desmoblu ha scritto:Parto dal fondo: Pasolini mediocre. Confermo, semplicemente perché non era un regista, ma uno scrittore, o meglio un intellettuale, che ha girato dei film. E le ingenuità e le inesattezze si vedono, nonostante il lavoro di Delli Colli (direttore della fotografia). Lo stesso Pasolini raccontava di come avesse dovuto imparare il linguaggio cinematografico (inquadrature, movimenti di camera etc) strada facendo, a partire da Accattone e Mamma Roma.
Attenzione: alcuni film (o corto/mediometraggi) mi piacciono anche. La ricotta (in RoGoPaG), o Che cosa sono le nuvole (un magistrale Totò/Iago), o ancora Uccellacci ed Uccellini (anche qui, un grandissimo Totò). O i documentari: su tutti Le mura di Sana'a.
Questo non toglie che la narrazione tramite film non fosse il suo terreno migliore: spesso le buone idee erano raccordate male, spesso dava per scontate delle cose che aveva in mente (ma che non erano immediate per lo spettatore), altre volte sottolineava troppo alcune scene o immagini rovinando il ritmo.
Prova a guardare Medea o i Racconti: ti sembrano film "legati"?
Caro Desmo, ti dovevo una risposta su PPP; riparto da qui per dire che temevo la nostra discordanza stavolta fosse più marcata, invece mi pare ruoti più che altro attorno al concetto di regista.
Cos'è un regista? "Uno a cui tutti fanno un sacco di domande", faceva dire Truffaut a se stesso, fingendo di parlare dell'atto pratico del girare un film (la scena è nel memorabile Effetto notte), ma in realtà quella risposta va oltre, e cioè, figurarsi se un ex giovane turco (aridaje!
) come lui ridimensionava il ruolo del "metteur en scène". (Il giovane Spielberg, mentre coi suoi primi blockbuster affossava - col sodale Lucas - lo spirito della New Hollywood [e poi decenni dopo è stato lui a premiare Scorsese con l'Oscar... più catarsi per l'uno, o beffa per l'altro?... oddio quanto divago, me paro Ghezzi
], dicevo, il giovane Spielberg riconosceva al regista la capacità di parlare a tutti, quindi di dare risposte... chi interpretava, in una magnifica intuizione metacinematografica, colui che trovava la chiave per comunicare con gli alieni in Incontri ravvicinati? Truffaut!!!
).
Quindi il regista - e se non si è capito tendo a dar credito a questa tesi, più che a quella che lo raffigura come un semplice artigiano - è uno che deve dare risposte, e per questo deve anche provare a porsi le domande giuste.
Pasolini lo faceva? Certamente, a partire dalla prima sequenza di Accattone, proseguendo con tutta la sua filmografia. Ed è uno che fa scelte, nette, e anche su questo fronte PPP non teme confronti. Quando decide di trasporre su pellicola le storie dei suoi ragazzi di vita (avendo già anticipato certi temi firmando la sceneggiatura di un film di Bolognini di cui non ricordo il titolo), deve scegliere che suoni accoppiare alle vicende di questi disperati borgatari, e opta per la musica sacra, in uno stridente pendant con immagini che più sporche non potrebbero essere. Ma questo è solo un esempio, ne possiamo fare altri, gli attori presi dalla strada (fa di fatto rinascere il neorealismo), l'uso filosofico del doppiaggio, alcune intuizioni geniali (i titoli cantati in U&U, l'ingaggio di Totò per parti drammatiche...), la forza morale delle sue sceneggiature...
E poi il fatto di voler trasporre per il grande pubblico del cinema le tesi e le storie dei suoi scritti (fatalmente riservati a un'élite) ti dice quanto lui un'idea di cinema ce l'avesse, eccome! Nel senso di un'idea del ruolo che il cinema deve avere nella società, anche. Lo stesso "trittico della vita", ad esempio, era un tentativo di accostare la letteratura alle classi meno agiate (e acculturate).
Però concordo con te che non possiamo limitarci a definirlo un regista, era un intellettuale a tutto tondo, un poeta in primis, e ciò emerge fatalmente e potentemente in tutti i suoi film. La questione puramente tecnica mi sembra di portata molto inferiore rispetto al messaggio che la filmografia pasoliniana ha lasciato.
Ti dirò di più, lo stile grezzo con cui sono stati girati ad esempio Accattone e Mamma Roma pare fatto apposta per rappresentare quel tipo di realtà... non riuscirei a immaginarne uno più efficace. Se oggi abbiamo un'idea chiara di cos'era il sottoproletariato urbano degli anni '50-'60, lo dobbiamo proprio a questi film, in assenza dei quali ci sarebbe rimasta l'oleografia del neorealismo rosa o pure - guarda cosa arrivo a dire - della commedia all'italiana, che colpiva senza pietà la borghesia ma era quasi sempre indulgente col proletariato (gli "accattoni" monicelliani partono per rubare e finiscono mangiando la pasta e ceci, senza aver fatto del male a una mosca). Insomma, ci mancherebbe proprio un pezzo (importante!) d'Italia, senza l'opera del Pasolini regista.
Per chiudere col sorriso, salto di palo in frasca e mi concentro sul concetto di auctoritas da te evocato settimane fa.
Nessuno dubita che l'atto dell'urlare "La corazzata Kotëmkin è una cagata pazzesca!" sia liberatorio e salutare. Però quel diavolo di un Fantozzi (e del complice Luciano Salce) cosa ti va a imbastire nella celeberrima scena in questione? Ci ho fatto caso grazie a un articolo di Fofi di qualche anno fa: ebbene, le dinamiche dell'esecrato film vengono riproposte pari pari da Villaggio nella sua pellicola: un gruppo umano (lì i marinai, qui gli impiegati) si ribella all'ordine gerarchico (perché obbligato a fare cose assurde: lì mangiare carne coi vermi, qui guardare film cecoslovacchi con sottotitoli in tedesco...
), e nella rivolta fa cadere gli immediati superiori.
Ma poi arrivano sempre i rappresentanti dell'ordine costituito a mettere a ferro e fuoco i rivoltosi e le loro rivendicazioni, e a punire tragicamente chi aveva osato ribellarsi.
Morale della favola: puoi continuare a dire che S.K. è sopravvalutato e che PPP è un regista mediocre, ma alla fine sarai bannato