Caro Umberto, non ti nascondo che la frase che ha smosso la mia coscienza è questa: «S.K. per me è un regista spesso sopravvalutato». Ho provato ad autoconvincermi che parlassi di Steven Kruijswijk
ma poi avevi lasciato troppi indizi per non capire che il riferimento era appunto a Sean Kelly.
Non si tratta di auctoritas o di non poter esprimere giudizi personali o di non poter "picconare" i mostri sacri, ma di usare i termini giusti.
Da chi sarebbe spesso sopravvalutato il suddetto Sean Kelly? Dall'universo mondo, direi, visto che c'è un'oggettività - che va ben oltre le mie e le tue valutazioni - la quale ci dice che costui, se proprio non il più grande, è stato uno dei più grandi di tutti i tempi.
La storia del cinema ha emesso un verdetto che ormai noi non possiamo contraddire, sarebbe come dire «E.M. per me è un ciclista spesso sopravvalutato», o «M.B. per me è uno scultore spesso sopravvalutato», o ancora «W.A.M. per me è un musicista spesso sopravvalutato». No, non si può dire, ci sono elementi oggettivi che negano nettamente tali assunti.
Puoi dire semplicemente: «Non mi piace» e nessuno alza un sopracciglio, se non per provare a capire come mai non ti piaccia (non certo convincerti che ti deve piacere, sia chiaro).
Potrei appoggiarmi a quanto detto da matteo.conz (ovvero un capolavoro per ogni genere sposato), oppure potrei suggerire che il geniale Pulp Fiction (ad es.) sia stato girato quasi 40 anni prima dal nostro S.K. (col titolo Rapina a mano armata). Potrei parlare di quanto ogni cosa da lui fatta abbia anticipato il mondo (del cinema e non solo), di come abbia preso dei libercoli e li abbia trasfigurati in capolavori assoluti (non lo dico io, lo dice la storia!), di quanto il suo cinema sia ancora incredibilmente attuale (Strangelove è stato avvistato ultimamente sulla linea del 38° parallelo), di come certe mode che hanno sconvolto il cinema negli ultimi anni per lui fossero la normalità decenni prima (il Dogma vontrieriano era già nelle candele di Barry Lyndon).
Potrei ancora concentrarmi sul suo carisma, sul suo peso specifico, sulla maniacalità nella ricerca della perfezione, addirittura proverbiale (quando si seppe che era morto, un mio amico disse: «Non è morto, sta solo preparando un film sull'aldilà ed è andato a documentarsi...»
). Aspetti che da soli non fanno un buon regista, ma che uniti al resto lo rendono infinito.
Potrei infine riflettere su quanto ogni suo film abbia la forza di penetrare l'anima e restare dentro, ma mi sa che qui andiamo sullo scivoloso terreno della soggettività (anche se ci sarebbe da discutere anche su questo) e mi fermo un attimo prima.
Mi concentro allora su IL film, per quanto mi riguarda. Anni luce avanti a tutto il resto, anche agli altri film che più amo (dai Blues Brothers in giù, tanto per dire che non per forza amo solo film "lenti"), perché questo è qualcosa di più, anche dopo 10 visioni mi chiedo che cavolo sia quel monolite, e mi potrei dare 10 risposte diverse, una per ogni visione. È il mistero che lo rende grande? Anche, ma non solo. È l'impensabile musica che lo accompagna, solenne (Also sprach...) e aggraziata (il valzer...) nello spazio, ipnotica e straniante (Ligeti!) nell'iperspazio? È la straordinaria resa visiva di un viaggio alle origini dell'uomo, o alla sua fine, o chissà? Certo, è anche questo, è anche un finale sconvolgente, è anche lo spiazzamento di credere di andare in una direzione (un film sul viaggio di un'astronave guidata da un computer), e invece ritrovarsi da tutt'altra parte, a porsi domande esistenziali sulla natura dell'uomo e il suo destino.
È la grande tensione che viene costruita lungo tutta la pellicola e che sfocia, si libera in un'orgia sensoriale nel Viaggio (quello che sai, non spoileriamo
), è la figura di HAL9001 e i sottotesti che chiama a interpretare. Per ogni aspetto della storia, una scelta non banale nella resa. Disattivare un computer può trasformarsi in uno strazio senza fine che tocca addirittura corde di commozione, muoversi nello spazio (prima che l'uomo sbarchi sulla luna) diventa una danza in cui immergersi e far perdere lo sguardo; ogni dettaglio dell'astronave, e della base lunare, diventa un simbolo. L'enorme vuoto dello spazio, privo di aria e quindi di rumori che non siano il respiro nel casco della tuta spaziale, un'immensità che angoscia, che ci fa sentire piccoli, che ci suggerisce quanto siamo impotenti nella nostra pretesa di essere la misura del tutto, di quanto siamo pronti a svanire nel nulla dell'immenso anche solo per un "piccolo" incidente.
Parlo di tensione laddove tu parli di lentezza, che poi è l'aspetto negativo che più sento citare dai detrattori del film. Ribatto: è lento o è solo esigente? Un film può essere esigente, no? A patto che renda allo spettatore un senso per il suo essere esigente, e qui mi pare che non si possa definire vuoto quel che è pieno di significati. Basta volerli cogliere, mettere alla prova se stessi, lasciarsi trascinare dalle immagini in una sublimazione che pochi film richiedono. S.K. ti chiede di essere tu il film, non di guardarlo soltanto. Devi essere tu a riempire gli spazi apparentemente vuoti (ognuno "sente" i vuoti a modo proprio, ciò che per me è vuoto magari per te è pieno e viceversa). Devi starci dentro, condividere non solo le vicende di un astronauta, ma dell'intero genere umano da lui rappresentato.
«È un film lento e retorico», la tua sentenza. Lento come lento è l'incedere dell'universo, malgrado noi siamo convinti del contrario. Lento perché tutto è lento, anche la velocità della luce, se lo confronti con quello che attende Bowman, lento perché l'uomo è lento anche quando vola su un'astronave. Lento è la cifra stilistica del film ma non è una casualità (S.K. ha girato anche dei film velocissimi e divertentissimi - quello che precedette 2001 ne è proprio un esempio), è semplicemente una scelta operata dal regista, come lo raffiguriamo lo spazio sconfinato, come lo rappresentiamo, come lo mettiamo in scena, come lo spieghiamo non solo agli occhi dello spettatore ma a tutti i suoi sensi? Lento è una necessità per dare a tutto la giusta misura, per dare il tempo a quest'opera di insinuarsi nei cervelli di coloro che vi assistono (non in tutti, ovviamente, c'è chi si annoia come tu mi confermi, è normalissimo direi) prima dell'esplosione che (non) dà senso al tutto.
La prima volta che lo vidi (su un 17 pollici...) non sapevo nulla di questo film, ero al primo anno di università e lo davano forse su TMC. Il mio era uno sguardo (quasi) vergine, ma fu influenzato per sempre da quella visione. Non potevo certo essere vittima dell'hype (ripeto, non sapevo niente del film se non il nome e il fatto che fosse una cosa di fantascienza), eppure non riuscivo a credere che qualcuno avesse potuto osare così tanto (il Viaggio!) in una pellicola. Quando lo rividi al cinema (in prima fila, proprio per starci più dentro possibile) avrei voluto che quel Viaggio non finisse mai, i miei occhi erano accarezzati da quella visione, la mia mente placidamente volava nell'infinito, l'Arte al suo massimo livello mi pervadeva. Brividi!!!
Ho scritto molto ma a fatica riesco a tradurre in parole quello che mi ha dato (e mi dà, c'è sempre una prossima visione dietro l'angolo, anzi mi hai fatto venire una voglia.....) quel film.
Non capisco l'accusa di essere un film retorico, né quando dici «Riguardo alla vicenda (se di vicenda possiamo parlare)». Se me le espliciti ti prometto un altro papiro in risposta.
Su Pasolini, per raggiunti limiti di tempo e spazio, ti rispondo domani.
E grazie di cuore per avermi dato l'occasione di pensare e di tirar fuori un po' di questa roba. Ti abbraccio
PS
tra Full Metal Jacket e Apocalypse Now scelgo il secondo tutta la vita
Io li scelgo entrambi