Cinematografo

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Cthulhu
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Re: Cinematografo

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nemecsek. ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 12:43
jerrydrake ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 9:29
nemecsek. ha scritto: mercoledì 22 aprile 2020, 21:39
Ieri ho visto L'altro volto della speranza, del mio amato Aki
Anch'io amo Aki: bello ma non eccezionale L'altro volto della speranza. Per me i migliori di Kaurismäki sono Leningrad Cowboys Go America e L'uomo senza passato.
concordo. :)
Cthulhu ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 0:02

Per quanto mi riguarda nel cinema francese ci sono solo cinque intoccabili. E solo uno è della Nouvelle vague. Ma non lo conosce quasi nessuno...
devo dunque dedurre che Truffaut sia fuori dalla cinquina... qqua me innervosisco io... :diavoletto:
...e Melville non credo sia ascrivibile alla NV... o si? ... chissà se è nelle cinquina...
Nella cinquina ci sono uno che ha esordito nel 1947 e che non può certo essere della nouvelle vague ( ma chi sarà mai :mrgreen: )
uno che usava solo attori non professionisti, uomini, donne, asini e cavalli.
un novellevaguista che faceva film lunghi almeno quattro ore e quindi se lo filano in pochi. Tra i pochi Madonna che ha fatto uno pseudo-remake ( ma proprio pseudissimo... ) del suo capolavoro.
uno che è morto a 29 anni e che a chi guardava Fuori Orario ricorda Patti Smith
e uno, il più famoso di tutti, che da bambino ha fatto il modello per quadri famosi di uno di famiglia ( difficile,eh ?).
Comunque mi accingo a postare i miei consigli sui film delle rane.
Esclusi quelli dei magnifici cinque.
Quelli li posto solo dopo che avete indovinato


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Bitossi
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nemecsek. ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 12:43
jerrydrake ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 9:29
nemecsek. ha scritto: mercoledì 22 aprile 2020, 21:39
Ieri ho visto L'altro volto della speranza, del mio amato Aki
Anch'io amo Aki: bello ma non eccezionale L'altro volto della speranza. Per me i migliori di Kaurismäki sono Leningrad Cowboys Go America e L'uomo senza passato.
concordo. :)
Cthulhu ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 0:02

Per quanto mi riguarda nel cinema francese ci sono solo cinque intoccabili. E solo uno è della Nouvelle vague. Ma non lo conosce quasi nessuno...
devo dunque dedurre che Truffaut sia fuori dalla cinquina... qqua me innervosisco io... :diavoletto:
...e Melville non credo sia ascrivibile alla NV... o si? ... chissà se è nelle cinquina...
Secondo me Cthu intende Rivette, che effettivamente in Italia è arrivato poco.
Poi nella cinquina all-time scommetto che ha Abel Gance e Renoir; qualche dubbio su Carné e Duvivier (o Autant-Lara?). :boh:

PS: che pirla, ho dimenticato Bresson! :diavoletto:
PPS: e pure Vigo… :grr:


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Re: Cinematografo

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pietro ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 14:08 Scusate se mi intrometto.
Uno dei film che mi è piaciuto di più in assoluto è Les choristes. Magistrale
Concordo, molto bello...


Se il tuo modo di lavorare è questo qui, compragli un casco a Sgarbozza e fallo fare a lui il Giro, perché io non lo faccio più (P.S.)

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Re: Cinematografo

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Ieri sera ho guardato su prime L'interprete con la Kidman e Sean Penn. E' un triller sullo sfondo della politica all'ONU. Non è un capolavoro ma godibile, ben girato ed interpretato, lo consiglio.


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Re: Cinematografo

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Cthulhu ha scritto: domenica 19 aprile 2020, 14:08 l'eccellente yakuza Lotta senza onore e umanità ( 1973).
Questo titolo non mi è nuovo! :cincin:



Cito comunque i celebri Tetsuo (1989) di Shinya Matsumoto
(Mi permetto, umilmente: Tsukamoto).


Cthulhu ha scritto: domenica 19 aprile 2020, 22:44 " E' dura essere un uomo " con protagonista il popolarissimo personaggio di Tora-san, un ambulante sfigatissimo in amore. Io ne ho visti giusto un paio ( dice sono più di 40...)
Su un mio diario delle scuole medie c'era tra le curiosità riportate quotidianamente proprio un riferimento a questi film (venivano chiamati Tore San, però), citati come la serie più lunga della cinematografia, all'epoca (30 anni fa) erano arrivati a Tore San XXIII. Non mi capacitavo, allora, di come potessero aver fatto a fare una serie così lunga.


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Re: Cinematografo

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Cthulhu ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 17:05

Nella cinquina ci sono uno che ha esordito nel 1947 e che non può certo essere della nouvelle vague ( ma chi sarà mai :mrgreen: )
beh... la contiguità di stile... la stima di Godard...Immagine.... ho scritto una minchiata.... :muro:


dunque Melville nato Grumbach è nei magnifici cinque? 8-)
ho visto recentemente I senza nome
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Cthulhu ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 17:05
un novellevaguista che faceva film lunghi almeno quattro ore e quindi se lo filano in pochi. Tra i pochi Madonna che ha fatto uno pseudo-remake ( ma proprio pseudissimo... ) del suo capolavoro.
:uhm:


Mi piace il termine "Classiche monumento".
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Re: Cinematografo

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Come già detto non sono un super fan del cinema francese. Quindi magari farò commenti un po' crudi su miti cinematografici. Vanno visti in senso dialettico. Prendeteli come antitesi hegeliane. La sintesi è che sono grandi registi, ma forse portati un po' troppo in gloria.Ovviamente è la mia opinione, ricordo autentiche litigate nei famosi dibattiti da cineforum in cui ero quasi solo contro tutti...
Comunque via con la lista, ma prima un'avvertenza: sono solo film di registi francesi, quindi niente Dreyer, Bunuel, Ophuls, etc, anche se in Francia hanno girato autentici capolavori. E, a differenza di quello che ho fatto per russi e giapponesi, non ha pretese di completismo. Ho messo solo film che mi piacciono e che a mio parere uno può vedere con soddisfazione anche oggi.
Quindi dell'epoca muta suggerisco solo il grande Louis Feuillade ( che avevo la tentazione di inserire tra i grandissimi, non fosse stato che è veramente troppo antico) , il primo regista della storia per il quale non c'è bisogno di fare alcuna concessione storica. Vedi i suoi splendidi serial criminali Fantomas (1913 ) e il capolavoro Les Vampires ( 1915) soprattutto - oggi e sei ancora teso per quello che accadrà. Per primo è riuscito a coniugare un intenso realismo fotografico ( le grigie strade di Parigi, i parchi, i teatri, le dimore ) con una dimensione fantastica e immaginaria. Ansia ,mistero e terrore urbani: tutti i film che hanno trattato questi temi partono da Feuillade. Un altro maestro del muto è stato Abel Gance, un grande innovatore e sperimentatore del linguaggio, ma vedersi le versioni complete di La Roue e Napoleon ( botte da 5 ore l'una di recitazione enfatica ) è un po' troppo: io ho visto solo spezzoni e versioni ridotte. Per quanto riguarda ii muto il mio record rimangono le 4 ore della versione più completa esistente di Greed di von Stroheim.
Passando al sonoro - e detto en passant che René Clair non mi ha mai detto nulla - i film girati dal commediografo Marcel Pagnol, cantore della vita provinciale del sud, negli anni trenta sono ancora dei gioielli. Soprattutto la trilogia di Marius - Marius (1931) ,Fanny (1932) e Cesar (1936), i primi due diretti da altri registi, e La femme du boulanger (1940). Altro commediografo - e attore - prestato al cinema è Sacha Guitry, ancora appassionanti Le roman d'un tricheur (1936 ) e Les Perles de la couronne (1937).
Non si può sfuggire agli archetipici film noir girati da Marcel Carné con sceneggiatura di Prevert e interpretati da Jean Gabin, Le Quai des brumes (1938) e Le Jour Se Lève (1939), in italiano il Porto delle nebbie e Alba tragica. Ma il capolavoro di Carné è il bellissimo e monumentale film corale Les Enfants du Paradis - Amanti perduti (1945).
Ma il film che lanciò il mood malavita e romanticismo e che fece di Gabin una superstar è Pépé le Moko (1937) di Julien Duvivier, da noi forse più noto per la parodia di Totò.
Due splendidi film poco conosciuti, almeno da noi: Lumière d'été (1943) di Jean Grémillon e Une si jolie petite plage (1949) di Yves Allégret, questo mai distribuito da noi per l'argomento scabroso: mature signore che seducono ragazzini di 15 anni.
Trovo il Diavolo in Corpo (1947) da Radiguet di Claude Autant-Lara molto datato. Dello stesso regista meglio la farsa Occupati d'Amelia (1949)
i migliori film di René Clément per me sono il film sulla resistenza La Bataille du rail (1946),Le amanti di Monsieur Ripois (1954, con i dialoghi di Raymond Queneau ) e Delitto in pieno sole ( 1960), primo film tratto da il talento di Mr Ripley della Highsmith.
Ancora più dotato per me Henri-Georges Clouzot, autore dello splendido Il Corvo (1943), di Le salaire de la peur -Vite Vendute (1953),di una tensione ancora inarrivabile, e I Diabolici (1955). Clouzot si mangia Chabrol a colazione con le madeleines...
Casco d'oro (1952), Grisbi (1953) e Il buco (1960) - soprattutto il primo e il terzo - sono i capolavori di Jacques Becker, un grande regista forse un po' sottovalutato per via di una certa incostanza nella sua opera
Jacques Tati è molto invecchiato come comico, meno come regista: Jour de fête (1949) è sempre una delizia, Playtime (1966) un capolavoro di composizione cinematografica. Ma Hulot è così noioso...
Jean Cocteau se la gioca con D'Annunzio per la palma dell'essere più vanaglorioso che sia mai esistito ( stranamente uno è francese e l'altro un provinciale italiano...),ma La bella e la bestia (1946) e soprattutto Orfeo (1949) sono un incanto.
Georges Franju è un po' sopravvalutato, direi che il suo horror Gli occhi senza volto (1960) è l'unico che consiglierei. Insieme al suo documentario Le Sang des bêtes, che fa venire voglia di essere vegetariano anche a un fiorentino tutto bistecche e lampredotto come me...
La prossima puntata la nouvelle vague...


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Re: Cinematografo

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Admin ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 21:35
Cthulhu ha scritto: domenica 19 aprile 2020, 14:08 l'eccellente yakuza Lotta senza onore e umanità ( 1973).
Questo titolo non mi è nuovo! :cincin:



Cito comunque i celebri Tetsuo (1989) di Shinya Matsumoto
(Mi permetto, umilmente: Tsukamoto).


Cthulhu ha scritto: domenica 19 aprile 2020, 22:44 " E' dura essere un uomo " con protagonista il popolarissimo personaggio di Tora-san, un ambulante sfigatissimo in amore. Io ne ho visti giusto un paio ( dice sono più di 40...)
Su un mio diario delle scuole medie c'era tra le curiosità riportate quotidianamente proprio un riferimento a questi film (venivano chiamati Tore San, però), citati come la serie più lunga della cinematografia, all'epoca (30 anni fa) erano arrivati a Tore San XXIII. Non mi capacitavo, allora, di come potessero aver fatto a fare una serie così lunga.
Tarantino ha la fissa del B movie, si sa e gli italiani e i giapponesi sono i suoi preferiti.
Hai ragione, Tsukamoto, mi sono intrecciato con i 500 nomi jap che ho scritto
E su Tora-san, se consideri i film di Franco e Ciccio come una serie vai ben oltre...


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Re: Cinematografo

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nemecsek. ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 21:44
Cthulhu ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 17:05

Nella cinquina ci sono uno che ha esordito nel 1947 e che non può certo essere della nouvelle vague ( ma chi sarà mai :mrgreen: )
beh... la contiguità di stile... la stima di Godard...Immagine.... ho scritto una minchiata.... :muro:


dunque Melville nato Grumbach è nei magnifici cinque? 8-)
ho visto recentemente I senza nome
Patti Smith ok
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Cthulhu ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 17:05
un novellevaguista che faceva film lunghi almeno quattro ore e quindi se lo filano in pochi. Tra i pochi Madonna che ha fatto uno pseudo-remake ( ma proprio pseudissimo... ) del suo capolavoro.
:uhm:
Un indizio - un . po' criptico - sul film con Madonna


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Re: Cinematografo

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E' da quando mi avete detto che c'è la serie di M.A.S.H che la cerco...qualche anima pia mi saprebbe dare qualche indizio? Grazie anticipatamente!


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Re: Cinematografo

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L’avevo scritto che è Rivette! :D

Sicuri Bresson e Vigo, ne mancano due... :fischio:

EDIT: e Renoir, òstrega! Quindi meno uno. Duvi?


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Re: Cinematografo

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Gimbatbu ha scritto: domenica 19 aprile 2020, 20:25 Cthulhu, dal momento che il cinema giapponese lo conosci a menadito faccio come quelli che entrano in un negozio di dischi e chiedono "quel pezzo che fa così" esibendosi in imitazioni assai personali.
Non posso fare a meno che piazzarti questo sketch geniale (come tanta della roba che fanno Lillo&Greg). :champion:


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Re: Cinematografo

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Bitossi ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 23:42 L’avevo scritto che è Rivette! :D

disperately seeking susan? :dubbio:


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Re: Cinematografo

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Admin ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:06
Gimbatbu ha scritto: domenica 19 aprile 2020, 20:25 Cthulhu, dal momento che il cinema giapponese lo conosci a menadito faccio come quelli che entrano in un negozio di dischi e chiedono "quel pezzo che fa così" esibendosi in imitazioni assai personali.
Non posso fare a meno che piazzarti questo sketch geniale (come tanta della roba che fanno Lillo&Greg). :champion:
:clap: :clap: :clap: :clap:
Sono i miei preferiti, tralaltro ho conosciuto Lillo e è proprio così, non ha bisogno di recitare... :crazy:


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nemecsek. ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:13
Bitossi ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 23:42 L’avevo scritto che è Rivette! :D

disperately seeking susan? :dubbio:
Yessssss! ;)

PS: mi sa che il 5.o è proprio Melville.


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Re: Cinematografo

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Bitossi ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 23:42 L’avevo scritto che è Rivette! :D

Sicuri Bresson e Vigo, ne mancano due... :fischio:

EDIT: e Renoir, òstrega! Quindi meno uno. Duvi?
Bitossi ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:19

PS: mi sa che il 5.o è proprio Melville.

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Re: Cinematografo

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Bitossi ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 23:42 L’avevo scritto che è Rivette! :D

Sicuri Bresson e Vigo, ne mancano due... :fischio:

EDIT: e Renoir, òstrega! Quindi meno uno. Duvi?
None, Melville, l'hanno già scovato. ;)

Mi aspettavo da qualche parte una citazione per Tourneur. :cincin:

Poi vi riporto la serie che feci per un TourNotes anni fa, 21 film francesi (in realtà non tutti, ne ricordo almeno uno belga) intrecciati con quel Tour. C'erano degli incroci simpatici.


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Re: Cinematografo

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Se può interessare ho visto il film Storia di un fantasma (A Ghost Story) di David Lowery con Casey Affleck ed un'ottima Rooney Mara. :cuore: Film molto particolare che dà una visione alternativa della vita, della morte e del tempo che passa, che è passato e che passerà (mi ha ricordato per molti aspetti 'Quand'ero mortale', bellissimo racconto di Javier Marias). Vedetevi il film e leggetevi il racconto, se potete. :stretta:

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Re: Cinematografo

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Admin ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:06
Non posso fare a meno che piazzarti questo sketch geniale (come tanta della roba che fanno Lillo&Greg). :champion:
Chiedo scusa per l'italiano approssimativo... :(


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Re: Cinematografo

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en passant una domanda, sperando di non svilire il livello del thread

ho letto recentemente i diavoli di loudon, e ho googolato che ken russel ne ha tratto un film, qualcuno lo ha visto?


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Re: Cinematografo

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Metto ora, sennò poi mi scordo. (Me li ero recuperati tempo fa, ecco perché son tutti qui. Li misi coi titoli originali, potete giocare a mettere la versione italiana. Mi ricordo che mi ammazzavo/dilettavo per trovare i collegamenti quotidiani con la corsa... Alcuni di questi 21 li ritroveremo nei 100 - più qualcuno - film della mia vita che vi pubblicherò più in là) :cincin:

0 - Les Parents Terribles (Jean Cocteau, 1948)
Vai al cine, vacci tu, cantava Conte quando parlava di Bartali e del Tour, e se si parla di Bartali e del Tour ci si riferisce fatalmente al 1948. Vai al cine, a vedere cosa? Les Parents Terribles, per esempio, una delle uscite più straordinarie della stagione. Jean Cocteau l'aveva scritto tanti anni prima per non farne un film ma un'opera teatrale, ma poi, chi lo sa, dopo un'invasione subìta, forse c'è più necessità di lavorare e si va a ripescare nel passato pur di... Cocteau ripesca. Ripesca il testo, ripesca un attore che era stato suo amante (Jean Marais) e che sarebbe troppo anziano per la parte di un giovanotto, Michel, innamorato della bella Madeleine. Ma la madre di Michel è a sua volta innamorata di lui (sì, il figlio); il padre è innamorato della ragazza. Del resto se vengono definiti parenti terribili un motivo ci sarà. 97' di cinismo e melodramma sovrastati da Edipo. Finirà in tragedia, anzi doppia tragedia carpiata con avvitamento della trama. Esecuzione perfetta.


1 - Toute une vie (Claude Lelouch, 1974)
Tutta una vita. Magari davanti agli occhi, in un solo momento: quale, quello in cui avrai per l'ultima volta attaccato il numero del Tour, o quando avrai preso il via per the last waltz, sul trampolino di Rotterdam? O forse è un luogo comune, in fondo qualcuno potrebbe dire che ci vuole un'altra vita per rivedersi la prima. (O un'altra carriera per rivivere le precedenti?) A meno che la rappresentazione di ciò che è stato reale sia l'unico mezzo attraverso cui si può fruire del passato: in tal caso, può bastare anche un film, e Claude Lelouch ne è stato sempre convinto, a dire il vero. E anche stavolta ci mette dentro tutto, spezzoni di storia (di guerra) reale attraverso i documentari d'epoca, e storie private di persone comuni che fanno incontri straordinari (lei amerà un infedele Gilbert Bécaud nel ruolo di se stesso: come se una rockstar entrasse nella vita di un ciclista, per dire), ma finiranno con l'incontrarsi, Sarah e Michel (Marthe Keller e André Dussollier), nella consueta ronde amorosa che dà il senso a tutto. Barocco come al solito, eccessivo, mai piacerà a tutti, Lelouch. Anche Armstrong, se vogliamo.


2 - Rosetta (Jean-Pierre e Luc Dardenne, 1999)
Non siamo nel cinema francese ma quasi; nessun problema, anche il Tour oggi non è in Francia ma quasi. Il Belgio, giardino d'Europa, o forse no, forse meno di quanto siamo portati a pensare. Ogni centro ha le sue periferie, Bruxelles la possiamo forse considerare periferia di Parigi? Rosetta è la periferia della periferia di Bruxelles. I fratelli Dardenne le hanno dato il volto stravolto di Emilie Dequenne, e l'hanno seguita per tutto il film, da dietro, con insistito, fastidioso uso della camera a spalla: se vuoi entrare nel suo mondo, il meno che ti possa capitare è il mal di stomaco dato dalle immagini in continuo, nervoso tremolare. Forma è sostanza. Rosetta è solo una ragazza, ha i suoi problemi, fatica a vivere. È sublime verismo che irrompe sulla pellicola, Rosetta è il risultato della crisi economica 10 anni prima della crisi economica, quando sembrava crescita anche se produceva strapiombi di povertà. È il compromesso vigliacco che tutti prima o poi abbiamo sottoscritto, è la fuga impossibile dalle proprie responsabilità, è la frustrazione di chi ha sempre conosciuto solo i margini e continua a stare al mondo per inerzia. È la coscienza di chi sa che è facile cadere con la bicicletta, molto più facile che vincere, eppure non è che non si corre più. A volte arriva il colpo che cambia la vita o la carriera; quasi mai, però. E il massimo forse è un'esistenza tranquilla: Rosetta, in fondo, sogna di fare il gregario.


3 - Tout va bien (Jean-Luc Godard, 1972)
Un distributore italiano ardito aggiunse al titolo un "Crepa padrone" che in quell'epoca qualcuno avrà pure trovato troppo reazionario. Altri tempi, erano in molti a studiare il marxismo, operai e registi, Godard lo applicò ai suoi verbosi film e alle storie che narrava. Come quella d'amore tra Montand e una Jane Fonda in piena fase pasionaria (seguiva alla fase lolita e precedette la fase aerobica). L'amore reinterpretato alla luce delle leggi economiche. Che poi governano tutto, anche lo stare in un gruppo. E in questa prospettiva, gli ultimi saranno sempre ultimi o c'è la possibilità di un riscatto? La lotta di classe è possibile senza una coscienza di classe? Gli operai che occupano la fabbrica e rapiscono i due innamorati (che nel film sono un regista e una giornalista e sono lì per il loro lavoro) oltre al padrone della fabbrica stessa, conoscono bene la risposta. Non sono per lo sciopero bianco, loro, del resto non fanno ciclismo. Hanno la rivoluzione nel dna e la disillusione nel destino. E trovano la comprensione e il rispetto che nessuno si è mai guadagnato tenendo sempre la testa abbassata. Perché poi, spesso non è la ribellione in sé a dare senso a se stessa, quanto il rendersi conto che la si può (ancora) praticare. Una ventata salutare, tra tanto pedalare.


4 - L'Enfer (Claude Chabrol, 1993)
L'inferno esiste? Sicuramente sì, che poi sia quello cattolico di Dante o quello burocratico di Dylan Dog, lo scopriremo solo non vivendo. Oppure c'è l'inferno in terra, quello che prende mille colorazioni e mille declinazioni, quello che può essere un amore che finisce o un dolore che si fa reale, la perdita di un lavoro o di se stessi. Qualcuno sostiene pure che l'inferno si materializzi in forma di strade di pietra nella provincia francese. Claude Chabrol è il cantore di tutto ciò che non è Parigi, nessuno come lui ha tratteggiato con grazia il tedio a morte del vivere in provincia. Dietro la facciata affascinante, l'orrore. Una bella coppia, un bel lavoro (hanno un hotel in riva a un lago), un bellissimo posto: l'inferno, appunto. Perché quando possiedi qualcosa di troppo bello, il rischio di iniziare a chiederti se te lo meriti è reale, il dubbio può insinuarsi nella mente. Lavorare in silenzio, minare le tue già vacillanti certezze, porti brutalmente di fronte al confronto tra vita reale e gelosia immaginaria. Quando possiedi qualcosa di troppo bello, è già tanto se non lo rovinerai, ed Emmanuelle Béart a 30 anni è qualcosa di incomparabilmente bello. Il povero François Cluzet ne esce con le ossa rotte. Il cervello in liquefazione. La tragedia pervicacemente perseguita e realizzata: fine di ogni gioco. Perché la vita reale (o cinematografica?) non è come quella sportiva; dopo l'inferno non sempre ci si può rimettere a pedalare il giorno dopo. Spesso dopo l'inferno c'è l'abisso.


5 - L'Homme du Train (Patrice Leconte, 2002)
Nell'immaginario collettivo, l'inizio di una nuova vita si può accompagnare all'atto di prendere un treno. Non si pensa molto spesso che anche lo scendere (dove?) da quel treno può essere significativo quanto il salirci. Johnny Hallyday arriva (col treno, appunto) in una cittadina di provincia col progetto di mettere a segno una rapina, incontra un vecchio professore in disarmo (interpretato da Jean Rochefort), i due fanno amicizia. Lo dicevano anche gli antichi adagi latini, che si vuol essere sempre ciò che non si è: è una questione di stimoli, tutto sommato: la vita più avventurosa può diventare immensamente noiosa, a lungo andare. Il cambiamento, spesso un salto nel vuoto, è anche l'unica via per rigenerarsi, per ritrovare se stessi, l'antico smalto, la voglia di andare avanti. Per riscoprirsi vincenti, anche solo per un attimo. Chissà se la rapina a lungo progettata da Hallyday (rockstar prestata talvolta - con esiti altalenanti - al cinema) andrà a buon fine. Chissà se l'intervento chirurgico del vecchio Rochefort si risolverà in un successo. Chissà se sarà possibile ipotizzare un futuro immaginario in cui le due vite saranno invertite; in cui l'uomo del treno la smetterà di rischiare l'osso del collo: ma si può sfuggire, poi, alla propria natura?


6 - Les Quatre-Cents Coups (François Truffaut, 1959)
Chi è nato in prossimità della costa, o ha avuto modo di frequentare i litorali sin da piccolissimo, avrà sempre un gap nella vita: non potrà misurare l'effetto che dà il vedere per la prima volta il mare. Antoine Doinel invece quel momento se lo ricorderà per sempre, insieme al senso di sublime sopraffazione che aveva accompagnato il suo primo, inatteso incontro con quella enorme massa d'acqua. Lo consideravano una testa calda, un mezzo disadattato, un delinquentello buono per il riformatorio. A 14 anni Antoine Doinel era la pecora nera del gruppo. Poco amato dai genitori, la sua foga adolescenziale si risolveva in grossi guai per lui, respinto e messo all'indice da tutti. Eppure sapeva anche piangere. Amava il cinema e venerava Honoré de Balzac: quanto lontano dalla realtà possono portare le prime impressioni su una persona? Antoine Doinel, figlio di François Truffaut e fratello di Jean-Pierre Léaud, non morirà mai. Ha vissuto attraverso 5 film, in quella che forse è la saga più straordinaria della storia della celluloide, è cresciuto insieme al suo interprete (Léaud, appunto), che gli ha dato molto più di un'anima. Non si può non tifare per lui, non si può non innamorarsi della sua irruenza intellettuale. E non si può restare indifferenti di fronte a quella corsa verso il mare, finale meraviglioso di un film meraviglioso di un autore meraviglioso.


7 - Le Doulos (Jean-Pierre Melville, 1962)
Regolamenti di conti: roba da noir. O da polar, se vogliamo declinare il genere compiutamente alla francese. Serge Reggiani, attore dalla faccia triste e dalle origini italiane, è per Melville un gangster che, appena uscito da galera, va a fare il giro degli amici e dei nemici. E nel separare il grano dal loglio, perde di vista la realtà e si convince che anche il suo delfino lo tradisce. E invece Silien-Belmondo era un amico leale, ma il gangster (si chiama Maur) se ne renderà conto quando sarà troppo tardi per tutti. Non c'è da scandalizzarsi se viene rivelato il finale di un noir (anzi, di un polar): in realtà non si svela niente, visto che non ce n'è stato uno che sia finito bene, la tragedia è sempre incombente su uomini piccoli resi ancora più piccoli dalla propria meschinità, dai propri errori e anche dallo smisurato orgoglio che impedisce loro di ammetterli. Il noir (anzi, il polar) ha la tragedia nel dna, e non contiene soluzione a questo precipitare verso l'inesorabile. E quando parla di regolamenti di conti, possiamo star certi che andrà fino in fondo, senza sconti per nessuno: un regolamento di conti è una cosa seria. E se qualcuno pensa che possa essere indultato con una multa di 200 franchi, non ha capito niente di come vanno le cose nel mondo degli uomini duri: un mondo in cui un colpevole non chiederà mai scusa.


8 - La Veuve Couderc (Pierre Granier-Deferre, 1971)
La fuga può essere di due tipi. Organizzata, e spesso realizzata con l'aiuto di qualche complice/compagno. Oppure improvvisata, e in tal caso ci si deve affidare alla buona sorte e al buon cuore di chi si incontra per strada: collaborerà, non collaborerà? La vedova Couderc non ebbe dubbi: collaborò. Quando si trovò tra i piedi l'evaso, proveniente dalla Cayenna, lo aiutò, gli diede un lavoro nella sua fattoria, e gli diede anche il suo cuore. Del resto la signora, già avanti con gli anni (e interpretata da una struggente Simone Signoret), aveva a che fare con un fuggiasco col volto di Alain Delon nel fiore della sua bellezza matura. Divennero amanti, diedero scandalo, l'anarchico Delon mirava solo alla proprietà, sospettavano i cognati della vedova (che alla proprietà ambivano di sicuro). E lo denunciarono, preparando il terreno alla trappola mortale ordita dalla polizia. Il finale è triste, come nella maggior parte delle storie di fughe: prima o dopo, in un modo o nell'altro, si viene ripresi. O perlomeno, questo nella visione pessimistica di Simenon, dal cui romanzo Granier-Deferre trasse un film potente, secco, asciutto nel suo essere (anche) un melodramma. Si resta con l'amaro in bocca, a fine visione. E con la speranza che al prossimo fuggitivo la fortuna sorrida un po' di più.


9 - Touchez pas au Grisbi (Jacques Becker, 1954)
Quando sei vecchio ogni errore costa il doppio. Perché quando sbagli da giovane puoi dire di avere tanto tempo per rimediare. Quando sbagli da vecchio, spesso non avrai un'altra chance per far meglio (o per cancellare l'errore precedente). O per partecipare a un altro Tour de France l'anno prossimo, nel caso tu sia uscito di classifica troppo presto. Ecco: sbagliare l'uscita di scena, che iattura! Jean Gabin, in arte Max, la sua uscita di scena la sogna spettacolare: un ultimo colpo, 50 chili d'oro per svoltare definitivamente, lasciare la malavita e darsi a tutti gli spassi possibili. Ma per fare un colpo del genere occorre essere in più d'uno, e se uno dei compagni d'azione non sa tenere la bocca ben cucita, finisce che il boss nemico (interpretato dal grande Lino Ventura) rapisce questo complice di Max e chiede al vecchio gangster il risultato della rapina dei lingotti d'oro: il bottino, in pratica. Il grisbi, come dicono in Francia (e sarà ovviamente scontro mortale tra le due bande rivali). Si sarebbe potuto ritirare prima di finire nei guai, il vecchio Max? Cosa l'ha tenuto in pista, aveva davvero bisogno di quell'oro per cambiare definitivamente vita? O aveva solo la necessità di sapere di essere ancora vivo, rispettato, di contare ancora qualcosa? Quanto si può sentire onnipotente un uomo, maschio, macho, sempre abituato a comandare anche nelle piccole cose? Al punto forse da non vedere più i propri limiti, o da non capire che quando sei vecchio, è facilissimo che trovi un giovane che ti mette nel sacco, prima o poi. O che ripeschi un antico nemico che fa di tutto per mandare all'aria l'intero tutto il tuo lavoro. Non è nemmeno nulla di scandaloso: il ciclo della vita prevede proprio questo: il nuovo rimpiazza il vecchio. Sia che esso abbia l'aria stanca e la faccia sconfitta di Gabin nelle inquadrature perfettamente crudeli di Becker; sia che abbia l'espressione di un campione dello sport.


10 - Haute Tension (Alexandre Aja, 2003)
A suo modo, Haute Tension è un film perfetto. Certo, è un horror, non si misurerà perciò con le grandi pellicole della storia del cinema, ma nell'ambito del suo genere è un punto di riferimento. Già alla prima scena il senso d'angoscia ti pervade, a vedere quelle due ragazze giovani e belle e spensierate che se ne vanno in vacanza in campagna cantando una canzone dei Ricchi e Poveri, e ad immaginare la brutta avventura che dovranno vivere. Poi la realtà (del film) è peggio, nel senso che l'avventura (col serial killer di turno) è veramente tremenda. Splatter a tutto spiano, paura vivida, sangue grondante dai corpi e dagli armadi, l'incubo che diventa realtà, la fuga, come se poi potesse esistere una fuga dai propri fantasmi: quanto si può convivere, con questi fantasmi, prima di farsene schiacciare? Il regista è giovane, all'epoca proprio un novellino: scrisse e Girò questo film che aveva poco più di vent'anni, poi, come ogni grande exploit giovanile che si rispetti, le difficoltà vengono dopo: una carriera discontinua; il tentativo di fare il grande salto (l'America, in questo caso), forse snaturando le proprie caratteristiche. E il film perfetto non viene più. Chissà se Aja ha già un futuro alle spalle; o se un giorno o l'altro ritornerà quello del 2004... volevamo dire del 2003.


11 - La Piscine (Jacques Deray, 1968)
Le mollezze dell'estate, che spettacolo. Quando il sole ti spacca in quattro, o sei davanti alla tv e a una sonnolenta tappa del Tour de France; o sei sul bordo di una piscina a riflettere sul senso della vita. Difficile trovare di meglio, francamente. Alain Delon lo sa, e dietro l'aura di scrittore un po' maledetto che ci ha avuto la malattia che l'ha frenato, aspetta l'ispirazione crogiolandosi al sole della Costa Azzurra (e lanciando col suo giacere un'iconografia tuttora vivida). Il tutto, ovviamente allietato dalla presenza della padrona di casa, una Romy Schneider che di fatto lo mantiene, e per la quale ogni aggettivo avrebbe come unica funzione quello di sminuirne la bravura e la bellezza. Per sconvolgere questo idillio, non resta che introdurre in scena il più conturbante simbolo degli anni '60, la prima donna a mostrare un nudo frontale in un film d'autore (Blow Up di Antonioni), la fanciulla angelica che produceva i mugolii di Je t'aime moi non plus per il suo Gainsbourg. Jane Birkin, che acerba arriva col padre e sconvolge ogni equilibrio. A volte, l'imprevisto che ribalta ogni cosa si verifica anche nelle migliori e più routinarie famiglie. Altre volte purtroppo no; in quei casi, non resta che pedalare. Senza euforia, fino alla fine della giornata.


12 - Un Homme de Têtes (Georges Méliès, 1898)
La testa si può usare in tanti modi, o anche non usarla, volendo. Si può completamente perderla, in determinati frangenti della vita o dell'arte. Oppure la si può utilizzare per colpire. Épater le bourgeois, urlavano i Poeti Maledetti, divinità insostituibili della letteratura. In quegli stessi anni Georges Méliès, che si riteneva un artigiano, al limite un illusionista, ma non certo un artista, molto più umilmente si mise in testa di colpire tutti, non solo i borghesi. Colpire nel senso di stupire, impressionare, sconvolgere per sempre. Cambiare l'immaginario popolare dell'intera umanità. Il cinema non aveva una tradizione, né regole codificate, né professionalità consolidate. Emetteva i primi vagiti e ogni sua cosa andava inventata. Méliès, protagonista assoluto di quella fantasmagorica fin de siècle, demiurgo della fantascienza (Viaggio nella luna!), è in realtà l'autore di Avatar e il creatore primo del cinema tridimensionale a cui oggi ci accostiamo con meraviglia. Ma nessuna sensazione filmica potrà più farci vivere quello che videro quegli occhi vergini, di quegli spettatori sprovveduti, di fronte alle diavolerie del primo genio della celluloide. Forse il più grande, più di Kubrick e Fellini messi insieme, perché fu il primo ad aprire praterie che sarebbero poi state battute da tutti gli autori venuti dopo, il primo a immaginarsi l'inimmaginabile (per dirne una: il montaggio!), e a realizzarlo con le sue sole mani e la sua testa pensante. Testa con cui qui Méliès gioca, felice di stupire, primo inventore degli effetti speciali al cinema, già alla fine dell'800. Una mente superiore. Una gioia per gli occhi questo film (uno dei tantissimi che realizzò). 50" di magia. Un regalo per tutti noi.


13 - Ressources Humaines (Laurent Cantet, 2000)
Generazioni a confronto. Viene sempre il momento in cui il giovane rampante deve mandare in pensione il veterano, senza troppi riguardi, magari, senza il dovuto rispetto, mettendo al primo posto gli obiettivi posti e sottilineati dalla competitività su cui si basano le nostre attività. Quando sui due fronti si trovano un figlio e un padre, il dramma umano diventa terribilmente concreto e ci lascia a specchiarci nelle nostre certezze scricchiolanti. Aveva già capito tutto Laurent Cantet, con un po' di anni d'anticipo (non che ci volesse tanto, a dire il vero, ma la questione è anche saper rappresentare la realtà presente e futuristica): un capitalismo non mediato da massicce dosi di solidarietà sociale, è destinato al collasso, e a prefigurare un'inconsapevole lotta tra generazioni, appunto, che disgrega la società occidentale. Cantet, probabilmente l'esponente migliore dell'ultimo decennio di cinema francese, sa andare al cuore del problema. Con sguardo verista, senza vezzi e senza lazzi, con attori presi "dalla strada" (o dalla fabbrica?), senza dover condire la storia degli uomini con inutili (ai nostri fini) orpelli amorosi, inquadrando le cose reali e parlando di operai senza vergogna. Un'opera, un genere se vogliamo, sicuramente un'attitudine che manca da troppo al cinema italiano.


14 - L'Air de Paris (Marcel Carné, 1954)
Il pigmalione è una figura molto presente nel cinema di ogni genere. Colui che cresce un giovane "delfino", lo svezza, rivive in lui i propri sogni e le proprie ambizioni (in genere il pigmalione è un uomo sconfitto dalla vita) e poi viene quasi sempre abbandonato sul più bello, quando il pivello di turno spicca il volo per traguardi più importanti; e quando, tra la riconoscenza e l'ambizione, sceglie inevitabilmente la seconda opzione: del resto, c'è mai stato un giovane rampante che abbia rinunciato al proprio cammino per onorare fino in fondo il vecchio arnese che l'ha (idealmente) messo al mondo? Il pigmalione però lo mette in conto; mette in conto anche di dover fare gli straordinari per riparare agli errori commessi per foga o inesperienza dal giovanotto. Jean Gabin, quanto a vecchio arnese, è una figura quasi paradigmatica. Un ruolo che calza a pennello all'apparentemente burbero ma profondamente buono protagonista di questa pellicola in cui Carné cala il grande attore nell'ambiente di una palestra di boxe, e lo mette alle prese con un biondino promettente ma più pronto a innamorarsi che a perseguire titoli sportivi. Per una volta, però, questa storia ha un finale a sorpresa: il giovane si ritrova lasciato dal suo amore e torna tra le capienti braccia del vecchio. Ma come, e tutta la tiritera un po' patetica di qualche rigo fa? La riprova, se ce ne fosse bisogno, che lo sport sa prevedere bene i suoi colpi di scena: quasi più che il cinema.


15 - L'Eau Froide (Olivier Assayas, 1994)
Dall'incomprensibile mondo degli adulti non c'è che una cosa da fare: fuggire. Quella fuga universalmente riconosciuta come un territorio libero e selvaggio, rischioso e salvifico, un archetipo che ha attraversato il cinema e che a ben pensarci è stato codificato proprio da alcuni sommi autori della Nouvelle Vague (di Truffaut e del suo giovane Doinel abbiamo già parlato in questa rubrica). Anche Assayas, pescando molto nella propria biografia personale, ci parla di giovani che si sentono fuori posto dappertutto e cercano una loro dimensione lontano dalle regole di una società sclerotizzata in cui nessuno osa, nessuno rischia un passo in più verso l'ignoto, in cui nessuno fa lo sforzo di provare a capire le persone che girano intorno. Se ne vanno via i due adolescenti, verso chissà dove, ma non importa, perché quello che più importa è il come, e la fuga cambia spesso una vita, di sicuro cambia le prospettive con cui guardiamo al mondo. Una splendida, giovanissima Virginie Ledoyen; una lunga indimenticabile scena di una festa pirata, rock d'epoca (l'ambientazione è del '72) a tutto andare e ballo fino allo sfinimento. Tutto intorno, un film definitivamente liberatorio, se mai ce n'è stato uno.


16 - Les Choses de la Vie (Claude Sautet, 1970)
Le cose della vita sono un po' così. A volte aspetti e aspetti e aspetti per realizzare un progetto, per prendere una decisione, per fare finalmente una cosa che andava fatta già da tanto tempo; e quando dopo mille indugi ti metti in azione, arriva l'imprevisto che fa saltare tutto all'aria. Il colpo di scena che riavvolge il nastro, l'intoppo che non ci voleva, e che lascia lo spettatore con in bocca l'amaro di un lieto fine atteso, sospirato e brutalmente negato. Le cose della vita sono indirizzate da particolari infinitamente trascurabili, come una catena che non ingrana bene, per esempio; e non è detto che sia cosa da tutti saper giocare col destino e fare partita patta (di vincere non se ne parla proprio). Claude Sautet, il regista degli amici, delle mogli e (affettuosamente) delle "altre", incappa in un romanzo (di Paul Guimard) che lo affascina, e ne trae un film di maestoso disperato romanticismo. Le "altre" qui sono incarnate dal volto migliore di tanto del miglior cinema d'oltralpe, Romy Schneider, affascinante come nessuna. Anzi sì, come una, che continua a ronzare nella testa e nei pensieri ormai quasi perduti di un Michel Piccoli allo sbando: quest'una è la moglie (interpretata da Lea Massari), abbandonata a suo tempo ma mai del tutto, e verso la quale c'è una forza centrifuga che spinge il protagonista. Il quale alla fine la sua scelta la farà, dopo tanto tormento: tornare dalla moglie, lasciare l'amante. Scriverle una lettera d'addio, e poi - eccolo il destino infame - schiantarsi tra le lamiere di una splendida Giulietta Sprint del '59. Ci penserà la moglie a non far mai avere a Romy-Hélène la lettera che le avrebbe straziato ancor più il cuore. Una vittoria non consumata, l'onore delle armi all'avversaria inconsapevole: anche in una struggente storia d'amore ci può essere spazio per il fair play. L'importante è non invocarlo, se è il caso vien da sé; nei film di Sautet è sempre il caso. Ma del resto, sono - questi film - alcuni dei luoghi più civili e vivibili della storia contemporanea.


17 - La Grande Bouffe (Marco Ferreri, 1973)
Essì, c'è anche un italiano in questa nostra rassegna che ormai volge alla conclusione. Ma non si può chiudere una carrellata sul cinema francese senza una citazione per Marco Ferreri, vero protagonista transnazionale del percorso di celluloide negli anni '60 e '70 (adorato e operativo soprattutto oltralpe), e in grado di corrodere fino alla scomparsa (avvenuta nel '97). La storia che qui Ferreri (con la coda di diavolo di Rafael Azcona, suo sceneggiatore di fiducia) ci narra è tanto semplice quanto assurda: quattro amici (si chiamano casualmente Ugo, Marcello, Michel e Philippe) si rinchiudono in una villa parigina per un week-end allo scopo di mangiare tanto da scoppiare. Un suicidio di matrice gastronomica, insomma, in un tripudio di rutti ed emanazioni gassose retrosfiatanti (sì, insomma: scorregge!) che scandalizzò il mondo all'epoca; e con l'accompagnamento di donnine a pagamento tenute però lì come soprammobili mentre la grande abbuffata procede. Che senso ha tutto ciò? Nessuno. Chi mai - sano di mente - farebbe quello che Tognazzi (ovazione), Mastroianni, Piccoli, Noiret (grandissimi) fanno in questo film? Oddio, a pensarci un secondo, ma proprio un secondo in più, a qualcuno potrebbe sorgere il dubbio che la crescita (economica) perenne (con conseguente sfruttamento intensivo delle risorse) sia in realtà un'utopia destinata a sopprimere chi la persegue; oppure che la società dei consumi, tra l'altro avvitata in un decadimento etico, sia destinata a implodere fragorosamente; oppure che la vera natura dell'uomo sia di saziare i suoi istinti primordiali incurante delle conseguenze su se stesso; oppure che nemmeno la ragione, laddove arrivi a illuminare la scena, basti a invertire il moto del sistema; o ancora, che sopperire alla qualità con la quantità (ciò che fa l'uomo consumatore, che poi a ben pensarci è anche ciò che fa il tossicodipendente) sia solo un pio palliativo, in attesa dell'inevitabile tracollo. Un po' come - di metafora in metafora da Ferreri si arriva a coprire lo scibile umano - quando possiedi una montagna e pure la ragionevole certezza che non ti servirà a niente, anziché chiederti come sia possibile che una montagna non basti, ti limiti a duplicarla. Quante volte si può duplicare una montagna? A che prezzo?


18 - Jules et Jim (François Truffaut, 1962)
"Il tema dell'amicizia virile" era un amato e abusato luogo comune della critica cinematografica per trovare un senso anche a film (massimamente western) in cui oltre allo sparare agli indiani c'era poco. Del resto, a ben pensarci, sono poche le pellicole da cui non emerga almeno un'amicizia virile: e il tema sopracitato, mal che vada, viene sempre fuori anche in mancanza di altri argomenti. In realtà, poi, va detto che spesso quest'amicizia virile era una perifrasi, un non dire per dire, un'allusione a tensioni e pulsioni omoerotiche che la Hollywood classica, quella del codice Hays, non poteva concepire applicate a John Wayne o Henry Fonda (né l'avrebbero mai personalmente accettato John Wayne o Henry Fonda, ma questa è un'altra storia): l'eroe di una storia da uomini non poteva concedersi determinate derive, e Ang Lee era ancora lontano quando, all'alba dei '60, François Truffaut sviscerò in maniera quantomeno singolare questo tema. Ci mise una Jeanne Moreau splendente, tra i due amici divisi da una diversa nazionalità e dalla Prima Guerra Mondiale, ma uniti dall'amore per lei e soprattutto dal ricordo di essere stati giovani e spensierati insieme. Il titolo reca i nomi di Jules e di Jim, ma in realtà il vero centro di gravità del film è lei, Catherine: un traguardo tanto prezioso da far sì che nessuno dei due amici voglia rinunciare a lei e al contempo a se stesso e al sentimento per l'altro: dovrebbero essere rivali, ma si scoprono ancora più uniti al cospetto di lei. Ne viene fuori un triangolo perfetto, solare, rivoluzionario, in cui tutti e tre i protagonisti sono già gratificati dal fatto di esserci, di far parte di quel trio delle meraviglie. Amore e amicizia o amore è amicizia?. Per il trionfo dell'ego, o per schiacciare un avversario, ci sarà sempre tempo.

19 - Smoking-No Smoking (Alain Resnais, 1993)
Quando una grande avventura volge al termine, è inevitabile guardarsi indietro e provare a riconoscere gli snodi fondamentali che l'hanno interessata. Capire come sarebbero potute andare le cose se anziché essere usciti di casa alle 8 fossimo usciti alle 8.05; immaginarsi l'alternativa se avessimo incontrato una persona piuttosto che un'altra. Esplorare l'ipotesi che una determinata classifica potesse essere diversa se ci fossimo mossi 20 km prima anziché 20 km dopo. Le infinite variazioni e possibilità di un'esistenza, in pratica: nell'attesa che computer e modelli matematici ci predicano con precisione quel che sarà se ci comportiamo in un modo o in un altro (il futuro addomesticato e disinnescato), nella vecchia era c'è ancora qualcuno che ai numeri preferisce il racconto. Alain Resnais ci aveva già provato in anni giovanili (L'anno scorso a Marienbad), a elucubrare sul passato, sul futuro e sulle loro declinazioni. In età avanzata, l'autore riapre il vecchio libro del tempo, e si ispira per creare questo dittico, un gioiellino praticamente unico nel suo genere, un meccanismo a orologeria che, diviso in due film, va fino in fondo a ogni bivio (ecco il paragone: le storie a bivi di Topolino di qualche anno fa!), nell'una e nell'altra direzione. Aiutato, nell'opera, da due attori in stato di grazia e pronti a interpretare una moltitudine di ruoli (Sabine Azéma, sempre fantastica, e Pierre Arditi): e perché poi, alla fine, sono importantissimi, loro, gli attori: se un copione eccezionale viene recitato da cani, il film viene una schifezza. Per fortuna che ci ha pensato Resnais, e che si può sempre tornare indietro al bivio precedente per vedere cosa succede scegliendo un'altra strada...


20 - Les Rendez-vous de Paris (Eric Rohmer, 1995)
Si finisce, e quando possibile è bene finire in scioltezza. Con leggerezza: chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, e subito pronti a immergersi nel prossimo progetto. Ammesso che un progetto ci sia e che tutto non sia frutto del semplice caso. Il caso, motore pulsante del cinema di Rohmer, ma anche di mille storie che, tra un colpo di scena e l'altro, di cinematografico avrebbero molto (mai vista una corsa ciclistica, per esempio?), a patto di trovare qualcuno che le sappia raccontare col tono giusto: con la levità di tocco propria del grande autore purtroppo scomparso all'inizio di quest'anno. Un tocco che Rohmer ha imposto attraverso il suo strano modo di fare film, spesso semplici capitoli di un libro immaginato (diresse 6 film che sviluppavano il tema "Sei racconti morali", poi altri 6 incentrati su "Commedie e proverbi", quindi, già settantenne, i 4 magnifici "Racconti delle quattro stagioni"). Qui, in "libera uscita", il vecchio Eric ci regala un film che racconta di incontri più o meno casuali - ma anche più o meno cercati - di persone che hanno a che fare con l'amore: e anche se paiono sospese in un tempo di fiaba, ci aprono nell'anima improvvisi e profondi squarci di realismo in cui siamo costretti a guardare (e a vedere noi stessi); una boccata d'aria fresca, attraverso una semplicità disarmante e una acutezza dissacrante. E tutt'intorno Parigi, stordente, intrigante, complice; lei, titoli di testa e titoli di coda di qualsiasi cosa possa avere a che fare con la Francia. La Ville Lumière: nata per stare in passerella.


Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
Gimbatbu
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Re: Cinematografo

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:clap: :clap: :clap: :clap: :clap: :clap:

Bellissimo, svegliarsi la mattina e mettere subito in moto le poche cellule cerebrali rimaste leggendo questa sontuosa carrellata. Grazie Admn, molti film li ho visti, qualcuno mi manca e cercherò di rimediare. I quattrocento colpi è il film di Truffaut che più mi è piaciuto di tutta la sua produzione in omaggio alla teoria di Calvino che diceva che solo nella prima opera compiuta l' artista riesce a mettere tutto quello che ha dentro, il resto è talento se ce n'é, ma anche mestiere e manierismo. La piscina film bellissimo recitato superbamente e I parenti terribili sublimazione della ferocia. Su tutti però uno dei film che ho amato di più in assoluto: Rosetta, chapeau.


Cthulhu
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Re: Cinematografo

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nemecsek. ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:29 en passant una domanda, sperando di non svilire il livello del thread

ho letto recentemente i diavoli di loudon, e ho googolato che ken russel ne ha tratto un film, qualcuno lo ha visto?
Io si: fu uno scandalo internazionale, la Chiesa cattolica voleva ripristinare i roghi in piazza pure per i critici che non lo avevano stroncato...
E' un film di Ken RusselL, con i suoi pro e i suoi contro. Affascinante e visionario, ma anche forzato e sensazionalista. Comunque da vedere.


Cthulhu
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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da Cthulhu »

Admin ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:26
Bitossi ha scritto: giovedì 23 aprile 2020, 23:42 L’avevo scritto che è Rivette! :D

Sicuri Bresson e Vigo, ne mancano due... :fischio:

EDIT: e Renoir, òstrega! Quindi meno uno. Duvi?
None, Melville, l'hanno già scovato. ;)

Mi aspettavo da qualche parte una citazione per Tourneur. :cincin:

Poi vi riporto la serie che feci per un TourNotes anni fa, 21 film francesi (in realtà non tutti, ne ricordo almeno uno belga) intrecciati con quel Tour. C'erano degli incroci simpatici.
Tourneur ha fatto grandissimi film, ma lo considero un regista americano. Ci è arrivato da bambino e la carriera l'ha fatta tutta lì


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Alanford
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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da Alanford »

Admin, che meraviglia!
Fra quelli che hai citato, alcuni non li ho visti, mentre altri, come Jules e Jim, li adoro.
Ma due parole le spendo per Smoking-No Smoking. Un'opera fra teatro e cinema, stupendamente diretta da Resnais, 5 ore che ti passano in un baleno o quasi :D . I due protagonisti fantastici, ma Sabine Azéma in questo film, è semplicemente superba.

Voglio citare altri due titoli, entrambi di Godard.
Bande à part - giovani cinici e sognatori, fra spensieratezza ed egoismo, in una Parigi non certo da cartolina, che scorre tra periferie e bar. Indimenticabili la corsa nelle sale del Louvre, il minuto di silenzio (che poi è un po' meno di un minuto) :) e soprattutto il ballo a tre, una cosa sublime.
Vivre sa vie - un film toccante, tenero e drammatico. Una Anna Karina splendida come non mai. Piani sequenza spettacolari e mai fini a se stessi, come quello nel negozio di dischi. Da ricordare il primo piano di Nana, mentre al cinema sta seguendo La passione di Giovanna d'Arco.


Gimbatbu
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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da Gimbatbu »

febbra ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:27 Se può interessare ho visto il film Storia di un fantasma (A Ghost Story) di David Lowery con Casey Affleck ed un'ottima Rooney Mara. :cuore: Film molto particolare che dà una visione alternativa della vita, della morte e del tempo che passa, che è passato e che passerà (mi ha ricordato per molti aspetti 'Quand'ero mortale', bellissimo racconto di Javier Marias). Vedetevi il film e leggetevi il racconto, se potete. :stretta:

:hippy:
Cercherò il film, sono molto incuriosito dal parallelismo con Marias autore secondo me tra i migliori in assoluto del panorama mondiale. Anche se OT consiglio il suo Domani nella battaglia pensa a me, fantastico romanzo per piani paralleli di una bellezza avvincente. Che non abbia ancora preso il Nobel la dice lunga sulla competenza dei giurati...


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Re: Cinematografo

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Gimbatbu ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 16:04
febbra ha scritto: venerdì 24 aprile 2020, 0:27 Se può interessare ho visto il film Storia di un fantasma (A Ghost Story) di David Lowery con Casey Affleck ed un'ottima Rooney Mara. :cuore: Film molto particolare che dà una visione alternativa della vita, della morte e del tempo che passa, che è passato e che passerà (mi ha ricordato per molti aspetti 'Quand'ero mortale', bellissimo racconto di Javier Marias). Vedetevi il film e leggetevi il racconto, se potete. :stretta:

:hippy:
Cercherò il film, sono molto incuriosito dal parallelismo con Marias autore secondo me tra i migliori in assoluto del panorama mondiale. Anche se OT consiglio il suo Domani nella battaglia pensa a me, fantastico romanzo per piani paralleli di una bellezza avvincente. Che non abbia ancora preso il Nobel la dice lunga sulla competenza dei giurati...
Capolavoro. :yes: :stretta:

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Re: Cinematografo

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Anche se non è proprio nouvelle vague da non perdere il leggendario La jetee (1963) di Chris Marker, fra l'altro cortissimo, un film fatto tutto di fotografie. L'esercito delle 12 scimmie di Gilliam ne è il remake. Dello stesso autore consiglio il documentario Sans Soleil (1983)
Une simple histoire (1959) di Marcel Hanoun è un capolavoro sconosciuto, fra l'altro tutt'altro che semplice come il titolo e il soggetto - le vicissitudini di una donna disoccupata con una figlia - farebbero pensare.
I primi film di Jacques Demy ,soprattutto Lola (1961) e il celebre musical Le parapluies de Charbourg (1964) - un po' meno il seguito Les Demoiselles de Rochefort (1967) - sono opere di grande fascino e amore per il cinema . In seguito però ha fatto un bel po' di schifezze.
DI sua moglie Agnes Varda da vedere Cleo dalle 5 alle 7 (1962) su due ore della vita di una donna in attesa del risultato di una biopsia. L'une chante l'autre pas (1977) è un film femminista in cui le donne non danno l'idea di voler castrare gli uomini, e non è poco.Senza tetto né legge (1985) ha una Sandine Bonnaire straordinaria.
Claude Chabrol non mi fa impazzire. Riconosco il suo talento e la sua finezza, ma trovo i suoi film noiosi, il che per un regista di thriller è un peccato mortale. Quelli che mi sono piaciuti sono Donne facili (1960), Stephane, una moglie infedele (1969) e Il tagliagole (1970).
Alain Resnais non lo sopporto. Capisco che uno studente di cinema possa sbrodolare ore sulle sue raffinatezze tecniche, tipo il ritmo del montaggio che cambia con la condizione psicologica della protagonista in Muriel, ma per me fa film freddi, costruiti a priori, con la puzzetta sotto il naso e con personaggi antipaticissimi. In particolare l'Anno scorso a Marienbad sembra una pubblicità di alta moda. Smoking/no Smoking è sicuramente intelligentissimo nelle sue premesse ma guardarlo è stata una tortura. Providence (1977) per me è il suo migliore, grazie a un John Gielgud immenso.
Eric Rohmer invece mi piace, a patto di non prenderlo troppo sul serio. Alla fine fa film semplici e di tono leggero ma di grande intelligenza.Peccato che il suo stile molto "parlato" abbia influenzato una miriade di epigoni che pensano basti mettere un po' di gente a parlare del più o del meno per fare cinema. la mia notte con Maud (1969), il ginocchio di Claire (1970) Perceval le gallois (1978) e il Raggio verde (1986) i miei preferiti.
Impossibile negare l'importanza e la genialità di Francois Truffaut, ma per me aveva un problema: un'eccessiva auto-indulgenza che lo ha portato a girare delle mezze - o intere - schifezze, tipo Fahrenheit, la sposa in nero, i film di Antoine Doinel post 400 colpi e in generale quasi tutti gli ultimi suoi film escluso lo splendido La Camera verde ( 1978) e anche a non tagliare un mucchio di scene inutili dai suoi film migliori.
Detto questo i 400 colpi (1959) è fantastico, Sparate sul pianista (1960) è il film più divertente che abbia mai girato e il trio di capolavori del periodo di mezzo, la mia droga si chiama Julie ( la sirene du Mississipi 1969), il ragazzo selvaggio (1970) e le due inglesi (1971) basterebbero a consegnarlo alla storia. Jules e Jim e Effetto Notte viceversa non è che mi facciano impazzire poi troppo.
Jean-Luc Godard è un genio dell'immagine, un Picasso del cinema: ha rivoluzionato il cinema con le sue inquadrature eccentriche, le sue scelte di montaggio, il suo uso del colore. Non c'è suo film ,anche non riuscito, che non abbia momenti straordinari; cito a titolo d'esempio la tazza di caffè che diventa come una galassia in 2 o 3 cose che so di lei o il senso di esaltazione spirituale che da la finestra che si apre per il vento in Nouvelle Vague.
E chi, se non un genio, avrebbe potuto girare un film di fantascienza ambientato in un lontano futuro ( Alphaville 1965, forse il mio preferito) con delle normali automobili come navicelle spaziali, le uscite autostradali come ingresso nelle orbite planetarie e un ventilatore a muro come computer dittatore del mondo ? Il problema è che a un certo punto a iniziato a parlare e a pontificare e non ha più smesso. Quel genere di chiacchiericcio intellettuale pomposo, megalomane e oscuro tipicamente francese ( Lacan, Deleuze, Derrida, Debord...) che serve a nascondere che si stanno dicendo o trite banalità o boiate tout-court.
Quindi per me i suoi film migliori sono i primi, quando la tendenza a fare il profeta era ancora tenuta a freno.
Ovviamente il seminale Fino all'ultimo respiro ( 1960) , la donna è donna (1961), Questa è la mia vita - vivre sa vie (1962), Les carabiniers (1963), il Disprezzo (1963) una donna sposata (1964), il bandito delle 11 - Pierrot le Fou ( 1965) e il già citato Alphaville. In realtà tutti i suoi film o quasi meritano di essere visti, prima o poi, tra trame senza senso, dialoghi contorti e oscuri e predicozzi fuori campo il colpo di genio,la sequenza o l'immagine che mozzano il fiato saltano fuori. Del tardo Godard splendida la serie Histoire(s) du Cinema (1988-1998) chilometrico documentario fatto di spezzoni di film di tutto il mondo e di tutti i tempi rimontati, giustapposti, mischiati come solo un genio sa fare. Solo che anche lì continua a predicare, adora il suono della sua voce che spara cazzate.
Prossima puntata dagli anni 70 a oggi, dove sono meno preparato.
e i cinque grandi, tanto li avete indovinati...


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Le Maman et la putain (1973 ) di Jean Eustache sono due donne e un uomo che parlano di amore e sesso seminudi in una stanza per tre ore. Sembra una gran palla, in realtà è molto affascinante. Peccato il regista sia morto giovane.
Altro scomparso prematuramente ( con questi bignamini mi sto rendendo conto che fare il regista cinematografico è dannoso per la salute ) è Maurice Pialat, autore degli splendidi a nos Amours ( 1983), Sotto il tetto di Satana (1987, un film ateo e religioso nello stesso tempo) e Van Gogh (1991, una biografia senza luoghi comuni, non si taglia nemmeno l'orecchio..).
Da vedere assolutamente gli splendidi drammi coloniali di Claire Denis Beau travail ( 1989 - un capolavoro ) e White material (2009). Poi se uno sente proprio la necessità di vedersi un film girato da Marguerite Duras c'è India Song (1975)
Sempre intriganti gli "scandalosi" i santissimi (1974) e Preparate i fazzoletti (1979) di Bertrand Blier.
Di Patrice Leconte consiglio Monsieur Hire (1989), il marito della parrucchiera (1990 ) e l'uomo del treno (2002)
I famosi film di Jean Pierre Jeunot Delicatessen (1991) e Amelie (2001) sono molto divertenti e originali, passo sopra anche al loro esagerato "francesismo"
Nonostante la sua estetica da video musicale, Leos Carax mi piace molto, sia Mauvais Sang (1986) che Gli amanti del ponte nuovo(1991), fino a Holy Motors (2002)
Jacques Audiard ha fatto un trio di film molto belli, Tutti i battiti del mio cuore (2005), il profeta (2009) e un sapore di ruggine e di ossa ( 2012); sfortunatamente i suoi film successivi non sono dello stesso livello.
Altri film in ordine sparso:
sul versante più "borghese" Una domenica in campagna (1984) di Bertrand Tavernier e Un cuore d'inverno ( 1992) DI Claude Sautet, anche se non riesco ad immaginare un maschio eterosessuale che rifiuti di trombarsi Emmanuelle Beart.
Il bressoniano Therese (1986) di Alain Cavalier sulla vita della santa di Lisieux, poi La mia stagione preferita ( 1993) di Andre Techine, il ponderoso ma affascinante dramma storico La regina Margot (1994) del regista teatrale Patrice Chereau, l'odio (1995) di Mathieu Kassovitz, che non ha più fatto nulla di quel livello, l'omaggio al cinema di Feuillade Irma Vep (1996) di Olivier Assayas, La classe (2009) di Laurent Cantet, uomini di Dio (2010) di Xavier Beauvais sull'eccidio di 7 monaci da parte dei fondamentalisti islamici in Algeria, le cose che verranno (2016) di Mia Hansen-Love, esile ma molto ben fatto. Nulla di miracoloso, comunque, la settima arte sarebbe sopravvissuta anche senza.
Francois Ozon per me è una pallida copia di Fassbinder senza il talento dell'originale, ma Swimming pool (2003) si fa guardare.
L'osannato ( in patria ) Abdellatif Kechiche per me è un bluff. Mi sono bastati il sopravvalutato Cous-Cous e l'orrendo Venere nera. Evidentemente pensa che inquadrare ossessivamente da pochi centimetri di distanza pezzi di pelle umana sia arte rivoluzionaria. Ma i francesi non si sono ancora ripresi dallo shock di aver perso la centralità culturale che avevano una volta e cercano di rifarsi esagerando, nella convinzione che questo basti per riportarli all'avanguardia. Vedi la nuova scuola di film dell'orrore estremi basati su torture atroci. Ho visto Martyrs (2008) di Pascal Lausser. Basta così grazie...
i Dardenne sono belgi e non li tratto; ma sono meglio di tutti quelli citati nel paragrafo.
Chiuderò con Vigo-Renoir-Bresson-Melville-Rivette.
Non ho intenzione di scrivere dei micro saggi, devo trovare il modo di sintetizzare in 4.5 righe perché li ritengo così importanti.
à bientôt


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Mi sono dimenticato Michel Gondry che in effetti non si sa quanto appartenga al cinema americano o a quello francese.
I suoi film francesi L'arte del sogno (2006),La schiuma dei giorni (2013) e Microbo e Gasolina (2015) sono molto, ma molto diseguali, ma hanno comunque fascino.
Nulla in confronto a The eternal sunshine of the spotless mind. Ma lì ci sono Charlie Kaufman e Jim Carrey.


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Eh, però da jazzofilo mi tocca segnalare la dimenticanza (voluta?) di ‘Round Midnight di Tavernier... :nonono:
Capisco che cinematograficamente i suoi film siano abbastanza ordinari, ma a me erano piaciuti anche L’orologiaio di Saint Paul e Colpo di spugna.

Dal punto di vista musicale, anche Ascensore per il patibolo di Malle è piuttosto importante.
Fra l’altro, ho trovato sempre curioso che il protagonista del film si chiamasse... Tavernier! :diavoletto:
Siamo sempre da quelle parti, drammaturgia ordinaria, ma sbaglio o di Malle non si è fatto neppure il nome? Visti diversi suoi film, ricorderei anche Fuoco fatuo e Lacombe Lucien, se non altro per l’argomento “scabroso”.

Aspettiamo la cinquina maledetta, dove effettivamente compariranno diversi capolavori... ;)

PS: mi permetto di segnalare anche lo straziante Notti Selvagge, opera prima ed unica di Cyril Collard.
PPS: e già che ci siamo, sempre per la relativa scabrosità, Il potere dei sensi di Brisseau.


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Bitossi ha scritto: sabato 25 aprile 2020, 20:28 Eh, però da jazzofilo mi tocca segnalare la dimenticanza (voluta?) di ‘Round Midnight di Tavernier... :nonono:
Capisco che cinematograficamente i suoi film siano abbastanza ordinari, ma a me erano piaciuti anche L’orologiaio di Saint Paul e Colpo di spugna.

Dal punto di vista musicale, anche Ascensore per il patibolo di Malle è piuttosto importante.
Fra l’altro, ho trovato sempre curioso che il protagonista del film si chiamasse... Tavernier! :diavoletto:
Siamo sempre da quelle parti, drammaturgia ordinaria, ma sbaglio o di Malle non si è fatto neppure il nome? Visti diversi suoi film, ricorderei anche Fuoco fatuo e Lacombe Lucien, se non altro per l’argomento “scabroso”.

Aspettiamo la cinquina maledetta, dove effettivamente compariranno diversi capolavori... ;)

PS: mi permetto di segnalare anche lo straziante Notti Selvagge, opera prima ed unica di Cyril Collard.
PPS: e già che ci siamo, sempre per la relativa scabrosità, Il potere dei sensi di Brisseau.
Lo sapevo che qualcuno veniva fuori con qualcosa che ho dimenticato. Malle lo potevo inserire in effetti. DI film buoni ne ha fatti parecchi, ma non mi fa impazzire. Alla fine un buon artigiano come tanti di Hollywood, per esempio. Solo che è francese e quindi passava per artista. Di Tavernier ho inserito solo quello che ritengo il migliore, non volevo fare una lista di tutti i buoni film d'oltralpe.
Le notti selvagge lo vidi all'epoca ma non lo ricordo bene. Ricordo che pensai che se il regista non fosse morto di AIDS non avrebbe avuto tutto quel successo. Il film di Brisseau non l'ho proprio visto. Mi sono bastati un paio di pseudo porno della Breillat.
Non sono un fan del cinema francese dell'eccesso, lo trovo ricattatorio. Per il sesso esplicito è meglio youporn, è più onesto.


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Re: Cinematografo

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Ragazzi! Appena ho letto La Jetée (di cui purtroppo non trovo su youtube una versione decente da embeddare direttamente qui) mi è venuto in mente un film che spesso associo a quello di Marker, non so perché, forse per la durata simile o perché boh, può essere che li abbia visti la stessa notte?

Comunque questo è un capolavoro da togliere il fiato, e qualche giorno fa Cthulhu parlava di one hit wonder, e questo è una super one hit wonder. Basti pensare a chi l'ha scritto e chi l'ha interpretato... Io lo trovo sensazionale. Non mi risulta che il regista, Alan Schneider, abbia fatto altre opere per il cinema. [Purtroppo non ci pensavo mentre stilavo i 100 film de ma vie, lo metterò nei plus (mi capisco da me).]

Molti di voi l'avranno visto, ma se lo vedrà uno in più dei frequentatori di questo thread gli avremo reso un grande servigio! E anche chi l'ha già visto lo può riguardare, son poco più di venti minuti... :D

Scritto da SAMUEL BECKETT
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Cthulhu ha scritto: sabato 25 aprile 2020, 23:25
Non sono un fan del cinema francese dell'eccesso, lo trovo ricattatorio. Per il sesso esplicito è meglio youporn, è più onesto.
:D

Quindi niente recensioni di Irréversible o Dobermann, giusto? :D

Di Luc Besson invece che pensate (non solo Ct.)? Che sia un regista molto importante pur se molto fracassone lo penso solo io?


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Admin ha scritto: sabato 25 aprile 2020, 23:39
Cthulhu ha scritto: sabato 25 aprile 2020, 23:25
Non sono un fan del cinema francese dell'eccesso, lo trovo ricattatorio. Per il sesso esplicito è meglio youporn, è più onesto.
:D

Quindi niente recensioni di Irréversible o Dobermann, giusto? :D

Di Luc Besson invece che pensate (non solo Ct.)? Che sia un regista molto importante pur se molto fracassone lo penso solo io?
Besson secondo me è solo fracassone! :diavoletto: Un Ken Russell con meno talento visionario, visto che dell’inglese si è parlato di striscio. Cthu dovrà fare un saggio anche sul cinema british... :D

Tornando a Besson, Il quinto elemento... ero indeciso tra l’ilarità e l’indignazione. Film inutile, comunque. I suoi primi film erano quasi cult tra i parigini, che all’epoca bazzicavo. Il giochino è finito presto... :boh:

Irreversible, altro film inguardabile (il Memento dei poveri :D ), ed il regista è argentino.
Ho vaghi ricordi di Dobermann... ma pure lì, il regista non era mezzo olandese? :dubbio:


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Admin ha scritto: sabato 25 aprile 2020, 23:36 Ragazzi! Appena ho letto La Jetée (di cui purtroppo non trovo su youtube una versione decente da embeddare direttamente qui) mi è venuto in mente un film che spesso associo a quello di Marker, non so perché, forse per la durata simile o perché boh, può essere che li abbia visti la stessa notte?

Comunque questo è un capolavoro da togliere il fiato, e qualche giorno fa Cthulhu parlava di one hit wonder, e questo è una super one hit wonder. Basti pensare a chi l'ha scritto e chi l'ha interpretato... Io lo trovo sensazionale. Non mi risulta che il regista, Alan Schneider, abbia fatto altre opere per il cinema. [Purtroppo non ci pensavo mentre stilavo i 100 film de ma vie, lo metterò nei plus (mi capisco da me).]

Molti di voi l'avranno visto, ma se lo vedrà uno in più dei frequentatori di questo thread gli avremo reso un grande servigio! E anche chi l'ha già visto lo può riguardare, son poco più di venti minuti... :D

Scritto da SAMUEL BECKETT
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eh si, meraviglioso. Schneider era un regista teatrale che ha diretto le opere di Beckett molto spesso. Praticamente l'autore è Beckett stesso, che era presente per tutte le riprese.In realtà la sua prima scelta era Chaplin, ma non accettò.
già che ci sono, non so se hai letto la trilogia di romanzi Molloy, Malone muore e L'innominabile. Per me il suo capolavoro assoluto.
EDIT: non mi ricordavo che il direttore della fotografia era Boris Kaufman, fratello di Dziga Vertov e direttore della fotografia di tutti i film di Jean Vigo.
Ultima modifica di Cthulhu il domenica 26 aprile 2020, 1:40, modificato 1 volta in totale.


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Admin ha scritto: sabato 25 aprile 2020, 23:39
Cthulhu ha scritto: sabato 25 aprile 2020, 23:25
Non sono un fan del cinema francese dell'eccesso, lo trovo ricattatorio. Per il sesso esplicito è meglio youporn, è più onesto.
:D

Quindi niente recensioni di Irréversible o Dobermann, giusto? :D

Di Luc Besson invece che pensate (non solo Ct.)? Che sia un regista molto importante pur se molto fracassone lo penso solo io?
Se Malle l'avevo dimenticato, queste altre sono tutte assenze volute.
Besson poi lo odio ab ovo a causa del mio ex cognato francese che mi rompeva le palle con Le Grand Bleu. E anche per tutte le volte che ho nominato Bresson e mi hanno detto "chi ? Besson ?" :grr:
Ultima modifica di Cthulhu il domenica 26 aprile 2020, 1:45, modificato 1 volta in totale.


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Bitossi ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 0:18 Cthu dovrà fare un saggio anche sul cinema british... :D

vediamo se faccio in tempo. Non ho ancora capito se il 4 maggio torno al lavoro. Per ora lo smart working me lo sbrigo in un paio d'orette.
poi ci rimane giusto quello scandinavo, quello cinese coreano e quello del resto del mondo. :help: Prima che ripartono le corse vedo di farli, promesso. Quello americano mi rifiuto, sarebbe una roba che non finisce più. E poi l'impostazione autoriale non funzionerebbe


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Cthulhu ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 0:57 Besson poi lo odio ab ovo a causa del mio ex cognato francese che mi rompeva le palle con Le Grand Bleu. E anche per tutte le volte che ho nominato Bresson e mi hanno detto "chi ? Besson ?" :grr:
Le Grand Bleu è carino dai, tra l'altro secondo me non molto "bessoniano"... Me l'avevano fatto vedere a scuola in francese (professoressa nata in Francia figlia di emigrati dalla Sicilia, tornata in Italia per aver sposato un italiano... capirai :cincin: ).
La figura di Enzo Maiorca (Jean Reno) ultra stereotipata, un condensato di come dall'estero vedano gli italiani nel modo peggiore. :diavoletto: :diavoletto: :diavoletto:
Consiglio di vederlo se si vuole diventare in un attimo anti europeisti :crazy: :diavoletto:

Per il resto Besson ha creato un genere, che non mi piace moltissimo, fortemente caratterizzato, e alla fine ha avuto molti emuli (gli ammeregani hanno provato senza successo a copiarlo).


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Cthulhu ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 0:57
E anche per tutte le volte che ho nominato Bresson e mi hanno detto "chi ? Besson ?" :grr:
:D :D

Ma l'importanza di Besson non è nelle opere che ha fatto (per quanto, Léon ha un suo perché), quanto nella capacità di proporre una modalità produttiva che in Europa pareva terreno impraticabile. Sì, insomma, una figura centrale per l'industria, per suggerire la possibilità di una via europea al blockbuster (e non sto ovviamente dicendo di essere un fan dei blockbuster, ma che siano importanti per l'industria cinematografica lo possiamo negare?). Però questo assunto mi pareva più vero ai tempi del citato Il quinto elemento, oggi forse meno: l'ultimo film "grosso" di LB mi pare sia stato un discreto flop (mi riferisco a quello uscito a fine 2017, e di cui non ricordo il titolo; non so se ne abbia fatti altri ultimamente).

(Di Beckett ho letto solo Godot).


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Admin ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 15:51 (e non sto ovviamente dicendo di essere un fan dei blockbuster,
Al punto che se dovessi scegliere un autore da cancellare dalla storia del cinema, opterei per George Lucas. Senza alcun dubbio proprio.
Al contempo, non sono mai riuscito a digerire Spielberg, pur riconoscendo che abbia fatto qualche bel film. Le ragioni sono da far risalire a quella robaccia uscita dopo metà seventies, che affossò la New Hollywood e la politica degli autori rimettendo al centro gli studios e (ri)trasformando il tutto in un baraccone immondo, gli esiti della quale dinamica oggi mi paiono definitivamente sfuggiti di mano. L'altro giorno leggevo un delirante articolo di un paio di anni fa in cui si incensava il concetto del film come spot per la vendita di giocattoli (il riferimento era, ça va sans dire, a una delle ultime cagate di Star Wars, saga che detesto con tutto me stesso).


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Admin ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 15:54
Admin ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 15:51 (e non sto ovviamente dicendo di essere un fan dei blockbuster,
Al punto che se dovessi scegliere un autore da cancellare dalla storia del cinema, opterei per George Lucas. Senza alcun dubbio proprio.
Al contempo, non sono mai riuscito a digerire Spielberg, pur riconoscendo che abbia fatto qualche bel film. Le ragioni sono da far risalire a quella robaccia uscita dopo metà seventies, che affossò la New Hollywood e la politica degli autori rimettendo al centro gli studios e (ri)trasformando il tutto in un baraccone immondo, gli esiti della quale dinamica oggi mi paiono definitivamente sfuggiti di mano. L'altro giorno leggevo un delirante articolo di un paio di anni fa in cui si incensava il concetto del film come spot per la vendita di giocattoli (il riferimento era, ça va sans dire, a una delle ultime cagate di Star Wars, saga che detesto con tutto me stesso).
Io non ho nulla contro i blockbuster in se e nemmeno contro il marketing. Quello che non mi va giù sono le lezioncine morali che paiono obbligatorie nei film hollywoodiani commerciali dei nostri giorni. CGI più prediche, a questo sono ridotti ad Hollywood.


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Admin ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 15:54
Admin ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 15:51 (e non sto ovviamente dicendo di essere un fan dei blockbuster,
Al punto che se dovessi scegliere un autore da cancellare dalla storia del cinema, opterei per George Lucas. Senza alcun dubbio proprio.
Al contempo, non sono mai riuscito a digerire Spielberg, pur riconoscendo che abbia fatto qualche bel film. Le ragioni sono da far risalire a quella robaccia uscita dopo metà seventies, che affossò la New Hollywood e la politica degli autori rimettendo al centro gli studios e (ri)trasformando il tutto in un baraccone immondo, gli esiti della quale dinamica oggi mi paiono definitivamente sfuggiti di mano. L'altro giorno leggevo un delirante articolo di un paio di anni fa in cui si incensava il concetto del film come spot per la vendita di giocattoli (il riferimento era, ça va sans dire, a una delle ultime cagate di Star Wars, saga che detesto con tutto me stesso).
E' stupenda la citazione presente nei Simpson su "Cosmic Wars"... :diavoletto:
Però i giochi della Lucas era splendidi :cincin:


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Sono molti i motivi per cui Jean Renoir è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi registi di tutti i tempi, per molti il più grande.
L'estrema fluidità del suo stile che da un senso quasi fisico di respirare aria fresca, la curiosità e la inventiva che lo hanno portato a trovare sempre nuove strade come un magnifico dilettante - i suoi film sono molto più diversi l'uno dagli altri di qualsiasi altro autore - la capacità unica di passare dal comico al tragico, dalla farsa al sublime in un attimo, a volte nello stesso istante - ad esempio nella Grande illusione i prigionieri inglesi e francesi di un campo di concentramento tedesco stanno allestendo uno spettacolo teatrale en travesti quando arriva la notizia di una vittoria militare francese. Tutti interrompono la recita e celebrano. Il soldato inglese che si toglie la parrucca e si mette a cantare la Marsigliese è uno dei momenti che giustifica 120 anni di cinema - ridicolo e sublime nello stesso istante -
Ma la massima gloria di Renoir è il modo in cui tratta i suoi personaggi: non c'è mai un momento in cui si senta superiore a loro, non li giudica mai, li comprende come esseri fallibili: i personaggi negativi hanno le loro ragioni, quelli buoni le loro debolezze. Nel suo capolavoro , la sfrenata farsa tragica la Regle du Jeu (1939) i protagonisti sono degli aristocratici ignari della guerra che sta arrivando, superficiali, bugiardi, ipocriti e traditori. Ebbene per Renoir sono solo degli esseri umani che meritano comprensione, lui stesso ci si mette nel mezzo in una rara e splendida prova di attore. Come dire: io non sono meglio di loro
Qualsiasi altro ne avrebbe fatto un'acida caricatura.
Tutti i film di Renoir meritano di essere visti, ne faccio una cernita comunque discutibile e che magari sarebbe diversa la rifacessi tra un mese: Nanà (1926) La Cagna (1931) Boudù salvato dalle acque (1932), Toni (1935), Una gita in campagna (1936), La grande illusione (1937) La regola del gioco (1939),il diario di una cameriera (1946- in USA ), il Fiume (1951, girato in India) ,La Carrozza d'oro (1953 - con Anna Magnani ), Eliana e gli uomini (1956).
Jean Vigo è morto a 29 anni ed è riuscito a fare solo tre film, il documentario A propos de Nice (1930), Zero de conduite (1933) l'opera più allegramente e sfrenatamente anarchica della storia del cinema e infine il motivo perché lo inserisco qui: il meraviglioso L'Atalante (1934),girato mentre era febbricitante e, come diceva Truffaut,si vede. In teoria il film è una semplice storia realista: una giovane coppia che vive in una barca litiga, lei scappa, si perde nella grande città, viene ritrovata e gli amanti si ricongiungono; ma quello che Vigo ha girato è un poema onirico indimenticabile, un inno all'amore. I due amanti sonoparti dello stesso essere che sono stati separati, come nel simposio di Platone - si chiamano quasi uguale Jean e Juliette , lui è molto femmineo nell'aspetto .Non è possibile dimenticare la magica colonna sonora, la figura del burbero marinaio di Michel Simon, i gatti di bordo che si affollano come un coro greco intorno al grammofono, il tuffo sott'acqua di Jean ossessionato dalla sua amata ( Fuori Orario...) e più di tutti la scena in cui i due amanti separati si desiderano disperatamente ognuno nel suo letto.Il momento più erotico di tutto il cinema, altro che gli pseudo-pornazzi attuali ( sarà che sono vecchio...)
Robert Bresson è il più grande regista religioso di tutti i tempi, forse il più grande artista religioso del XX secolo.Curiosamente l'unico che gli può stare a pari è l'immenso compositore come lui francese Olivier Messiaen. Può essere difficile da digerire, perché rigetta molte convenzioni cinematografiche.
Usa modelli, come li chiamava, che non dovevano esprimere nessuna emozione e recitare quasi in trance e non attori. La recitazione per lui era una convenzione teatrale che aggiungeva uno strato artificiale tra lo spettatore e l'anima del personaggio. Questa estetica ascetica dello scarnificare gli aspetti materiali per mostrare quelli spirituali si concretizza anche nell'uso sistematico delle ellissi, n ell'assenza o quasi della colonna sonora, nella purezza delle inquadrature. Quello che interessa a Bresson è ricercare la presenza o l'assenza della grazia di Dio nel mondo materiale.Nonostante questo le sue inquadrature sono molto materialistiche, soprattutto adorava filmare mani che facevano cose (" l'anima ama la mano" è un famoso aforisma di Pascal). Per dare un idea del suo stile, questa è una gang di borsaioli in azione in uno dei suoi massimi capolavori Pickpocket (1959)
Tra i suoi pochi film ( 13 in 40 anni, ascetico anche in questo ) consiglio i seguenti capolavori: Les dames du Bois de Boulogne (1945), un film ancora "tradizionale", con dialoghi di Jean Cocteau e attori professionisti, comunque splendido, Un condannato a morte è fuggito (1956), quasi hitchockiano nella sua tensione verso la salvezza, fisica e spirituale ( en passant potrebbe essere usato come chiave di lettura per i film di Hitchcock, anche lui cattolico - faccio notare che si tratta di un cattolicesimo molto più serio di quello lasco latino: Bresson era giansenista e i cattolici inglesi sono noti per il rigore )
Pickpocket (1959), già citato, American Gigolò né è una parafrasi, se non un remake, Paul Schrader è il più bressoniano dei registi americani.
Forse i due capolavori assoluti, Au Hasard Balthazar (1966, come è noto il protagonista è un asino) e Mouchette (1967) e tra i suoi film a colori Lancelot du Lac (1974) e l'Argent (1983).il problema con Bresson è uno solo: se entri nel suo mondo e accetti le sue conclusioni, tutto il resto del cinema sembra una pantomima superficiale.il già citato Paul Schrader ha scritto un famoso saggio : lo stile trascendentale nel cinema: Ozu, Bresson, Dreyer.
A volte penso che io e lui condividiamo la stessa trinità.
Ho scritto già troppo . Melville e Rivette la prossima puntata ( più breve )


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nemecsek.
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Re: Cinematografo

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Bitossi ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 0:18 Cthu dovrà fare un saggio anche sul cinema british... :D

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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da nemecsek. »

...tanta tanta roba questa settimana...
grazie a admin e cuth davvero godibili nelle loro recensioni...
e grazie a febbra e gimbabtu per la scoperta di Javier Marias

:)


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Cthulhu
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Re: Cinematografo

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nemecsek. ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 21:53
Bitossi ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 0:18 Cthu dovrà fare un saggio anche sul cinema british... :D

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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da galibier98 »

Cthulhu ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 23:24
nemecsek. ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 21:53
Bitossi ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 0:18 Cthu dovrà fare un saggio anche sul cinema british... :D

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Cthulhu
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Re: Cinematografo

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Pochi registi sono andati così in profondità sui temi della lealtà, del tradimento, del coraggio, delle difficili scelte morali da prendere come Jean-Pierre Melville. Il tutto con un linguaggio assolutamente stilizzato, fatto di poche parole, di gesti minimali, di sottintesi, di understatement, di assoluta precisione di immagini e movimenti .Un misto di Bresson e Humphrey Bogart mi sembra il modo migliore per definire i suoi film. I suoi personaggi non sono realistici sono archetipi, personaggi da tragedia, che come spesso capita sono più veri del vero. Alain Delon in La Samourai è un angelo della morte, un guerriero fedele al suo personale bushido, non ha nulla a che vedere con un vero hitman della mala. E le scelte morali che devono prendere i protagonisti dell'Armata degli eroi vengono più da Sartre che dalla realtà. Ma del resto nessun principe reale è Amleto. A sottolineare la loro astrazione i personaggi di Melville portano abiti di scena: impermeabili anche quando non piove, cappelli anche quando non va più di moda...
Che Melville non sia così lontano da Bresson si può vedere qui:
Dei suoi film consiglio il primo, il silenzio del mare (1947), Bob le Flambeur (1955), Leon Morin,prete (1961), Lo spione (1963), Le samourai (1967, orrido il titolo italiano Frank Costello faccia d'angelo - fra l'altro il protagonista si chiama Jef...) L'armata degli eroi ( L'armée des ombres, 1969), questi due forse i suoi capolavori, I senza nome ( le cercle rouge 1970)
Jacques Rivette ama fare improvvisare i suoi attori dando loro tutto il tempo necessario, i suoi temi sono il rapporto tra realtà e rappresentazione, tra vita reale e recitazione e gli incerti confini - se ci sono - tra queste. Fa film lunghissimi con trame esili, Out 1-Noli me tangere (1971) dura 12 ore ( ma si può vedere a puntate come una qualsiasi serie televisiva ) e ha come protagonisti degli attori che provano una tragedia e due tizi che cercano di scoprire un fantomatico complotto. Il suo capolavoro Celine et Julie vont en bateau (1974) dura quattro ore e parla di due tizie che si incontrano ,si scambiano più volte i ruoli e finiscono per partecipare a una tragedia che si ripete uguale tutte le volte fino a che ne riescono a cambiare il finale. Un critico l'ha definito Borges che scrittura Thelma e Louise per girare Ricomincio da capo. Tutto molto noioso, sembrerebbe...
E invece no, il cinema di Rivette è esilarante, divertente, direi esaltante. Guardate Jean Pierre Leaud che recita una filastrocca senza senso per le strade di Parigi in Out 1. Notate i bimbi che lo seguono incuriositi e perplessi

Di Celine et Julie su Youtube si trova poco,ma questo è l'inizio più o meno: non è la premessa di un viaggio meraviglioso ?
.
Oltre a questi due sarebbero da vedere - ma ci spero poco :D L'Amour Fou (1968),La Bande des quatre (1988),La Belle Noiseuse (1991-ebbe anche un certo successo: comunque sono 4 ore di un pittore che dipinge una modella nuda, solo che la modella era Emmanuelle Beart e allora si spiega ) Va Savoir (2001). Chi si accontenta del Rivette meno radicale si può vedere i primi Paris nous appartient (1961) e il successo di scandalo La religiosa (1966) da Diderot. Ma non è il vero Rivette.

P.s. Come mi ha fatto notare Bitossi avevo dimenticato Louis Malle: Zazie nel metro (1960), Fuoco Fatuo (1963) e il ladro di Parigi (1967) non sono affatto male. Il suo periodo americano so and so...


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Re: Cinematografo

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galibier98 ha scritto: lunedì 27 aprile 2020, 0:26
Cthulhu ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 23:24
nemecsek. ha scritto: domenica 26 aprile 2020, 21:53

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interromperò la lettura appena compariranno abiti da comunione e donne delle pulizie... :D
Io all'epoca ero così completista-masochista che mi sono visto anche il film tutto blu.
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C'ero pure io ! ma ho retto per puro masochismo.


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