perugia - Roma
La seconda tappa s’avviò da Perugia alle 10,15 del mattino e vide alla partenza tutti i 26 corridori classificati il giorno prima. La frazione, come quella del giorno precedente, iniziò all’insegna del dominio di Mario Santagostino, il quale però, poco dopo al traguardo a premio posto a Città della Pieve, un’altura di 500 metri sul livello del mare, si sentì male e fu costretto al ritiro. La corsa fu poi dominata da un quartetto di professionisti, che andarono a disputarsi la volata decisiva sul traguardo dei Cessati Spiriti. Qui vinse Giuseppe Pifferi, che superò Marzio Germoni, Giovanni Cocchi e Alfredo Jacobini. I pochi altri rimasti in gara, tutti dilettanti, giunsero con distacchi abissali. Germoni vinse la classifica a punti che univa le due tappe, fu primo anche in quella a tempo e, giustamente, va considerato come il vincitore della XX Settembre 1918.

Ordine d’arrivo:
1° Giuseppe Pifferi Km 175 in 8h15’ alla media di 21,212 kmh; 2° Marzio Germoni; 3° Giovanni Cocchi; 4° Alfredo Jacobini. Seguono altri 7 corridori in tempo massimo.

Sul vincitore dell’edizione
Marzio Germoni nacque a Pieve Torina di Macerata, il 31 marzo 1890, deceduto a Roma il 16 gennaio 1967. Passista e fondista. Professionista dal 1918 al 1922, con una vittoria. Dopo aver vinto da dilettante, nel 1913, proprio la XX Settembre riservata alla categoria, nella medesima corsa colse il suo unico successo da professionista, nel 1918, che fu pure la prima stagione nella massima categoria. Anche per lui, ovviamente, ci fu il freno della guerra. Grazie alla vittoria nella classica citata, nel 1919 trovò l’accasamento nella Verdi, ma fu un anno abbastanza sfortunato. Ritornato “individuale” nella stagione successiva, non si mise in luce, ma corse pochissimo. Nel 1921, invece, giunse 4° nel Giro dell’Umbria e nel ’22, raccolse i migliori piazzamenti di carriera, tutti concentrati nel Giro di Calabria, dove fu secondo nella prima tappa, terzo nella seconda e nella terza. Chiuse infine il “Calabria” al posto d’onore. A fine stagione però, lasciò il ciclismo

Classifica generale finale:
1° Marzio Germoni punti 4; 2° Giuseppe Pifferi punti 6; 3° Giovanni Cocchi punti 9; 4° Alfredo Jacobini punti 13.

Morris


Morris

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Il super quizzone ciclowebbiano, in una sua puntata, ha evidenziato un nomignolo, “Trampoliere”, che fu coniato per la prima volta nel ciclismo, quando iniziò l’attività un giovane normanno: Gerard Saint. Costui, non era l’oggetto reale di quel quiz, ma nelle ricerche di tanti forumisti, il suo nome ha fatto sicuramente capolino. Saint entrò in me quando avevo cinque anni, ascoltando i discorsi dei grandi di casa, a proposito dell’incidente gravissimo occorso a Roger Riviere. Discussioni, che portavano sovente a menzionare le tragedie senza ritorno di diversi corridori, tre su tutti: Serse Coppi, Stan Ockers (quello che poi si conoscerà come l’idolo dell’adolescente Eddy Merckx) e, appunto, Gerard Saint. Crescendo, grazie alle letture, il giovane della terra di Jacques Anquetil (e di Fany Lecourtois, una mia indimenticabile atleta), mi fu più chiaro, ma solo nel 1998, arrivai a scrivere il suo ritratto. A spingermi, gli zoom su Saint, nei colloqui avuti con gli amici Charly Gaul Ercole Baldini e Arnaldo Pambianco. D’altronde, i circa 9000 corridori ritrattati fino ad oggi, solo una piccola parte sono giunti sulla tastiera a batteria; i più sono frutto di momenti scatenanti, perché io son fatto così…..e non voglio cambiare.
Ma chi era Saint?
Eccolo qua.

Gerard Saint, giovane campione tragico.

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Nato a Renouard (Fra) l’11 luglio 1935. Deceduto a Le Mans, il 16 marzo 1960. Completo. Professionista dal ‘56 al ‘60 con 27 vittorie.
Era un campione che un tragico destino ha tolto ai suoi cari e al ciclismo. Normanno come Anquetil, ebbe una maturazione più lenta, anche a causa delle sue dimensioni fisiche: 1,92 per 72 kg. Nato in un paesino vicino la più grande Argentan, poi divenuta sua dimora di vita e ciclismo, Gerard, diventò corridore nel ‘51, ed evidenziò subito qualità sul passo ed in salita. Dal debutto al passaggio fra i “puri” nel ‘54, aveva già un palmares di 22 corse vinte. Fra i dilettanti e gli indipendenti passò meno di 2 anni, ed in quel lasso le sue vittorie di nota furono la crono della Parigi-Normandia ’54, il GP di Francia e 2 tappe della Route de France (chiusa 2°) nel ‘55. Le notizie sulle sue grandi doti sul passo e l’imponenza, fecero il giro della Francia, tanto è che i dirigenti del Velodromo dell’Hiver, lo invitarono, all’esordio fra i prof nel ’56, a sfidare nell’inseguimento, il Campione del Mondo della specialità, Guido Messina. Il torinese, che in carriera aveva fatto piangere sovente Anquetil ed altri francesi, venne battuto dal giovane Saint, con 70 metri di vantaggio sui 5 km. Il successo ebbe risonanza, ed a Gerard venne associato in quei giorni il soprannome di “Trampoliere”. Il rodaggio produsse il successo nella 7a tappa del Tour de l’Ouest, ed una serie di secondi posti: di nota quello nella Manica Oceano. Nel ‘57, vinse dapprima il GP de Louvigné du Desert e la cronotappa dello stesso, indi dominò il Tour de l'Ariege, vincendo la Classifica finale e tre frazioni. Poi, andò a sfidare Gaul al Giro di Lussemburgo. Charly gli rifilò 3’ nella dura tappa iniziale a crono, ma Saint non si diede per vinto e, forse, con un pizzico di libertà lasciata all’incoscienza degli esordienti, andò in fuga nella 3a frazione, il tappone. Quando Gaul e compagni provarono ad inseguire, non scalfirono per nulla il vantaggio del “Trampoliere”, che conquistò tappa e maglia di leader. Gerard vinse così il Giro.

Nel ‘58, dopo tante piazze (2° nel GP delle Nazioni e nel GP Lugano, battuto da Anquetil), colse 4 vittorie: Circuit de l’Aulne, GP Egletons e i Criterium di Taulé e di Meymac. Nel ’59, la consacrazione a big. Vinse in successione il GP Nizza, GP d’Alger (crono con Geminiani e Riviere) e la Menton-Ventimiglia, tappa della Parigi Nizza. Qui, finì 2° a 15” da Graczyk, ma poi vinse la prosecuzione, fino a Roma e senza soluzione di continuità, denominata Menton-Genova-Roma. Indi vinse la Bol d’Oror des Monedieres, il Trofeo Saint-Jean d'Angely e la 7a tappa del “Lussemburgo”. Finalmente, partecipò al Tour, dove, come tanti, pagò la tappa più calda della storia, Alby-Aurillac, ma sul resto dimostrò che avrebbe potuto vincere, visto che in tutte le altre più importanti frazioni, arrivò 3 volte 2° e 2 volte 3°. Chiuse 9° la Generale, 2° nella Classifica a Punti e 3° in quella dei GPM. Vinse la Classifica della Combattività. Dopo il Tour da protagonista, colse la Manica-Oceano, la Chateau-Chinon e il GP Felletin. A fine anno fu 5° in quella che era la classifica mondiale per eccellenza: il SuperPrestige Pernod. Poi, il 16 marzo ’60, mentre viaggiava con la sua Citroen nei pressi di Le Mans, a causa della pioggia, uscì di strada e si schiantò contro un albero. Morì, mentre lo trasportavano in ospedale. Lasciò nella disperazione la moglie Nicolle e le tre figliolette: Fabienne di venti mesi e le gemelle Veronique e Stephane di un solo mese.

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Considerazioni.
Di questo grande e tragico giovane francese, parlai a lungo con diversi corridori e campioni della sua epoca e tutti, indistintamente, m’hanno evidenziato un collega di sicuro avvenire e di un campione già affermato, perché a definirlo tale, erano la strada e quell’insieme di classe, combattività e lealtà che lo accompagnavano. Di nota pure la sua grinta nel superare ostacoli che si frapposero sul suo cammino, prima della tragedia di Le Mans. Nel 1957, durante il Delfinato, cadde per lo scoppio di un tubolare, fratturandosi una clavicola. L’anno seguente, sempre nella per lui sfortunata corsa del Dauphiné Libéré, non poté evitare l’impatto con un collega finito a terra e su ruppe un polso. Due incidenti che gli impedirono la partecipazione al Tour de France e che, al tempo, non erano proprio semplici da riassorbire.
Gerard, aveva un sorriso ed un portamento elegante alla Hugo Koblet, che ammaliava il pubblico femminile, ma restò sempre il bravo normanno tutto dovere, famiglia e pragmatismo: niente a che vedere con le pretese più tali che concrete, di taluni suoi colleghi recenti ed attuali. Ma pure questi aspetti, così laterali o di involucro ad un ciclismo che all’epoca era ancora l’icona massima dello sport della vecchia Europa non isolana, contribuirono a fare del breve e tragico Saint, un personaggio in grado di lasciare un alone tutto suo sull’osservatorio. Ed è indubbio che in una Francia che allora poteva disporre e sognare attraverso il già sire Jacques Anquetil, il regale Roger Riviere e l’intellettuale Henry Anglade, l’arrivo di un Gerard Saint così talentuoso e generoso, aggiunse splendore alla tipica ricerca francese dell’eccellenza nei vertici. Potremmo dire un fascino ulteriore che elevò l’epopea di quel lustro all’alba degli anni sessanta.
Per i tecnici e gli amanti dai palati fini di ciclismo, Saint, resta un esempio di come un atleta con Segmento antropometrico e Indice di complessità da simil-anoressico, potesse essere tale al naturale. Proprio come un segno di talento, senza dunque incidere nel metabolismo attraverso quelle induzioni esterne o mentalmente estranee alla corretta preparazione, sì tanto comuni nell’oggi. Un caso lontano, ma lindo nella sua essenza testimoniale, esemplare nella percezione di quanto dietro l’azione di santoni senza scrupoli di oggi e del recente passato, ci possa essere un prosieguo di vita deviato ed incrinato, o, addirittura, la morte precoce di chi è, o fu, atleta.

Morris


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L’Italia, tanto del nord, quanto del sud, è un paese di emigranti. Chi non lo ammette, non conosce la storia. E gli italiani devono un grazie notevole, proprio alla terra che in tanti quasi odiano: la Francia. Oltralpe sono giunti italici affamati, antifascisti, disoccupati e, specie, in Costa Azzurra, tantissimi han concretizzato una nuova cittadinanza. Scrivendo di corridori, ho incontrato decine e decine, probabilmente centinaia (non li ho mai contati) di ex italiani diventati francesi, prima durante e dopo la carriera ciclistica.
La storia che segue su Fermo Camellini, potremmo dunque considerarla una delle tante….

Fermo Camellini

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Nato a Scandiano (Italia) il 7 dicembre 1914, naturalizzato francese l’8 ottobre 1948. Deceduto a Beaulieu sur Mer (Francia) il 27 agosto 2010. Professionista dal 1937 al 1951, con 38 vittorie.

Aveva otto anni, quando, la sua famiglia, genitori e cinque fratelli, si trasferì da Scandiano in provincia di Reggio Emilia, a Buaulieu, in Francia, sulla Costa Azzurra, dove dieci anni prima erano emigrati dei parenti del padre. Ancor giovanissimo, Camellini fu avviato al lavoro come garzone di un idraulico, affinché imparasse quel mestiere che era un pallino del genitore: perlomeno era quello il futuro che era stato designato per lui. E il poco più che adolescente Fermo, dimostrò ben presto di saperci fare, ma in quel contesto, s’elevò una variabile che il tempo dimostrerà decisiva nel deviare il corso lavorativo del ragazzino. Il suo padrone, infatti, per guadagnare tempo e rispondere al meglio alle chiamate di lavoro, procurò all’intrepido Camellini una bicicletta, affinché potesse fare nel tempo più spedito possibile delle commissioni. Di lì, alla voglia di cimentarsi su quel mezzo, il passo fu breve. Metodico, Fermo iniziò a predisporre la sua giornata per far spazio agli allenamenti: si svegliava presto la mattina e, quando c’erano le condizioni, pedalava a gran velocità il tratto Buaulieu-Cannes e ritorno. Si comprò coi primi risparmi una bicicletta fiammante, ma il padre si spazientì, ed un giorno, esasperato per quella civetteria, prese il nuovo mezzo del figlio e lo gettò in mare. Ma la passione aveva conquistato Fermo, che, poco tempo dopo, prese in prestito una nuova bicicletta e andò a vincere una corsa, a Nizza, dove in palio c’era proprio una bici da competizione. A quel punto, anche il genitore, fu costretto a cedere. Pur continuando a fare l’idraulico, il divenuto dilettante Camellini, si impose come uno con un buon avvenire, soprattutto per la sua grande capacità di andare forte in salita.
Passò professionista nel 1937, nelle file della Urago, pur mantenendo sempre il tesseramento con l’Association Sportive Monegasque, aspetto non da poco, visto che, a carriera finita, per i significati e le risultanze espresse in tanti anni, il 10 aprile 1951, il Principe di Monaco Ranieri II, lo decorò con la medaglia “de 1ère classe de l’Education Phisyque et des Sports”. Atleta piccolino, ma massiccio, forte muscolarmente, soprattutto nei dorsali, si distingueva per lo stile poco ortodosso della sua pedalata, senza però perdere in efficacia, ed in salita, il suo passo, era davvero letale per i più. Già nel 1937, un paio di vittorie significative: nella Nizza-La Turbie e nel GP Guillaumont. Proseguì il suo ruolino di scalatore capace di tenere sul passo, vincendo l’anno successivo la Nizza-Annot-Nizza e il Circuito delle Alpi. Nel 1939, le sue condotte lo posero all’attenzione generale, per i piazzamenti di valore e per sei vittorie, pronte a predirne protagonismo anche a quel Tour de France che stava diventando sempre più un suo pallino e che, per la sua situazione di emigrante, non gli fu possibile correrlo nemmeno quell’anno. Fra i suoi successi del ’39, spiccavano il Tour du Gard e, soprattutto, una corsa a tappe suggestiva: il Circuito del Mont Ventoux. Quest’ultimo, lo rivinse anche nel 1941. Nel periodo di guerra, trasferendosi dove era possibile correre, nel suo palmares finirono, fra gli altri successi, la Nizza-La Turbie-Nizza, la Nizza-Mont Chauve, il GP Saint-Chamond, tutte nel ’41, indi nel ’42, il GP Haute-Savoie, il tappone del Giro di Catalogna (dove finì 5° nella Generale) e, nel ’44, il GP Cagnes-sur-Mer.
Con l’arrivo delle “luci” del 1945, quelle di Fermo Camellini, divennero più fulgide. Nell’anno, fra i tanti piazzamenti anche di prestigio, vinse la Parigi-Reims, il GP di Nizza, il GP della Provenza (corsa durissima), il Criterium del Sud Ovest, il Criterium della Costa Azzurra, il Circuito Limousin. Nella stagione successiva, mancando ancora nel calendario il Tour de France, si “accontentò” di vincere la Parigi Nizza, la Quattro Giorni di Svizzera, la Attraverso Losanna, la Nizza Mont Agel, ed una tappa del GP d’Armagnac. Partecipò al Giro d’Italia, conquistando la maglia rosa nella 5a tappa che si concludeva a Bologna, la difese in quelle di Cesena, Ancona e Chieti e la perse in quella di Napoli, per una crisi, in parte dovuta ad una caduta che gli procurò quei problemi alla spalla destra, che lo costringeranno al ritiro nella 12a tappa che si concludeva a Firenze.

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Tour de France 1947 - Camellini sul mitico Galibier

Col 1947, finalmente, per Camellini si aprirono le porte del Tour de France. Fu inserito in una formazione “Stranieri di Francia” che era quanto di più debole ed eterogeneo potesse capitargli, ma il sogno, a quasi 33 anni, era possibile e questo per lui bastava. Giunse allo start di Parigi dopo un’ottima primavera densa di piazzamenti nelle classiche, e dopo aver vinto il Criterium di Losanna ed una tappa del Dauphine Liberé. La sua grandezza s’evidenziò nell’ottava tappa, che da Grenoble si concludeva nella mitica Briancon (cittadina che sarebbe da eleggere a monumento del ciclismo!), dopo 220 km, dove transitò primo sui leggendari Croix de Fer, Telegraphe e Galibier e giunse in solitudine al traguardo, con più di otto minuti sui primi inseguitori. Due giorni dopo, nella Digne-Nizza, di 210 km, concesse il bis, scalando in solitudine il Castillon e La Turbie e lasciando gli avversari all’arrivo a più di due minuti. Il “foglio giallo” al termine di quella tappa, lo vedeva secondo, a 2’11” da Renè Vietto, ma con quasi 23’ di vantaggio su Robic, colui che poi vinse il Tour. Sfortunatamente però, in una Grande Boucle particolare, dove i francesi si lasciarono andare un poco agli echi di guerra, Fermo, si trovò praticamente senza squadra, aspetto a quei tempi ed in quelle strade, ben più determinante rispetto ad oggi, col peso di essere per i francesi un italiano, ed un francese per gli italiani. Lo stesso Pierre Brambilla, che era comunque inserito nella squadra nazionale italiana e che poi come Camellini diventerà francese, subì quel clima. Sta di fatto, che dopo le due vittorie di tappa ed il conseguente pericolo che rappresentava per chi voleva vincere il Tour, Fermo, senza subire personali crisi di nota, si trovò a pagare oltre misura i Pirenei, fu rimontato da Robic e da altri, finendo la Grande Boucle al settimo posto. Anche l’anno successivo, dopo aver vinto da fuoriclasse la Freccia Vallone ed il GP Echo d’Oran, nonché essersi piazzato in diverse grandi classiche, tornò al Tour coi medesimi propositi di alta classifica. Non vinse tappe, non fece imprese, ma fu sempre fra i primi, finendo nuovamente al settimo posto finale di una Grande Boucle, che può considerarsi come la più importante e significativa delle vittorie di Gino Bartali.
Un piazzamento che diceva quanto Camellini fosse forte, nonostante i suoi 34 anni. A fine 1948, mentre si concretizzava la sua naturalizzazione francese, le classifiche della Desgrange Colombo, un campionato mondiale a punti che, ad ogni menzione, ci ricorda quanto sia “marionetta” l’odierno “Protour”, vide Fermo secondo, dietro a Briek Schotte (da lui “strabattuto” nella Freccia Vallone), ma davanti a Bartali, Magni e Ortelli.
Continuò a correre anche nel 1949 e ‘50, abbastanza per lasciare ancora evidenti tracce della sua presenza, (tanti significativi piazzamenti e una vittoria a Pau nel 1950), ma la sua migliore stagione sulla bicicletta era finita da tempo e nelle prime settimane del 1951, dopo il 15° posto nel GP di Cannes, si ritirò dall’agonismo, ma non dal suo inalienabile legame con la bicicletta. Già, perché Fermo Camellini, dino al 27 agosto 2010, giorno in cui morì alla bella età di 96 anni, ha sempre vissuto a Beaulieu sur Mer (Costa Azzurra), dove si trova anche quel suo negozio di biciclette che porta il suo nome e sul quale, ancora ben in evidenza, si può vedere l’insegna “Fermo Camellini Au Tour de France”. Una testimonianza d’intenso amore verso quello strumento e del grande desiderio di partecipare e, magari vincere, il Tour de France. Non gli fu possibile, ma quello è stato il filone sul quale ha sempre vissuto

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Una delle ultime immagini di Fermo Camellini

La sua più grande vittoria

FRECCIA VALLONE
12a Edizione: 21 aprile 1948 (Charleroi – Liegi)

Il 1948, segnò una svolta nella storia della Freccia Vallone: per la prima volta una folta e qualificata rappresentanza straniera, fu al via. La parte del leone la fecero gli italiani, forse richiamati dai tanti connazionali che erano emigrati in Vallonia a lavorare nelle miniere e nell’edilizia. Sta di fatto, che eccezion fatta per Coppi e Bartali, i migliori ciclisti della penisola italica si allinearono alla partenza di Charleroi. Oltre a loro, anche qualche francese e olandese di nome. Il nuovo corso della classica, si mostrò tangibile anche nei numeri allo start: ben 125 corridori, nettamente il record fino a quel momento.
La corsa si sviluppò in sincronia con la sua fama. La selettività del percorso, il vento quasi sempre presente, furono un bel banco di prova per i tanti corridori, specie non belgi, che l’affrontavano per la prima volta. I ritiri avvennero copiosi, ed alla fine, a giungere a Liegi, furono in 46. Dopo centocinquanta chilometri di gara, con al comando un drappello di 30 corridori, comprendente i più attesi, fra i quali molti stranieri, i belgi iniziarono il forcing. Il gruppo di testa si spaccò, ed al comando rimasero in 19. Su iniziativa di Schotte e Beeckman, ad una quarantina di chilometri dal termine, a capo della corsa rimasero in quattro: i due belgi, ed i francesi Lauk e Camellini, quest’ultimo ancora con la cittadinanza italiana. Il grande Brick Schotte, in giornata di grazia e ben spalleggiato dal connazionale col quale aveva stretto un accordo per far fuori il temuto italo-francese, sulla Cote de Forges attaccò, ma non aveva fatto i conti con l’altrettanto grande giornata di Camellini, il quale, non solo gli prese la ruota con facilità, ma in contropiede a sua volta partì e per gli altri fu notte fonda. L’impresa che stava compiendo l’emigrante di Scandiano, era di quelle da brividi, anche per chi si trova, oggi, a raccontarla oltre sessanta anni dopo. E Fermo, che a dispetto del nome, era dinamico come pochi, residente su quella Costa Azzurra che sentiva come sua unica terra, dove era divenuto un riferimento ciclistico per tutti, pedalò gli ultimi chilometri come una furia, contro il vento in faccia e la pioggia nel frattempo sopraggiunta improvvisa. Aveva annichilito i corridori di casa e poteva sentirsi imperatore di Liegi. Lui, che veniva da una famiglia che aveva cercato oltre i confini ciò che la contorta, tribolata e contraddittoria storia italiana non aveva saputo dargli, poteva finalmente alzare le braccia al cielo, per prendersi l’incanto e le lacrime di gioia dei tanti che, come lui, in terra belga, dimenticando l’italiano, avevano mantenuto il dialetto nelle veci di penate, abbracciando nella vita la lingua e la cultura francese e francofona. Ad oltre tre minuti giunsero gli umiliati Schotte e Beeckman, più staccato, un esausto Lauk.
Fermo Camellini, era il primo non belga a vincere la Freccia Vallone.
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Ordine d’arrivo:
1° Fermo Camellini (Fra) Km 234 in 6h46’06” alla media di 34.573 kmh
2° Brik Schotte (Bel) a 3’16”
3° Camille Beeckman (Bel)
4° Lucien Lauk (Fra) a 3’37”
5° Adolphe Verschueren (Bel) a 5’44”
6° Maurice Mollin (Bel)
7° Achiel Buysse (Bel)
8° Gerard Buyl (Bel)
9° Pino Cerami ((Ita)
10° Albert Ramon (Bel)
11° Desiré Stadsbader (Bel)
12° Marcel Dupont (Bel)
13° Robert Minnaert (Bel)
14° Sylvère Maes (Bel)
15° Frans Ryckers (Bel)
16° Hilaire Couvreur (Bel)
17° Maurice De Wannemaeker (Bel)
18° Adolphe Biarent (Bel)
19à Jean Kirchen (Lux)
20° Florent Rondele (Bel) a 9’14”
21° Luciano Maggini ((Ita)
22° Florent Mathieu (Bel)
23° Jacques Geus (Bel)
24° René Walschot (Bel)
25° Jean Engels (Bel) a 9’54”
26° Maurice Meersman (Bel) a 11’31”
27° Gildo Monari ((Ita)
28° Fiorenzo Magni ((Ita)
29° Marcel Verschueren (Bel) a 12’24”
30° Henk De Hoog (Ned) a 16’
31° Giordano Cottur ((Ita) a 19’
32° Omer Dhaenens (Bel)
33° Ezio Cecchi ((Ita)
34° Guido De Santi ((Ita)
35° Jacques Vecray (Bel)
36° Basiel Wambeke (Bel) a 20’28”
37° André Declerck (Bel)
38° Elias Walkiers (Bel) a 25’46”
39° Emile Decroix (Bel) a 27’08”
40° Petrus Van Verre (Bel)
41° Maurice Van Herzele (Bel)
42° Charles Terryn (Bel) a 27’24”
43° Luigi Malabrocca ((Ita) a 30’36”
44° Edouard Klabinski (Pol) a 42’24”
45° Mario Vicini ((Ita) a 47’04”
46° Carlo Moscardini ((Ita)

Morris


Silvio Martinello
Messaggi: 264
Iscritto il: mercoledì 27 luglio 2011, 17:59

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Silvio Martinello »

Maurizio, un piacere leggerti. Un amichevole saluto e buona domenica.


giorgio ricci
Messaggi: 5706
Iscritto il: lunedì 9 giugno 2014, 13:44

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da giorgio ricci »

Vorrei chiedere a Morris se fosse possibile aprire un thread in cui porgli domande sul ciclismo. Io ho centinaia di curiosità da soddisfare e, un po' per motivi anagrafici, un po' per la superficialità con cui gli argomenti sono stati trattati dalle fonti, non sono riuscito finora ad avere molte risposte .
Vorrei chiedere se è il caso di farlo su questo thread o aprirne uno ad hoc.
Esempio: nella tappa di Aurillac del 8 luglio 1959 , successe un pandemonio . Ho letto lo splendido articolo sul trampoliere Saint in cui la definisci 'la tappa piu calda della storia del Tour'. Mi piacerebbe saperne di più su quella tappa.
Le altre 199 curiosità le chiederei col tempo . Altrimenti scrivo per tre giorni. Il mio vuole essere anche un invito a tutti gli appassionati ad avere fame di storia del ciclismo.
Ultima modifica di giorgio ricci il domenica 27 novembre 2016, 13:11, modificato 2 volte in totale.


meriadoc
Messaggi: 4838
Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 21:55

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da meriadoc »

Julien Camellini, nipote di Fermo, era un biker, specialità downhill
oggi si allena qualche volta con Peter Sagan nelle alture vicino Nizza


Kruijswijk... il resto è noia

"Siamo in gennaio, siamo in Australia ma per me questo e' il successore di Froome nell'albo d'oro della grand boucle.."
21/01/2017 barrylyndon su Porte
Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

Silvio Martinello ha scritto:Maurizio, un piacere leggerti. Un amichevole saluto e buona domenica.
Carissimo Silvio, nella speranza che tu un giorno decida di schierarti la dove sei destinato per capacità, qualità e aperture, continuerò a seguirti su quel protagonista dei media, che non ti impedisce di sviluppare ragionamenti e constatazioni, che ti fanno, in un mare di cordialità e felici esposizioni, quel pungente e puntuale osservatore, che trovo rarissimamente fra i giornalisti.
Un abbraccio e alla prossima lunga telefonata! :cincin:

P.S. Salutami Francesco!


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

giorgio ricci ha scritto:Vorrei chiedere a Morris se fosse possibile aprire un thread in cui porgli domande sul ciclismo. Io ho centinaia di curiosità da soddisfare e, un po' per motivi anagrafici, un po' per la superficialità con cui gli argomenti sono stati trattati dalle fonti, non sono riuscito finora ad avere molte risposte .
Vorrei chiedere se è il caso di farlo su questo thread o aprirne uno ad hoc.
Esempio: nella tappa di Aurillac del 8 luglio 1959 , successe un pandemonio . Ho letto lo splendido articolo sul trampoliere Saint in cui la definisci 'la tappa piu calda della storia del Tour'. Mi piacerebbe saperne di più su quella tappa.
Le altre 199 curiosità le chiederei col tempo . Altrimenti scrivo per tre giorni. Il mio vuole essere anche un invito a tutti gli appassionati ad avere fame di storia del ciclismo.
Ancora una volta, grazie per la stima!
Diciamo che questo thread può bastare, per ragioni pratiche e perché non vorrei ritrovarmi a percorrere strade che preferisco non menzionare….. :gluglu:
Tieni conto che ho rimasto un moncherino della memoria di un tempo e sarò senza dubbio spesso non all’altezza delle attese.
Comunque sulla Albi-Aurillac dell’8 luglio 1959 (il giorno del mio quarto compleanno), scriverò qui, appena potrò, quella storia che i protagonisti, positivi e negativi, di quella torrida giornata mi hanno, direttamente o per interposta persona, raccontato.
Ciao!


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Morris »

Morris ha scritto: Ancora una volta, grazie per la stima!
Diciamo che questo thread può bastare, per ragioni pratiche e perché non vorrei ritrovarmi a percorrere strade che preferisco non menzionare….. :gluglu:
Tieni conto che ho rimasto un moncherino della memoria di un tempo e sarò senza dubbio spesso non all’altezza delle attese.
Comunque sulla Albi-Aurillac dell’8 luglio 1959 (il giorno del mio quarto compleanno), scriverò qui, appena potrò, quella storia che i protagonisti, positivi e negativi, di quella torrida giornata mi hanno, direttamente o per interposta persona, raccontato.
Ciao!
Fammi sapere, se ti interessa, dove potrò inviarti la storia di quella tappa.....

Ciao!


giorgio ricci
Messaggi: 5706
Iscritto il: lunedì 9 giugno 2014, 13:44

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da giorgio ricci »

Il mio desiderio sarebbe che la storia della tappa di Aurillac al Tour del 59 la scrivessi su questa pagina.
Credo di rappresentantare il desiderio della maggioranza. Di chi cioè considera i tuoi appassionanti interventi come un valore aggiunto fondamentale per il Forum.la curiosità che il tuo accurato e tecnico intervento sull'attribuzione dei punteggi per valutare la carriera di un corridore che hai fatto sull'altro Thread lo dimostra.
Insomma, credo che il Forum abbia bisogno di una marcia in più , anche se questo farà incazzare qualcuno ( credo comunque ben pochi , e non i veri appassionati).
Ebbene, come dice Leo Turrini , che vincano il premio Rododendro.
W il ciclismo .
Ultima modifica di giorgio ricci il domenica 4 dicembre 2016, 18:49, modificato 1 volta in totale.


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UribeZubia
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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giorgio ricci ha scritto:Il mio desiderio sarebbe che la storia della tappa di Aurillac al Tour del 59 la scrivessi su questa pagina.
Credo di rappresentantare il desiderio della maggioranza. Di chi cioè considera i tuoi appassionanti interventi come un valore aggiunto fondamentale per il Forum.la curiosità che il tuo accurato e tecnico intervento sull'attribuzione dei punteggi per valutare la carriera di un corridore che hai fatto sull'altro Thread lo dimostra.
Insomma, credo che il Forum abbia bisogno di una marcia in più , anche se questo farà incazzate qualcuno ( credo comunque ben pochi , e non i veri appassionati).
Ebbene, come dice Lei Turrini , che vincano il premio Rododendro.
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Condivido tutto. :yes:


PALESTINA LIBERA !
Pirata81

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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UribeZubia ha scritto:
giorgio ricci ha scritto:Il mio desiderio sarebbe che la storia della tappa di Aurillac al Tour del 59 la scrivessi su questa pagina.
Credo di rappresentantare il desiderio della maggioranza. Di chi cioè considera i tuoi appassionanti interventi come un valore aggiunto fondamentale per il Forum.la curiosità che il tuo accurato e tecnico intervento sull'attribuzione dei punteggi per valutare la carriera di un corridore che hai fatto sull'altro Thread lo dimostra.
Insomma, credo che il Forum abbia bisogno di una marcia in più , anche se questo farà incazzate qualcuno ( credo comunque ben pochi , e non i veri appassionati).
Ebbene, come dice Lei Turrini , che vincano il premio Rododendro.
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Condivido tutto. :yes:
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meriadoc
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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giorgio ricci ha scritto:Il mio desiderio sarebbe che la storia della tappa di Aurillac al Tour del 59 la scrivessi su questa pagina.
Credo di rappresentantare il desiderio della maggioranza. Di chi cioè considera i tuoi appassionanti interventi come un valore aggiunto fondamentale per il Forum.la curiosità che il tuo accurato e tecnico intervento sull'attribuzione dei punteggi per valutare la carriera di un corridore che hai fatto sull'altro Thread lo dimostra.
Insomma, credo che il Forum abbia bisogno di una marcia in più , anche se questo farà incazzare qualcuno ( credo comunque ben pochi , e non i veri appassionati).
Ebbene, come dice Leo Turrini , che vincano il premio Rododendro.
W il ciclismo .
ma tanto per fare i nick (o i nomi e cognomi, che tanto, nel mio caso, Morris si è preso la briga di andare a cercare in vecchi thread), chi sarebbero i contendenti al premio Rododendro?
o è giusto un pour parler?


Kruijswijk... il resto è noia

"Siamo in gennaio, siamo in Australia ma per me questo e' il successore di Froome nell'albo d'oro della grand boucle.."
21/01/2017 barrylyndon su Porte
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Maìno della Spinetta
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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meriadoc ha scritto:
giorgio ricci ha scritto:Il mio desiderio sarebbe che la storia della tappa di Aurillac al Tour del 59 la scrivessi su questa pagina.
Credo di rappresentantare il desiderio della maggioranza. Di chi cioè considera i tuoi appassionanti interventi come un valore aggiunto fondamentale per il Forum.la curiosità che il tuo accurato e tecnico intervento sull'attribuzione dei punteggi per valutare la carriera di un corridore che hai fatto sull'altro Thread lo dimostra.
Insomma, credo che il Forum abbia bisogno di una marcia in più , anche se questo farà incazzare qualcuno ( credo comunque ben pochi , e non i veri appassionati).
Ebbene, come dice Leo Turrini , che vincano il premio Rododendro.
W il ciclismo .
ma tanto per fare i nick (o i nomi e cognomi, che tanto, nel mio caso, Morris si è preso la briga di andare a cercare in vecchi thread), chi sarebbero i contendenti al premio Rododendro?
o è giusto un pour parler?
Non voglio sembrare un tirapiedi di Admin, lui pensa da Admin, io dico la mia. L'utente medio, come me, apprezza gli interventi di Condor, di Meriadoc, di Belluschi... Sono in grado di capire lo spunto e di fregarmene del tono polemico. Amo quelli di Morris e di Barry e di tanti altri - non ce la faccio a pensare che una battuta cattivella o del sarcasmo possan fare incrinare il buono che tutti portano. Veramente di troll dai tempi di PatMcQuaid non ne ho visti in giro. Meriadoc mi piacciono i tuoi spunti - non rilanciare anche qua una polemica esaurita perché voglio godermi i racconti di Morris :)


“Our interest’s on the dangerous edge of things.
The honest thief, the tender murderer, the superstitious atheist”.
Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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meriadoc ha scritto:
giorgio ricci ha scritto:Il mio desiderio sarebbe che la storia della tappa di Aurillac al Tour del 59 la scrivessi su questa pagina.
Credo di rappresentantare il desiderio della maggioranza. Di chi cioè considera i tuoi appassionanti interventi come un valore aggiunto fondamentale per il Forum.la curiosità che il tuo accurato e tecnico intervento sull'attribuzione dei punteggi per valutare la carriera di un corridore che hai fatto sull'altro Thread lo dimostra.
Insomma, credo che il Forum abbia bisogno di una marcia in più , anche se questo farà incazzare qualcuno ( credo comunque ben pochi , e non i veri appassionati).
Ebbene, come dice Leo Turrini , che vincano il premio Rododendro.
W il ciclismo .
ma tanto per fare i nick (o i nomi e cognomi, che tanto, nel mio caso, Morris si è preso la briga di andare a cercare in vecchi thread), chi sarebbero i contendenti al premio Rododendro?
o è giusto un pour parler?
Morris non s'è preso nessuna briga, ricordava. Erano generalità venute a galla in uno scontro col forumista più illustre.
Comunque, non sono venuto qui per risponderti e nemmeno per il Rododendro, ma solo per evidenziare a quelli che vengono a leggere, la mia posizione nella campagna elettorale per la nuova FCI.


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Paolo Bettini, il folletto diventato gran campione.

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Nato a Cecina l’1 aprile 1974. Passista veloce. Professionista dal 1997 al 2008, con 74 vittorie. Sicuramente uno dei più grandi atipici affermatisi tra gli evidenti della storia del pedale. Piccolino, anche leggero (1,67 per 60 kg), ma non scalatore da GT. In possesso di uno scatto forte e secco, ma da solo non letale, perciò ripetuto più volte ed a quel punto devastante. Veloce fino a vincere volate di gruppo, in un’era di treni. Assistito da qualità sul passo solo discrete, eppure gladiatorio nelle giornate di vena e, complessivamente, un “animale da classiche”, tanto raro, quanto efficace. Ne è uscito uno dei corridori più spettacolari dell’ultimo mezzo secolo nelle corse di un giorno e nelle brevi corse a tappe. Uno che non ha mai vinto tanto in una sola stagione, ma le sue erano sempre vittorie importanti e con un andamento nei piazzamenti sempre in codeste gare, impressionante. Il “Grillo”, come venne chiamato in tenera età, per la sua incapacità di stare fermo ed aspettare la zampata, è stato uno di quei corridori che sanno trasportare il tifo ovunque: dalla TV alla strada, senza confini geografici e capace di essere tanto gregario o spalla. quanto capitano, con una completezza d’atteggiamento che sfociava in una indubbia capacità di essere leader. Faceva gruppo e graffiava gli avversari, stava nascosto per un poco e poi esplodeva al punto di rendere le sue ripetute rasoiate, sacchi di acido lattico per chi intendeva rispondergli. In altre parole Paolo Bettini è un capitolo obbligato, aldilà del palmares, per qualsivoglia storico, ed è inoltre incredibile il suo itinerario che partì da giovanissimo, quando aveva solo 7 anni, ed è cresciuto fino ai 34 anni. Si è ritirato ancora vincente, da capitano, addirittura da carismatico leader, col numero uno sulla schiena, ad un Mondiale, arricchendo, anche in quella ultima pagina agonistica, la sua originalità complessiva. Chapeau!
Il sunto della sua carriera da professionista dice tanto, soprattutto evidenza quanto sia stupido per non dir di peggio giudicare arrivato un corridore che, magari, vince il Mondiale più inutile della storia, quello dei dilettanti (e non è un caso, se, nel gergo, fra cabala e lettura realistica, quella maglia porti sfiga). Lo ricordiamo piangente, ai piedi del podio, con quella medaglia di legno che tanto si menziona e che mai si porta al collo, dopo il Mondiale di Lugano, nel ’96, quando in un’oasi azzurra, fu superato dai compagni Figueras, Sgambelluri e Sironi, tutti decorati, annunciati, considerati da un osservatorio, specie giornalistico, che, verso le categorie minori, ha sempre capito poco. Lui piangeva, e quel tipo che qui scrive, da sempre assai scettico su chi esprime troppo fra i cosiddetti “puri”, si lasciò andare, e se ne vanta con piglio immutato ancor oggi, ad una frase: “…Fra questi qui, chi sfonderà, sarà solo Bettini!”. E così è stato, come tante, tantissime volte nella storia, abbastanza per fare opera di convincimento, sugli atleti, gli operatori, gli allenatori, i giornalisti e l’elefante dormiente FCI, a prendere le categorie precedenti il professionismo, come fase propedeutica al ciclismo, non come capitolo decisionale sulle virtù di un corridore. Fatto sta che, mentre gli altri tre di quella giornata iridata svizzera, consumarono lì, quasi o tutto l’intero loro vertice agonistico, il Bettini mise quel legno a piedistallo di una carriera fra le più belle in assoluto del ciclismo italiano di sempre.
E lo dicono questi dati, gravitanti su 74 vittorie, non lunghi dunque centinaia di centri, ma con sette decine pesanti a migliaia: 2 volte Campione del Mondo su strada (2006- 2007, consecutivi dunque, come riuscirono a fare solo Georges Ronsse, Rik Van Steenbergen, Rik Van Looy, Gianni Bugno e Peter Sagan); Campione Olimpico su strada (2004, con l’impresa di unire Titolo Olimpico a Mondiale prof, riuscita, oltre a Bettini, ai soli Ercole Baldini, ed Hennie Kuiper); 2 volte Campione Italiano su strada (2003- 2006); 3 volte vincitore della Coppa del Mondo (2002-2003- 2004, unico ad esserci riuscito tre volte, consecutivamente tra l’altro); 2 volte vincitore della Liegi-Bastogne-Liegi (2000- 2002); 2 volte vincitore del Giro di Lombardia (2005-2006); 2 volte vincitore del Campionato di Zurigo (2001-2005, allora gara di Coppa del Mondo); vincitore della Milano-Sanremo (2003); vincitore della Clasica di San Sebastian (2003); vincitore del Hew Cyclassics (2003, allora gara di Coppa del Mondo); 2 volte vincitore della Classifica a Punti del Giro d'Italia (2005-2006); Numero Uno Mondiale nel Ranking UCI (2003); ha vinto 5 tappe alla Vuelta di Spagna, 2 al Giro d’Italia, una al Tour de France. Altri riconoscimenti speciali: Mendrisio d’Oro (2003); Velo d’Or (2006); Trofeo delle Fiandre (2006). Ha vinto la Classifica Finale (oltre ad una miriade di tappe in manifestazioni a frazioni di una settimana) della Tirreno Adriatico (2004); Giro del Mediterraneo (2003); Giro di Vallonia (2002); Giro della Provincia di Lucca (1999); Memorial Cecchi Gori (2000); Challenge di Mallorca (2006). Ha vinto poi classiche come: Giro del Lazio (2002), Coppa Placci (2001), Coppa Sabatini (2002), GP Città di Camaiore (2004), Trofeo Matteotti (2008).

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Subsonico
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Subsonico »

Non credo ci sia miglior modo di descrivere in poche parole cosa è stato Paolo Bettini per il bistrattato ciclismo degli anni '2000, a chi non ha potuto assistere alla sua carriera.
Quando penso a Bettini, la prima immagine che mi viene in mente non è la sua, ma è la smorfia di dolore di Fabian Wegmann al Giro di Lombardia 2006, quando provo' invano a stargli dietro sul San Fermo. Una giornata particolare per Bettini, visto che era appena morto suo fratello.
Quando era incazzato dava il meglio di sé, basti pensare al mondiale di Stoccarda. Oppure alla Zuri Metzgete (che corsa fantastica che era!) del 2005, reduce dalla mezza delusione di Madrid. In una giornata da tregenda si fece 36 km di cavalcata solitaria e rifilò a tutti 3'.
Col senno di poi, le classiche sono diventate meno attraenti proprio dal ritiro di Bettini. Forse è una forzatura, ma il Grillo era quello che attaccava sempre e comunque, anche quando non ne aveva per vincere, con lui in gara non avremmo mai visto Liegi come quelle degli ultimi anni.


VINCITORE DEL FANTATOUR 2016 SUL CAMPO: certe fantaclassifiche verranno riscritte...

"Stufano è un Peter Sagan che ha smesso di sognare (E.Vittone) "
Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Jeff Demuysère, il Flandrien che amava il Tour…..

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Nato a Wervik, in Belgio, il 26 giugno 1907, deceduto ad Anversa il 30 aprile 1969. Professionista dal 1928 al 1939 con 10 vittorie su strada. Chi crede di conoscere i valori di uno sport e del pedale in particolare, fidandosi ciecamente degli albi d’oro, prende sovente delle stecche. Jeff Demuysère con 10 vittorie nell’elite del ciclismo e due da indipendente, secondo la logica dei “conta-successi” è stato solo un buon corridore. La realtà è molto diversa, perché Jeff era un campione che ha avuto la sfortuna di scontrarsi con avversari eccezionali quali Alfredo Binda e Antonin Magne. E lui si destinava, forse troppo, questo sì, alle grandi corse a tappe, quando si poteva spendere maggiormente su quelle di un giorno. Soprannominato la "Locomotiva del Belgio", era forte sul passo ed in salita, ma gli mancava quello spunto veloce che gli avrebbe consentito di vincere tanto di più. Ciononostante, non gli mancavano le frecce per emergere anche su talune classiche, perché la sua progressione era formidabile, ed aveva la capacità di mantenere le cadenze ad alta ritmicità tipiche dei cronoman.
Jeff, sin da piccino dimostrò di avere nel sangue la passione per il ciclismo e cominciò a pedalare per le strade del suo paese ancora giovanissimo grazie a strumenti che definire particolari è un eufemismo.. Erano gli anni in cui lo sport del pedale andava conquistando, con una rapidità impressionante folle di giovani, ed un pubblico sempre più numeroso di ammiratori. Demuysère, deciso ad imporsi per diventare qualcuno nello sport che amava e che riteneva a lui più congeniale, esordì a 18 anni nella categoria dei “debuttanti” e vinse la bellezza di 19 corse. L'anno seguente, fu promosso nella categoria juniores ed immediatamente dopo fra gli indipendenti, dove vinse 12 gare fra le quali la Parigi Arras, nello start della quale erano presenti diversi professionisti anche di un certo livello. Nel 1927, dopo il successo nel Giro delle Fiandre riservato agli indipendenti, subì una flessione tale da deludere i suoi ammiratori. E fu certamente un bene che allo scadere di quell'anno negativo, fosse chiamato sotto le armi per il normale servizio di leva.
Quei mesi trascorsi lontano dalle corse predilette, così pure dalle preoccupazioni e dagli assilli quotidiani, lo maturarono e ritornò a casa uomo fatto, pronto a riprendere quella strada che aveva lasciato temporaneamente, più preparato a sopportare le amarezze e le difficoltà di quella vita che ben si rispecchiava nelle immani fatiche di quelle grandi corse a tappe, sulle quali ambiva a spendere tutta la sua immanenza ciclistica.
Nel 1929, pienamente inserito fra i professionisti, Demuysère, a soli 22 anni, ritornò a far parlare con evidenza di sé. Andò al Tour de France e lottò strenuamente con campioni assai più allenati di lui, quali i francesi Leducq e Charles Pélissier, il lussemburghese Frantz, il belga Verwaecke, l'italiano Pancera e lo spagnolo Cardona. In quell'anno, il patron del Tour, Desgrange, proseguendo nei suoi mutamenti della formula, aveva disposto la partenza a livello individuale ed il direttore di corsa, che era lo stesso Desgrange, si era riservato il diritto di ordinare partenze separate, nel caso ne avesse ravvisata l’opportunità per aumentare il tono agonistico.
In altre parole, il Patron più Patron della storia ciclistica.
Ed uno che lo capì a sue spese fu proprio Jeff, che arrivò primo nella tappa Luchon-Perpignan, si piazzò al 2° posto nella Nizza-Grenoble e 3° nella Cherbourbourg-Di-nan, nella Les Sables d'Olonne-Bordeaux e nella Malò les Bains-Dieppe. Avrebbe potuto vincere il Tour, ma il successo gli sfuggì, per una serie di penalizzazioni inflittegli da Henri Desgrange, ed alla fine fu 3° dietro al connazionale Dewaele, che vinse nonostante un malanno finale e all’italiano Pancera.
La sua stagione però, non fu solo Grande Boucle. Vinse con otto minuti di vantaggio sul secondo arrivato, la Parigi-Longwy, trionfò nel GP di Lilla ed in quello di Wervik. Fu pure presente alla Liegi-Tours, al Giro delle Fiandre, al la Parigi-Lille, al Giro del Belgio e alla Bordeaux Parigi (dove giunse terzo), distinguendosi per le sue condotte audaci e le progressioni impressionanti, che gli fecero guadagnare un altro nomignolo, il “Leone delle Fiandre”, un termine che, ad onor del vero, è stato affiancato a diversi nella storia del ciclismo. Il 1929, dunque, era stato un ottimo anno per Demuysère, ma in lui era sempre più forte la ricerca di qualcosa in più che consisteva nel successo alla corsa che considerava indispensabile nella carriera si un ciclista: il Tour de France. E l'anno dopo tornò alla carica con maggiore decisione e più entusiasmo che mai.
Cominciò con qualche classica in linea: finì secondo nella Parigi Bruxelles e nel GP Wolber, vinse il Tour de Morbihan e si piazzò di nuovo terzo alla Bordeaux-Parigi, ma nella Grande Boucle non andò altre il quarto posto e a livello di singole tappe, solo piazzamenti. Tra l’altro il piazzamento finale fu raggiunto con la forza della disperazione, dopo una brutta caduta.
Venne il 1931 che gli portò un successo di buon auspicio sulle strade amiche, il Giro delle Regioni Fiamminghe, ma ancora una volta al Tour de France fece incetta di amarezze.
Vinse in solitudine le tappe alpine Nizza-Gap e Aix les Bains-Evian, ma aveva accumulato troppo ritardo sui Pirenei e nulla poté contro uno strepitoso Antonin Magne: finì secondo. Jeff Demuysère chiuse la stagione con l'amaro in bocca.
Gli anni passavano veloci e con essi svanivano le speranze che sono sempre l'ossigeno di uno sportivo. Allora pensò all'Italia, e volle provare, nel 1932, a far suo il Giro, ma il risultato fu identico. Dopo i piazzamenti nelle tappe Lanciano-Foggia e Foggia-Napoli, conquistò il secondo posto assoluto nella classifica finale alle spalle di Antonio Pesenti, colui che l’anno prima al Tour, gli era giunto alle spalle, terzo. Alla Grande Boucle di quell’anno, non andò oltre l’ottavo posto. A fine 1932, il suo ruolino poté contare solo sul successo nel Campionato belga di ciclocross. Nel 1933, riprovò a vincere il Giro d’Italia. La sua condotta fu regolare, si piazzò in diverse tappe, ma si trovò di fronte quell'inimitabile campione che era Alfredo Binda. Ancora una volta, fu costretto ad accontentarsi del posto d’onore. Saltò il Tour de France ed andò in Spagna, al Giro di Catalogna, dove vinse la prima tappa e poi, causa un malessere, naufragò. Finalmente, col 1934, raggiunse quel grande successo sempre inseguito, anche se non era in una delle amate corse a tappe. Con una condotta spettacolare che lo confermava passista di valore e corridore di grande temperamento, conquistò la Classicissima Milano-Sanremo. Nell’anno, finì 4° nella Parigi Tours e 11° al Giro d’Italia, come a dire che la sua migliore stagione si stava allontanando. Ed infatti, pur continuando a correre fino al 1938, su strada vinse solo il GP di Poperinge nel ’35, mentre si fece valere su quel ciclocross che ancora non s’era dato l’appuntamento mondiale ed un calendario internazionale di pregio.

Morris


Morris

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

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Raccolgo quanto ho trovato su "cerca". L'Admin che in un quiz.....anticipava il ritratto di....

Wilfried Nelissen, fibre bianche purissime e tanta sfortuna....

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Nato a Tongeren il 5 maggio 1970. Velocista. Professionista dal 1990 al 1998 con 74 vittorie.
Un talento che fece presto ad emergere, ed a determinarsi come corridore in grado di segnare il corso di un decennio e poi, per mera sfortuna, ad entrare nel novero dei rimpianti della storia ciclistica. Veloce e possente, senza il fisico statuario che tanto piace ai santoni che stanno dominando questo sport e per i quali il ciclista non può essere che così. Eppure, Wilfried, si di-mostrò subito un vincente, dominando la categoria dei dilettanti con tanto di Titolo Nazionale (1990). A nemmeno 20 anni passò prof e, nel lustro di fatto passato nell’elite, emerse come sprinter numero uno, in possesso di capacità tali, da consentirgli, prima o poi, di trasportare queste tangibilità anche nelle corse di un giorno dal percorso comunque non duro. Un primo arresto lo subì nella prima tappa del Tour de France 1994 (nella Grande Boucle, aveva già vinto una frazione l’anno prima, indossando la Maglia Gialla per tre giorni), quando, avviato al trionfo allo sprint, impattò un gendarme in posizione sbagliata e ne seguì una caduta terrificante che coinvolse anche Jalabert e Gontchenkov. I postumi, per i tre, furono assorbiti solo qualche mese dopo. Il secondo e definitivo arresto alla carriera, Nelissen, lo subì nella Gand Wevelgem 1996, quando un paletto in mezzo alla strada non segnalato, gli si conficcò sopra il ginocchio. Fu una scena straziante. Di lì, operazioni su operazioni, ed un ritorno all'agonismo decisamente mozzato. Vinse quasi due anni dopo un circuito, ma capì che era troppo distante dai migliori, ed abbandonò l'attività. Tra le sue 74 vittorie, vanno segnalati i 4 Titoli del Belgio (da debuttante, dilettante e due da professionista), i due successi nell’Het Volk (’93-’94), la tappa di Vannes al Tour de France 1993, il Grand Prix de l'Escaut e la Parigi Bourges nel 1992, la Clasica de Almeria 1996, la Fleche Hesbignonne nel 1991, ed una miriade di frazioni fra Tour de Suisse, Parigi Nizza, Quattro Giorni di Dunkerque, Etoile de Bessèges, Midi Libre, Tour de l’Oise, Giro d’Irlanda, Giro d’Olanda, Ruta del Sol. A giudizio di chi scrive, fra il ’93 e ’96, probabilmente il velocista con le più forti punte di velocità. Ed i suoi sprint, per la quasi totalità, erano il terminale di impostazioni individuali, con al massimo uno o due compagni in appoggio, come avveniva per i velocisti delle generazioni precedenti.

Morris


giorgio ricci
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da giorgio ricci »

Morris , il mio desiderio sulla storia del Tour 59 ?
Mi piacerebbe anche sapere qualcosa in più sul Tour 56, con una domanda specifica. Un ritratto del belga Andrianssens.Mi ha sempre affascinato la sua figura di regolarista ad alti livelli, e so che in quel Tour ebbe una congestione quando era in maglia gialla ; era il favorito numero 1 ( per come si era messa la corsa) , senza quel problema ?


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Bitossi
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Bitossi »

Morris ha scritto:Dal vecchio Cicloweb difficile da trovare….

Su Charly Gaul

Non è facile, scansando dolore e lacrime, ricordare un amico, uno come Charly Gaul.
Mau, sperando sempre che tu voglia continuare a scrivere i tuoi imperdibili ed impagabili contributi in questo forum, dove gli estimatori stanno in ragione di 5000:1 (e sono stato stretto... :diavoletto: ) rispetto agli isolati ed estemporanei spakkaminkia senza argomenti, credo ci sia un particolare non privo di importanza, sul quale mi sembra non sia mai stata fatta chiarezza assoluta, per quel che riguarda l'amico Charly.
Il Granducato è soggetto a molteplici influenze, di natura linguistica e culturale; quindi il cognome... va pronunciato alla francese, stile De Gaulle, o pianamente alla deutsch, o in qualche altro modo ancora? :dubbio:
Siccome in questi casi è sempre meglio chiedere agli interessati, e non è che mi fidi molto delle cronache del tempo o attuali... come chiamava sé stesso il lussemburghese? :D
(a ben vedere, anche il nome: lo dovremmo pronunciare alla francese, tipo Sciarlì, o alla anglosassone?)

PS - questo servizio online mi dà una via di mezzo fra tutto, col cognome direi alla teuto-neerlandese: http://it.forvo.com/word/charly_gaul/


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Ringrazio la mia mamma per avermi fatto studiare da ciclista
quasar
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da quasar »

Morris ha scritto:
Wilfried Nelissen, fibre bianche purissime e tanta sfortuna....
Mi ero ripromesso di tornare su Wilfried Nelissen, atleta a cui sono particolarmente legato e che, sin dal suo debutto tra i prof, attirò in modo particolare la mia attenzione. Attenzione che non ha avuto modo di tramutarsi in tifo esclusivamente a causa delle avversità che ne hanno interrotto bruscamente la carriera.
Mi permetto pertanto di integrare quanto riportato, in modo come sempre preciso e corretto, da Morris.

I primi ricordi che ho di Wilfried Nelissen risalgono alla stagione successiva al suo debutto tra i prof, il 1992.
Dopo un primo anno di ambientamento in cui comunque trovò in diverse occasioni la via del successo, seppur in corse minori, e importanti top ten come alla Het Volk e ad Harelbeke, è nella prima parte del 1992, a 22 anni, che si mise in evidenza come il velocista (e non solo) emergente nel panorama ciclistico, dal momento che Cipollini, all'epoca, si era già ampiamente messo in luce.
E proprio con Cipollini, negli anni successivi, Nelissen spesso e volentieri si trovò sovente a duellare, in un confronto sempre rispettoso e mai polemico a differenza di quanto accadde ai due con Abdoujaparov.

In quel 1992, il primo successo di un certo prestigio arriva al GP de l'Escaut, battendo in volata Museeuw, all'epoca non ancora il fuoriclasse che poi sarebbe diventato ma già fortissimo e vincente in classiche e tappe al Tour.
Nelissen andò quindi ad iscrivere il proprio nome nell'albo d'oro di una corsa che, storicamente, ha sovente premiato tutti i più grandi velocisti di ogni epoca.
Ricordo che nei mesi successivi mi capitò sovente di leggere di questo Nelissen vincente al Giro di Svizzera e al Delfinato battendo in volata vecchi leoni come Van Poppel, pertanto era forte la curiosità nel vederlo protagonista al Tour de France, dove in realtà non si fece mai notare, se non nella tappa della fuga di Jalabert, Chiappucci e Lemond, vincendo la volta del gruppo.

Il 1993 fu l'anno della sua definitiva esplosione.
Vinse subito l'Het Volk, dimostrando scaltrezza e un'innata indole per le classiche fiamminghe. Ricordo che vidi quella corsa in registrata qualche giorno dopo l'effettivo svolgimento, restando particolarmente colpito dal modo in cui Nelissen la vinse. Corsa come sempre battagliata e si arrivò nel finale con un gruppo piuttosto folto a giocarsi la vittoria; i favoriti Ludwig, Capiot e Cipollini (che ricordi... il giovane Cipollini che si faceva tutta la campagna del Nord, dall'Het Volk alla Roubaix) misero le rispettive squadre a tirare, con Museeuw (in quell'occasione fido gregario di Cipollini) che fece un lavoro enorme nel tirare e andare a riprendere l'Ekimov di turno che provava regolarmente ad anticipare la volata. Quando mancavano pochi km al traguardo, accadde l'impensabile, con la caduta di una moto ripresa che buttò giù Ekimov e Madiot nelle primissime posizione del gruppo in lunga fila indiana, spezzando di fatto il plotone e consentendo ai primi 5 della fila di avvantaggiarsi, tra cui Museeuw, Capiot e Nelissen. Ci fu collaborazione e mancava ormai poco al traguardo, ma da dietro soprattutto la Telekom si riorganizzò e tirò a tutta per andarli a riprendere. Con Museeuw stanco per l'enorme mole di lavoro svolto in precedenza per il suo capitano e Capiot che si preparava a bissare il successo dell'anno precedente, a circa 2 km dal traguardo ci fu la sparata di Nelissen che sorprese i suoi compagni di avventura e si involò verso il traguardo resistendo al prepotente ritorno del gruppo che giunse con pochissimi secondi di ritardo.
Si trattò a tutti gli effetti di una dimostrazione di forza, intelligenza tattica e completezza tecnica.

Pochi giorni dopo e Nelissen fece suo anche il GP Le Samyn, regolando allo sprint nuovamente Museeuw e Capiot.
Ebbero inizio, a quel punto, gli scontri diretti, fianco a fianco, con Mario Cipollini. Alla Parigi-Nizza, Nelissen venne bruciato per ben 2 volte dall'italiano che, nei giorni successivi, fece filotto vincendo pure Harelbeke, Gand e GP de L'Escaut, in cui sconfisse nuovamente Nelissen in un testa a testa sino all'ultimo metro. La Gand fu un vero e proprio capolavoro tattico della GB-MG, una delle più forti corazzate viste in tempi recenti nelle classiche del Nord, che riusci a tenere chiusa la corsa grazie ai vari Tchmil, Ballerini, Peeters, con Museeuw ultimo apripista per Cipollini che vinse nettamente la volata, con Nelissen imbottigliato nelle posizioni di rincalzo.
In quel 93, Nelissen terminò la sia campagna del Nord partecipando alla Parigi-Roubaix, dimostrandosi adatto anche al pavè francese, concludendo la corsa in decima posizione.

A luglio, quelle volate che avevano caratterizzato la primavera al Nord, trovarono un nuovo scenario nella calda estate francese del Tour de France. All'epoca, ricordo che ci si lamentava per la modalità standard, forse ripetitiva, con cui veniva disegnato il Tour: prologo > settimana di volate > lunga crono > Alpi e Pireni inframezzate da tappe vallonate per fughe. Si, probabilmente ripetitivo, ma quella prima settimana di volate al Tour 93' personalmente la ricordo particolarmente avvincente. Merito di Cipollini, Nelissen ed Abdoujaparov che tappa dopo tappa si diedero battaglia alla ricerca di successi di tappa e conseguente continuo scambio della maglia gialla.
Il primo arrivo in volata venne vinto da Cipollini su Nelissen, volata atipica in cui Abdou fece strike buttandone giù una decina e della quale mi rimase impressa la scelta da parte di Cipollini di sprintare seduto senza mai alzarsi sui pedali.
La seconda tappa fu caratterizzata, nel finale, da una dimostrazione di classe pura di Gianni Bugno che, a 3 km dal traguardo, si mise in testa al gruppo e portò via con se i velocisti che non credettero ai loro occhi nel vedere una vera e propria locomotiva trasportarli sino all'arrivo. Nelissen fu pronto a scegliere il momento giusto in cui partire, al contrario di Cipollini che sbagliò tempi e lato della sede stradale.
Il giorno seguente si partiva quindi in perfetta parità negli scontri diretti, si arrivò nuovamente in volata ma stavolta fu il terzo incomodo, Abdoujaparov, ad avere la meglio.
Nelle successive tappe ci furono sempre i finisseur che riuscirono ad anticipare le volate di gruppo, con i velocisti che furono sempre costretti a sprintare solo per gli abbuoni di tappa.

Il 1994 di Nelissen iniziò nuovamente all'insegna dei successi al Nord, bissando la vittoria ottenuta l'anno prima all'Het Volk, questa volta aspettando la volata di gruppo caratterizzata, come spesso capitava in quegli anni, da una presunta scorrettezza da parte di Abdoujaparov. Che, molto probabilmente, in quella occasione venne punito ingiustamente, soprattutto alla luce di quanto si verificò, in una volata simile, alla Gand di due anni prima.
Gand 1992. Volatone finale. Cipollini partì lungo, al centro della sede stradale; Abdoujaparov a ruota, pronto ad uscire fuori ma, negli ultimi 50 metri, Cipollini deviò improvvisamente traiettoria a destra chiudendo sulle transenne Abdou, che tolse la mano dal manubrio e spostò letteralmente Cipollini riuscendo quindi a passare e vincere. Abdoujaparov squalificato e Cipollini vincitore.
Het Volk 94. Volatone finale. Abdoujaparov partì lunghissimo al centro della sede stradale, Nelissen in rimonta sulla sinistra ma a 50 metri dal traguardo Abdou strinse il belga sulle transenne costringendolo a levare la mano dal manubrio per spostare l'uzbeko, superarlo e vincere la corsa. Nelissen squalificato? No, Abdoujaparov squalificato. Indescrivibile l'incredulità dell'uzbeko a fine corsa, che giurò davanti ai cronisti che non avrebbe mai più messo piede in Belgio.
Indubbiamente si trattava di un vero e proprio kamikaze delle volate, un pericolo per chi gli stava accanto, col suo modo di sprintare a testa bassa oscillando pericolosamente destra e sinistra; ma, talvolta, è stato danneggiato dalle varie decisioni delle giurie principalmente per la cattiva reputazione che si era costruito. E quella disparità di giudizio tra Gand 92 e HV 94 lo dimostra.

Tornando a Nelissen, il giorno seguente quel successo all'Het Volk iniziarono le sue disavventure e i vari incidenti che dapprima ne rallentarono per poi impedirne del tutto la definitiva ascesa.
Prese parte alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne, in cui cadde e si ruppe la clavicola, dovendo per forza di cose saltare tutta la restante campagna del Nord.
Rientrò alle gare sul finire della primavera, tornando nuovamente a vincere alla Quattro giorni di Dunkerque per poi conquistare il suo primo campionato nazionale su strada.
Si presentò quindi al via del Tour de France in ottime condizioni di forma ma, nel corso della prima tappa, fu coinvolto nella terribile caduta di Armentières. Non solo ne fu coinvolto, ma fu proprio lui a causarla.
Mi feci, all'epoca, un'idea chiara sull'episodio, riconducibile a mio avviso proprio a quanto era accaduto qualche mese prima all'Het Volk, alla rivalità con Abdoujaparov e a tutte le polemiche conseguenti all’esito della corsa. Quel giorno, ad Armentières, Nelissen prese la volata in testa partendo lunghissimo ai 300m, Abdoujaparov gli si francobollò a ruota e quando decise di uscire per superarlo i due si trovarono fianco a fianco, senza che nessuno riuscisse a superare l’altro. Nelissen a mio avviso, ad un certo punto accusò inevitabilmente lo sforzo di quel volatone preso in testa ma, il vedersi proprio l’uzbeko al suo fianco e il non voler cedere proprio a lui, lo portarono ad andare oltre le sue capacità di quel determinato istante, disunendosi come mai gli era capitato e trovandosi paradossalmente a sfidare Abdou sul suo stesso terreno, la pura potenza e la mancanza di compostezza: sembrò di vedere due tori che procedevano a testa bassa, scoordinati, che scaricavano sui pedali tutto ciò che avevano in corpo. Spesso all’uzbeko quel modo di pedalare costò caro, quel giorno invece a cambiare traiettoria senza rendersene conto fu tuttavia Nelissen; si trattò a tutti gli effetti di una fotocopia della volta sui Campi Elisi del 91, in cui proprio Abdou si schiantò contro le transenne quasi senza accorgersene.
La botta fu tremenda per Nelissen, sia fisica che morale, costretto a ritirarsi dal Tour già alla prima tappa.
Il 1994 di Nelissen si concluse ad Armentières, dal momento che la sua stagione proseguì senza nessun'altra prestazione degna di nota.

Nel 1995, fu come sempre l'Het Volk la prima corsa stagionale a cui Nelissen prese parte con ambizioni di successo. Il tris consecutivo gli venne però negato dall'azione di 3 purosangue delle classiche: Ballerini, Tchmil e Van Hooydonck si involarono sul Kwaremont per poi arrivare da soli fino al traguardo, con Ballerini che, di forza, dopo 3 tentativi, a 3 km dal traguardo riuscì a sorprendere i 2 rivali e vincere la corsa. Per Nelissen la consolazione di vincere la volata del gruppo inseguitore, dopo aver tentato di riprendere i 3 fuggitivi con una splendida azione in solitaria sul Grammont.
Dopo due volate vincenti alla Parigi-Nizza, proseguì disputando tutte le classiche del Nord, senza particolari acuti ma piazzandosi quasi sempre nella top ten e disputando nuovamente una buona Roubaix, la prima vinta da Ballerini, arrivando nel primo gruppo inseguitore.
Tornò al successo poco prima dell'inizio del Tour de France, vincendo per la seconda volta il campionato nazionale su strada, al termine di una corsa di alto livello, come era solito essere in passato il Campionato nazionale del Belgio, regolando allo sprint un gruppetto comprendente Museeuw, Steels e Van Petegem.
Il Tour 95', fu ancora una volta avverso a Nelissen: cadde nel prologo e, già dolorante, finì nuovamente a terra nel corso della quarta tappa dovendosi inevitabilmente ritirare.

Nelissen si presentò al via della stagione 1996 puntualmente competitivo nelle classiche di inizio anno.
Fu assoluto protagonista nelle volate della Parigi-Nizza, in cui riuscì nuovamente a precedere Cipollini. Iniziò quindi la stagione delle classiche con ottime prestazioni sia alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne che ad Harelbeke, in cui entrò nel gruppetto che andò a giocarsi la vittoria, comprendete Tchmil, Museeuw e van Petegem, ma nulla poté contro il gioco di squadra della Mapei che sacrificò Museeuw per vincere con Boomans.
Ma la nuova stagione, e l'intera carriera, si concluse qualche giorno dopo con la tremenda caduta alla Gand-Wevelgem: frattura di tibia, perone, bacino, femore e rotula frantumata. Trascorse un anno e mezzo tra letti di ospedale e centri riabilitativi, la voglia di non mollare lo spinse a tornare alle corse ma ben presto si rese conto che non sarebbe mai più tornato competitivo, decidendo quindi di ritirarsi nel 1998.
Qualche mese fa lessi una sua intervista, in cui raccontava della sua attuale vita, fuori dall'ambiente ciclistico lavorando come corriere espresso. A distanza di anni si è reso conto di come sia stato un errore rientrare a gareggiare dopo l'incidente, dal momento che attualmente, per le conseguenze di quella caduta, percepisce un'indennità mensile di circa 140 euro, a fronte dei 6500 che l'assicurazione gli avrebbe garantito se avesse abbandonato l'attività professionistica sin da subito senza quel rientro agonistico tra il 1997/98.

Resta il ricordo di un atleta a mio avviso di primissima fascia, che nei 2 anni in cui ha potuto gareggiare senza cadute ed infortuni, è stato altamente competitivo nelle volate di gruppo e nelle semiclassiche del Belgio, ottenendo nelle sue prime partecipazioni alla Roubaix (a 22-23 anni) dei buonissimi risultati.
E' stato uno dei pochi a vincere in modo netto e pulito su Cipollini e Abdoujaparov, mostrando dei lampi di pura classe anche nelle corse in linea.

Riprendo alcune considerazioni scritte da Morris
Morris ha scritto:Un talento che fece presto ad emergere, ed a determinarsi come corridore in grado di segnare il corso di un decennio e poi, per mera sfortuna, ad entrare nel novero dei rimpianti della storia ciclistica. Veloce e possente, senza il fisico statuario che tanto piace ai santoni che stanno dominando questo sport e per i quali il ciclista non può essere che così.

A giudizio di chi scrive, fra il ’93 e ’96, probabilmente il velocista con le più forti punte di velocità. Ed i suoi sprint, per la quasi totalità, erano il terminale di impostazioni individuali, con al massimo uno o due compagni in appoggio, come avveniva per i velocisti delle generazioni precedenti.
Si, concordo con queste valutazioni.
Ritengo che Nelissen sia stato probabilmente uno degli ultimissimi esempi di velocista (di alto livello) vecchia scuola, in grado di sprintare senza l'ausilio e la necessità del famigerato “treno” che, proprio nel periodo in cui Nelissen smetteva di gareggiare, si è poi ampiamente diffuso diventando a tutti gli effetti la modalità principale per impostare una volata.
Ci sono stati certamente anche dopo il belga sprinter vecchia scuola, vedi McEwen ed in parte Cavendish (che comunque per esprimersi al meglio ha sempre avuto bisogno di un apripista) ma sono stati dei casi isolati, cosi come isolati si possono ritenere nel passato i casi di “treni”(Faema con Van Loy, Del Tongo
con Saronni).
Lo stesso Cipollini, in quei primi anni di professionismo in cui si è trovato a rivaleggiare con Nelissen ed Abdoujaparov, spesso e volentieri affrontava le volate senza quel treno che poi, dal periodo Mercatone in poi, ne ha profondamente caratterizzato lo stile, per certi aspetti amplificandone il potenziale ma per altri a mio avviso limitandone la completezza tecnica di velocista. E proprio le numerose volate che ho ricordato in questo post, le varie Gand di inizio anni 90 e soprattutto al Tour del 1993, rappresentano probabilmente, da un punto di vista storico, lo spartiacque tra le due differenti modalità di impostazione delle volate.

L'idea piuttosto diffusa è che Nelissen sarebbe potuto diventare il velocista simbolo degli anni 90 al pari di Cipollini. Onestamente, non sono cosi sicuro che avrebbe raggiunto i livelli e la continuità nelle volate che ha caratterizzato la lunga carriera di Cipollini; penso, altresì, che ci fossero tutti i presupposti affinché il belga diventasse un grande specialista delle classiche fiamminghe senza focalizzarsi unicamente sulle volate, con un'evoluzione simile a quella che ha caratterizzato la carriera di Johan Museeuw. Avrebbe quindi probabilmente perso quelle punte di velocità che, come ha scritto in maniera più che condivisibile Morris, sono state superiori a tutti gli altri velocisti nel primo lustro del decennio 90, ma ne avrebbe indubbiamente guadagnato il suo status di ciclista in valore assoluto.

A questo proposito, concludo con un'ultima considerazione su Mario Cipollini. Essere tornato indietro con la memoria, aver rispolverato l'inizio carriera di Nelissen, che ha grosso modo coinciso con quello di Cipollini, mi ha fatto tornare alla mente le parole che Adriano De Zan rivolgeva continuamente all'allora giovane toscano ogni qualvolta si presentava sul palco per le interviste di fine gara: “Mario, se solo tu volessi potresti vincere tutte le classiche del calendario internazionale, eccezion fatta per il Lombardia”.
Ecco, probabilmente anche la Liegi sarebbe stata comunque troppo dura, in ogni caso De Zan non aveva tutti i torti nel ripetere quelle parole. Non vi è alcuna certezza, ma quell'inizio carriera di Cipollini e quelle splendide Gand e Fiandre di fine carriera, lasciano quantomeno il dubbio che avrebbe potuto raggiungere lo status di grande ciclista percorrendo una strada alternativa a quella di sprinter puro.
Era un Cipollini che, sino all'approdo in Mercatone, prendeva parte a quasi tutta la campagna del Belgio e alla Roubaix, vincendo alla Gand e ad Harelbeke, con buoni piazzamenti al Fiandre ed in grado di affrontare le volate, spesso vincendole, anche senza l'ausilio di quel treno a cui poi avrebbe legato indissolubilmente la propria carriera.
I due anni in GB-MG, con De Vlaeminck in ammiraglia, gli avevano inevitabilmente trasmesso quello spirito garibaldino che ben si sposa con le classiche fiamminghe e la struttura fisica era ancora compatibile non essendo ancora strutturata di quelle formidabili fasce muscolari che ne hanno poi modellato il fisico una volta dedicatosi unicamente al potenziamento dello spunto veloce.
Ritengo che nello spirito di Cipollini sia cambiato qualcosa proprio in durante il Tour de France del 93 in cui si affrontò a viso aperto, costantemente senza l'ausilio della squadra, con Nelissen ed Abdoujaparov.
Come ho ricordato, dopo la vittoria nella prima tappa Cipollini andò incontro a diverse sconfitte e, dopo l'ennesima volta che si vide preceduto dai suoi rivali, ricordo che si lamentò apertamente della difficile convivenza in squadra con Museeuw che, dal canto suo, sempre più frequentemente iniziava ad inanellare prestazioni di alto livello e si guardava bene dal fare il gregario a Cipollini come era accaduto invece alla Gand di quello stesso anno.
A mio avviso, nel corso di quel Tour, Cipollini realizzò di volere una squadra intera a propria disposizione, che gli garantisse protezione e riparo negli ultimi km delle corse, evitandogli di non disputare più volate nella mischia come si era soliti fare sino a quel momento.
Senza ombra di dubbio la storia ha dato ragione a Cipollini ma, almeno da parte mia, resta la curiosità, ed in parte il rimpianto, di non averlo potuto vedere diretto da Ferretti, che giusto l'anno successivo sarebbe approdato in BG-MG.


dietzen
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 21:19

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da dietzen »

grazie quasar, un bel ritratto di un corridore fortissimo e sfortunato, che apprezzavo molto.
senza il drammatico incidente di quella gand penso che negli anni seguenti avrebbe raccolto almeno quanto steels, cioè un bel po' di tappe al tour e buone prestazioni nelle classiche, e anzi ritenendolo superiore come uomo da pavé, credo che un fiandre o più ancora una Roubaix sarebbe riuscita a portarla a casa.
se non ricordo male nel 95-96, quando nelissen era alla lotto, tifosi e stampa fiamminghi ce l'avevano con tchmil, compagno di squadra, che a loro dire doveva mettersi al servizio del belga. ovviamente in quel momento era una polemica senza senso, perché tchmil era fra i 3-4 più forti per le classiche del nord, ma questo per dire quale fosse la considerazione di cui godeva nelissen.


herbie
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Iscritto il: sabato 26 febbraio 2011, 17:19

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da herbie »

molto interessante questo pezzo!
Tuttavia vorrei avvisare quasar che, visto che Morris pubblica in maniera molto rarefatta, ora gli toccherà sostituirlo.....io mi preoccuperei della mole di lavoro che la cosa rappresenta...


quasar
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Iscritto il: lunedì 24 gennaio 2011, 1:53

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da quasar »

dietzen ha scritto:
senza il drammatico incidente di quella gand penso che negli anni seguenti avrebbe raccolto almeno quanto steels, cioè un bel po' di tappe al tour e buone prestazioni nelle classiche, e anzi ritenendolo superiore come uomo da pavé, credo che un fiandre o più ancora una Roubaix sarebbe riuscita a portarla a casa..
Il paragone con Steels è assolutamente pertinente.
Anche su di lui ci sarebbe da scrivere qualcosa a proposito del suo improvviso e precoce declino dopo aver impressionato un po' tutti in quanto a forza ed esplosività nelle volate.

Herbie.... pur nella sua spigolosità e suscettibilità, per quanto concerne la memoria storica Morris è Hors Catégorie per chiunque. Anche per illustri decani del giornalismo sportivo :non so in quanti sarebbero riusciti a tirar fuori la coppa Marin relativamente a quella foto di Canavesi.
Poi si può essere talvolta in disaccordo con alcune sue valutazioni, ma quando parte in quarta e riporta alla luce storie di bici e guantoni, c'è solo da trovare il tempo per leggerlo.
Quindi che non rompa le balle e riprenda a scrivere quanto prima.


Flipper
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Iscritto il: giovedì 19 gennaio 2017, 10:01

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da Flipper »

Non conoscevo Gerard Saint, ho letto la sua triste storia nella bella descrizione fatta da Morris.
Ho cercato nel forum ma non ho trovato nulla su Monseré, anche lui purtroppo sfortunato. Ho letto qualcosa su di lui in un libro di Beppe Conti, sarebbe interessante se qualche utente più grandicello scrivesse qualche cosa su di lui :)

Molto bello anche il racconto di Quasar sulla carriera di Nelissen, molto dettagliato, su internet non si trova nulla su di lui. Menomale che esistono i forum per trovare notizie sui ciclisti di una volta! . Quando ho iniziato a seguire il ciclismo Nelissen aveva già smesso di correre ma ne sentivo parlare. Ora ho un'idea più chiara su di lui. Tra i ciclisti di oggi a chi potrebbe essere paragonato?


quasar
Messaggi: 1297
Iscritto il: lunedì 24 gennaio 2011, 1:53

Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da quasar »

Per quanto concerne Monserè, non avendolo visto in presa diretta, non potrei aggiungere nulla che già non si trovi nelle varie pubblicazioni.
Faccio fatica a trovare, al tempo attuale, un ciclista che mi ricordi Nelissen. L'unico a cui in parte potrei accostarlo è John Degenkolb, ma il belga era decisamente più forte negli sprint di gruppo, avendo una punta di velocità superiore, mentre Degenkolb è già stato grande protagonista sui muri e sul pavè che contano, a differenza di Nelissen che fece in tempo ad esserlo solo nelle semiclassiche.
Ultima modifica di quasar il mercoledì 8 febbraio 2017, 13:10, modificato 1 volta in totale.


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cauz.
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Re: Quaderni di Storia del ciclismo…..

Messaggio da leggere da cauz. »

Flipper ha scritto:Ho cercato nel forum ma non ho trovato nulla su Monseré
ritente, siamo fortunati :)
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