Fiandricolando....

Il mondo dei professionisti tra gare e complessità, e più in generale l'approccio al ciclismo di ogni appassionato
Morris

Fiandricolando....

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L’imperversante protagonismo del Giro delle Fiandre all’interno del “Quizzone Ciclowebbiano” (a proposito, visto che qualcuno ne ha parlato, i contenuti dei quesiti sono totalmente frutto di Marco Grassi, il sottoscritto, semmai, può entrarci come qualsiasi soggetto capace, ogni tanto, di scrivere qualche storia), sono solo un modo per esprimere il ringraziamento che il ciclismo, tutto, deve a questa terra. Una via parzialissima dei mille rivoli che portano ad una arcinota conclusione.
Un Monumento vero per un popolo che va letto nella sua profonda ermeneutica dagli storici, quelli orizzontali, non di solo ciclismo o sport più in generale, come il summa supremo che tocca l’azione umana d’un luogo, fra antropologia, filosofia, sociologia e, ovviamente, politica ed analisi dei fatti, dei pensieri e delle azioni.
Ronde van Vlaanderen significa dunque davvero Monumento, in un ciclismo dove i propri storici ed una marea di scrivani propagatori, sono soliti inflazionare, mortificare e ridicolizzare la storia di questo tassello dello sport ciclistico, quintuplicando quella definizione. Il Fiandre infatti, ciclisticamente, va visto con quel protagonismo e quella continuità, oltre che anzianità, che dovrebbero esser l’asse si quella definizione, solo dal dopoguerra. Prima non era mondializzabile nel ciclismo affermato: era dietro a Parigi Roubaix, Parigi Tours, Parigi Bruxelles, Milano Sanremo e Liegi Bastogne Liegi nell’ordine, pari al Giro di Lombardia. Il Fiandre era visto come gara nazionale per eccellenza e, poi, nel primo quinquennio del dopoguerra, fu solo grazie ai successi di Fiorenzo Magni che riuscì ad impattare l’avvenuto ed ulteriore sorpasso della assai più giovane Freccia Vallone. Tutto ciò però, se da una parte rende esempio di come sia ridicolo classificare monumento quelle cinque nel ciclismo, dall’altra, urla una verità: nessuna corsa ciclistica mondiale è Monumento per un popolo come la Ronde van Vlaanderen. Non lo è nemmeno la Parigi Roubaix che, ciclisticamente, è stata l’unica delle cinque elette, a possedere una continuità quasi totale, pur essendo nata come “corsa di scorta” della “Tours”.

Dunque Monumento per un popolo, ma pure esempio di come quella particolare forma artistica che è lo sport, assieme all’antropologia culturale possan generare pensieri, intrecciare lampi di convinzioni e constatazioni, intagliare l’ignavia paradossalmente sempre becera, fino a dischiudersi in quel qualcosa che anche i piccini come me… riescono a partorire. Rimetto qui quel che scrissi sette anni fa su questo sito…..riportatomi con stupore all’attenzione, da un lettore, l’altra sera, ai margini una conferenza che ho tenuto sullo sport in epoca fascista.

Fiandre di religione

Vorrei che i sentieri
del mio cammino quotidiano
s’illuminassero del laico credo
di quei sassi squadrati
sulle aspre ed irriverenti pendenze
tanto brevi quanto irte
per assorbire maledizione e sopportazione.

Vorrei che la tanta gente che assiste
sappia cogliere i segni dell’immane
che dovrebbero essere di tutti
dove preti corridori ed ignavi
lasciano sulle biciclette della vita
l’impareggiabile convinzione che l’essere
viene prima della sottomissione.

Vorrei che il sole
rendesse specchi quelle pietre
per ingigantire i volti scavati
tinteggiati ed ombrosi
per il fango e l’umida polvere
sollevata dai rivoli lasciati
fra gli scuri e duri ciottoli.

Vorrei che l’incanto di guardare le ruote
mentre ondeggiano cercando energia
come unico confine di sollevazione
s’impalmasse di cornici
per far dire ad ogni togato reale o figurato
quanto sia fessa la testimonianza
senza l’universale distinguo del buon senso.

Vorrei che la festosità della fatica,
il sunto d’un percorso che dischiude
per chi ha occhi, cuore e cervello
l’incenso più vero dell’eguaglianza
non dimenticasse quanto l’esistenza
ci cosparga volontariamente
di quadri e di figure retoriche.

Vorrei che i Leman ed i Van Hooydonck
fossero riferimenti di collettive conquiste
lontanissimi dalle microbiche note
di chi non va oltre la miopia dei numeri,
alfieri della mirra che viene dall’umano albero
involontari pensatori d’accostare a filosofia
non barbariche accozzaglie dei principi di latta.

Vorrei che si gridasse all’effige di cultura
che sgorga a cascate di quei paesaggi,
perché nel freddo e nel plumbeo di quei cieli
s’espone un affresco su cui scorre poesia,
come un canto vissuto nel baccano
da raccogliere nei sensi intingendosi di vero
e col colore dell’intenso vivo il Giro delle Fiandre.

Morris (05/04/2009)


Segue…..


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Ronde van Vlaanderen, classica particolare d’accordo, ma possibile a tutti, basta essere campioni, meglio se fuoriclasse. Però, a volte, non basta....

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Come mai un grande corridore come Emile Daems, al Fiandre ha sempre fallito, dopo essere stato capace di vincere a Sanremo con un’azione di eccelsa nota, il Giro di Lombardia superando asperità con connotati di pregio, di giungere al successo in tappe al Tour con azioni da finisseur in pianura, tipo a St Malo, o tapponi come a Briancon, dopo aver scalato al pari o quasi di un Bahamontes, la Bonette, il Vars e l’Izoard, o di vincere la “Roubaix”, dopo aver umiliato Rik Van Looy?

Certo, la classicissima belga Emile l’aveva vinta fra gli indipendenti, ma nell’elite suprema non è mai andato oltre ad un quarto posto.
Qualcuno dell’osservatorio, ha sostenuto che era troppo piccolo e leggero per emergere sui muri. Contesto questo giudizio perché le qualità di Daems (che potrebbe risponderci direttamente dal suo ristorante di Genval), erano troppo complete per giungere con facilità a simili conclusioni.
Va detto inoltre, che l’apparato muscolare di Emile era eccellente, non a caso sapeva scattare come pochi, era abile sulla bici, ed aveva nel suo bagaglio, pure la dote dei grandi finisseur. A ciò, accostava uno spunto veloce che diveniva più forte, dopo una corsa tirata, ed all’uopo ne sanno qualcosa Rik Van Looy, Jan Janssen e persino “maestà” Peter Post.

Eric Leman, era una fotocopia fisica di Daems, piccolo e tozzo, ed ha vinto tre volte il Fiandre. In virtù dei suoi successi nelle classiche tappe per velocisti al Tour, veniva visto come uno sprinter puro. Eppure, al Fiandre, emergeva. Ci sono altri esempi, ma per ora bastano.

Il Fiandre dunque, lo vince un corridore forte, fortissimo, punto. Eric, ne è anch’egli testimonianza. L’essere inadatti per costituzione fisica, è una lettura moderna, figlia di quella specializzazione sulla quale hanno contribuito i distruttori di questa disciplina. Non li menziono perché non hanno bisogno di essere richiamati e, di conseguenza, pubblicizzati. Ed è vero che la tendenziale penalizzazione dei “piccoli” è figlia del progresso stellare della chimica e dei dogmi, non a caso si sono trasformati in scalatori persino i granatieri, mentre i più pronosticabili come grimpeur si sono confusi fra i diversi di varia taglia facenti parte la prima fascia, ma se fra questi ci fosse un fuoriclasse emergerebbe ugualmente, nonostante i dogmi. Pantani lo dimostra.
Quindi è pur vero che un piccolo e tozzo, tagliato per le classiche, se è un fuoriclasse, può correre e vincere anche il Fiandre. Se non lo corre fa male, perché è conseguenza figlia dei preparatori e dei dirigenti a metà, come erano a metà, quando correvano.

Daems, non la vinse, perché nello sport, come nella vita, esiste il caso e, soprattutto, la convivenza con altri fortissimi ambiziosi di medesimi traguardi. Oggi, questi fortissimi nelle corse di un giorno sono in numero assai inferiore a quelli di un tempo (nelle corse a tappe……non ne resta praticamente nessuno), anche se nelle classiche ci divertiamo ugualmente, perché il ciclismo continua ad esistere, pur nelle sue numerose variabili. Ritornare all’antico come mentalità, prima ancora dell’ormai raggiunta garanzia che le alchimie di oggi sono superiori e deleterie a quelle degli anni ’90, rappresenta un altro successo, significa attributi e, perché no, grandezza reale, anche con un trentesimo posto.....

Segue….


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…..scavando fra i vincitori….

Un esempio di spirito “Flandrien”!

Arthur Decabooter

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L'epilogo della Ronde van Vlaanderen del 1960: De Cabooter brucia il franco polacco Graczyk e il "nemico" Van Looy.

Nato a Welden il 3 ottobre 1936, deceduto a De Pinte il 26 maggio 2012. Passista veloce. Professionista dal 1957 al 1967 con 57 vittorie. Uno dei corridori più popolari delle Fiandre in assoluto, nonostante il suo ottimo curriculum non possa considerarsi da solo come generatore di un simile processo simpatetico. In Arthur si inquadrava perfettamente ciò che viene definito “Flandrien”, ovvero quell’insieme di determinazione, generosità, cattiveria agonistica e coraggio, che sono propri di realtà e sogni di uomini e donne di quelle terre e che il ciclismo esalta come una religione. Un simbolo di quel clima, che, dal meteorologico, si condensa su uno spirito caratteriale ed antropologico di quelle genti, tanto particolare, quanto laborioso e con un senso tutto suo dell’evento.

Arthur Decabooter, è stato un corridore vulcanico nelle sue annate migliori, un gladiatore delle pietre e del fango, un poeta riconosciuto e sentito con orgoglio dai fiamminghi. L’unico per il quale fu fatta una manifestazione con migliaia di persone a sfilare, perché per due anni (’60 e ’61), il “Sire” Rik Van Looy, impose la sua non convocazione ai Mondiali. D’altronde Arthur, s’era permesso di umiliarlo al Giro Fiandre del ’60 e il grande Rik sentiva in ogni corsa, con disagio e forte timore, il suo respiro, il suo ghigno. Ed in De Cabooter, lo spirito fiammingo era cresciuto unico, forse perché, in fanciullezza, papà Julien e mamma Irma, per lavorare, avevano spostato famiglia dalla natia Welden, a Zingem, Nazareth e Asper. Il ciclismo arrivò in lui nel ’53 e nel ’55, da dilettante, s’era fatto un nome, vincendo da par suo il Giro delle Fiandre. Poi, da indipendente che andava a segno di sovente anche fra i prof, rivinse la corsa per eccellenza dei fiamminghi nel ’58, abbastanza per essere già idolo quando passò definitivamente fra i prof, nel ’59. Nel ’60 la conquista, come detto, dell’elezione a incenso di quelle terre, con la terza vittoria nel “Fiandre” su Graczyk e Van Looy. Ovviamente, il suo palmares non sta solo nella “Ronde” di patria.
Nel ’60, ad esempio, vinse due tappe e la Classifica a Punti alla Vuelta di Spagna, trovando proprio dagli iberici, la genesi del nomignolo che non lo lasciò più: “El Toro”. Nel suo ruolino ci sono semiclassiche che, forse, è riduttivo definirle così, come l’Het Volk (’61), Omloop van het Houtland (’59-’64), Campionato delle Fiandre Orientali (’60), Escaut-Dendre-Lys (’60), Attraverso il Belgio (’61), GP Alberic Schotte (61), E3 Prijs Vlaanderen Harelbeke (’61), GP Denain (‘61), Giro delle Tre Province (’63), Giro del-la Valle del Lys (’63), Kuurne-Bruxelles-Kuurne (’64), Corsa di Nokere (’65), Circuito 11 Ville (’66), Roubaix-Cassel-Roubaix (’67), Giro delle Regioni Fiamminghe (’67). Ci sono tappe al Giro del Belgio, Quattro Giorni di Dunkerque, Vuelta Andalusia e, ancora, alla Vuelta. De Cabooter chiuse nel ’67 e quando lo fece, al velodromo Kuipke di Gand, l’impianto era strapieno. Sposato con Nicole, sorella di Micheline moglie di Godefroot, Arthur morì per arresto cardiaco durante un ciclo raduno sulla Schelda. Se avesse potuto scegliere come morire, l’avrebbe scelto così, fra la sua gente, sul mezzo della sua religione.

Segue...


Morris

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…..scavando fra i vincitori….

Costui potrebbe apparire solo una meteora, invece era proprio forte........ma...

CEES BAL

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Nato a Kwadendamme (Olanda) il 21 novembre 1951. Completo. Professionista dal 1972 al 1979 con 25 vittorie.
Un talento tra i più evidenti dell’intera storia del ciclismo olandese. Uno, che se non è arrivato a conquistare ciò per il quale era nato, lo deve solo a se stesso, perché s’è lasciato andare alla bella vita e che, comunque, è stato onesto nel non prolungare ulteriormente una permanenza nel pedale che l’avrebbe visto…..raccattare lo stipendio. Dopo aver vinto da dilettante, senza correre troppo tra l’altro, col piglio di quelli che posson diventare fuoriclasse, oltre venti corse fra le quali diverse internazionali di prestigio, passò professionista a settembre 1972, non ancora 21enne, in seno alla francese Gan-Mercier. Nel 1973 il suo crescendo mostrò tangibilità con belle e significative vittorie. Poi, nel 1974, la formazione divenne …molto olandese, acquisendo un capitano come Joop Zoetemelk (l’altro leader era il vecchio francese Raymond Poulidor) e altri due fortissimi tulipani, quali Gerrie Knetemann e Gerard Vianen. Bal, che quando sentiva di avere gamba, pur non dedicandosi al ciclismo anima e corpo, voleva vincere e poco accettava di vedersi imposto un capitano, arrivò progressivamente in rotta di collisione con le gerarchie della squadra, ed in particolare con Zoetemelk. Al connazionale che viveva in Francia, infatti, il giovanissimo tulipano, fu costretto a cedere una Settimana Catalana che vedeva già sua, al cospetto dei migliori al mondo, Merckx in testa.
Per evitare dissapori e disagi con Bal, la Gan Mercier, assicurò a costui che al Giro delle Fiandre di due giorni dopo la corsa catalana egli avrebbe potuto fare la sua corsa e sarebbe stato protetto dai compagni. E così fu, tanto è vero che il peperino Cees, dopo una corsa consumata col coltello fra i denti da un cast superbo, a cinque chilometri dal termine, sparò le sue cartucce. Lo fece col piglio del grande finisseur e per i big mondiali fu notte fonda. Una vittoria davvero incredibile quella colta dal 22enne di Kwadendamm! A 22 e 4 mesi aveva così iscritto il suo nome nella classicissima della sua lingua. Due settimane dopo però, nel corso dell’Amstel Gold Race cadde e si fratturò una caviglia.
La lunga convalescenza scatenò in Bal quella sua poca disponibilità verso i doveri del ciclismo. Quando riprese, a confondere le acque nel suo fragile equilibrio, ci si mise, paradossalmente, la vittoria nel Tour de l’Aude, che aumentò in lui l’intrinseca convinzione di poter raggiungere un primario livello nello sport, anche continuando il trend di giovanissimo playboy con tanto di orari poco ortodossi. Dato per caso difficile a fine anno s’accasò alla Molteni di Eddy Merckx (che per lui stravedeva), ma ormai la china di Bal era quella di andare a coda di topo verso un anticipato abbandono del mestiere di corridore in bicicletta. Il suo canto del cigno nel 1979, quando vinse la 18esima tappa della Vuelta di Spagna. Alla fine di quell’anno, a soli 28 anni, i suoi occhi azzurri ed il ciuffo biondo, si destinarono ufficialmente al di fuori dello sport. Divenne assistente sociale e poi manager di uno di più lussuosi impianti di campi da golf d’Europa, a Goes, sulle rive della Schelda orientale. Ma nonostante l’impegno fra mazze e buche…. spazio anche al ritorno nelle vicinanze e nello svolgimento di quel ciclismo che l’avrebbe potuto eleggere un Raas prima di Jan Raas.

Morris

(per oggi basta)


l'Orso
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Iscritto il: venerdì 10 dicembre 2010, 11:18

Re: Fiandricolando....

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:clap: :clap: :clap: :clap:
Aspettavo l'ultimo per ringraziarti :)


Fanta cicloweb 2015:
Tour 2015 - 19a tappa - SJ M.nne - Toussuire (24 Luglio)

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Scostante_Girardengo
giorgio ricci
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Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da giorgio ricci »

Grazie.
:clap: :clap: :clap:


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Alanford
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 13:05

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da Alanford »

Morris...un nome, una garanzia :)
:clap: :clap: :clap:


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galliano
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Iscritto il: giovedì 14 aprile 2011, 12:53
Località: TN

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da galliano »

Decabooter deve essere stato un pioniere dei preparatori odierni, si nota infatti la magrezza estrema.
Questi (anche Daems e Van Loy) sembrano sprizzare salute da tutti i pori, giovani e aitanti.
Solo il polacco Graczyk è effettivamente molto magro.


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nino58
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 14:38

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da nino58 »

A proposito di Morris.
Pensare che qui c'è - stato, spero la cosa non si riproponga - chi ha provato a ridicolizzarlo e disprezzarlo e l'ha fatto, sostanzialmente, "fuggire via" per un bel po'.


Von Rock ? Nein, danke.
Diritto di correre senza condizioni a chi ha scontato una squalifica !!!
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Caba
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Iscritto il: martedì 17 luglio 2012, 11:15

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da Caba »

Sciocchi... :angry:
Morris ha scritto:Ronde van Vlaanderen significa dunque davvero Monumento, in un ciclismo dove i propri storici ed una marea di scrivani propagatori, sono soliti inflazionare, mortificare e ridicolizzare la storia di questo tassello dello sport ciclistico, quintuplicando quella definizione. Il Fiandre infatti, ciclisticamente, va visto con quel protagonismo e quella continuità, oltre che anzianità, che dovrebbero esser l’asse si quella definizione, solo dal dopoguerra. Prima non era mondializzabile nel ciclismo affermato: era dietro a Parigi Roubaix, Parigi Tours, Parigi Bruxelles, Milano Sanremo e Liegi Bastogne Liegi nell’ordine, pari al Giro di Lombardia. Il Fiandre era visto come gara nazionale per eccellenza e, poi, nel primo quinquennio del dopoguerra, fu solo grazie ai successi di Fiorenzo Magni che riuscì ad impattare l’avvenuto ed ulteriore sorpasso della assai più giovane Freccia Vallone. Tutto ciò però, se da una parte rende esempio di come sia ridicolo classificare monumento quelle cinque nel ciclismo, dall’altra, urla una verità: nessuna corsa ciclistica mondiale è Monumento per un popolo come la Ronde van Vlaanderen.
Grazie Morris, a volte si semplifica in modo superficiale, banalizzando. La realtà invece è più complessa, ricca di sfumature e diversità.
:clap:


MG, sai solo fregare...
Winter
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 19:33

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da Winter »

:clap: :clap: :clap:


herbie
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Iscritto il: sabato 26 febbraio 2011, 17:19

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da herbie »

comunque volevo dire che chiedere a Morris per i quiz, come state EVIDENTEMENTE facendo, è scorretto e anzi saranno riscritte la classifiche.

aspettavo prima o poi un pezzo di Morris su Canavesi, corridore del mio paese, che seguiva la squadra del paese, ma morì proprio nell'anno in cui io salii per la prima volta su una bici da corsa e mi dispiacque molto di non averlo potuto conoscere per così poco.

PS: Morris però ti aspettavo alla Kobram....o almeno ci speravo...


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Maìno della Spinetta
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 15:53

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da Maìno della Spinetta »

Oh là, un thread serio finalmente,

Grazie d'essere tornato Maurizio :trofeo:


“Our interest’s on the dangerous edge of things.
The honest thief, the tender murderer, the superstitious atheist”.
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Visconte85
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Iscritto il: giovedì 8 maggio 2014, 14:27

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da Visconte85 »

Morris, un articolo di Tista Baronchelli quando? ;) :)

Restando in orbita Fiandre, che ci dici dello sfortunato Marc Demeyer?


2022: Rund um Koln, Giro t.20, combinata giro
granfondista
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 12:39

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da granfondista »

nino58 ha scritto:A proposito di Morris.
Pensare che qui c'è - stato, spero la cosa non si riproponga - chi ha provato a ridicolizzarlo e disprezzarlo e l'ha fatto, sostanzialmente, "fuggire via" per un bel po'.
Per carità Nino, non riaccendiamo il fuoco, Morris ha deciso di tornare a scrivere e tanto ci basta.


Meglio brocco che Di Rocco: Cicloweb forever!!
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nino58
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Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 14:38

Re: Fiandricolando....

Messaggio da leggere da nino58 »

granfondista ha scritto:
nino58 ha scritto:A proposito di Morris.
Pensare che qui c'è - stato, spero la cosa non si riproponga - chi ha provato a ridicolizzarlo e disprezzarlo e l'ha fatto, sostanzialmente, "fuggire via" per un bel po'.
Per carità Nino, non riaccendiamo il fuoco, Morris ha deciso di tornare a scrivere e tanto ci basta.
Scusa, ma quanno ce vo' ce vo'.


Von Rock ? Nein, danke.
Diritto di correre senza condizioni a chi ha scontato una squalifica !!!
Morris

Re: Fiandricolando....

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herbie ha scritto:comunque volevo dire che chiedere a Morris per i quiz, come state EVIDENTEMENTE facendo, è scorretto e anzi saranno riscritte la classifiche.

aspettavo prima o poi un pezzo di Morris su Canavesi, corridore del mio paese, che seguiva la squadra del paese, ma morì proprio nell'anno in cui io salii per la prima volta su una bici da corsa e mi dispiacque molto di non averlo potuto conoscere per così poco.

PS: Morris però ti aspettavo alla Kobram....o almeno ci speravo...
Su Severino Canavesi non ho mai postato nulla perché in tanti han scritto di lui, di quel suo meraviglioso e significativo 16 settembre 1945, di quel percorso davvero sincronico con gli itinerari di chi si era opposto all'immane tragedia del fascismo e della guerra. Di quel corridore intelligente e generoso, ma figlio di tempi, ove la fortuna sapeva regolare le virtù con volteggi troppo ampi per dire che....sono solo stupide credenze. E poi di quel Giro perso che poteva essere vinto e di quella maglia oro non portata a Berna perché qualcuno gli segò il piantone del sellino. Severino è stato più grande del curriculum comunque buono raccolto in 18 anni di carriera professionistica, dal 1931 al 1948. E non solo per i due Tricolori conquistati (uno nel ciclocross) e per le altre vittorie, ma anche per quei piazzamenti che sanno dimostrare quanto i successi. Comunque Herbie, visto sei di Gorla Maggiore (cittadina e zona che mi son care per i trascorsi nel pedale rosa), prima o poi posterò qualcosa su Canavesi.... ;) :)
In quanto alla Kobram-MMM, ero davvero impossibilitato. Chissà nel 2017.... ;)


Morris

Re: Fiandricolando....

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Visconte85 ha scritto:Morris, un articolo di Tista Baronchelli quando? ;) :)

Restando in orbita Fiandre, che ci dici dello sfortunato Marc Demeyer?
Sul Tista c'è già un thread qui sotto, ed in passato credo di aver già postato un ritratto. Non ricordo, devo controllare.

Su Demeyer, scriverò qui, per i suoi piazzamenti (due Terzi ed un Secondo) al Fiandre e perché fiammingo doc, nonché particolare. Ma lo scriverò..... ;) :)


Morris

Re: Fiandricolando....

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nino58 ha scritto:
granfondista ha scritto:
nino58 ha scritto:A proposito di Morris.
Pensare che qui c'è - stato, spero la cosa non si riproponga - chi ha provato a ridicolizzarlo e disprezzarlo e l'ha fatto, sostanzialmente, "fuggire via" per un bel po'.
Per carità Nino, non riaccendiamo il fuoco, Morris ha deciso di tornare a scrivere e tanto ci basta.
Scusa, ma quanno ce vo' ce vo'.
Caro Nino, mi sta proprio bene il quanno ce vo' ce vo'. :)

E Grazie a tutti gli altri per le belle parole! :angelo:


Morris

Re: Fiandricolando....

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Sempre sui vincitori del Monumento del Ronde van Vlaanderen…..

..........Ci eravamo sentiti telefonicamente a gennaio ’94 e lui m’aveva detto: “Ci diamo del tu perché sei verace come me: tu romagnolo ed io brianzolo. Il tuo progetto mi piace e se mi dici che sarà ultra-vincente io ti credo. Però per quest’anno ho già impegni coi professionisti, ma a settembre vieni qua da me, che ci mettiamo d’accordo per il 1995”. Ed ai primi di quel mese raggiunsi Sergio in Brianza, presso il suo stabilimento, sicuro di poter dare alle mie atlete le biciclette del “Campionissimo”. Poteva e voleva essere un gran giorno (e lo sarà per i tre anni magnifici venuti dopo), ma un brivido mi percorse la schiena poco prima di entrare nell’ufficio di Sergio: nella sala d’attesa giganteggiava la foto della millimetrica vittoria di Gianni Bugno su bicicletta Coppi, ai danni di Johan Museeuw su Bianchi sul traguardo del Giro delle Fiandre ‘94. Era la prima volta che rivedevo quella istantanea su un successo che poteva essere ancor più grande, perlomeno in estensione, di mezzo metro, mica tanto, insomma quel margine sufficiente per non farci scazzottare le coronarie. Ma lui, il Gianni, era fatto così…..

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Il Gianni, magnifico atleta, campione di ciclismo e d’implosione.

Gianni Bugno, introverso o semplicemente modesto fino a negare l’evidenza del suo sangue blu raro, del suo talento da eletto?
“Non mi si perdona di non essere un personaggio” – diceva.
Era sempre così, oppure lui ci metteva del suo?
Da ragazzino gli piaceva la matematica e sognava di fare da grande l’ingegnere aeronautico, eppure la sua carriera sulla bicicletta, è stata spesso tinta degli episodi tipici dell’atleta incapace di calcolare anche le distanze più brevi, come gli capitò ai Mondiali del 1991 e al Giro delle Fiandre del 1994, quando mise in discussione due vittorie certe, fino alle differenze minime: nel secondo caso, addirittura di un tubolare. Ma non sempre gli andò bene, perché in mezzo a quei due episodi, ve ne fu uno che fa ancora rabbia solo a pensarci, quando nell’Amstel Gold Race ’93, si fece anticipare di un niente da un avversario, lo svizzero Rolf Jaermann, che avrebbe battuto novantanove volte su cento in una volata a due. Oppure, quando provò, l’unica volta in vita sua, ad uscire dal suo classico “Vedremo” ed a dire, deciso, dopo la debacle al Tour ’94: “Aspettatemi al Mondiale, non sono finito e scommettete su di me!” Ed invece fu fermato per caffeina (ennesima stupidaggine grave solo per l’antidoping), altrimenti, forse, sarebbe stato un ematoma da caduta, a stopparlo prima ancora di correre.
E che dire sui suoi “calcoli” di giudizio?
Di Chiappucci, il suo avversario per eccellenza, per pressappoco medesima età e quella geografia di zona che conta eccome nello sport, diceva: “E’ il mio opposto, lui ama la gente e sentirsi personaggio. A volte esagera e così si fa male”. Poi, invece, si scoprì che l’esuberanza e la ricerca del personaggio in Chiappucci, era un modo efficace per ovviare alla mancanza di supremo talento, ed arrivare là dove non era pronosticabile, mentre con la sua cautela, i suoi dubbi, la sua tenera bontà di ragazzo piovuto sulla bicicletta, fu proprio Bugno a farsi del male, sfregiando non poco quel curriculum da grandissimo della storia, al quale, la logica, prima di ogni altra ragione, s’era permessa di scommettere.
Ancora calcoli inesatti e implosivi.
Le sue fughe d’amore. Niente di più naturale alla lettura non ipocrita del corso umano, ma come tutti gli aspetti che cozzano sovente con l’involucro d’ipocrisia di cui l’uomo imperfetto e perciò bellissimo si cosparge, vanno difesi, protetti, affinché le reazioni degli altri, non siano in grado di sfregiare. Capitò così per Bugno? No! Assolutamente no!
Non bastava dire: “Una donna non distrae, è una componente fondamentale nella vita di un uomo. Mi piacciono le belle donne, è una colpa?”. Era necessario capire, avere possesso chiaro del fatto che il ciclismo, ieri come oggi, rappresenta l’ultimo stupido baluardo del puritanesimo, perché aldilà del tanto resto vigente, una storia d’amore di un corridore con una ragazza, definisce automaticamente costei come “la dama bianca”, con tutto quello che ne consegue. L’amore è proibito, galeotto, illegale. Il ciclismo deve essere solo sofferenza, monogamia, sacrifici da monaco, si devono dimenticare i sensi per giungere agli status di forzati della strada. Uno schifo! Ed allo schifo non si risponde con la bontà, la gentilezza, la cautela, ma con la repulsione, la difesa cattiva della civiltà, in altre parole con l’agonismo che serve per battere i colleghi. Altrimenti l’intorno finisce per entrare nell’interno del coinvolto e ad implodere, proprio quello che capitò a Bugno. Era dunque necessario andare oltre a quella esternazione ulteriore, che suonava come resa o liberazione dal fulcro realistico che vedeva l’antipersonaggio Gianni - capace comunque di fare proseliti, creare club, portare al tifo e alle lacrime centinaia di migliaia di persone - riassumere il tutto, privacy ed epica ciclistica comprese, con: “Sono solo un lavoratore del ciclismo io, che vince o perde, niente altro”.
Sì, buon senso, come sempre tanta bontà, pure quella intelligenza che non è mai mancata negli orizzonti di uno dei pochi corridori liceali (soprattutto ai suoi tempi), poi capaci di svolgere a fine carriera il lavoro che non ci si aspetterebbe mai. Ma il buon senso e la bontà, nello sport immerso nel pesante rapporto con quei media che pesano sovente più delle salite, sono poco più di niente. Il compianto dottor Cavalli, diceva ai rampolli della più forte generazione di ciclisti italiani, che Merckx era a loro superiore solo nella testa, in quel coacervo di stimoli nervosi che si traducono nella determinazione che si chiama cattiveria agonistica. Gianni Bugno era un signore, una gran brava persona fin da ragazzo, con una classe superiore a tanti grandi della storia. Uno dei primissimi, per intenderci, mai salito su una bicicletta, ma un incompiuto rispetto al talento. Ha vinto tanto, nonostante tutto, ha emozionato come pochi; ha scritto pagine capaci di far piangere per tanto ben di Dio in un corpo solo, come nella Milano Sanremo del 1990 (mai visto uno vincere così), ma ci ha lasciato le più incredibili delle consapevolezze: lo sport non è solo grandiosità atletica, il ciclismo non sta solo su quei muscoli dorsali che consentivano ad uno come lui, di spingere rapporti che nessuno si poteva permettere, al punto di far apparire la sua pedalata come simbolo di perfezione. Lui, Gianni Bugno, si è accontentato, è diventato campione con la “c” maiuscola, chiedendo permesso, come se la sua fosse una esibizione di kata ed è stato capace di lasciarci stupiti quando, dopo aver trionfato nel secondo mondiale consecutivo, a Benidorm, in Spagna, quasi chiese subito scusa: “Mi dispiace di aver vinto in casa di Indurain”.
Come si faceva a non amare una simile figura?! E come si poteva non prestare incanto verso colui, che più di ogni altro, da nobile, ci ha fatto conoscere cosa sarebbe il socialismo nello sport dell’utopica società opulenta di John Kenneth Galbraith?!
Sì, tanto amore, ma senza che ce ne voglia, a noi che missionari non siamo, anche tanta rabbia.

segue....


Morris

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Un’espressione di Flandrien particolare, coi tratti del corridore tipico di queste terre per determinazione, coraggio e furbizia, ma al contempo più raffinato di tanti, francesizzante nell’impostazione agonistica e sempre pronto ad esprimere un piacere tutto suo dell’impresa. Quasi un figlio della Belle Èpoque, piovuto sul mondo ciclistico mezzo secolo dopo. Amava l'Italia, paese che ha conosciuto bene grazie alla militanza in taluni suoi sodalizi e sapeva meglio di tanti politici nostrani d’oggi, la lingua italiana. Un personaggio a cui ho voluto bene, popolare in casa mia come tanti corridori degli anni cinquanta, che ho costruito mio patrimonio simpatetico, quando dalla bici si spostò sul microfono.

Alfred De Bruyne il fiammingo “Monsieur Fred”

Nato a Berlare il 21 ottobre 1930, deceduto a Seillans (Francia) il 4 febbraio 1994. Professionista dal 1953 al 1961 con 44 vittorie.
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Quando qualche anno fa sentii il Bulbarelli parlare della vittoria di De Bruyne alla Parigi Tours '57, come di un mezzo furto a Bobet, sorrisi. Proprio a Bobet poi.... Fred era nettamente più veloce di Luison e che abbia giocato le sue carte era più che ovvio. La frase esternata da Bobet dopo l'arrivo, pur nella rabbia comprensibile per l'ennesimo secondo posto di quella sua stagione, non gli fece onore, perché nella sua storia, gli atti di furbizia sono stati copiosi, semmai in quella occasione ebbe di ritorno un po' di quello che aveva sovente seminato. Chiusa la parentesi e tornando al grande De Bruyne, val subito la pena ricordare quanto questo corridore abbia dimostrato valori da limpido campione, attraverso un dato: nel triennio '56-'57-'58 vinse la Desgrange Colombo, che era un prestigioso campionato mondiale a punti (qualcosa di meglio delle classifiche che, nell'odierno, siamo abituati a vivere). Ed un altro aspetto non da poco, ci viene dalla considerazione che uno come Fred emerse un un'epoca, dove le leggi del gruppo nelle corse di un giorno e nelle classiche, vivevano sull'impronta gigantesca di due connazionali come Van Steenbergen e Van Looy.
Dopo esser stato un grande dilettante trasferì ben presto anche nella massima categoria le sue facoltà di corridore tatticamente perfetto, veloce e attento a giocare sempre al meglio le sue carte, determinandosi ben presto un grandissimo finisseur, sicuramente uno dei più grandi della storia ciclistica. La successione delle sue vittorie di maggior prestigio è impressionante. Nel '53 vinse il Giro delle Fiandre per Indipendenti e, l'anno successivo, il primo da completo prof, vinse tre tappe al Tour, ed il Circuito delle Fiandre orientali. Dopo un '55, dove comunque colse diversi bersagli nella sua terra, esplose compiutamente nel '56, stagione nella quale vinse la Milano Sanremo, la Liegi Bastone Liegi, la Parigi Nizza, tre tappe al Tour de France e colse piazzamenti in tutte le classiche (notevole il secondo posto alla Roubaix, proprio dietro a Bobet). Nel '57, si confermò un numero uno, trionfando nel Giro delle Fiandre, nella Parigi Roubaix, e nella Parigi Tours, corredandole di altre vittorie minori e diversi piazzamenti di prestigio.
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Una fase del Ronde van Vlaanderen 1957: Alfred De Bruyne inseguito da Gastone Nencini, Joseph Planckaert e Yvo Molenaers.
Ancora ottimo il suo '58, coi successi nella Parigi Nizza e nella Liegi Bastone Liegi. Nel '59, vinse per la terza volta la decana Liegi Bastogne Liegi, ma nel '60, a causa di un incidente accorsogli mentre era in auto con l'amico Willy Vannitsen che guidava, la sua carriera fu compromessa. Tentò di riprendersi e nella primavera del '61, con la vittoria nella Kuurne-Bruxelles-Kuurne, recitò il suo canto del cigno.
Abbandonò il ciclismo agonistico nell’autunno del 1961. Estroverso, allegro, assai spigliato, possedeva una grande esperienza, ed un notevole prestigio. Scelse il microfono e divenne telecronista della televisione fiamminga, una professione che esercitò con entusiasmo e competenza fino al 1977, quando entrò in vigore una legge che imponeva ai giornalisti belgi senza titoli di studio, di sottoporsi ad un particolare esame. Ne fece una questione di principio e lasciò tutto per salire sulla ammiraglia, dove vinse copiosamente, indi come addetto alle pubbliche relazioni, di un grande team come la Panasonic. La sua rabbia, verso quella legge che non ammetteva il logico buon senso, era più che giustificata: chiunque abbia oggi sui 50 anni, sa che i suoi commenti, la sua capacità di parlare diverse lingue e la sua incredibile conoscenza, rappresentavano un patrimonio per gli appassionati, non solo belgi, che si ponevano davanti ad un televisore. Per chi scrive, Fred, è stato un riferimento, una luce del proprio amore verso il ciclismo, quindi non solo un grandissimo corridore, ma pure un grande giornalista, alla faccia di chi, in ogni latitudine, fa delle leggi che non possiedono l’intelligenza della lettura delle eccezioni, un credo da seguire. Morì in Francia, dove viveva, a Seillans, il 4 febbraio 1994. La causa: un male incurabile.

Segue....


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lapi_dario
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Re: Fiandricolando....

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ma sei quel Maurizio Ricci che ha perso tipo 40 chili in un amen?


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Maìno della Spinetta
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Re: Fiandricolando....

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lapi_dario ha scritto:ma sei quel Maurizio Ricci che ha perso tipo 40 chili in un amen?
Ahahah, questo era un vero questo, altri che quegli si Grassi!

Grazie Morris per il profilo di De Bruyne, ignoravo completamente la disavventura con la legge stupida belga. E la sua risposta da vero campione, senza compromessi, andando a vincere in ammiraglia.


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quasar
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Re: Fiandricolando....

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Nessuna sorpresa. Questo è il morris che ho sempre letto e apprezzato, da.... inizio secolo (tempi che furono su mymag caro morris).
Ritratti e racconti che hanno talvolta colmato inevitabili lacune storiche (è il caso di questo scritto sul fiandre) , altre volte (ad esempio in campo pugilistico) gradevolmente ricordato storie e accadimenti già a me noti (ricordo sempre piacevolmente le discussioni avute con ilic e morris sulla boxe sarda anni 60 o su mano di pietra o ancora su Sanchez)
nino58 ha scritto:A proposito di Morris.
Pensare che qui c'è - stato, spero la cosa non si riproponga - chi ha provato a ridicolizzarlo e disprezzarlo e l'ha fatto, sostanzialmente, "fuggire via" per un bel po'.
Non solo qui caro nino.
La storia di Morris (non di Maurizio che non ho mai avuto il piacere di conoscere personalmente) è sempre stata questa. C'è sempre stato, e sempre ci sarà, colui a cui darà particolarmente noia confrontarsi in un forum con chi oggettivamente manifesta una indiscussa competenza e memoria storica. Tanti giovanotti che solo per aver visto due corse alla tv, pensano di sapere tutto di tutti.
Se a ciò, poi, aggiungiamo che talvolta lo stesso morris ci ha messo del suo facendo, forse non volutamente, pesare il suo sapere e non riuscendo spesso a calarsi nello spirito del contraddittorio dei forum, ecco innescata la bomba ad orologeria :boing:
È bene che morris tenga sempre presente che ogni 100 forumisti, 90 lo leggono volentieri. ;)


meriadoc
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Re: Fiandricolando....

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beh, il mondiale si vedeva che lo aveva vinto, ma in quel Fiandre fece una bella cazzata
peraltro io credo che chiusero il collegamento che non avevano nemmeno ufficializzato la vittoria di Bugno, tanto ci mettevano per il fotofinish
ma lo davano su Mediaset?


Kruijswijk... il resto è noia

"Siamo in gennaio, siamo in Australia ma per me questo e' il successore di Froome nell'albo d'oro della grand boucle.."
21/01/2017 barrylyndon su Porte
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Maìno della Spinetta
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Re: Fiandricolando....

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quasar ha scritto:Nessuna sorpresa. Questo è il morris che ho sempre letto e apprezzato, da.... inizio secolo (tempi che furono su mymag caro morris).
Ritratti e racconti che hanno talvolta colmato inevitabili lacune storiche (è il caso di questo scritto sul fiandre) , altre volte (ad esempio in campo pugilistico) gradevolmente ricordato storie e accadimenti già a me noti (ricordo sempre piacevolmente le discussioni avute con ilic e morris sulla boxe sarda anni 60 o su mano di pietra o ancora su Sanchez)
nino58 ha scritto:A proposito di Morris.
Pensare che qui c'è - stato, spero la cosa non si riproponga - chi ha provato a ridicolizzarlo e disprezzarlo e l'ha fatto, sostanzialmente, "fuggire via" per un bel po'.
Non solo qui caro nino.
La storia di Morris (non di Maurizio che non ho mai avuto il piacere di conoscere personalmente) è sempre stata questa. C'è sempre stato, e sempre ci sarà, colui a cui darà particolarmente noia confrontarsi in un forum con chi oggettivamente manifesta una indiscussa competenza e memoria storica. Tanti giovanotti che solo per aver visto due corse alla tv, pensano di sapere tutto di tutti.
Se a ciò, poi, aggiungiamo che talvolta lo stesso morris ci ha messo del suo facendo, forse non volutamente, pesare il suo sapere e non riuscendo spesso a calarsi nello spirito del contraddittorio dei forum, ecco innescata la bomba ad orologeria :boing:
È bene che morris tenga sempre presente che ogni 100 forumisti, 90 lo leggono volentieri. ;)
°Gianni, Gianni!!! Ma che hai fatto!?"


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herbie
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Re: Fiandricolando....

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Morris ha scritto:
herbie ha scritto:comunque volevo dire che chiedere a Morris per i quiz, come state EVIDENTEMENTE facendo, è scorretto e anzi saranno riscritte la classifiche.

aspettavo prima o poi un pezzo di Morris su Canavesi, corridore del mio paese, che seguiva la squadra del paese, ma morì proprio nell'anno in cui io salii per la prima volta su una bici da corsa e mi dispiacque molto di non averlo potuto conoscere per così poco.

PS: Morris però ti aspettavo alla Kobram....o almeno ci speravo...
Su Severino Canavesi non ho mai postato nulla perché in tanti han scritto di lui, di quel suo meraviglioso e significativo 16 settembre 1945, di quel percorso davvero sincronico con gli itinerari di chi si era opposto all'immane tragedia del fascismo e della guerra. Di quel corridore intelligente e generoso, ma figlio di tempi, ove la fortuna sapeva regolare le virtù con volteggi troppo ampi per dire che....sono solo stupide credenze. E poi di quel Giro perso che poteva essere vinto e di quella maglia oro non portata a Berna perché qualcuno gli segò il piantone del sellino. Severino è stato più grande del curriculum comunque buono raccolto in 18 anni di carriera professionistica, dal 1931 al 1948. E non solo per i due Tricolori conquistati (uno nel ciclocross) e per le altre vittorie, ma anche per quei piazzamenti che sanno dimostrare quanto i successi. ;)
per quanto riguarda Canavesi, ti ringrazio molto e aspetto. Oltre alla vicenda del sellino, pare che raccontasse anche che qualcuno gli passò una borraccia contenente della benzina o olio per macchine. Memorabile credo fu la fuga nella breve (per l'epoca) e nervosa tappa di Ascoli Piceno con cui per poco non riuscì a ribaltare del tutto quel Giro. Non vorrei ricordare male, ma mi pare non avesse grande simpatia per Bartali, che pure aveva amicizie qui a Varese assai più di Coppi, e una grande stima invece per Valetti. Purtroppo molte vittorie gli sfumarono per la poca brillantezza allo sprint. Ma credo che doveva essere un personaggio con una carica emotiva e umana straordinaria....
Per quanto riguarda la squadra giovanile femminile, bisogna dire che la società più prestigiosa e importante è quella di Gorla Minore. Tuttavia, il talento credo più grande del ciclismo femminile passato dalle nostre parti, ha militato invece dalla nostra parte....e sono ancora orgoglioso di essere stato suo compagno di squadra...


Morris

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Nella prima parte di questo ritratto, un succinto spaccato sulla provenienza ciclistica dei corridori fiamminghi, anche poco “Flandrien”, come Noel…..


Noel De Pauw, meteora o delusione…..

Nato a St Denijs-Boekel il 25 luglio 1942, deceduto a Zaventem il 12 aprile 2015. Passista. Professionista dal 1964 al 1972 con 20 vittorie.
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Può definirsi una meteora, o una delusione. Entrambi i termini possono calzare come estrema sintesi del tratto ciclistico di questo ragazzo delle Fiandre orientali, nato in un piccolo villaggio tutto agricoltura e campanile. Iniziò a pedalare come gioco e necessità, divenendo corridore per la normalità di quei ragazzi che, da Zwalm, il comune dove andava a scuola, sognavano di diventare degli Ockers, o dei Van Steenbergen. Lo facevano tutti e lo fece anche lui il passo fra i debuttanti. La sorpresa, per i genitori e per lui stesso, fu quella di cavarsela troppo bene per non continuare. E così, Noel ci prese gusto e divenne dilettante con licenza di colpire i traguardi, senza aspettare troppo le volate. Andava in fuga con delle formidabili progressioni, sovente veniva ripreso, altre volte arrivava da solo al traguardo. Gli capitava poi di vincere anche col tempo di altri, allo sprint, ma sempre perché chi era con lui, arrivava in prossimità dell’arrivo cotto per le sue trenate. In altre parole, era un corridore che faceva parlare. Non a caso, quando giunse fra gli indipendenti e nell’età tipica per l’ingresso nei prof, se lo litigavano squadre belghe ed una francese, la “Pelforth Sauvage”, da sempre molto legata al nord della Francia, o agli sconfinamenti nei paesi del Benelux.
Insomma, De Pauw, era una grande promessa con limpidi momenti di gloria, come quando, nel ‘63, vinse una gran corsa in Austria su Gerben Karstens, l’asso olandese, o quando mise tutti in fila nel Giro delle Province Fiamminghe. Oppure quando, nel ‘64, con tanti prof allo start, rivinse quella corsa, lasciando con un palmo di naso un certo Guido Reybrouck. E così, il 14 agosto di quell’anno, passò prof, scegliendo la Solo Superia, lo squadrone di Van Looy. Il tempo d’ambientarsi, ed il 2 marzo ‘65, nell’Het Volk, gara che significava la prima gara già classica del calendario belga, il botto: staccò tutti e arrivò solo, con 1’17” sul gotha presente. Il 21 marzo, concesse il bis, sempre in solitudine, facendo sua la Gand-Wevelgem. Abbastanza, per farne il corridore del momento, ma anziché continuare a dare segni di grandezza, cominciò lì il suo declino, che le vittorie ed i piazzamenti che pure verranno, non riusciranno ad invertire. Soprattutto pesava nell’osservatorio la sua “inesistenza” verso il Monumento Ronde van Vlaanderen, corsa per la quale sembrava tagliato e che si concretizzò, fra diversi ritiri, in un solo 20° posto nel 1967. Fu attesa la sua esplosione fino al ‘69 compreso, quando s’accasò alla Flandria, dopo esser stato nel ’68 alla Faema, del già grande Merckx, ma Noel De Pauw, che campione non era diventato e che il gregario non riusciva a farlo, deluse ancora una volta. Certo, ci furono anche incidenti, ma il vero crogiolo stava in quel potenziale di pregio, bruciato o compromesso nelle categorie giovanili. Nel ’70 rimase disoccupato, nel ’71 restò inattivo e nel ’72, tentò un disperato rientro nelle file della Van Cauter-Magniflex- De Gribaldy: ma a giugno capì che era il caso di chiudere per davvero.

Segue.....


Morris

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Quando il Ronde van Vlaanderen, raccoglie il canto d’un cigno avente l’età dei progetti giovanili....

Evert Dolman, il Fiandre come corona di valori......e di immenso rammarico.

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Evert Dolman festeggiato dopo il successo nel Giro delle Fiandre 1971

Nato a Rotterdam il 22 febbraio 1946, deceduto a Dordrecht il 14 maggio 1993. Passista, alto 1,78 per 71 kg. Professionista dal 1967 al 1973 con 14 successi.
Vincere la medaglia d'Oro olimpica nel ciclismo, a soli diciotto anni, credo rappresenti un record, perlomeno per una prova su strada. Tra l'altro, la gara che valse ad Evert Dolman l'Oro Olimpico di Tokyo '64, era la massacrante "100 chilometri a squadre" (i suoi compagni furono Karstens, Pieters e Zoet), ovvero una disciplina che allo sguardo delle statistiche, ha sempre vissuto su alfieri di grande forza, ma pure con l'evidenza più significativa: è quella che in assoluto ha bruciato più talenti. Evert, dunque, con un'età da juniores, lasciò il segno più illustre, ma la sua carriera dilettantistica non finì lì. Già, perché nello stesso anno, il 1964, vinse il campionato olandese su strada, titolo che confermò anche nella stagione successiva, fra una miriade di vittorie. Nel 1966, a vent'anni, Dolman, conquistò di tutto e di più e, sul circuito del Nurburgring, superando facilmente allo sprint il britannico West (l'unico che aveva saputo tenergli la ruota), si laureò campione mondiale. Dopo tre stagioni leggendarie fra i dilettanti, nel '67 passò professionista, all'interno della squadra più forte d'Olanda, la Televizier. Non fu un anno prodigo di soddisfazioni per Evert, che, comunque, vinse una tappa alla Vuelta di Spagna e si piazzò spesso. Nel '68, con la maglia della belga Smith's, si laureò campione d'Olanda con un'azione tipica del Dolman dilettante, indi colse i traguardi di Goirle e Ulestraten, ma la sua stagione per il resto fu grigia. L'anno successivo tornò in patria, vestendo i colori della WillemII-Gazelle, ma seppur vincendo il GP di Monaco, due tappe del Giro del Lussemburgo e il GP Maarheeze, diede l'impressione di essere abbastanza spento. Nel 1970, s'aggiudicò il Criterium di Kartenhoef e una tappa della Vuelta Andalusia, ma per il resto, pur impegnandosi allo spasimo nelle grandi classiche, non riuscì mai a piazzarsi degnamente. La Mars Flandria, ovvero la squadra belga più forte, assieme alla Faemino di Eddy Merckx, gli diede una nuova chanche nel 1971, ed Evert ripagò la sua nuova squadra, con uno stupendo successo al Giro delle Fiandre, concretizzatosi con un colpo di mano nel finale, pronto a gridare l'antico talento. Il successo in una classica monumento però, non dispiegò le ali di Dolman, il quale vinse ancora a Sittard, pochi giorni dopo quel Fiandre e si spense. Nemmeno il successo nel prologo del Tour de la Loira l'anno successivo, parve risvegliarlo. A fine '73, a soli 27 anni, complici alcuni problemi fisici, lasciò il ciclismo. Poi, il 13 maggio 1993, un arresto cardiaco se lo portò via per sempre. Regale in bicicletta come pochi, finisseur di razza, ha sicuramente pagato gli sforzi troppo pesanti consumati in giovanissima età. Un nobile incompiuto fra i più grandi che i miei occhi abbiano mai visto.


Morris

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La triste storia di Marc Demeyer, la “Locomotiva del gruppo”.

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Tarda primavera 1967, sulla strada principale di Moen, nelle Fiandre Occidentali, i migliori ciclisti juniores della zona, stanno per sfidarsi nel Gran Premio locale. Fra di loro un ragazzone già massiccio a dispetto dei 17 anni, coi capelli castani più lunghi dei più e due basettoni che parevano quelli di Gary Brooker, il leader dei Procol Harum, il gruppo del momento, con la celeberrima “A wither shade of pale”. Quel simil maggiorenne era della vicina Avelgem ed era ben conosciuto, ma non per motivi di vicinato, bensì per essere già un nome nell’ambiente ciclistico più generale. L’anno prima, infatti, era giunto secondo al campionato belga degli allievi, beffato da un certo Gustaaf Wens, occhialuto e gracilino, che se ne era andato nel finale senza creare preoccupazioni su nessuno del gruppo principale. E così, quando il traguardo arrivò, l’impensabile pedalatore riuscì a mantenere quel metro che lasciò un poco d’amaro in bocca al già ragazzone, di nome Marc e di cognome Demeyer. Costui però, d’animo buono ed altruista come pochi, ci passò sopra con facilità: il ciclismo doveva diventare il suo mestiere, perché oltretutto lo faceva divertire. Quel giorno di Moen, in Marc, era dunque una delle diverse tappe per arrivare. Niente di più. Il destino però, stese la sua pesante mano: dopo pochi chilometri, quando il gruppo dei concorrenti filava ad una bella velocità e Demeyer si trovava in solitaria avanscoperta, un’auto uscì da un parcheggio, non diede la minimo importanza allo sbandieramento di un addetto all’organizzazione, ed entrò nella carreggiata di gara, centrando in pieno il povero Marc. Le condizioni del giovane, passate le fasi immediatamente successive al terribile impatto, lasciavano scorrere un timido ottimismo relativamente alla vita, visto lo stato di coscienza di Demeyer, ma la gamba destra era davvero conciata malissimo. Sette ore dopo, all’Ospedale di Roeselare, il primario disse al fratello maggiore di Marc, Jean- Pierre, che la gamba sarebbe stata salvata e che dopo otto-nove mesi avrebbe potuto tornare ad una vita normale, ma per il ciclismo sarebbe servito un miracolo.

Ma il ragazzone buono, altruista, dalla fibra fortissima e con la volontà ferrea di un “Flandrien” d’eccellenza, tornò anche a correre e a vincere, ben sapendo, come gli dissero i medici stupiti, che rappresentava un miracolo, anche se all’agonismo era rimasto solo l’80% del potenziale che sarebbe stato suo, senza l’incidente di Moen.
Nel 1969, l’anno del ritorno, si dimostrò uno dei migliori giovani belgi. Nel ’70 migliorò ancora e nel ’71 fu un pesantissimo “winner”. Demeyer vinse infatti due frazioni e finì 4° nella Corsa della Pace, la superclassica gara a tappe per dilettanti, o meglio, per “professionisti di stato”, e, soprattutto, vinse il Ronde van Vlaanderen per “puri”.
Ma quell’anno gli riservò anche un grossa delusione. Già definito la “Locomotiva del gruppo” per le sue incredibili qualità sul passo, Marc pensò di poter essere titolare del quartetto ai Mondiali della “100 km a squadre”, invece, assieme all’amico fenomenale Freddy Martens, fu collocato fra le riserve. Nemmeno la prima riserva, tra l’altro, ruolo che spettò a Pierre Bellemans, anche se costui si divideva come medesimo rincalzo sia nella cronosquadre, che nella prova in linea.
Il quartetto belga dominò poi la crono iridata di Mendrisio, ai danni soprattutto della favoritissima Olanda. I quattro erano: Ludo Van der Linden, Louis Verreydt, Gustaaf Hermans, Gustaaf Van Cauter. Una generazione dalla parabola tragica, poiché se aggiungiamo ai titolari le tre riserve, gli anni ed i fatti che seguiranno quel ’71, ci porteranno ad una constatazione inquietante: quattro di quei sette, morirono per arresto cardiaco giovanissimi, quando ancora correvano. Pierre Bellemans (che era passato prof nel ’72 con l’italiana Scic) se ne andò a 23 anni, Louis Verreydt a 27, Ludo Van der Linden (che corse nella Molteni di Merckx) e il protagonista di questo zoom Marc Demeyer a 32. In tanti nell’osservatorio, a metà degli anni ottanta, parlarono di morti legate all’abuso di Pot Belge, una miscela di farmaci, variamente costituito da caffeina, anfetamine, eroina, cocaina e altri analgesici. Si trattava di affermazioni basate su ragionamenti ed indicazioni mediche, aventi tra l’altro la logica lettura di tante quotidianità sportive di quei tempi, ma non legabili alla concretezza dei fatti e delle conseguenti dimostrazioni. In un caso, proprio quello di Demeyer, lungamente controllato in carriera e mai positivo anche al confronto con colleghi chiacchierati e del medesimo team (il Pot Belge vicino alle gare, era rilevabile anche all’antidoping di allora), addirittura portante l’incertezza su come si consumò la sua morte, perché ancora oggi, a distanza di oltre trenta anni, c’è chi giura che si sia suicidato. D’altronde, la legislazione belga tutela la privacy da decenni e decenni, in maniera ben diversa dalla superburla italiana. Inoltre, va pure detto, che talune malformazioni cardiache sono difficilmente rilevabili ancora oggi e le visite ed i controlli di quei tempi, ovviamente, erano assai meno efficaci.

Ma torniamo alla vita e alla carriera di Marc Demeyer….
La delusione per non aver corso le prove iridate di Mendrisio, trovarono ulteriore spago nella ferma olimpica per Monaco ’72, poi dischiusasi in un “nulla di fatto”. Marc, voleva comunque passare prof, niente valeva quell’obiettivo, nemmeno la partecipazione all’Olimpiade; tra l’altro la Flandria, aveva già bussato alla sua porta, a fine ’71. Nella primavera ’72 poté così correre qualche gara professionistica come “aggregato” al citato team, ma non poteva stringere contratti fino a quando non fossero state ultimate le iscrizioni ai Giochi. Finalmente, nel primo mattino del 26 agosto ’72, Briek Schotte, il mitico nocchiero delle maglie biancorosse, poté fargli firmare il suo primo contratto professionistico e sei ore dopo l’aver posto il “sì”, nella Dwars door Vlaanderen, la semi-classica che segnava il suo esordio ufficiale nell’elite, Marc Demeyer andò a vincere! Se vogliamo, un vero e proprio record. Il giorno seguente, in Vallonia, a Fay le Franc, trionfò nel GP Samyn e dieci giorni dopo, in Francia, superò in volata Eric Leman e fece suo il GP Isbergues. La “Locomotiva del gruppo” era arrivata.

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La scheda di Demeyer
Nato ad Avelgem il 19 aprile 1950, deceduto a Merelbeke il 20 gennaio 1982. Passista veloce, alto 1,88 per 86 kg. Professionista dal 1972 al 1982 con 72 vittorie.

Marc portò in dote alla già mitica Flandria di Schotte un fisico imponente, una potenza e un’abilità di pedalata che esaltavano uno stile tra i più belli e redditizi del gruppo e ad impreziosire queste qualità, un carattere tanto forte quanto poggiato su bontà ed un altruismo che, in una equipe come quella biancorossa, era come la brezza in un giorno di solleone. Tra l’altro, fin dalle prime pedalate, s’era capito che Demeyer era in grado di vincere su ogni tipo di volata o con l’affondo dei finisseur, così come poteva rappresentare il fulcro o la cinghia ideale delle pedine di squadra.
Il suo arrivo in Flandria, coincise con una fase di grandi cambiamenti in un sodalizio che s’era caratterizzato negli anni sessanta, come il vivaio di vertice di un ciclismo belga che stava confermando il suo ruolo di primaria potenza mondiale, non solo per la presenza di Eddy Merckx, ovvero il ciclista più forte di tutti i tempi. Cambiamenti favoriti e concretizzati pure da fatti tragici avvenuti nel ’71, come la morte in corsa dell’iridato Jean Pierre Monseré, o il grave incidente stradale che aveva coinvolto l’intera famiglia di Eric Leman (moglie morta, figlia e sorella ferite seriamente e lui con una con commozione cerebrale), Eric e Roger De Vlaeminck. Dei menzionati solo il maggiore dei De Vlaeminck, ormai tutto dedicato al ciclocross, era rimasto in biancorosso nel ’72 e, agli inizi del ’73, c’era un certo scetticismo attorno al club. Anche perché avevano lasciato la Flandria, anche i tulipani Jan Janssen (comunque in chiaro declino) e Joop Zoetemelk, mentre fra i considerati big era tornato il solo figliol prodigo Walter Godefroot.
Il cilindro di Briek Schotte però, aveva delle armi giovani e forti, si potrebbe dire “come sempre”, vista la carriera da tecnico dell’astuto ex iridato su strada. E Marc Demeyer, fu uno dei tre che segnarono l’ultimo lustro stellare dello storico sodalizio biancorosso. Gli altri due, furono il fenomenale fuoriclasse Freddy Maertens (grande amico di Marc), ed il già semicalvo dalla pedalata sgangherata (nel ciclismo di oggi ce ne sono di peggio….) ma redditizia, Michel Pollentier.
Marc divenne l’anima biancorossa nelle fasi di pianura, fino ad introdurre, con la sua potenza dirompente (oggi quello che faceva lui da solo, lo fanno in quattro!), le regali volate dell’amico e capitano Maertens. Ma era pure lui un capitano, come dimostrarono i successi nel GP Denain (’73), nel GP Cerami (’74), GP della Schelda (’74 e ‘77), e nella classica Parigi-Bruxelles (’74) quando, con un’azione da finisseur insuperabile, in una giornata massacrante per la pioggia, castigò Roger De Vlaeminck e tutti i migliori corridori del mondo (escluso Merckx che non fu al via). Soprattutto, dimostrò i suoi grandi mezzi nel 1976, quando fece sua la Parigi Roubaix, annichilendo Moser, nuovamente De Vlaeminck, Kuiper, Godefroot, Merckx e Raas. Anche nelle grandi corse a tappe lasciò il segno: vinse due frazioni al Giro d’Italia ‘77 (l’unico a cui partecipò), mentre nei sei Tour de France che lo videro allo start, vinse due tappe (nel ’78 e ’79), conquistando due volte, nel '73 e '75, la classifica dei Punti Caldi. Tanti anche i successi in frazioni di giri minori, così come diversi furono i suoi piazzamenti nelle corse più importanti. Fu due volte 3° nel Ronde van Vlaanderen, nel '75 e '76, e finì 2° nel ’79, un minuto dietro al vincitore Jan Raas; chiuse poi 3° la “Roubaix” ’74 e fu 2° nelle Parigi Bruxelles del '77 e dell'80.
La chiusura della Flandria a fine ’79, segnò una flessione nelle prestazioni di Demeyer: le tre stagioni passate rispettivamente con Ijsboerke, Capri Sonne e Splendor, non furono infatti degne delle precedenti e delle attese. In più, s’aprì nell’orizzonte di Marc, una serie di problemi personali e per la “Locomotiva del gruppo”, scese il grigio. Si indebitò a causa di investimenti sballati (medesima situazione la provò anche l’amico Maertens) e si trovò a camminare in un mare di chiacchiericcio. Secondo i più, poco prima del maledetto 20 gennaio 1982, la sua situazione negativa era stata superata, ed aveva allungato il contratto con la Splendor, tanto da ritrovare il sorriso. Secondo altri, invece, i guai erano rimasti tali, al punto di decidere di lasciare questo mondo. Quale verità? Per la poca importanza che può avere, il sottoscritto pensa che in quel 20 gennaio, Marc Demeyer sia proprio morto nel suo letto a causa di un arresto cardiaco, lasciando nel dolore più atroce, la moglie e i due figli. Così come tristi e addolorati rimasero quei tanti appassionati di ciclismo, che non potevano che amare quel gigante buono, “Locomotiva del gruppo”.

(Morris)


Morris

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herbie ha scritto: per quanto riguarda Canavesi, ti ringrazio molto e aspetto. Oltre alla vicenda del sellino, pare che raccontasse anche che qualcuno gli passò una borraccia contenente della benzina o olio per macchine. Memorabile credo fu la fuga nella breve (per l'epoca) e nervosa tappa di Ascoli Piceno con cui per poco non riuscì a ribaltare del tutto quel Giro. Non vorrei ricordare male, ma mi pare non avesse grande simpatia per Bartali, che pure aveva amicizie qui a Varese assai più di Coppi, e una grande stima invece per Valetti. Purtroppo molte vittorie gli sfumarono per la poca brillantezza allo sprint. Ma credo che doveva essere un personaggio con una carica emotiva e umana straordinaria....
Per quanto riguarda la squadra giovanile femminile, bisogna dire che la società più prestigiosa e importante è quella di Gorla Minore. Tuttavia, il talento credo più grande del ciclismo femminile passato dalle nostre parti, ha militato invece dalla nostra parte....e sono ancora orgoglioso di essere stato suo compagno di squadra...
Su Canavesi, l’episodio che citi, accadde ad un rifornimento in un Giro d’Italia e si trattava di un fiasco contenente acqua e benzina. Non ricordi male su Bartali (che a suo giudizio non gli era superiore in salita). Canavesi era l’unico del gruppo di varesini (tutti amici fra l’altro) che preferiva a Ginettaccio, Fausto Coppi….. e, soprattutto, Giovanni Valetti (a mio giudizio il corridore più sottostimato del ciclismo italiano fra le due guerre).

Nel ciclismo femminile dei miei tempi, le trasferte per correre nel varesino erano frequenti. Per qualche anno nella tua provincia sono state tre le gare: una a Cittiglio, poi diventata prova di CdM, quindi a Gorla Minore e a Caravate. Che fra le due Gorla, vicinissime fra loro, Caravate e Cittiglio ci fossero circa cinquanta chilometri, per noi era ininfluente, vista la pesantezza delle trasferte che ti obbligava quel ciclismo. Per l’ambiente, a farla da padrona nelle tue zone, era la CSI Ju Sport del presidentissimo Mantegazza e del diesse Ugo Menoncin (col quale, quando venivo alle corse, stavo sovente a parlare), mentre l’organizzatore per eccellenza che non potevi dimenticare, era proprio quel Mario Minervino di Cittiglio che poi ha “fatto carriera”, ma che a quei tempi ti faceva scoppiare per qualche lira in più di rimborso. La Ju Sport è stata una società vincente come poche nell’intera storia del ciclismo femminile, a livello giovanile probabilmente la migliore in Italia, considerando la continuità che ha saputo esprimere. In quel sodalizio sono cresciute o son passate ragazze epocali come le sorelle Cappellotto, Noemi Cantele e Sigrid Corneo, ed altre che han lasciato una bella traccia, come la Loschi, la Zugno e Moira Tarraran. Non so a chi ti riferisci quando parli del talento più grande passato dalle tue parti, proprio perché mi è difficile fare distinzioni fra i vostri comuni. Ti posso solo dire che per me, il talento più forte di quel tassello varesino, nato e cresciuto lì, è stata una che ha corso troppo poco su strada, ma che aveva numeri notevoli: Claudia Marsilio. Credo sia di Fagnano Olona, ma posso sbagliare.

Ciao Herbie!


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lapi_dario ha scritto:ma sei quel Maurizio Ricci che ha perso tipo 40 chili in un amen?
Quaranta mi sembrano un po’ troppi....diciamo che sono stati trentadue, in un amen lungo un anno. E diciamo ancora, che qualcuno ha applicato su se stesso, insegnamenti ed esperienze, che per cinque lustri ha destinato ad altri......
Ma tu chi sei per sapere cose del genere? ;) :D


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Morris ha scritto:
lapi_dario ha scritto:ma sei quel Maurizio Ricci che ha perso tipo 40 chili in un amen?
Quaranta mi sembrano un po’ troppi....diciamo che sono stati trentadue, in un amen lungo un anno. E diciamo ancora, che qualcuno ha applicato su se stesso, insegnamenti ed esperienze, che per cinque lustri ha destinato ad altri......
Ma tu chi sei per sapere cose del genere? ;) :D
anzitutto mi auguro lei abbia perso peso di sua sponte e non per altri motivi :cincin:

nel merito: mi interessava chi si celava dietro al suo nick, al solo fine di trovare eventuali pubblicazioni cartacee

poi google ha fatto il resto :)

p.s. comunque trattasi di invidia di chi per perdere 35 chili ci ha messo quasi 2 anni :hippy:


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Morris ha scritto: Ti posso solo dire che per me, il talento più forte di quel tassello varesino, nato e cresciuto lì, è stata una che ha corso troppo poco su strada, ma che aveva numeri notevoli: Claudia Marsilio. Credo sia di Fagnano Olona, ma posso sbagliare.
azz.
Questa me la segno e quando mai dovessi rivederla gliela riferisco PARI PARI. Allenava alcuni miei amici per un team juniores di Fagnano, e qualche volta facevo loro compagnia. All'epoca, non lontana, correva in MTB.
Io mi riferivo a Elisa LB. Ha corso vari anni nelle categorie giovanili a Gorla Maggiore, con la nostra maglia la ricordo molto bene.


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herbie ha scritto: azz.
Questa me la segno e quando mai dovessi rivederla gliela riferisco PARI PARI. Allenava alcuni miei amici per un team juniores di Fagnano, e qualche volta facevo loro compagnia. All'epoca, non lontana, correva in MTB.
Io mi riferivo a Elisa LB. Ha corso vari anni nelle categorie giovanili a Gorla Maggiore, con la nostra maglia la ricordo molto bene.
Beh Elisa Longo Borghini è davvero un gran talento, ma non l'associavo a quella zona varesina. Comunque, se oggi dovessi ricostruire un team femminile di vertice, come ho fatto per una decina d'anni, partirei proprio da lei e non perché è italiana. ;)


Morris

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lapi_dario ha scritto: anzitutto mi auguro lei abbia perso peso di sua sponte e non per altri motivi :cincin:
nel merito: mi interessava chi si celava dietro al suo nick, al solo fine di trovare eventuali pubblicazioni cartacee
poi google ha fatto il resto :)
p.s. comunque trattasi di invidia di chi per perdere 35 chili ci ha messo quasi 2 anni :hippy:

Abbandona il lei perché non son nessuno e sono pure vecchio. ;) :D
Ho perso tutti quei chili ed anche se chi mi vedeva pensava ad una malattia, costei fortunatamente non c'era. A spingermi sono stati gli acciacchi. Poi, a fare da lima, la scoperta di saper ancora fare il muratore, camminate (mai corsa o macchine in palestra) fino a 8500 metri l'ora e solo 900-1000 calorie per 6 giorni la settimana, ed uno al ristorante con abbuffata di pesce. Tornato atleta, nonostante le inseparabili sigarette, un'ernia ombellicale che era lì tranquilla da trentacinque anni, s'è arrabbiata al punto di portarmi in sala operatoria. Tutto bene, grazie a mia figlia che ha chiamato il 118: bastava un ritardo di un'ora e l'operazione da 50 minuti sarebbe passata a cinque ore, lasciandomi in eredità uno stomaco dimezzato. Ancora atleta, la mansarda finita con una spesa ridicola rispetto al valore acquisito dall'immobile e quei tanti sacchi, potrei dire tonnellate portate in spalla su 22 gradini di scala (proprio come vorrebbe sempre Zeman dai suoi giocatori). Poi un giorno ho subito il distacco del vitrio nella parte nobile dell'occhio destro. Impressionato, una oculista ex ginnasta, quasi coetanea, ma bellissima e con l'aspetto di una max-quarantenne, m'ha curato ed ho recuperato tutto. Mi ha imposto di non fumare più però, e questo m’ha letteralmente cambiato la vita. Oggi non sono più l’atleta del 2013-2014,ed ho recuperato il 50% dei chili che avevo perso….
Un fumatore è un tossico e rimane per anni così anche dopo essersi tolto il tabacco. Io non fumo da luglio 2014, ma sono ancora un tossicodipendente che ha una irrefrenabile voglia di mangiare ….e di fumare. Non riuscirei mai a vivere con 1000 calorie al giorno ….e nemmeno con 1500….
Caspita, e questo cosa c’entra col Ronde van Vlaanderen? :D
Mi sono lasciato andare, chiedo scusa a tutti. :gluglu:

Ciao Dario!


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Re: Fiandricolando....

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Morris ha scritto:e questo cosa c’entra col Ronde van Vlaanderen?
40 chili e Oude Kwaremont per me pari sono :)
Morris ha scritto:Mi sono lasciato andare, chiedo scusa a tutti
piuttosto chiedo scusa io per aver varcato la soglia del privato :nonono:
Ciao Dario!
saluti Morris, e grazie per i tuoi memorabilia :trofeo:


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Amo le strade delle Fiandre.
Le amo perché come possono essere la storia del ciclismo, le stradine comunali di un paesaggio insipido.Se le fai in macchina, o a piedi, sono uno dei posti più anonimi del pianeta. La loro vera anima la puoi vedere solo quando sali in bici.
Le amo perché non hanno i paesaggi imponenti dei passi alpini, non hanno i colori delle strade costiere, non hanno l'immensità di pianure da passista. Sono un dedalo di curve, ciclabili marciapiede, lastre di cemento, strisce fangose di ruote di trattore, schizzi di letame.
Le amo perché entri a Geraardsbergen, ti destreggi nel traffico, attraversi come puoi un posteggio, poi prendi una specie di vialetto sulla destra. Un centinaio di metri tra le foglie cadute, una cinquantina di falsopiano a fianco di un ristorante che odora di patate fritte, ancora una curva a tirare su, le pietre ti rimbalzano un po', specie se sei un rachitico come me che dovrebbe restare a casa sui Pirenei, ma due signore anziane che passeggiano quasi più veloce di te ti dicono "op op", ed è subito la chiesetta. Ti guardi indietro e ti chiedi, ad Aprile quanti belgi ci entrano in quel chilometro scarso?
Le amo perché da qualunque punto di paesini tutti uguali, in stradine tutte uguali, tra campi tutti uguali, i miei amici fiamminghi sanno sempre dirti "lì c'è il Molenberg", come da bambino in montagna mio padre mi diceva "là c'è il Cervino, là il Monte Bianco, là il Gran Paradiso". Solo che quelli erano quattromila, io la prima volta che ho fatto il Molenberg da solo ci sono passato davanti quattro volte, prima di capire che dovevo infilarmi in quello che a me sembrava il vialetto di un ristorante.

Le prime volte che le ho percorse, pensavo di amarle perché i Muri delle Ardenne Fiamminghe sono Muri del Pianto, non Muraglie Cinesi. La storia non si misura a chilometri, ma a centimetri. Appena iniziata è già finita e ti ha lasciato il telaio sporco di fango. Ma di quel fango che quasi ti dispiace toglierlo.
Poi di colpo capisci che alla fine questa è solo retorica stantia, e la Storia è una leggenda essa stessa. Vari tratti ora venerati come dei sono stati ignorati per anni, aggiunti quasi per caso, scambiati per vantaggi economici più o meno trasparenti, asfaltati e ripietrati, inventati di sana pianta da residenti locali che volevano veder passare la Ronde davanti a casa.

E allora le amo ancora di più da quando ho capito che la storia del ciclismo non sono le strade, ma il popolo delle Fiandre. Testardi campagnoli che nella loro mente vedono la forza bruta come un attributo divino, insulsi tratturi come i Campi Elisi, pendenze insensate come scale per il paradiso, e facce belluine sporche di fango come maschere di eroi. Ma ci credono così forte che alla fine convincono anche te. Anche perché il nettare degli dei ce l'hanno davvero :drink:


“Solamente i corridori al top della condizione possono dire che il Fiandre è difficile: per gli altri è una vera e propria via crucis” A. Tafi
Morris

Re: Fiandricolando....

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Ronde ha scritto:Amo le strade delle Fiandre.
Le amo perché come possono essere la storia del ciclismo, le stradine comunali di un paesaggio insipido.Se le fai in macchina, o a piedi, sono uno dei posti più anonimi del pianeta. La loro vera anima la puoi vedere solo quando sali in bici.
Le amo perché non hanno i paesaggi imponenti dei passi alpini, non hanno i colori delle strade costiere, non hanno l'immensità di pianure da passista. Sono un dedalo di curve, ciclabili marciapiede, lastre di cemento, strisce fangose di ruote di trattore, schizzi di letame.
Le amo perché entri a Geraardsbergen, ti destreggi nel traffico, attraversi come puoi un posteggio, poi prendi una specie di vialetto sulla destra. Un centinaio di metri tra le foglie cadute, una cinquantina di falsopiano a fianco di un ristorante che odora di patate fritte, ancora una curva a tirare su, le pietre ti rimbalzano un po', specie se sei un rachitico come me che dovrebbe restare a casa sui Pirenei, ma due signore anziane che passeggiano quasi più veloce di te ti dicono "op op", ed è subito la chiesetta. Ti guardi indietro e ti chiedi, ad Aprile quanti belgi ci entrano in quel chilometro scarso?
Le amo perché da qualunque punto di paesini tutti uguali, in stradine tutte uguali, tra campi tutti uguali, i miei amici fiamminghi sanno sempre dirti "lì c'è il Molenberg", come da bambino in montagna mio padre mi diceva "là c'è il Cervino, là il Monte Bianco, là il Gran Paradiso". Solo che quelli erano quattromila, io la prima volta che ho fatto il Molenberg da solo ci sono passato davanti quattro volte, prima di capire che dovevo infilarmi in quello che a me sembrava il vialetto di un ristorante.

Le prime volte che le ho percorse, pensavo di amarle perché i Muri delle Ardenne Fiamminghe sono Muri del Pianto, non Muraglie Cinesi. La storia non si misura a chilometri, ma a centimetri. Appena iniziata è già finita e ti ha lasciato il telaio sporco di fango. Ma di quel fango che quasi ti dispiace toglierlo.
Poi di colpo capisci che alla fine questa è solo retorica stantia, e la Storia è una leggenda essa stessa. Vari tratti ora venerati come dei sono stati ignorati per anni, aggiunti quasi per caso, scambiati per vantaggi economici più o meno trasparenti, asfaltati e ripietrati, inventati di sana pianta da residenti locali che volevano veder passare la Ronde davanti a casa.

E allora le amo ancora di più da quando ho capito che la storia del ciclismo non sono le strade, ma il popolo delle Fiandre. Testardi campagnoli che nella loro mente vedono la forza bruta come un attributo divino, insulsi tratturi come i Campi Elisi, pendenze insensate come scale per il paradiso, e facce belluine sporche di fango come maschere di eroi. Ma ci credono così forte che alla fine convincono anche te. Anche perché il nettare degli dei ce l'hanno davvero :drink:
:clap: :clap: :clap: :clap: :clap: :clap: :clap: :clap: :clap: :clap:

Cento Ronde van Vlaanderen sono passati. L’edizione 2017, quella del nuovo secolo del Monumento per eccellenza legato ad una corsa ciclistica, ha trovato qui la più talentuosa delle presentazioni!
Non ho mai letto in così poche righe, ermeneutica ed esegesi così ben definite, impostate, profonde ed esaurienti. Inutile dire che si dischiudono su zolle poetiche per darne una chiave romantica, senza averla ricercata.
Sono rimasto a bocca aperta per un po’ e poi mi sono commosso.
Una cornice di studio da destinare alle università.
Bravo!!!


herbie
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Re: Fiandricolando....

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:clap:
anche e soprattutto nella parola, la bellezza è sempre la traccia più sicura da seguire sulla via della verità.
Mi unisco agli applausi di Morris, e aspetto qualche altro ritratto fiammingo.


Morris

Re: Fiandricolando....

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Ludo Peeters, c’era, si sentiva, vinceva e faceva vincere.

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Nato a Hoogstraeten il 9 agosto 1953. Passista. Professionista dal 1974 al 1990 con 78 vittorie.
Con lui si incontra un corridore solido, di ottime qualità, regolare e con una grande capacità di fungere da cinghia di squadra. Ludo è da considerarsi a tutti gli effetti un passo obbligato della storia del ciclismo degli anni '80, non solo per le 78 corse vinte, ma per quelle che ha fatto vincere ai compagni. Un corridore che non si fermava mai e che sapeva aggiungere alle campagne primaverili ed autunnali delle classiche, anche un ottimo ruolino in estate, con la partecipazione al Tour de France, dove vinse 7 tappe (4 individuali e 3 cronosquadre) e dove fu capace, nelle 10 partecipazioni complessive, di giungere anche nella top ten della classifica generale: 8° nel 1980. Vesti inoltre per due giorni la maglia gialla (nel 1982 e ’84). Sempre nel 1980, a testimonianza del suo protagonismo, finì terzo nelle rassegne degli scalatori e nella classifica a punti. Un uomo di valore, anche fuori dalle strade, senza grilli per la testa, sempre pronto ad unire i compagni, ed un faro su un movimento dove comunque è restato anche dopo la carriera, senza però la presunzione di giocarsi un ruolo da protagonista divenendo manager, privo di quelle capacità che l’aver pedalato non dona, come tanti, troppi, suoi colleghi. I suoi successi erano perlopiù frutto di azioni da finisseur, dopo aver stravolto la resistenza degli avversari. Non aveva infatti una grande volata, ma una progressione tra le migliori mai viste negli ultimi 40 anni. Nelle classiche, la sua generosità verso i compagni, Raas su tutti, gli ha tolto vittorie, anche se alla fine delle prove, nell’osservatorio, insisteva la convinzione che fosse stato il più forte. Comunque, il suo palmares è degno e le classiche cosiddette monumento che ha mancato per poco (fu 2° al Fiandre nel 1983, 2° al Lombardia 1984), sono state compensate da altre sicuramente di valore. Le sue principali vittorie: Parigi-Bruxelles '77 e '79, Gran Premio della Schelda '80, l'Henninger Turm (più conosciuto come GP di Francoforte)'82 e '83, il Gran Premio d'Autunno '83, '85, il Campionato di Zurigo '85, il Tour de l'Aude e il GP du Midi Libre '77, Giro del Lussemburgo '78, il Giro del Belgio '85 e, per finire, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne '87. A ciò ha aggiunto decine di semiclassiche e tappe dei vari Giri in cui ha preso il via.

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Cyrille Van Hauwaert, il primo “Leone delle Fiandre”.

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Nacque il 16 dicembre del 1883 a Moorslede in Belgio. Van Hauwaert fu l'unico fiammingo ad entrare nella ristretta cerchia degli assi internazionali dei primi due lustri del secolo scorso, prima dell'avvento di Odile Defraye e Philippe Thijs.
Cyrille, raggiunse quella posizione a suon di risultati molto positivi e di condotte comunque sempre protagoniste. Per queste sue caratteristiche, fu il primo ad essere definito "Leone delle Fiandre". Il suo terreno ideale, al fine di mostrare pienamente le sue qualità, fu quello delle grandi classiche di un giorno, e di primavera, in special modo. Non disdegnò nemmeno il Tour de France, dove però non era in grado di eccellere, a causa di una certa incostanza.
Nel 1907, dopo un brillante secondo posto nella Parigi-Roubaix, trionfò con un vantaggio nettissimo nella Bordeaux-Parigi, a quei tempi classica seconda a nessuna e gara dal fascino che farebbe ancora tanto bene al ciclismo iper-moderno, eiper-brutto d’oggi.
La primavera dell'anno successivo consegnò Cyrille alla storia del pedale per una impresa che poi riuscì solo all'irlandese Sean Kelly nel 1986 e al tedesco John Degenkolb nel 2015, ovvero vincere nella medesima stagione la Milano-Sanremo e la Parigi-Roubaix. Ma Van Hauwaert stava per fare un magnifico tris con la Parigi-Bruxelles, dove fu costretto ad inchinarsi al solo Petit Breton e non gli riuscì per poco il poker, con la Bordeaux-Parigi, dove giunse ancora 2° dietro al francese Trousselier.
Nel 1909 partecipò al Tour de France, vincendo la frazione d’apertura: la ormai per lui solita Parigi-Roubaix. Si piazzò poi quinto nella classifica generale finale. In precedenza, aveva vinto nuovamente e col medesimo piglio, la Bordeaux-Parigi e si era laureato campione belga assoluto. Nel 1910 vinse la Parigi-Menin e colse nelle gare più importanti solo piazzamenti, ma tutti di prestigio assoluto: fu secondo nella Roubaix dietro a Lapize, terzo nella Parigi-Bruxelles e quarto nella classifica finale della Grande Boucle. Dal 1911, Cyrille Van Hauwaert, iniziò ad alternare l'attività su strada con quella su pista. Su strada non trovò più gli acuti di un tempo anche se fu ancora protagonista e colse significativi piazzamenti, in particolare due secondi posti, alla Parigi-Tours nel 1911 e alla Parigi-Bruxelles nel 1913. Su pista, invece, fu un evidente ancora per parecchi anni, specialmente in qualità di seigiornista. La sua vittorie più belle furono nella Sei Giorni di Bruxelles, che vinse nel 1914 in coppia con John Stol e nel 1915 con Joseph Van Bever. Cyrille Van Hauwaert è morto, novantunenne, il 15 febbraio 1974, a Zellik, in Belgio.

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Un fiammingo anomalo…..

Richard Van Genechten, da clown mancato ad ottimo corridore.

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Nato nel quartiere fieristico della capitale belga, subì gli influssi della zona di nascita e, venuto a contatto con le attività circensi, che nella zona erano frequenti, pensò addirittura di diventare un clown. Di piccola statura, vivace ed allegro, si sentiva tagliato per il ruolo. Poi, cambiò idea e scelse la bicicletta, più che altro per divertirsi. Anche le prime gare furono vissute così, ma poi, trovandosi spesso tra i primi, pensò a qualcosa di più. La sua crescita nelle gare più difficili fu palpabile e quando fra i dilettanti, nel 1952, vinse il prestigioso G.P. Faber, la sua scelta verso il ciclismo fu definitiva.
Dopo un breve periodo fra gli indipendenti, dove vinse, con la presenza dei professionisti più affermati, il Circuit Dinantais, ed una tappa durissima nella Vuelta delle Asturie, la “Garin”, fortissima squadra professionistica belga diretta da Guillaume Driessens, l’undici giugno del 1953, lo fece passare nella massima categoria.
Scalatore, da considerarsi fra i più forti perlomeno in patria, fu fatto esordire subito al Tour de France, dove si classificò 33°. La sua prima vittoria con lo status di professionista, fu il Criterium di Bruxelles, a fine agosto dell’anno di esordio. Nel ’54 vinse il Trofeo Polymultipliee e, soprattutto, giunse terzo nella classifica finale dei GPM al Tour de France, dietro Bahamontes e Bobet, due “impossibili” per lui e per gli altri. L’anno successivo, vinse una tappa del Giro del Belgio ed al Tour fu protagonista di una stoica tappa sul Mont Ventoux, dove diede davvero tutto, arrivando però staccato e cianotico, facendo temere un po’ tutti. Il medico di corsa gli somministrò ossigeno in ambulanza e lo ricoverò per precauzione in ospedale, ma la mattina dopo, il peperino ripartì, anche se qualche giorno dopo si ritirò.
Il ’56, fu l’anno più grande per il minuscolo e gaio Van Genechten. Vinse con un arrivo in solitudine la Freccia Vallone e giunse 2°, sia alla Gent Wevelgem che alla Liegi Bastogne Liegi. Nella medesima stagione rivinse il Trofeo Polymultipliee e altre tre corse minori. Dopo un 1957 avaro e con un solo successo ad Anderlecht, nel 1958, il piccolo Richard, tornò a ruggire, vincendo il Giro di Catalogna (primo belga a riuscirvi) e due tappe dello stesso, nonché la classifica a punti.
Durante l’anno s’affermò anche a Wavre, Westrozebeke e a Geraardsbergen.
Il successo nel GP di Lendelede ‘59, fu il suo canto del cigno. Problemi fisici lo fermarono per tutto il 1960 e nel 1961, quando capì che la sua stagione era al lumicino, abbandonò l’attività agonistica.

La sua vittoria più bella: Freccia Vallone 1956

Fra i 154 partenti da Charleroi, entrambi i Campioni del mondo di Frascati. Faro indiscusso, perché la maglia iridata la vestiva e si trovava nelle vesti di vincitore uscente: Stan Ockers.
Tanta curiosità, invece, per Sante Ranucci, il viterbese di Montefiascone che, dopo il massimo titolo fra i dilettanti, si trovava da due mesi e mezzo a correre coi professionisti e la Freccia Vallone rappresentava la sua prima partecipazione ad una classica all’estero.
Entrambi divennero poi dei protagonisti di quella Freccia. La corsa, anche per la giornata semi-estiva, si mosse veloce e visse su diversi tentativi. Sulla Cote de Forges, proprio su iniziativa di Ockers, il gruppo, già assottigliato, si spaccò e davanti rimasero poco più di trenta corridori. Sulla Cote d’Ereffe, scattò uno dei meno attesi, il piccolo belga Richard Van Genechten. La sua azione, sottostimata dagli altri, ed unita ad uno stato di forma come mai nella carriera del minuscolo corridore di Bruxelles (il giorno dopo Van Genechten, arriverà secondo, per un niente, nella Liegi-Bastogne-Liegi….), si dimostrò subito competitiva e, poi, vincente. All’arrivo di Liegi, dopo aver percorso gli ultimi duecento metri a braccia alzate per l’esultanza, il belga anticipò di una cinquantina di secondi, proprio Sante Ranucci che, nel finale, era uscito dal gruppetto dei più forti. La volata dei grandi battuti di giornata, valida per il terzo gradino del podio, fu vinta da Andrè Vlayen su Stan Ockers.
Sia per Van Genechten che per Ranucci (che, incredibilmente, non vincerà mai una corsa fra i professionisti), quel 5 maggio 1956, rappresenterà il giorno più radioso della loro carriera professionistica.

Morris


giorgio ricci
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Re: Fiandricolando....

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Ludo Peeters è stato un altro dei miei idoli da ragazzino.
Ricordo che era sempre presente nelle classiche come aiuto ai capitani e che ogni tanto gli veniva lasciata via libera.
Lo vedevo come il simbolo del ciclismo , un corridore forte, coriaceo , che si metteva al servizio dei campioni , ( Raas , ma anche Van der Velde nella Liegi che lo vide poi squalificato. ) ma che non aveva nulla da invidiare a molti di essi.
Mi stupiva come fosse piazzato negli ordini di arrivo di corse con caratteristiche diversissime, dalla Roubaix alla tappa di media montagna al Tour.
Personalmente, per ragioni anagrafiche , inizia a seguirlo negli anni 80. Fu con lui che scoprì l'inportanza di classiche come il Campionato di Zurigo, l'Henninger turm e la Parigi Tours. Mi domandavo anche perché un corridore così non potesse essere capitano, in seguito capii che probabilmente era un signor corridore ma non un fuoriclasse e che lui per primo conoscesse i suoi limiti.
Per me l'85 fu la sua stagione migliore per le classiche mentre il Tour 80 rimane il suo capolavoro come GT.
Me lo ricordo secondo nell'85 al Tour nella tappa in cui Hinault si ruppe il naso. Dopo quell'anno iniziò il suo declino, era pure il declino di un epoca .vinse ancora una tappa al Tour 86 , il suo vero canto del cigno .
Ennesimo Chapeau ,Morris .


Morris

Re: Fiandricolando....

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Eccolo qua, uno che rende capre, certi conta-vittorie che voglion fare gli storici e che non sanno andare oltre gli albi d’oro.......

Frans Verbeeck, un campione, altroché!

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Nato a Wilsele il 13 giugno 1941. Professionista dal 1963 al 1966 e dal 1968 al 1977, con 168 vittorie. Un corridore fortissimo, tagliato per le classiche, di grande temperamento, ed in possesso di classe sufficiente per cercare la vittoria di forza. Un campione, che più di tanti altri, s’è trovato il pur eccellente e cospicuo palmares, contenuto perlomeno nelle punte, per essersi trovato a correre con la più grande generazione di corridori belgi e quel mostruoso atleta di nome Eddy e cognome Merckx. Uno che ha cercato di battere quel despota straordinario, anteponendo alla tattica o all’attesa di una speranza, la sfida, con quei testa a testa che i colleghi evitavano quasi sempre, magari facendo scendere sulle strade tanto i gregari quanto gli stessi colleghi campioni, per un gioco a tenaglia. Frans no! Guardava il sire in faccia e affondava i colpi solitari o in coppia con lui stesso, per poi giocare il tutto in quello sprint a due, come si soleva fra due dominatori. Ha perso quasi sempre, ma è stato l’unico a tentare con quella continuità, ed a merito dei suoi grandissimi valori, va un ruolino di piazzamenti nelle classiche che non ha paragoni, se non si vogliono scomodare lo stesso Merckx, ed il più grande vincente dopo Eddy, Rik Van Looy. Quanto basta per dire che Frans Verbeeck, è il corridore più sottovalutato dagli storici, i quali dovrebbero guardare il ciclismo con la medesima legge che grava sullo sport intero e che tanto anima i colleghi di altre discipline: ovvero far pesare i piazzamenti ed i valori in campo. Ma la storia di Frans è davvero singolare, in tutto. Da dilettante si trovò a pedalare e subire colui che ancora oggi, rappresenta il Merckx dei “puri”, Jos Wouters, un autentico “winner” che lo relegò per ben 39 volte al secondo posto. Passato professionista, nonostante la militanza in una squadra leader come la Wiel’s-Groene Leeuw, in un quadriennio raccolse risultati troppo modesti per poter pensare di prosperare nel ciclismo. Oddio, nel ’64, vinse il Giro delle Fiandre per Indipendenti, ma fra gli elite del ciclismo, non andò oltre a cinque kermesse e ad una miriade di piazzamenti comunque in gare minori. Alla fine del 1966, a soli venticinque anni, decise di dedicarsi a qualcosa che gli potesse garantire il pane, o perlomeno avviarlo ad una professione che si potesse protrarre per una vita. In fondo era già padre da tempo. Cominciò così a distribuire il latte dell’azienda di famiglia, in tutte le maniere, dal furgoncino, alla moto, fino alla bicicletta. Ma l’amore verso il ciclismo non si sopiva e quando ai margini delle strade vedeva una corsa, ricominciava in lui la voglia di cimentarsi nuovamente, perché in fondo non si sentiva inferiore a chi sovente sollevava le braccia al cielo. Nell’inverno del ’67, cominciò a riprendere gli allenamenti, seriamente, coprendosi di sforzi che, fino a quel momento, erano stati per lui solo un “sentito dire”. Iniziò a pedalare con la neve anche quando questa raggiungeva centimetri e centimetri, a correre anche con la bici in spalla come se fosse un ciclocrossista, ed a fare tanti esercizi ginnici. A primavera cercò squadra e la trovò nella numerosa, ma non forte, Okay Diamant, ed a maggio del 1968, riprese l’avventura e sfondò. Dal 1969 il suo fu un autentico crescendo. I suoi mezzi erano eccellenti, al punto di consentirgli di entrare a pieno titolo fra i grandi di quella generazione belga che, oltre a Merckx, poteva contare su Roger De Vlaeminck, Maertens, Van Springel, Godefroot, Leman, Dierickx ecc.
Quando chiuse col ciclismo, nel 1977, il suo cospicuo bottino di vittorie, aveva raggiunto le 168 unità, anche se molti “vocabolari” ne perdono cinque. Fra i suoi successi, vanno ricordati il Campionato del Belgio ottenuto su Merckx nel '73, che suonò come rivincita della vittoria al fotofinish di Eddy nella Liegi-Bastogne-Liegi del medesimo anno; la Freccia Vallone, tre Het Volk, l’Amstel Gold Race, due Giri del Lussemburgo, il GP della Schelda, la Freccia del Brabante, il GP E3 Harelbeke, due GP d'Antibes, il GP de Cannes e la Cras-Avernas. Le sue terre di maggiori conquiste sono state il Belgio e la Francia. In Italia, pur piazzandosi più volte, ha vinto una tappa della Tirreno-Adriatico '73. Ma se le 168 vittorie dicono tanto, ancor più narrano al valore di Frans, questi piazzamenti nelle classiche, o in corse importanti. Secondi posti: 3 nella Freccia Vallone, 3 nel GP di Francoforte, 2 nella Liegi Basto-gne Liegi, 2 nel Giro delle Fiandre, indi Parigi-Tours, Parigi-Bruxelles, Gand-Wevelgem, Amstel Gold Race, Tirreno-Adriatico. Terzi posti: 2 nella Liegi Bastogne Liegi, indi Giro delle Fiandre, Giro di Lombardia, Parigi-Tours, Freccia Vallone, Campionato di Zurigo e il GP di Francoforte. Quarti posti: Milano Sanremo, Liegi Bastogne Liegi, Giro delle Fiandre, Parigi-Tours, Bordeaux-Parigi, Campionato del Belgio. Quinti posti: Giro di Lombardia, Parigi-Bruxelles, Gand-Wevelgem. Riassumendo il suo ruolino nelle classiche, lo ritroviamo per ben 70 volte fra i primi dieci e se poi vogliamo dare un pizzico di significato aggiuntivo sulla sua longevità, in un’epoca dove per “mille motivi” le longevità nelle loro rarità, pesavano assai di più di quelle odierne, possiamo registrare che nel 1976, a 35 anni, vinse 19 corse con 11 piazzamenti nei primi dieci nelle classiche, e, nel ’77, nell’ultimo anno di carriera, vinse 12 gare, con 5 piazzamenti nei “top 10” delle grandi manifestazioni.
Nel 1972, il suo miglior piazzamento finale al Tour de France: 16°.
Frans Verbeeck ha corso sette mondiali, ininterrottamente dal 1970 al 1976, contribuendo a quattro successi di suoi connazionali (Monserè, due volte Merckx e Maertens). Finì ottavo per tre volte nel 1970-’71 e ’72. Che dire ulteriormente di Frans? Meriterebbe un romanzo…

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Prima di essere un diesse di "peso"........

Walter Planckaert, l'astuto....

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Nato l’8 aprile 1948 a Nevele (Belgio). Professionista dal 1969 al 1985 con 74 vittorie. Secondo di tre fratelli che hanno davvero segnato una dinastia. Anche i loro figli, in attesa dei nipoti, sono finiti sulla bicicletta, ed un paio fra i professionisti. Walter, forse meno dotato rispetto al maggiore Willy e al fratellino Eddy, era però il più tattico, non a caso, a carriera d’atleta finita, ne ha iniziata una, ancor più vincente, da direttore sportivo.
Si segnalò da dilettante come un astuto, capace di succhiare le ruote e di spendere il meno possibile in corsa, anche perché se il tracciato presentava salite, era sempre costretto a difendersi. Passò presto fra i professionisti (aspetto in ogni era della storia del pedale estremamente positivo per l’atleta), a soli venti anni e quelle caratteristiche le mantenne. In altre parole, il suo spunto veloce, di nota, ma non certo di uguale spessore a quello di Willy, diveniva letale, perché a monte sapeva correre per giungere lì, col massimo possibile delle proprie forze di giornata. Sul passo era bravo, sapeva vedere bene la corsa e sapeva affrontare le salite che lo interessavano, ovvero quelle delle classiche, giocando al meglio la potenza di cui disponeva. Ovviamente era inesistente nei grandi giri a tappe, mentre era un possibile in quelli corti e non troppo duri. La sua vittoria più bella l'ottenne nel Giro delle Fiandre ‘76, quando riuscì a sorprendere di misura Moser. Altri successi di primo rilievo: l'Amstel Gold Race ‘72 e il Giro del Belgio ‘77, nel quale vinse pure tre tappe, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne ‘73 e ’79, l’E3 Prijs Harelbeke ’76, il GP Scherens, il GP di Vallonia e la Bruxelles-Ingooigem nel 1977, la tappa di Bruxelles al Tour de France ’78 e l’Attraverso il Belgio nel ’77 e ’84. Appesa la bicicletta nell’85, ad inizio ’86, divenne DS della Panasonic, con Peter Post.

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Non vinse il Fiandre, ma è un immortale nel cuore di Roeselare.....

Valere Ollivier, il vispo e generoso folletto.

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Nato il 21 settembre 1921 a Roeselare, ed ivi deceduto il 10 febbraio 1958. Passista veloce. Professionista dal 1943 al 1955 con 102 vittorie. Piccolo, muscolarmente compatto, naso all’insù e faccia da eterno bambino. Con questi tratti si rendeva distinguibilissimo e pareva urlare come fonte di esattezza quel nomignolo, “Pim”, che lo ha sempre accompagnato. Il suo corpo era uno stereotipo del velocista in voga a quei tempi, soprattutto su pista e lui, effettivamente, veloce lo era dappertutto, anche nel sorriso e nella suo essere gaio anche fuori dalle corse. La bicicletta era tutto per Valere Ollivier: lo strumento per sconfiggere la povertà, per mostrare i suoi virtuosismi, per divertirsi. Insomma, uno rapido sui traguardi e, purtroppo, anche nel morire, a soli 37 anni.
“Pim” però, ha lasciato un solco, che la comunità di Roeselare, la sua cittadina nelle Fiandre occidentali, ha raccolto, immortalandone la memoria attraverso l’intitolazione di una strada.
Una traccia profonda che non si spiega solo con le 102 vittorie (a quei tempi davvero una razzia), ma con le condotte e quella popolarità che si sublimava costantemente col suo essere personaggio. Era pure generoso Valere: sapeva di essere un gran bel velocista e di non avere doti di fondo enormi, eppure tentava le fughe ed in esse tirava, pagandone sovente gli effetti nel momento in cui, soprattutto nelle grandi classiche, doveva sprintare. Già, perché se i successi sono stati 102, i piazzamenti davvero non si contano. Insomma, un gran bella figura, poco nordica e molto latina, sempre pronta allo scherzo e col colpo da ko, quando si trattava di cercare la vittoria con a monte energie sufficienti. Tecnicamente un velocista che sapeva divenire passista, ma che mal digeriva le salite lunghe, o medie. I muri li affrontava bene, ma se erano troppo ravvicinati ne pagava le conseguenze. Ha fatto razzia di semiclassiche, mentre fra le corse classiche, aldilà del successo nella Gand Wevelgem ’48, ha racconto solo una comunque significativa serie di piazzamenti. Campione del Belgio nel 1949, dove regolò dopo una entusiasmante fuga a due, Raymond Impanis, detto il “Panettiere di Berg”. Anche su pista Valere fu corridore di nota. Il suo successo più importante sui velodromi fu il Campionato Europeo dell’Americana in coppia con Albert Sercu, il padre del grande Patrick.
Di seguito tutte le vittorie di Valere Ollivier.
1943: Criterium di Beernem e di Rumbeke. 1945: Kuurne-Brussel-Kuurne, Criterium Izegem e di Kuurne. 1946: Criterium di Ardooie. 1947: Bruxelles-Avegem; Giro delle Tre Province; Giro dell’Houtland; Criterium di Bissegem, De Panne e Waregem. 1948: Gand-Wevelgem; Criterium di Dendermonde, Hautmont, Staden, Ingelmunster, Rumbeke, Sint-Andries. 1949: Campionato Belga su strada; Giro delle Fiandre Occidentali; Liège-Middelkerke; Sint-Michiels-Brugge; 3a e 11a Tappa del Giro dell’Africa del Nord; Criterium di Bruxelles, St Michiels, Comines, Roeselare, Heule, Zwevegem, Courtrai, Ingelmunster e Ruiselede. 1950: Kuurne-Bruxelles-Kuurne; Campionato Belga a cronometro per Club; 2a Tappa del Giro del Belgio; Rollegem-Kapelle; Criterium di Gand, Gullegem, Heusden, Tongres, Gits, Lauwe, Itegem, St Andries, Soignies, Overpelt, Zwevegem, Izegem, Gulpen. 1951: Campionato Europeo dell’Americana (con Albert Sercu); Campionato Belga a cronometro per Club; Giro delle Ardenne Fiam-minghe; GP De Penne; Criterium di Eisden, Roeselare, Oedelem, Torhout e Poperinge. 1952: Hoellaert-Diest-Hoellaert; Anversa-Genk; Giro di Houtland; Kessel-Lo; Criterium di Aalst; Anversa, Brasschaat, Nederbrakel, Aarschot, Temse, Handzame, Lauwe, Gembloux, Anzegem, Diksmude, Attenhoven e Lichtervelde. 1953: Bruxelles-Izegem; Giro delle Fiandre Occidentali; 3a Tappa della Parigi-Costa Azzurra; Criterium di Mechelen, Staden, Moorsele, Kortemark, Brasschaat, Diksmude, Mlines, Vichte, Poperinge e Torhout. 1954: Bruxelles-Ingooigem; Giro delle Fiandre Occidentali; Criterium di De Panne, Dentergem, Herve, Torhout, Armentières e Feignies. 1955: Saint-Pol-de-Leon–Brest; 1a Tappa del Tour du Maroc; Criterium di Emelgem e di Torhout

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quasar
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Re: Fiandricolando....

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giorgio ricci ha scritto:Ludo Peeters è stato un altro dei miei idoli da ragazzino.
Ricordo che era sempre presente nelle classiche come aiuto ai capitani e che ogni tanto gli veniva lasciata via libera.
Lo vedevo come il simbolo del ciclismo , un corridore forte, coriaceo , che si metteva al servizio dei campioni , ( Raas , ma anche Van der Velde nella Liegi che lo vide poi squalificato. ) ma che non aveva nulla da invidiare a molti di essi.
Mi stupiva come fosse piazzato negli ordini di arrivo di corse con caratteristiche diversissime, dalla Roubaix alla tappa di media montagna al Tour.
Personalmente, per ragioni anagrafiche , inizia a seguirlo negli anni 80. Fu con lui che scoprì l'inportanza di classiche come il Campionato di Zurigo, l'Henninger turm e la Parigi Tours. Mi domandavo anche perché un corridore così non potesse essere capitano, in seguito capii che probabilmente era un signor corridore ma non un fuoriclasse e che lui per primo conoscesse i suoi limiti.
Per me l'85 fu la sua stagione migliore per le classiche mentre il Tour 80 rimane il suo capolavoro come GT.
Me lo ricordo secondo nell'85 al Tour nella tappa in cui Hinault si ruppe il naso. Dopo quell'anno iniziò il suo declino, era pure il declino di un epoca .vinse ancora una tappa al Tour 86 , il suo vero canto del cigno .
si, direi che Peeters era questo.
non credo che potesse ottenere di più. verissimo che si è spesso messo al servizio dei compagni, ma ha quasi sempre militato in veri e propri squadroni; la Ti-Raleigh di Post era ad esempio una vera e propria corazzata e, visto che siamo in tema di fiandre, proprio la Ronde del 1983 fu a mio avviso emblematica e racchiuse al meglio la carriera di Peeters: uno stantuffo, infaticabile, che tuttavia nelle corse monumento non aveva nè il motore nè il killer instinct di un Raas... ricordo che vidi la corsa in differita e quando Raas decise di partire sul Grammont fu notte buia per tutto il gruppetto di testa che arrivò a giocarsi il finale.
in ogni caso un bell'animale da corsa.


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Re: Fiandricolando....

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Gaston Rebry, dal pavé come dna, al Galibier.

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Nato a Rollegem-Kapelle il 29 gennaio 1905, deceduto a Wevelgem il 13 luglio 1953. Professionista dal 1925 al 1938 con 16 vittorie all’attivo.
Ad incidere sulle risultanze di una carriera ci sono sempre, con imponenza, le convinzioni e le volontà individuali. Gaston Rebry, era nato in mezzo al pavé, aveva le corse belghe nel dna, eppure, il richiamo del Tour de France, lo ha lungamente spinto verso sforzi e fatiche per le quali non era adattissimo. Col sogno di vincere la Grande Boucle, ha passato i primi otto anni da professionista, si è applicato con attenzione nelle sei partecipazioni, vincendo 4 belle tappe, indossando la Maglia Gialla per un giorno e passando in testa su mitici colli, su tutti il Galibier nel 1929, ma non è mai stato realmente in lotta per la vittoria. Protagonista sempre, ma possibile al podio nemmeno nel 1931, quando chiuse 4°. In altre parole, nelle corse a tappe era un ottimo corridore, non un cam-pione, mentre nelle classiche era un fuoriclasse. Quando si convinse ad indirizzarsi particolarmente verso questo versante del ciclismo, i risultati giunsero vistosi.
La Parigi-Roubaix fu il suo terreno d’elezione, quella che più di ogni altra gli forgiò il soprannome di “bulldog”, sia per l'espressione del suo volto, che per l'aggressività mostrata in corsa. Uno che si mangiava le pietre come fossero burro. Vinse la superclassica francese per ben 3 volte, nel 1931, ‘34 e ‘35, piazzandosi 3° nel ‘26 e nel ‘36. Ma questo grande corridore belga non si fermò qui: s'impose anche nel Giro delle Fiandre del ’34 e, nella medesima stagione, vinse la Parigi-Nizza, unica corsa a tappe del suo palmares. Le altre sue vittorie: Parigi Nantes e Lione Belfort nel 1926, GP di Bissegem e GP Oostkam nel ’32, GP Tiekt e GP La Panne nel ’33, GP Bruges ‘35. I successi di tappa al Tour, invece, furono la Cherbourg-Dinan nel ’28, la Nizza Grenoble nel ’29 e la Charleville-Malo les Bains nel ’31 e ’32.
Morì prematuramente a 48 anni nella sua dimora di Wevelgem. Anche suo figlio Gaston junior, tentò la strada del ciclismo, ma pur risultando nel novero dei “semi pionieri” del ciclismo in Canada dove s’era trasferito, non passò mai professionista.

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Noel Foré, lo stile sulle pietre.

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Nato ad Adegem il 23 dicembre 1932, deceduto a Gand il 16 febbraio 1994. Passista. Professionista dal 1956 al 1968 con 62 vittorie.
Passò tardi ai prof perché iniziò tardi a praticare questo sport quasi ventenne, ma essendo un ottimo atleta, fece presto a raggiungere i vertici. Fu un campione di sicura classe, gran pedalatore, che per un certo periodo a cavallo degli anni ’60, fece pensare di poter reggere una eventuale sfida col dominatore Van Looy. Non fu così, addirittura i due furono per un anno compagni nel medesimo sodalizio, ma Noel si ritagliò ugualmente un grande palmares. Passista eccellente, con marcata flessibilità della schiena, sapeva divenire veloce perché possedeva una grande capacità di affrontare le distanze, ed era scrupoloso nella preparazione. Il suo successo in volata alla Parigi-Roubaix colto alla maniera dei grandi velocisti capaci di sprintare sui velodromi, non deve ingannare: lui frequentava la pista, vinse addirittura una Seigiorni, ma quel successo, lo colse grazie alla sua progressione e alla maggior freschezza rispetto ai compagni di fuga.
Sempre sul pavé, ha costruito altri successi, ma non fu solo uno specialista delle pietre. Le "perle" del suo palmares sono la Gand-Wevelgem '58, la già citata Parigi-Roubaix '59, il Giro delle Fiandre '63 (dopo essere stato 4° nel '62, fu poi 2°, dopo Zandegù, nel '67) oltre al Giro del Belgio che s'aggiudicò nel '58 e nel '62. Moltissime, inoltre, le semiclassiche belghe conquistate. Non andò bene al Tour, dove si ritirò nelle due occasioni in cui fu al via. Un po’ troppo “casalingo” nelle ambizioni, ma oggi uno come lui farebbe sfracelli. Morì per un male incurabile all’ospedale universitario di Gand, a 62 anni.
Tutte le sue vittorie:
1956: 4a Tappa Giro d’Olanda; Mandel-Lys-Escaut (Indipen.); Criterium di Oostwinkel, Hansbeke, Zomergem e Deurle. 1957: Attraverso il Belgio; Mandel-Lys-Escaut; Circuito Ardenne Fiamminghe; Mandel-Lys-Escaut; Criterium di Handzame, Nazareth, St-Laureins, Zonnebeke. 1958: Gand Wevelgem; Giro del Belgio, 1a Tappa Giro del Belgio; Criterium Bellegem e Dedurdurle. 1959: Parigi-Roubaix; Bruxelles-Ingooigem; Criterium di Eeklo e di Tongres. 1960: Bruxelles-SaintTrond-Bruxelles; Criterium Eeklo, Sleidinge, Zwevezele, Maldegem e Leuze 1961: GP Banca di Roeselare; Criterium di Harelbeke. 1962: Giro del Belgio; 4a Tappa Giro del Belgio; 2a, 5a e 9a Tappa Parigi-Nizza; Challenge Laurens; Giro Fiandre Occidentali; Criterium di Zele e di Poperinge. 1963: Giro delle Fiandre; GP E3 Prijs Vlaanderen Harelbeke; Kuurne-Bruxelles-Kuurne; 1a Tappa Giro del Belgio; Class. Punti Giro del Belgio; Criterium di Charleroi e di Zwevezele. 1964: Seigiorni Anversa (con Post e F. Pfenninger); Criterium di Ruddervoorde, Denderleeuw e Lan-gemark. 1965: Criterium di Nazareth. 1966: Criterium di Gavere, Koksijde, Eeklo e Gentbrugge. 1967: Giro di Colonia Giro delle Fiandre Orientali; Bruxelles-Meulebeke. 1968: Bruxelles-Meulebeke; Criterium di Gentbrugge, Aalter, Zele e Proven.

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