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lemond
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Latino, la lingua dei nostri avi.

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Come ogni lingua, il latino ha una storia secolare, ma per il suo studio occorre riferirsi a un preciso momento, che non può essere che quello classico di Cesare e Cicerone. Fare altrimenti sarebbe velleitario, così come pretendere di imparare il vero italiano leggendo in contemporanea Dante, Machiavelli e ... Cesare Pavese. ;)
Il latino nasce dall'indo-europeo, così come il greco e le lingue germaniche, celtiche e slave. Quindi noi europei siamo quasi tutti ... cugini (a parte gli ungheresi, finlandesi, baschi e ...).
La parentela fra le lingue è dimostrate dalle "isoglosse" (isos->uguale e glòssa->lingua), per esempio per dire madre il sanscrito (l'antico indiano) usa il termine màta, il greco méter, il latino mater, lo slavo mati, il tedesco Mutter e l'inglese mother. Stesso discorso per padre. Una curiosità, forse vino è la parola più comune a tutte le lingue. (Philippe Daverio - Il gioco della filologia )
Occorre precisare che l'indo-europeo è un concetto linguistico, non etnico, per cui non è esistito mai un popolo c.d. indoeuropeo, ma che diverse culture vicine si siano influenzate a vicenda, avendo così, relazioni più facili. :)


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chinaski89
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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Sul latino tempo fa avevo visto sul tubo una videolezione di un tizio che spiegava come lo pronunciavano veramente ai tempi ed alcune cose risultavano parecchio sorprendenti. Mi piacerebbe quasi approfondire la cosa


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lemond
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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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chinaski89 ha scritto: giovedì 29 ottobre 2020, 10:56 Sul latino tempo fa avevo visto sul tubo una videolezione di un tizio che spiegava come lo pronunciavano veramente ai tempi ed alcune cose risultavano parecchio sorprendenti. Mi piacerebbe quasi approfondire la cosa
Non so se troverò/ai risposte nel proseguio di questo libro, a memoria mi pare che la c fosse sempre k e il dittongo ae si pronunciasse come era scritto, nel periodo classico.


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Slegar
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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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lemond ha scritto: venerdì 30 ottobre 2020, 9:26
chinaski89 ha scritto: giovedì 29 ottobre 2020, 10:56 Sul latino tempo fa avevo visto sul tubo una videolezione di un tizio che spiegava come lo pronunciavano veramente ai tempi ed alcune cose risultavano parecchio sorprendenti. Mi piacerebbe quasi approfondire la cosa
Non so se troverò/ai risposte nel proseguio di questo libro, a memoria mi pare che la c fosse sempre k e il dittongo ae si pronunciasse come era scritto, nel periodo classico.
Me lo ha confermato mia cognata insegnante di italiano al liceo; Cesare probabilmente si pronunciava Caesar e non Cesar con la c dolce. Si spiegano meglio le due derivazioni più famose di questa parola:
Caesar -> Kaiser
Caesar -> царь (Tsar / Zar)


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Brakko
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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Premessa: sono vecchi ricordi di scuola; non ho nemmeno fatto il classico, ma avevo un'ottima professoressa di latino.
Seconda premessa: non ho visto il video (cerchero' nel fine settimana).
In effetti, la pronuncia latina che imparano all'estero (per lo meno in area germanofona) e' piu' vicino a quello classico ciceroniano ae, k,etc.
Noi, per la gioia di Lemond :diavoletto: , impariamo la pronuncia ecclesiastica che, a memoria, si afferma a fine impero e poi resta in auge per tutto il medioevo. Attenzione pero' che c'e' differenza fra la pronuncia dei letterati e quella popolare, che mi sembra di ricordare si avvicinasse maggiormente a quello di fine impero.
Sono pronto a leggere la replica di qualcuno piu' esperto di me. Sono argomenti probabilmente inutili, ma che mi affascinano :hammer:


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Brakko ha scritto: venerdì 30 ottobre 2020, 9:57 Premessa: sono vecchi ricordi di scuola; non ho nemmeno fatto il classico, ma avevo un'ottima professoressa di latino.
Seconda premessa: non ho visto il video (cerchero' nel fine settimana).
In effetti, la pronuncia latina che imparano all'estero (per lo meno in area germanofona) e' piu' vicino a quello classico ciceroniano ae, k,etc.
Noi, per la gioia di Lemond :diavoletto: , impariamo la pronuncia ecclesiastica che, a memoria, si afferma a fine impero e poi resta in auge per tutto il medioevo. Attenzione pero' che c'e' differenza fra la pronuncia dei letterati e quella popolare, che mi sembra di ricordare si avvicinasse maggiormente a quello di fine impero.
Sono pronto a leggere la replica di qualcuno piu' esperto di me. Sono argomenti probabilmente inutili, ma che mi affascinano :hammer:
Di sicuro W. Allen ha detto qualcosa a proposito del fatto che solo gli argomenti "inutili" sono importanti. ;)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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II - I protolatini si stanziarono nel Lazio fra il IX e il VII secolo a.c. e, grazie alla egemonia politica raggiunta, imposero il proprio idioma nelle zone circostanti, finendo con il soppiantare le altre parlate, anche se, come succede sempre, incorporò gran parte del lessico delle lingue pre-europee; per es. abies (abete), larix (larice), ficus (fico), Cupressus (cipresso), vinum (vino) etc. Dalla lingua degli Etruschi il latino prese "a prestito" molti termini politici e militari: miles (soldato), vele (velite, cioè soldato armato alla leggera), popolus, cliens, currus (carro) parma (scudo) e anche vocaboli del mondo teatrale: histrio (attore), scurra (buffone).
Notevole influsso ebbe fin dalle origini anche il greco della Magna Grecia e lo stesso alfabeto deriva da lì.
La lingua latina arcaica si configura come un idioma per una comunità di pastori e contadini e guindi il lessico è costituito in prevalenza da termini di origine rurale, un esempio per tutti pecunia deriva da pecus (bestiame e poi pecora) e *delirare* proviene dall'uscire dal solco dell'aratro, rivale da rivus (ruscello), per le frequenti liti dei contadini lungo i confini rappresentati dai corsi d'acqua e sincerus deriva dal miele senza aggiunta di cera! :D


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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III - Nal primo secolo a.c. la lingua si normalizza nelle forme che siamo soliti chiamare classiche, perché giunte a noi attraverso le opere di Cesare, Cicerone e Tito Livio. Questa forma è quella che di solito si studia a scuola. Sono così ignorate parole esistenti in precedenza, che ritorneranno nel latino volgare, ad es. bucca è sostituita da os, caballus, da equus, civitas (città) da urbs, bellus (bello) da pulcher, etc.
Sul piano della sintassi, lo sviluppo del cum narrativo incrementa la subordinazione rispetto alla coordinazione con periodi articolati e disposti con armonia. ;)
I ceti più bassi naturalmente usavano invece il "latino volgare", ma poi è quest'ultimo che diventa la lingua imperante della tarda latinità. Come sempre la moneta cattiva scaccia quella buona, sia in economia, che in grammatica! E infatti i linguisti sostengono che non si possono mai definire gli errori in questa materia! E allora, facciamo qualche esempio: la tendenza alla caduta della vocale post-tonica (calidus->caldus), la chiusura del dittongo au in o (causa->cosa). Nella morfologia si ha la perdita dei casi, sostituiti da preposizioni e di pari passo si forma l'articolo.
Come naturale prosecuzione, il latino volgare si è trasformato nelle lingue romanze e ormai, secondo i più, è diventata una "lingua morta". Però questa locuzione (che non è vera, perché le opere latine ci parlano ancora) non significa che è inutile, perché chiunque voglia essere consapevole di sé, deve conoscere le radici della propria cultura e della lingua (in primis) che è matrice del pensiero. Non si può pensare bene, se non si hanno le parole adatte e perciò è quasi indispensabile conoscere il latino. :)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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IV - Fonologia

Dal greco phoné "suono" e logos "discorso, studio" riguarda i suoni o fonemi dal punto di vista della funzione che svolgono all'interno del sistema linguistico. I fonemi sono trascritti attraverso lettere o grafemi (dal greco grapho "scrivo"). Le lettere dell'alfabeto latino, derivato da quello greco, attraverso l'etrusco, sono 23. (Alle 21 italiane vanno aggiunte k, x e y e tolta la v, che non esiste in latino. Il segno V rappresenta solo la maiuscola della u. Questi due grafemi (u,V) indicano sia la u vocalica, cioè seguita da consonante ad es. unus (uno), che quella semivocalica, cioè seguita da vocale (come nell'italiano la i di ieri), uiuus (vivo). Il segno k, come in altre ligue odierne, indicava la velare sorda (come la c italiana in cane), ma poi si perse e rimase come residuo storico in alcune parole o sigle (Kal per Kalendae, il primo giorno del mese). I segni y e z in origine non appartenevano al latino, ma furono introdotte per trascrivere parole greche.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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V - Le vocali e i dittonghi

Le vocali sono solo cinque (non sette come in italiano, ache se ... vedi dopo); la y si usa solo nella trasposizione latina di parole greche e ha lo stesso suono della i. lyra (strumento), gypsum (gesso).
Il numero però sale a dieci, se si tiene conto della quantità, cioè della durata in cui la voce si sofferma e tale periodo di tempo si indica con Ā (lunga) Ă (breve). Anche per noi è abbastanza semplice notare la differenza fra maalum (mela) e malùm (male), il primo avrà una a lunga e l'altro breve, così come liiber (libero) e libér (libro).
I dittonghi sono due suoni insieme in una stessa sillaba e i più frequenti sono ae, oe, au, eu. Quando le due vocali appartengono a sillabe diverse si ha uno iato. In italiano ad es. la parola io non è un dittongo e quindi il pronome non è un monosillabo, come invece canta Gaber
Nel latino classico i dittonghi si pronunciavano come erano scritti, invece nella scolastica ae e oe diventano (a voce) e, come in italiano. Talvolta le due vocali non formano dittongo e allora sono indicate dalla dieresi e naturalmente la pronuncia è uguale alla scrittura. Gli altri dittonghi si leggono tutti come sono scritti.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Grande lemond :)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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chinaski89 ha scritto: lunedì 2 novembre 2020, 11:16 Grande lemond :)
Grazie, perché mi devp contentare di queste cose qui: con il MIlan che vince ho deciso di smettere di guardare la serie A, finché i mi' nipote non mi dirà che non sono più nei primi quattro! E quindi nessun intervento in materia di calcio! :(


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Slegar ha scritto: venerdì 30 ottobre 2020, 9:41
lemond ha scritto: venerdì 30 ottobre 2020, 9:26
chinaski89 ha scritto: giovedì 29 ottobre 2020, 10:56 Sul latino tempo fa avevo visto sul tubo una videolezione di un tizio che spiegava come lo pronunciavano veramente ai tempi ed alcune cose risultavano parecchio sorprendenti. Mi piacerebbe quasi approfondire la cosa
Non so se troverò/ai risposte nel proseguio di questo libro, a memoria mi pare che la c fosse sempre k e il dittongo ae si pronunciasse come era scritto, nel periodo classico.
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Caesar -> царь (Tsar / Zar)
ah, la cd RESTITUTA...


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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VI - Le consonanti e le semivocali

Per uno studio particolareggiato sulle consonanti, si rimanda alla grammatica italiana, perché in genere la distinzione fra sorde (labiali/dentali/labiovelari) e sonore (nasali, liquide, sibilanti) è la stessa della nostra lingua. Si deve aggiungere che la *h* produce una leggera aspirazione, ma che se segue la p, il gruppo (ph) si pronucia effe. Il gruppo gl è sempre gutturale, come in italiano negligente: gleba (zolla) glis (ghiro). Il gruppo ti, non accentato, seguito da vocale fa zi, natio (pron. nàzio, it. nazione). Conserva però il suono scritto se è preceduto da altra t, s o x. hostia (vittima), mixtio (miscela). Oppure se cade l'accento sulla i totius (pr. totìus, it. di tutto).
Le semivocali sono i e u e hanno valore intermedio, come in italiano Iulius (Giulio) iustitia (giustizia) uestis (veste)
Maìno della Spinetta ha scritto: lunedì 2 novembre 2020, 17:16 ah, la cd RESTITUTA...
La pronuncia classica o scientifica, detta anche "restituta", cioè restaurata, si distingue da quella dei preti nei seguenti casi:
i dittonghi si pronunciano come sono scritti e, se acccentati, sulla prima vocale Kàesar
c e g sempre dure: Kikero e il gruppo gn eguale e quindi G-neus Pompeo e non lo ng- di agnello.
la y, come la u francese
la v è, come detto una u e quindi Suetonius e non Svetonio
il gruppo ti si pronuncia come scritto.

P.S. Ma ormai è tardi e complicato per un ritorno all'antico, ma comunque non fa male saperlo. :) :cincin:


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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VII - Le sillabe

Come in italiano, si dice sillaba un suono o un insieme di suoni che possono essere pronunciati con una sola emissione di voce, e di solito, il numero di esse coincide con quello delle vocali o dei dittonghi presenti nella parola setssa, senza contare le i e u semivocali (iu-be-o) iu è una sola sillaba, perché la i è semivocale, mentre in i-ta-li-a è iato. Nei gruppi qu e gu, u non è una vocale a sé e pertanto forma la sillaba con la vocale che segue. (an-ti-quus).
In latino i dittonghi sono solo quelli definiti: ae, oe, au, eu, in tutti gli altri casi le due vocali contigue formano una sillaba a sé, per es. si-ci-li-a (in italiano si-ci-lia).
Contrariamente all'italiano le parole composte si dividono secondo l'etimologia, ad es, abavus (antenato) ab-a-vus, perché composto da ab (preposizione) e dal nome avus (in italiano sarebbe stato inveve a-ba-vus).
Ci sono poi anche altre regole, ma non si può sapere tutto. ;)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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VIII - Quantià delle vocali e delle sillabe

Ogni vocale si distingue oltre che per il timbro (qualità, come in italiano), anche per la quantità, secondo la minore o maggiore durata della pronuncia: docere (insegnare) ha la e lunga di doceere, mentre leg(e)re è breve e infatti si pronuncia lègere. In linea generale si può dire che le sillabe che terminano con vocale (si chiamano aperte) sono brevi se la vocale in esse contenute è breve e, al contrario,.. i dittonghi sono sempre lunghi, per cui caelum (cielo) è lunga. Cosa interessante per l'italiano, che si può anticipare, è che la i breve del latino, diventa e, mentre la i lunga rimane i nella nostra lingua ad es. la i di mitto è breve e infatti in italiano ha dato *metto*. ;)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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IX - Negli anni successivi all'invasione longobarda (fra il VI e il VII secolo) il latino si andò frantumando e nacquero i c.d. volgari europei, quando ci si rese conto che il latino parlato era molto diverso da quello scritto e quest'ultimo era incomprensibile per i parlanti di livello popolare. Il processo culminò intorno al X secolo con le attestazioni scritte di nuove lingue e con la formazione di una decina di idiomi diversi, detti neolatini o lingue romanze (da romanice loqui "parlare latino").
Nella fonetica si ebbero cambiamenti vocalici e consonantici; nella morfologia l'evento più vistoso fu la scomparsa dei casi e l'introduzione dell'articolo. Anche la sintassi subì una significativa modifica in ordine alla strutturazione prevalentemente paratattica del periodo. Si intende per paratassi il collegamento tra due o più proposizioni all’interno di un periodo mediante giustapposizione o coordinazione e non mediante subordinazione, che invece si chiama ipotassi. Per es., parlava e rideva, opposto a parlando, rideva; ha ragione lui, credo, opposto a credo che abbia ragione lui.
Il lessico, infine accolse sia forme derivate dal parlato che recuperi dalla tradizione dotta. Ad es. da ecclesia deriva sia ch-iesa che cl-ero e da uarum, sia oro che aurifero. ;)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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X - Regole dell'accento

a) la legge del trisillabismo, secondo la quale l'accento non può risalire oltre la terzultima sillaba e in
ad-hi-be-o (adopero), il tono è sulla ì e lo stesso per Ia-nì-cu-lum (uno dei sette colli di Roma).
b) nelle parole di tre o più sillabe, l'accento cade sulla penultima, se questa è lunga, sulla terzultima, se la penultima è breve. Esempi moneere (ammonire), pron. monére [le due e stanno per quantità lunga]; legere (pron. légere); incuumbo (incombo) pron. incùmbo; incubo (incubo anche in italiano), la pron. sarà ìncubo.
c) la legge della baritonesi, secondo la quale, al contrario del francese, l'accento non cade mai sull'ultima sillaba.
Naturalmente queste regole avranno eccezioni, ma sono tutte spiegabili, perché il latino è una lingua logica e, per es. potrebbe sembrare che illìc (là) sia in deroga alla baritonesi, ma ciò non è, perché in origine era illice o illince e quindi "nulla quaestio", così come redùc (riconduci) era reduce. ;)


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XI - Accento greco e latino Una questione insuperabile per noi italiani è l'accentazione di parole latine derivanti dal greco. Le due lingue primigenie hanno in comune il senso della quantità, però seguono un diverso regime accentuativo: regolato sulla quantità dell'ultima sillaba in greco e della penultima in latino. L'italiano dovrebbe seguire la pronuncia latina, ma ormai risente di usi tanto consolidati che non avrebbe senso pretendere di rettificare e quindi sarà bene continuare a scandire filosofìa e non, alla latina, filosòfia. :)
Qualche consiglio però, lo possiamo dare, anche se poi è l'uso che vince:
Èdipo e non Edìpo, mentre va bene il complesso di Edìpo, perché non è più l'eroe di cui si parla, ma di psicologia. Odìsseo e non Odissèo, edèma, scleròsi.


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XII - Leggi fonetiche

Apofonia, comune alla maggior parte delle lingue europee, ancxhe se in italiano ne sono rimasti pochi residui e consiste nel cambiamento di suono, vedi ad esempio nel latino da tego (copro) si passa a toga, così come in italiano da vedo a vidi e da faccio a feci.
Apocope (troncamento) quel fenomeno per cui, in sillaba finale, una vocale breve può cadere. Da Face -> fac (fa), da duce->duc (conduci), da puere->puer (ragazzo).
Sincope (taglio con, spezzatura), quando cade un'intiera sillaba all'interno di una parola; da divitior (comparativo di dives (ricco) -> ditior
Contrazione, quando due vocali contigue in una parola, si fondono, dando origine a una vocale lunga,
es. rosa-is -> rosis


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XIII - Assimilazione e dissimilazione

La prima si ha quando una consonante assume i tratti fonetici di un'altra, diventando (in tutto o in parte) simile a quest'ultima.
L'ass. può essere regressiva, se è la seconda consonante a condizionare la prima: ad-teneo -> attineo (trattengo) e nel caso è stata anche totale, perché la d è diventata t (come l'altra). L'ass. sarà invece parziale nel caso di scrib-si -> scipsi (scrissi) leg-tos -> lectus (letto),
Progressiva: vel-se -> velle (volere) fer-se ->ferre (portare)
Il secondo fenomeno si ha quando due suoni (difficili da pronunciare), il primo è modificato, medidies (da medius dies) -> meridies (mezzogiorno).
Talvolta si ha una vera e pripria caduta di consonanti, quando si incontrano due non compatibili, es gnotus -> notus (noto) quisdam -> quidam (un tale).


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Latino: la lingua odiata.
Irrompeva nella tua vita in seconda media, al netto delle incomprensibili formule che udivi in Chiesa, e per chi, come me, si iscriveva ad un Liceo, ti accompagnava per altri sei anni.
Non ti capacitavi del perchè quegli uomini che dominarono l'Era Antica non usassero articoli e preposizioni, ed anteponessero l'analisi logica all'esplicito comunicare.
Logica fino ad un certo punto, perchè andavano a ficcare il verbo, spesso e volentieri, in fondo alla frase cosicchè la comprensione del testo confinava con gli enigmi del periodico che conta più di cento tentativi di imitazione.
Il motivo per cui ti motivavano nello studiarlo, e bene, era che fosse un allenamento alla mente, alla corretta costruzione del discorso in italiano e in tutte le lingue moderne, tranne una - aggiungo - quella di maggior uso comune oggi, quel tedesco parlato male che è l'inglese.
Tu lo studiavi per non doverlo ristudiare d'estate nella tortura adolescenziale delle materie da portare a settembre.
Riuscii a non portarlo mai a settembre, lui e sua sorella la matematica.
Fui così folle da portarlo all'esame orale di maturità come prima materia, per essere sicuro che mi lasciassero quella che avevo scelto per seconda, il francese.
La scommessa fu vincente perchè la prova di latino consistette nella lettura e traduzione di una poesia di Catullo e nella lettura, soprattutto, andavo più che discretamente.
E fu utilissima a fronte di una disatrosa prova scritta di matematica, cosicchè riuscii a portarmi a casa un 44/60.
Dal giorno successivo all'esame e fino ad ora ho totalmente rimosso i risultati di quello studio (e di quello di matematica, purtroppo).
Quando vedo una scritta in latino su di un monumento o all'interno di una Chiesa non capisco nulla e non me ne frega niente.
Quando non comprendo lo svolgimento di un'equazione mi brucia, invece, e parecchio.
Però provo a consolarmi ripensando ad una frase di Albert Einstein che una professoressa di lettere ci fece commentare in prima superiore.
La riporto nel senso, non letteralmente, anche se forse era quella anche letteralmente:
"La cultura è quella cosa che ti rimane quando ti sei dimenticato ciò che hai imparato a scuola".
Albert Einstein, non Ciccino d'Avola.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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nino58 ha scritto: mercoledì 11 novembre 2020, 10:59 Latino: la lingua odiata.

"La cultura è quella cosa che ti rimane quando ti sei dimenticato ciò che hai imparato a scuola".
Albert Einstein, non Ciccino d'Avola.
E forse è proprio il motivo per il quale a me piace: l'ò studiato pochissimo a scuola. :diavoletto: :crazy: :diavoletto:


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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lemond ha scritto: mercoledì 11 novembre 2020, 11:05
nino58 ha scritto: mercoledì 11 novembre 2020, 10:59 Latino: la lingua odiata.

"La cultura è quella cosa che ti rimane quando ti sei dimenticato ciò che hai imparato a scuola".
Albert Einstein, non Ciccino d'Avola.
E forse è proprio il motivo per il quale a me piace: l'ò studiato pochissimo a scuola. :diavoletto: :crazy: :diavoletto:
;) :cincin:


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XIV - Leggi fonetiche sì, ma anche analogia

Una delle tendenze più largamente operanti nella lingua è l'analogia (anche il latino, lingua che si basa sulla logica, questo fenomeno, quasi contrario, produce molti effetti). In Italiano poi il successo di questo modo di intendere il linguaggio sarà ancora maggiore e, p.es. il participio passato vinto si spiega per analogia con il presente *vinco*, perché dal latino victus, l'esito fonetico sarebbe stato vitto, come da adflictus viene afflitto e da factus -> fatto. ;) Insomma in tutte le lingue sono i parlanti che decidono e di solito funziona la legge di Gresham, teorizzata dal mercante e banchiere inglese Thomas Gresham nel XVI secolo, che afferma l'assunto per cui "la moneta cattiva scaccia quella buona"" :diavoletto:


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XV - Comportamento delle vocali

In sillaba tonica (vocale accentata) il sistema vocalico passò da dieci a sette vocali e questo secondo le seguenti regole generali:
- le vocali toniche tendono a conservarsi quando sono lunghe, a modificarsi nell'altro caso, però la *a* rimane inalterata in italiano a prescindere dalla quantità.
- la *e* breve dà luogo al dittongo ie se si trova in sillaba aperta, cioè che termina con la vocale stessa es. de-cem e ve-nit che hanno la e breve che termina la sillaba, diventano in italiano dieci e viene, mentre nel latino ter-ram la *e* è ugualmente breve, ma siccome la sillaba termina con la r, si ha tèrra e non tierra. ;)
- l a *o* breve dà luogo a uo in sillaba aperta solum -> suolo, por-tam invece -> porta.
- le vocali atone in posizione post-tonica, cioè quelle che vengono dopo una sillaba accentata, si indeboliscono e tendono a cadere per il fenomeno detto sincope: calidum -> caldum (caldo) Figidum -> frigdum (freddo) dominam -> domnam (donna).
La scomparsa graduale del senso della quantità comportò anche la riduzione dei dittonghi oe e ae e cioè oe->é, mentre ae->è (in sillaba chiusa) scaep-trum -> scèttro, mentre cae-lum -> cielo.
Anche il dittongo au tende, nel passaggio all'italiano a ridursi a *ò*.


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XVI - Comportmento delle consonanti

In posizione post-tonica le consonanti sorde: t (dentale), p (labiale) e k (velare) tendono a diventare sonore, cioè la t diventa d (come nel famoso dandi di De Mita che, secondo lui voleva dire tanti :D), la p diventa prima b e poi passa a v e la k diventa gh. Es. patrem -> padre; stipam -> stiva; lacum (pronunciato come k -> lago e pacare -> pagare.
Discorso analogo si ha per la nascita delle palatali ci e gi, che nel latino classico non esistevano le quali sostituiscono le velari k e gh; es. kibum (era scritto cibum, ma ...) -> cibo g(h)elum -> gelo.

Assimilazione: septem -> sette; dictus -> detto e alumnus -> alunno

Di particolare importanza avrà la caduta delle consonanti finali, in particolare della m consulem -> console, della s tempus -> tempo e della t laudat -> loda.

Infine gli allotropi, cioè l'esito avuto da una stessa parola, secondo che ci sia stata tramandata per via dotta o popolare: causa -> causa o cosa; vitium -> vizio e vezzo; laurus -> lauro e alloro; fuga -> fuga e foga. ;)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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XVII - Morfologia (ovvero studio della forma)

Aristarco di Samotracia distingueva otto parti nel discorso, denominate in base al comportamento all'interno della frase:

- ὀνομά (ὀnoma, nome)
- rhéma (verbo)
- métoché (che partecipa), quindi participio
- antonymìa (al posto del nome), pronome
- àrthron (articolazione, giuntura, cfr l'italiano artrite) articolo
- prὀthesis (pongo avanti, it. protesi) preposizione
- epirrhema (accanto al verbo9 avverbio
- syndesmos (da syndeo - collego, syn è con) congiunzione.

L'aspetto più rilevante da osservare è la mancanza dell'aggettivo, che i grammatici antichi facevano rientrare nella categoria del nome, chiamandoli nomi aggettivi, cioè che possono solo essere aggiunti e non sostantivi, tali cioè da indicare una sostanza. ;)


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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XVIII - Il nome o sostantivo

Serve a nominare, a distinguere quella parte di realtà che indica; e sostantivo, perché riguarda una sostanza o anche perché può essere "a sé stante", a differenza dell'aggettivo che può solo "aggiungersi". ;)
Le componenti sono:
- la radice, invariabile e comune a tutte le parole della stessa famiglia; di rosetum, la radice è ros- comune anche a ros-a, ros-aceus (fatto di rose), ros-atus (rosato) ros-arius (di rose) ros-ans (roseo) etc.
- la vocale tematica è il collegamento fra la radice e la desinenza; es. ros-a-rum la vocale tematica è a.
- la desinenza (dal verbo desino (finisco) è la parte finale variabile, secondo i vari casi, che indica il genere, il numero e il caso della parola.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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XIX - La differenza fra italiano e latino

Il latino è una lingua flessionale, nel senso che le desinenze hanno un'importanza di gran lunga superiore all'italiano, perché ne determinano la funzione logica, per esempio se si tratta di un complemento oggetto, di specificazione etc.
La scomparsa delle desinenze latine ha distrutto quasi completamente il sistema flessionale della declinazione e in italiano si ricorre a parole ausiliare: articoli, preposizioni, pronomi.
Declinazione è la serie dei mutamenti che una parola subisce allo scopo di indicarne la funzione logica e deriva per etimo da deviazione e presuppone che sia (per metafora) il grado di allontanamento dal nominativo verso gli altri casi: genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo. Tutti, tranne l'accusativo sono anche detti casi obliqui, perché non provengono direttamente dal soggetto.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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XX - Oltre il singolare e il plurale

Alcune lingue europee (come il greco) hanno il duale, con il quale si identifica la coppia; nel latino vi è rimasto traccia nell'aggettivo *ambo* e tale categoria si spiega facilmente, in rapporto alla natura simmetrica di certi organi come le mani, gli occhi etc.
In altri casi fra il numero di una parola e il significato non intercorre un rapporto immediato, per es. i "singolaria tantum" (soltanto singolari), perché hanno valore collettivo e quindi indicano di per sé una pluralità, es. plebs (singolare) indica la plebe, ovvero tutti i plebei o supellex (mobili di casa).
Esistono anche nomi solo plurali (pluralia tantum) come divitiae (ricchezza), nuptiae (nozze), castra (accampamento).
Infine i nomi latini di città con desinenza plurale, come Athenae; ciò è dovuto alla predominanza che si vuol dare ai sobborghi, che si sommano nel complesso della città, all'interno delle mura.


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XXI - Il genere

In latino ce ne sono tre, come dovrebbe essere in tutte le lingue, perché, per gli oggetti asessuati, credo che l'unico genere possibile sia il Neutro.
Di solito il maschile si esprime con una parola diversa dal femminile: pater - mater; taurus - vacca.
Oppure, stessa parola, ma con terminazione diversa: filius - filia; magister - magistra.
Ma c'è anche il caso in cui il sostantivo ha una sola forma: canis (indica sia il cane, che la cagna), allo stesso modo civis (cittadino/a) e sacerdos.
Con gli esseri inanimati, come già detto, si dovrebbe sempre usare il neutro, però ci sono eccezioni, ad es. sono femminili i nomi di alcuni alberi, mentre i frutti sono neutri: pirus (f.) il pero - pirum (n.) la pera e così cerasus - cerasum (ciliegio/a)
Sono maschili i nomi dei fiumi, vènti e mesi, perché in origine erano divinità. Es. Eridanus (Po), Ianuarius (Gennaio), Boreas (vento di nord-est).


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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XXII - Il caso

Il termine latino casus significa "deviazione" e fu usato dai grammatici per indicare, in senso metaforico, il distacco che la parola subiva rispetto al vertice rappresentato dal *nominativo. Si partiva dall'io (soggetto), per arrivare sempre più in basso. :bll:
Il caso era particolarmente importante in latino, perché la lingua non ha articoli, né si serve di preposizioni per indicare le funzioni logiche della parola.
I casi della declinazione latina sono sei e, dopo il nominativo (qello appunto del soggetto), si ha:
genitivo (che nasce dai genitori: figlio di Maria/o) e in italiano continua come complemento di specificazione, nel senso che chiarisce meglio di chi (che cosa) si parla: il volo dell'aquila, il pane di grano saraceno etc.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
La domanda non è per nulla cretina.
È quello che si chiedono soprattutto i tedeschi.
Cicerone si pronuncia Cicero o Chichero ?


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Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
I latini non leggevano affatto Cicero, amicizia Rome, bensì Chichero, amichìtia, Romae, non sève Iunonis, ma saeuài Iunonis. E poi ci sono gli accenti e per averne un'idea occorre conoscere in poesia ad es. i piedi del verso e per sapere come, abbiamo qualche indizio. In italiano non c'è accento quantitativo e non si percepisce neppure la durata delle consonanti contigue, perché noi non avvertiamo tutti i suoni, ma solo quelli che significano. Così non ci importa della erre moscia. Stesso discorso vale per la quantità, che non ha significato, ma è solo misura etc.

P.S. Per sapere di più e meglio: Enzo Mandruzzato "il Piacere del latino" Mondadori 1989


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nino58 ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:46
Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
La domanda non è per nulla cretina.
È quello che si chiedono soprattutto i tedeschi.
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Dipende
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lemond ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:59
nino58 ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:46
Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
La domanda non è per nulla cretina.
È quello che si chiedono soprattutto i tedeschi.
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Cthulhu ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 12:20
lemond ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:59
nino58 ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:46

La domanda non è per nulla cretina.
È quello che si chiedono soprattutto i tedeschi.
Cicerone si pronuncia Cicero o Chichero ?

Dipende
, se chi la fa appartiene a una certa religione. :crazy:
Lemond, tu sei ossessionato dalla religione.
Non mi stupirei tu finissi per prendere i voti in tarda età :)
Ormai è tardi, perché l'età cui ti riferisci è stata già raggiunta: rientro nelle categorie a rischio per il covid. :diavoletto:


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lemond ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:57
Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
I latini non leggevano affatto Cicero, amicizia Rome, bensì Chichero, amichìtia, Romae, non sève Iunonis, ma saeuài Iunonis. E poi ci sono gli accenti e per averne un'idea occorre conoscere in poesia ad es. i piedi del verso e per sapere come, abbiamo qualche indizio. In italiano non c'è accento quantitativo e non si percepisce neppure la durata delle consonanti contigue, perché noi non avvertiamo tutti i suoni, ma solo quelli che significano. Così non ci importa della erre moscia. Stesso discorso vale per la quantità, che non ha significato, ma è solo misura etc.

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Ho capito. Ma come lo sanno che parlavano così ?
E in un impero così vasto sicuri che pronunciassero tutti allo stesso modo ?
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Cthulhu ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 19:12
lemond ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:57
Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
I latini non leggevano affatto Cicero, amicizia Rome, bensì Chichero, amichìtia, Romae, non sève Iunonis, ma saeuài Iunonis. E poi ci sono gli accenti e per averne un'idea occorre conoscere in poesia ad es. i piedi del verso e per sapere come, abbiamo qualche indizio. In italiano non c'è accento quantitativo e non si percepisce neppure la durata delle consonanti contigue, perché noi non avvertiamo tutti i suoni, ma solo quelli che significano. Così non ci importa della erre moscia. Stesso discorso vale per la quantità, che non ha significato, ma è solo misura etc.

P.S. Per sapere di più e meglio: Enzo Mandruzzato "il Piacere del latino" Mondadori 1989
Ho capito. Ma come lo sanno che parlavano così ?
E in un impero così vasto sicuri che pronunciassero tutti allo stesso modo ?
Per essere un ateo di ferro ricorri troppo spesso agli ipse dixit.
La sicurezza per il passato difficilmente si può avere in positivo. Però ci sono vari indizi per quanto riguarda il modo di parlare ai tempi di Cesare e Cicerone. A mano a mano che si costituiva l'impero la lingua cambiava, così come i romani che, anche se si chiamavano tali, non erano più gli stessi (questo si sa da ricerche sull'a.d.n.). per il resto ho fede (nel senso che mi fido) di quasi tutti quelli che leggo o che ascolto (fino a prova contraria). Agostino me ne ha date a iosa di prove "contro", Tommaso un po' meno, perché di lui ho scarsa conoscenza, al di là dei panegirici, però, ripeto, è interessante il tentativo di provare in guisa ontologica l'esistenza di ciò che sperava fosse vero o che voleva, ma la differenza è poco importante. ;) Di Costantino, basta conoscere il suo biografo per arrivare alla conclusione di che tipo di persona fosse, anche prima di sapere che possiede il primato di altri imperatori uccisi, oltre a tutta la sua famiglia! Infine di Saulo/Paolo, che dire? Ha costruito un castello di mensogne che ha retto per più di quindici secoli, per cui chapeau!


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lemond ha scritto: domenica 22 novembre 2020, 8:47
Cthulhu ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 19:12
lemond ha scritto: sabato 21 novembre 2020, 9:57

I latini non leggevano affatto Cicero, amicizia Rome, bensì Chichero, amichìtia, Romae, non sève Iunonis, ma saeuài Iunonis. E poi ci sono gli accenti e per averne un'idea occorre conoscere in poesia ad es. i piedi del verso e per sapere come, abbiamo qualche indizio. In italiano non c'è accento quantitativo e non si percepisce neppure la durata delle consonanti contigue, perché noi non avvertiamo tutti i suoni, ma solo quelli che significano. Così non ci importa della erre moscia. Stesso discorso vale per la quantità, che non ha significato, ma è solo misura etc.

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Ho capito. Ma come lo sanno che parlavano così ?
E in un impero così vasto sicuri che pronunciassero tutti allo stesso modo ?
Per essere un ateo di ferro ricorri troppo spesso agli ipse dixit.
La sicurezza per il passato difficilmente si può avere in positivo. Però ci sono vari indizi per quanto riguarda il modo di parlare ai tempi di Cesare e Cicerone. A mano a mano che si costituiva l'impero la lingua cambiava, così come i romani che, anche se si chiamavano tali, non erano più gli stessi (questo si sa da ricerche sull'a.d.n.). per il resto ho fede (nel senso che mi fido) di quasi tutti quelli che leggo o che ascolto (fino a prova contraria). Agostino me ne ha date a iosa di prove "contro", Tommaso un po' meno, perché di lui ho scarsa conoscenza, al di là dei panegirici, però, ripeto, è interessante il tentativo di provare in guisa ontologica l'esistenza di ciò che sperava fosse vero o che voleva, ma la differenza è poco importante. ;) Di Costantino, basta conoscere il suo biografo per arrivare alla conclusione di che tipo di persona fosse, anche prima di sapere che possiede il primato di altri imperatori uccisi, oltre a tutta la sua famiglia! Infine di Saulo/Paolo, che dire? Ha costruito un castello di mensogne che ha retto per più di quindici secoli, per cui chapeau!
Comunque la prova ontologica ha i suoi seguaci anche nei tempi moderni.
Ad esempio Kurt Godel, che come certo sai è il logico matematico più importante del XX secolo e che Einstein riteneva l'uomo più intelligente che avesse mai conosciuto.
https://en.wikipedia.org/wiki/G%C3%B6de ... ical_proof

Questo solo per far notare che non tutti quelli che credono in Dio sono idioti.


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lemond
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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Cthulhu ha scritto: domenica 22 novembre 2020, 10:14 Questo solo per far notare che non tutti quelli che credono in Dio sono idioti.
Anche Tolstoj e molti altri, anche se Godel, per quel che so, non ci stava tanto con la testa in certi momenti, continua, come Nietzsche e altri la storia di genio e ...
In ogni modo, rigirerei la frase per dire, sempre con il quasi davanti, che tutti gli idioti credono in dio. :P


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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lemond ha scritto: domenica 22 novembre 2020, 12:02
Cthulhu ha scritto: domenica 22 novembre 2020, 10:14 Questo solo per far notare che non tutti quelli che credono in Dio sono idioti.
Anche Tolstoj e molti altri, anche se Godel, per quel che so, non ci stava tanto con la testa in certi momenti, continua, come Nietzsche e altri la storia di genio e ...
In ogni modo, rigirerei la frase per dire, sempre con il quasi davanti, che tutti gli idioti credono in dio. :P
Guarda che con questo talebanismo estremo non fai una grande propaganda all'ateismo.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Cthulhu ha scritto: domenica 22 novembre 2020, 12:54
lemond ha scritto: domenica 22 novembre 2020, 12:02
Cthulhu ha scritto: domenica 22 novembre 2020, 10:14 Questo solo per far notare che non tutti quelli che credono in Dio sono idioti.
Anche Tolstoj e molti altri, anche se Godel, per quel che so, non ci stava tanto con la testa in certi momenti, continua, come Nietzsche e altri la storia di genio e ...
In ogni modo, rigirerei la frase per dire, sempre con il quasi davanti, che tutti gli idioti credono in dio. :P
Guarda che con questo talebanismo estremo non fai una grande propaganda all'ateismo.
Pensi che mi interessi vendere il prodotto? Scrivo solo quello che penso e "me ne frego" altamente del politicamente corretto.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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XXIII - Il caso (segue)

Dativo: è il caso del complemento di termine, indica cioè verso chi è diretta l'azione, es. la mitologia (soggetto) ha dato (a chi?) a Eracle una forza prodigiosa. Oppure


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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XXIV - Il caso (segue)

Accusativo - è il caso del complemento oggetto: completano l'azione del verbo indicando l'accusato, cioè l'oggetto dell'azione espressa. Pierino ha mangiato pane e ciccia, diceva un mio amico e quel qualcosa è appunto l'oggetto del mangiare, se poi a qualcuno piace il pesce o è vegetariano, il discorso non cambia. :D


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
Attualmente sta andando in onda su Sky la serie Romulus sul fondatore di Roma. È possibile scegliere anche l' audio in protolatino frutto della collaborazione con esperti della lingua latina. Ho provato a capirci qualcosa, ma è veramente complicato. Però in qualche modo potrebbe soddisfare qualche curiosità sul modo di parlare di un' epoca addirittura antecedente al 700 a.c.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Gimbatbu ha scritto: martedì 24 novembre 2020, 14:40
Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
Attualmente sta andando in onda su Sky la serie Romulus sul fondatore di Roma. È possibile scegliere anche l' audio in protolatino frutto della collaborazione con esperti della lingua latina. Ho provato a capirci qualcosa, ma è veramente complicato. Però in qualche modo potrebbe soddisfare qualche curiosità sul modo di parlare di un' epoca addirittura antecedente al 700 a.c.
Ho visto una puntata, non è il mio genere, sinceramente mi da l'idea del Trono di Spade dei poveri ( e non mi piace nemmeno quello, detesto il Fantasy in tutte le sue forme, mi fa cacare pure Guerre Stellari ).

Magari guardo una puntata in latino per curiosità. Anzi in proto.
Resto dell'idea che non solo mi riesce difficile capire come abbiano ricostruito la pronuncia dell'epoca, ma anche solo che abbiano stabilito che ce ne fosse una preponderante. Roma è durata mille anni e si estendeva per quasi tutta l'Europa e anche oltre. Cento anni fa se un siciliano e un veneto si incontravano non capivano una parola dell'altro, immaginiamoci che differenze ci dovevano essere allora.


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Re: Latino, la lingua dei nostri avi.

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Gimbatbu ha scritto: martedì 24 novembre 2020, 14:40
Cthulhu ha scritto: venerdì 20 novembre 2020, 22:40 Una domanda cretina:
come si fa a sapere come pronunciavano 2000 anni fa ?
C'è qualche "manuale" di pronuncia dell'epoca o sono ricostruzioni ?
E basate su cosa ?
Attualmente sta andando in onda su Sky la serie Romulus sul fondatore di Roma. È possibile scegliere anche l' audio in protolatino frutto della collaborazione con esperti della lingua latina. Ho provato a capirci qualcosa, ma è veramente complicato. Però in qualche modo potrebbe soddisfare qualche curiosità sul modo di parlare di un' epoca addirittura antecedente al 700 a.c.
Non lo sapevo, grazie e magari potessi fare così con Marianella quando seguo una partita del campionato inglese su sky. :D


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