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lemond
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Habemus papam

Per me andare in una sala cinematografica rappresenta quasi un'impresa, nel caso di ieri, ancora peggio, perché il film non era nemmeno ad Empoli e quindi ci voleva pure la macchina, oltre la fatto normale che c'è un orario da rispettare. Ciò che per me significa fare tutto con ansia, per paura di arrivare tardi (che poi sarebbe almeno un quarto d'ora prima), poi la fila al botteghino, gli spazi non troppo comodi quando il locale è affollato, la gente che ti costringe ad alzarti per raggiungere i propri posti, e se hai qualcuno davanti, alto, ti devi spostare continuamente per trovare una posizione che ti permetta di vedere quasi tutto lo schermo ed hai anche un certo timore di disturbare gli altri, muovendoti o esprimendo con troppo clamore i tuoi sentimenti (ad es. risate). E poi, e per me la cosa è quasi esiziale, non puoi fermare l'immagine a tuo piacimento per eventuali pause obbligatorie e questo naturalmente genera ansia "ex ante", né tornare indietro se non hai messo bene a fuoco qualcosa e poi e poi ... Insomma, è inutile andare avanti, perché credo di essermi spiegato. ;)
Detto ciò, ieri ho fatto comunque la scelta giusta, perché era dai tempi di Amici miei e di Gaber che non ridevo così tanto in uno spazio di tempo dato. Per me questo è, in assoluto, il miglior film di Gianni Moretti, perché il regista riesce a trasportare il suo privato in un ambito politico-religioso, che non risparmia però niente alla religione cattolica apostolica romana (è di quello che si parla), ma neppure all'assoluto in genere, perché è l'uomo e non dio al centro dell'opera. Di cardinali e papi, sì, se non son visti, ma a cominciare dal funerale del papa-boy(a) in maniera piuttosto ridicola e grottesca, ad es. con tutte quelle bandiere polacche!? In effetti la superstizione religiosa quel che produce non è mai l'universalismo (insito peraltro nella "ragione sociale"), ma il particulare: il leghismo di dio! Ed infatti, pian piano, altre bandiere sostituiranno quella "defunta" e, molto bellina ai miei occhi di "ciclista". è quella delle Fiandre. :-)
Chiudo con Michel Piccoli che giganteggia nella parte di un Celestino V o di Giovanni Paolo I che hanno cercato di far capire allo spirito santo che, per due volte, ha sbagliato soggetto, altrimenti perché il gran rifiuto o l'assassinio dopo pochi giorni?


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desmoblu
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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da desmoblu »

Bravo Lemond, mancava una rubrica del genere sul nuovo forum.
(ps: andrò a vederlo quanto prima)


Admin
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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da Admin »

Buuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!!!

Nanni BUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU!!!

Delusione asperrima per me. Il suo peggior film, non va da nessuna parte, e se si eccettua un bel finale, tutto il resto non sta in piedi.
Quando è in scena lui, il suo ego si prende tutto lo spazio... irreale più che surreale, improbabile più che grottesco. Se non metti una cornice reale al tutto, secondo me le aperture di grottesco, appunto, perdono tutta la forza. Come si può immaginare che il dottor Moretti arrivi in Vaticano e si prenda la scena, facendo il gradasso coi cardinali? Nella realtà - e pure bisogna sospendere parecchio l'incredulità per pensare che San Pietro si rivolga a uno psicanalista ateo... - sarebbe comunque stato cacciato a calci già dalla prima intemperanza.

Il vagare del papa eletto per Roma e per studi psicanalitici, poi, è francamente ridicolo e senza sugo: cosa emerge del tormento interiore di quest'uomo? Nulla di nulla, a mio avviso.

Un esercizio di stile, questo di Nanni, che tra l'altro non graffia nemmeno come satira su Santa Romana Chiesa. Una commedia che non fa quasi mai ridere, un dramma interiore che non si compie mai (se non nel bel finale, ripeto, che però non giustifica le quasi 2 ore di messinscena precedenti). Sì, Piccoli è bravissimo, e si vedono bellissime facce di caratteristi tra i cardinali (Renato Scarpa, ma soprattutto il mitico Camillo "Borlotti" Milli. Bravo pure Jerzy Stuhr), ma per il resto? Nanni, per dire, non ha mai recitato così male.

E anche se se lo dice e se lo sottolinea più volte da sé, che "io sono il più bravo", stavolta l'assunto è clamorosamente smentito da quanto si vede. Tornano alla mente varie battute: non so più chi, che diceva: "Sì, Moretti è bravo, poi se si sposta riusciamo a vedere pure il film"... Kezich: "I giovani registi prendano esempio da Ford, che faceva un film all'anno, e non da Kubrick, che ne faceva uno ogni...", e sì, 5 anni abbiamo aspettato per questa delusione, se sbagli un film ogni tot anni è un bel problema, se è l'unico che hai fatto in quei tot anni (ma comunque al botteghino pare vada forte... merito de Il Caimano, indubbiamente. Al prossimo film perderà parecchio pubblico, vedrete).

E mi viene in mente una vecchia barzelletta, in cui Antonio si vanta con un amico che non vedeva da molto tempo di essere molto popolare, "tutti mi conoscono e mi riconoscono", l'altro è scettico e Antonio lo sfida: "Vuoi vedere che mi affaccio dal balcone del Vaticano insieme al papa?". Arriva la domenica, il papa si affaccia in piazza San Pietro, e accanto a lui c'è Antonio... l'amico non riesce a credere ai suoi occhi, finché una persona a lui vicina gli si rivolge chiedendo: "Scusi, un'informazione... ma chi è quel tipo accanto ad Antonio?". Ecco, questo riassume quello che ho provato io nei confronti di Habemus Papam: che Moretti arrivi coi suoi vezzi a rubare la scena al papa appena eletto e a tutto il conclave, beh... è francamente troppo.

Poi magari lo rivedrò tra 10 anni e mi renderò conto che non avevo capito niente del film. Ma per ora lo boccio sonoramente, ripeto: il peggior film di Nanni Moretti, ahi quanto mi duole dirlo.

Vai lemond, a te la controreplica! :D


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lemond
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Re: Cinematografo

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Come ha detto lo stesso Moretti, appoggiandosi al postmodernismo multiermeneutico (...) "ogni lettura è lecita" (...), e ciò proprio riguardo a questo film.

Però ...

La realtà non c'entra proprio per niente, altrimenti sarebbero più belli i film tratti da storie vere, la commedia, ad es. quella di Dante non è per niente verosimile, ma ... :twisted: )

Quel che conta, invece è il *tema*, ovvero l'inadeguatezza psicologica di Melville a identificarsi papa: la relazione ontologica e asimmetrica tra l'io e il potere, l'oscillazione che si determina nelle figure della *identificazione/no* con esso. E’ questo il caso di Melville o di Celestino V, che mette in gioco una serie di dinamiche psicoanalitiche che, al di là della ennesima macchietta personale di Moretti, rendono significativo il perturbante avvicinarsi dell' *io* alle funzioni di potere. Non è il destino che gioca con la nostra vita, ma la nostra “historia vitae” a costringerlo (o no) all’identificazione con questo o con l’altro … Per fare un esempio semplice semplice: come avrebbero reagito il BerlusKa e Bossi e Di Pietro e come invece …
Come dire: la storia (quella personale come quella collettiva) va avanti ... “guardando indietro” ;), cioè aspettando che sia il PASSATO (il NOSTRO passato) a definire la *novità progressiva* che chiameremo FUTURO. :)

Le risate poi, mah, vassapé, io pensavo addirittura di rischiare l'infarto e poi e poi ... quando, per esempio, il cardinale favorito sostiene che "l'anima e l'inconscio NON ***possono*** coesistere", relativizza, comicamente, ciò che è l'ONTO-TEO-LOGIA cristiana! Quando il cristiano dice di cercare Dio egli non fa altro che cercare se stesso in verità, sperando di colmare invano quell’abisso spirituale nel rapporto con l’altissimo ;). Alle religioni istituzionalizzate spetta il compito di mediare questo rapporto trasversale nei principi morali della communitas e della "caritas" cristiana.
Il dio cristiano, non è altro che un sostituto simbolico per ogni occidentale cattolico alla sua profonda e radicata condizione egoica. Ecco come si spiega il Cristo trafitto sulla croce che nella proiezione e nell’identificazione di ogni cristiano credente non è altri che una rinascita dell’ego interiore in una cultura, quella occidentale in cui regna la legge mistificante dell’ipocrisia sottoforma di altruismo e di misericordia cristiana. :D :D :D
Le scena più significante, secondo me, è quella (che, tra l'altro viene, maldestramente, RIPETUTA) della tenda rossa che, alla mancata apparizione del neopapa, si muove SUL VUOTO DEL POTERE COLLASSATO ...
Da non sottovalutare, infine, il ballo mascherato, in cui si mischiano gli attori e i cardinali sulla *scena* del dramma umano e storico del … Potere. Il teatro come *la* scena in cui scompaiono le Recitazioni. E poi e poi …

P.S.

Ma il mio non può essere che un giudizio approssimativo, perché un film di un certo spessore, secondo me, va visto almeno due o tre volte e non certo in sala, con troppe distrazioni. :D


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granfondista
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Re: Cinematografo

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lemond ha scritto:Come ha detto lo stesso Moretti, appoggiandosi al postmodernismo multiermeneutico (...) "ogni lettura è lecita" (...), e ciò proprio riguardo a questo film.

Però ...

La realtà non c'entra proprio per niente, altrimenti sarebbero più belli i film tratti da storie vere, la commedia, ad es. quella di Dante non è per niente verosimile, ma ... :twisted: )

Quel che conta, invece è il *tema*, ovvero l'inadeguatezza psicologica di Melville a identificarsi papa: la relazione ontologica e asimmetrica tra l'io e il potere, l'oscillazione che si determina nelle figure della *identificazione/no* con esso. E’ questo il caso di Melville o di Celestino V, che mette in gioco una serie di dinamiche psicoanalitiche che, al di là della ennesima macchietta personale di Moretti, rendono significativo il perturbante avvicinarsi dell' *io* alle funzioni di potere. Non è il destino che gioca con la nostra vita, ma la nostra “historia vitae” a costringerlo (o no) all’identificazione con questo o con l’altro … Per fare un esempio semplice semplice: come avrebbero reagito il BerlusKa e Bossi e Di Pietro e come invece …
Come dire: la storia (quella personale come quella collettiva) va avanti ... “guardando indietro” ;), cioè aspettando che sia il PASSATO (il NOSTRO passato) a definire la *novità progressiva* che chiameremo FUTURO. :)

Le risate poi, mah, vassapé, io pensavo addirittura di rischiare l'infarto e poi e poi ... quando, per esempio, il cardinale favorito sostiene che "l'anima e l'inconscio NON ***possono*** coesistere", relativizza, comicamente, ciò che è l'ONTO-TEO-LOGIA cristiana! Quando il cristiano dice di cercare Dio egli non fa altro che cercare se stesso in verità, sperando di colmare invano quell’abisso spirituale nel rapporto con l’altissimo ;). Alle religioni istituzionalizzate spetta il compito di mediare questo rapporto trasversale nei principi morali della communitas e della "caritas" cristiana.
Il dio cristiano, non è altro che un sostituto simbolico per ogni occidentale cattolico alla sua profonda e radicata condizione egoica. Ecco come si spiega il Cristo trafitto sulla croce che nella proiezione e nell’identificazione di ogni cristiano credente non è altri che una rinascita dell’ego interiore in una cultura, quella occidentale in cui regna la legge mistificante dell’ipocrisia sottoforma di altruismo e di misericordia cristiana. :D :D :D
Le scena più significante, secondo me, è quella (che, tra l'altro viene, maldestramente, RIPETUTA) della tenda rossa che, alla mancata apparizione del neopapa, si muove SUL VUOTO DEL POTERE COLLASSATO ...
Da non sottovalutare, infine, il ballo mascherato, in cui si mischiano gli attori e i cardinali sulla *scena* del dramma umano e storico del … Potere. Il teatro come *la* scena in cui scompaiono le Recitazioni. E poi e poi …

P.S.

Ma il mio non può essere che un giudizio approssimativo, perché un film di un certo spessore, secondo me, va visto almeno due o tre volte e non certo in sala, con troppe distrazioni. :D
Ehi Lemond, non sarai per caso Enrico Ghezzi? :shock: :mrgreen:


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lemond
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Re: Cinematografo

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Meditazione (post)pasquale su Habemus papam di Nanni Moretti
giovedì, aprile 28, 2011
By Roberta De Monticelli
Ho udito diverse persone parlare dell'ultimo film di Moretti - e in modi davvero poco illuminanti. Il meno illuminante di tutti fu lo stesso autore, un Moretti tutto rattrappito nell'angolo destro del divanetto che condivideva con una generosa e debordante ospite di talk show televisivo, e più largamente lei si sporgeva con lodi e gesti oltre la sua metà di divanetto, più afasicamente si rattrappiva lui nel suo angolo estremo, balbettando l'imbeccata offerta - a proposito di non so che senso di inferiorità o paura di quello strano papa, della sua umanità, eccetera. Una psicologia da poche lire, blandi rinvii alla sua umana simpatia - che carino però quel papa, e poi si ride e si piange, che bel film.

Mi sono chiesta perché tutti i commenti che mi era capitato di ascoltare fossero tanto poco illuminanti. Io dalla visione del film ero uscita con la sensazione di una limpidezza estrema di idea e di resa, e una gratitudine abbastanza profonda, per questa cosa ben significata e molto vera. Non so se riuscirò a ridirla nel mio linguaggio tanto più povero, che del resto neppure potrebbe né vorrebbe imitare quello del critico cinematografico. Ma mi è parso di capire almeno la ragione dell'opacità dei commenti, e cominciando da questa, allora, mi avventuro a parlare della cosa stessa.

Io credo che quello che impedisce a molte persone di vedere cosa dice il film è quello stesso velo di incoscienza che in altre forme m'è occorso di descrivere a lungo: una sorta di forma mentis scettica, uno scetticismo pratico che si risolve - prima di diventare vero e proprio cinismo - nell'incapacità di prendere sul serio alcunché - ma in particolare l'esperienza morale, l'esperienza del bene e del male, e più in generale l'esperienza di ogni tipo di valori e disvalori, o meglio di quella loro massiccia obiettività che ancora nel secolo scorso faceva apparire un ghiacciaio come qualcosa di maestoso o sublime, e un gestaccio, tanto più se esibito da un uomo con qualche ruolo istituzionale, tipo un ministro, come una gaffe atroce e imperdonabile. Ecco: questo velo di incoscienza o indifferenza che avvolge la mente e il cuore della maggior parte delle persone - forse dovremmo dire: di tutti noi? - conferisce un aspetto piuttosto banale alla maggior parte delle cose. Prendete ad esempio la Chiesa di Roma e il papato. Su queste due cose i più si dividono in due categorie. Ci sono quelli che se ne stanno a una sorta di più o meno ereditata devozione convenzionale, senza fremiti né sconcerti, placidamente ignara di dogmi e guerre teologiche, pazientemente disposta a subirsi la predica della domenica, concedendosi al più qualche dubbio superficiale e un'alzata di spalle (non ci sono apposta i preti per pensarci, a queste cose?). E poi ci sono quelli che irridono i primi: come si fa ad essere così infantili, creduloni, superstiziosi, oscurantisti, eccetera. Certo, poi ci sono anche gli spirituali che si distinguono da entrambe le categorie: ma fra quelli che hanno deciso che il divino non può abitare un'istituzione e quelli che tentano di portarcelo e farcelo stare, sono una piccola minoranza, anche sommati insieme.

E adesso, immaginate un uomo limpido. Un uomo che prende alla lettera quello che la Chiesa di Roma, con più di un miliardo di (più o meno) fedeli, pretende di essere, nel bene e nel male. Andatela a vedere in San Pietro, con quell'enorme trono vuoto e sospeso nel luogo del Supremo, o in Sant'Ignazio, con la sua bella cupola a trompe-l'oeil, che finge alla perfezione un'altezza che non c'è, e il suo trionfo dipinto sul soffitto, che spalanca sopra la chiesa il cielo di un'affollata domenica celeste, tutta santi e beati. Prendete questa incessante e interminabile sacra rappresentazione, che si presenta come la stessa dai tempi degli Apostoli, con la sua Trinità e la Sacra Famiglia e tutti gli angeli e i santi e i padri e i dottori e i papi, che da millenni dipana un senso alle domeniche (noi semplici uditori poi non distinguiamo tanto fra Testamento Antico e Nuovo, Teologia, Magistero, Esegesi e Critica Storica) e tesse dietro il visibile un senso, non granché plausibile ma grandioso, il senso di una storia con un fine, una scena con proscenio e quinte, e le campane a Pasqua e a morto, e dietro, nascosta, una riserva di sostanza e di giustizia, casse e casse di Ruoli e Cerimonie e Forme e Norme, compresa pure una Morale con annessa Analisi di Coscienza, e i preti che un po' la fanno e un po' fan giocare a pallone i ragazzi, e le suorine che sorridono fin negli ospedali.

Prendete quest'uomo che è limpido, non nel senso che creda lui stesso, ma nel senso che tutto questo lo prende alla lettera, come si dà. Perché è un artista, dunque un uomo dalla percezione esatta, insieme dettagliata e globale. E ora quest'uomo limpido inventa il suo personaggio. Un uomo di Chiesa: ma un uomo di Chiesa che eredita proprio tutto questo sguardo limpido, obiettivo come quello dei bambini e sapiente come quello degli artisti, lo sguardo degli esseri che prendono alla lettera le cose, proprio come appaiono. Ma anche un sincero uomo di Chiesa, appunto. Sarà Melville, il papa che farà "lo gran rifiuto".

È curioso come non appaia mai, nei commenti della gente normale che ho sentito, il ricordo del Gabbiano, il dramma di Cechov che Melville ritrova sulle labbra di un povero, pazzo attore, durante i tre giorni della sua fuga nel mondo: e che riconosce e resuscita dalla profondità della sua memoria. Se non rileggete il Gabbiano, come potrete capire un acca di questo film che ne è una sorta di geniale trasposizione? Può darsi che Melville si faccia uomo di Chiesa per disperazione, per non finire come il Sorin del Gabbiano. Ma questa sarebbe inutile psicologia, non ne sappiamo niente. L'essenziale è che questo Melville - come Sorin - ha creduto nel gabbiano, nel goffo e tuttavia - in volo - maestoso uccello bianco. Nell'anima. In Nina, la ragazza-anima, l'anima del gabbiano. Se ne è anche innamorato. Sì, il papa di Nanni Moretti è Sorin. Chi più credente di lui, dunque. È l'uomo inutile, e insieme limpido, oggettivo. Voleva diventare attore - ma non ne aveva il talento. Sua sorella sì, la vacua ed egoista Arkàdina, lei ce lo aveva, il talento. E lui capisce. Capisce lo stesso suo tormento di uomo inutile negli altri, nei bambini, nei ragazzi. Capisce l'eterna delusione di chi crede, il vanesio egocentrismo di chi ha successo. E nel capire tutto è come Cechov: divino per obiettiva pietà, cristiano senza neppur saperlo, data questa sua tenerezza per il gabbiano ucciso in ciascuno di noi.

È uomo di teatro, questo novello Sorin. E senza saperlo affatto, capisce. Capisce che questa religione enormemente sapiente e fastosa è una grande Rappresentazione, nel senso vero e divino del termine. Capisce che quando il teatro funziona, qualcosa di veramente divino accade. Capisce tutto ma non lo sa - oh non è un critico Melville, è un cardinale! Capisce che questa enorme Rappresentazione, se riesce, è esattamente la magìa realizzata, il riscatto di ognuno, la resurrezione del gabbiano in noi, il teatrino dell'Infanzia che si riaccende nel boschetto sul lago, le estati spensierate che tornano: e non in una lingua, in una vita, per un'infanzia sola - ma in tutte le lingue e le vite, e per tutte le infanzie.

E poi, il grande momento. Lui, rifiutato all'Accademia drammatica, lui: l'eletto. A regista e protagonista del gran Teatro di Dio.

Attenzione, questo è il punto delicato. Non c'entra qui la paura, il senso d'inadeguatezza. Non c'entra esplicitamente neppure tutto quello che ho scritto, la sapienza di Cechov e il Gabbiano: tutto questo, a frammenti, viene a galla dopo, in quei tre giorni (tre giorni! Come dal venerdì santo alla Pasqua.) di discesa agli inferi. No: il protagonista qui è un semplice cardinale, un cardinale limpido, tranquillamente cattolico (Si può esserlo? Forse sì. Purché si sia anche un po' un Principe Miskin, un Idiota). Non è affatto colpa del cardinale quello che succede. È la cosa stessa, quella che gli si rivela in quell'urlo che erompe, strozzato, dalla sua gola - con il quale rifiuta la tiara. La cosa stessa è che il divino - l'indicibile vero, l'ineffabile bene - non c'è. Non è lì. Lì non c'è niente.

Ma anche questo è molto impreciso. Quello che non c'è è il talento di impersonare il regista e protagonista del Gran Teatro di Dio, quello che non c'è è lo spirito, l'ispirazione - e la forza e la speranza. È come se dio avesse chiamato ma. senza il soffio ravvivante, come se avesse chiamato sì, ma solo per svergognare ancora una volta lui nella sua pochezza di aspirante attore rifiutato dall'Accademia.

E ancora, non è preciso questo. Quello che non c'è è proprio il divino. Manca. Come nell'incubo dell'attore che deve salire sul palcoscenico. Manca perché lo Spettacolo non decolla. E non lo fa, perché in quel momento tutta la Rappresentazione millenaria si scopre vuota e vana. Vuota e vana si scopre, perché lo è divenuta ora, per colpa sua, dell'attore mancato! C'è modo peggiore di uccidere ancora una volta il gabbiano? Di essere (chissà se Melville ha studiato Nietzsche, come ormai tutti i cardinali e i papi) di nuovo l'ultimo uomo, l'assassino di Dio?

Eppure tutto questo non è ancora del tutto preciso. Perché quello che accade è insieme molto più semplice. Una depressione acuta, con attacchi di panico. Il dato di una depressione - è il nulla. Ma quella depressione dice il nulla che è insieme di Dio e mio - "mio" ovvero del protagonista. Perché solo insieme, nella Rappresentazioine, avrebbero potuto vivere.

E di nuovo: non è affatto una questione di avere "problemi con la fede" (secondo la domanda che lo psicanalista impersonato da Moretti fa a Melville durante il consulto). No, risponde sinceramente il papa disertore. Che c'entra. La fede è cosa soggettiva, abito e convinzione, non c'è niente che necessariamente debba cambiare in questo abito e nelle sue abitudini. La rivelazione dell'impossibilità, è cosa oggettiva. Può darsi che non possa enunciarsi al modo della coscienza, perché diventerebbe una rivelazione banale, una semplice e normalissima e diffusissima professione di ateismo. No, la depressione sta di fronte al nulla senza dargli parola e pensiero, e questo nulla non è del mondo ma è di sé e di Dio insieme, della persona che l'impersona.

Eppure, questa depressione non è affatto la rivelazione di un'assenza del divino in assoluto - perché tutto il mondo cecoviano, tutta l'infinita pietas che l'avvolge e ci consola, fluisce anche nel film. Per le strade del mondo, le strade di Roma, sotto gli occhi del protagonista che vi cerca scampo. Si accende negli occhi dell'improbabile psicanalista, Margherita Buy, con la sua piccola ossessione professionale e la sua vita sgangherata. Scorre nelle schermaglie dei due bambini, fratello e sorella, in cui tutta la storia del Gabbiano annuncia che si ripeterà una volta ancora. Balza nell'umile campionato di palla a volo durante il quale i porporati, in attesa che lo Spirito riprenda in mano la regia, ritornano bambini.

Ma nella Grande Rappresentazione no, il divino non vuole più tornare. Tutto alla fine sembrava ancora possibile, la piazza gremita, le bandiere festanti, la cerimonia di benedizione papale che può ancora avere luogo. E invece no. I tre giorni della discesa agli inferi hanno portato frutto. Una verità è raggiunta. Si può dire. L'uomo limpido con grande tristezza la dice. Il Teatro di Dio non può rinascere - qui. Il divino ha scelto l'uomo limpido, l'attore rifiutato dall'Accademia, per chiudere baracca e burattini. Le bandiere festose calano, la folla si disperde. La vita continua - altrove.


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Re: Cinematografo

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consiglio a tutti di vedere "

(Taking Sides)
Regia di Istvàn Szabò
con Harvey Keitel, Stellan Skarsgard, Moritz Bleibtreu

Si può essere colpevoli, senza aver commesso alcun reato, per il solo fatto di essersi compromessi con un regime politico? Come nella commedia, l'ignavia/accidia merita l'inferno? Chi non riesce a conoscere come stanno le cose in un momento storico molto particolare, magari anche perché non sa andare troppo in fondo nelle proprie analisi politiche, volendo tenere ben discosto quest'aspetto dalla propria vita che si fonda sulla musica, deve, prima o poi trovare il suo Dipietro? Quest'ultimo è interpretato da un attore eccezionale: Harvey Keitel che sembra proprio un p.m. con poca cultura, ma con una capacità di comprendere molto maggiore del molisano. Stupenda, a mio parere, le parti assegnate all'assistente ebreo ed alla figlia di un "eroe" tedesco, che riusciranno a giganteggiare nel finale, dando ad esso la loro (specialmente il primo) impronta.


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Re: Cinematografo

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Grande successo alla proiezione per il pubblico del lavoro di Moretti in concorso ieri al festival. Il regista si commuove per il lungo battimani

- Habemus Papam
dal nostro inviato Curzio Maltese

CANNES - Molte risate, qualche silenzio commosso, alla fine un applauso generoso, ma non travolgente come quello che dieci anni fa annunciò già in sala la Palma d'Oro per La stanza del figlio. Questa la reazione dei giornalisti. Nel pomeriggio, alla proiezione per il pubblico, le emozioni si sono moltiplicate per tre. E di conseguenza la commozione di un Moretti insolitamente in lacrime. Cannes ha accolto Habemus Papam per quello che è. Un mezzo capolavoro, un film geniale nell'idea e nell'essenza, ma con qualche occasione mancata. E comunque come un film. Non il pretesto per convocare un'assemblea politica di fanatici pro e contro. Da un lato gli esaltatori di Moretti a prescindere, in quanto leader ideale dell'opposizione. Dall'altro i denigratori d'ufficio, gli odiatori ideologici del «girotondismo» incarnato. Lui, Nanni Moretti, è il primo a esserne sollevato.

«La cosa più bella di questi giorni è che il mio film viene rimesso al suo posto. Piaccia o non piaccia, si parla di cinema e del film, non di me soltanto. Nessuno mi chiede perché faccio ancora film autobiografici o perché non l'ho fatto. Nessuno mi dice: ma perché non ci dai prima la sceneggiatura? Che dici di Berlusconi? Perché non fai più i girotondi? Perché li hai fatti? Da uno a dieci, quanto sei antipatico? Quanto sei stronzo?».

Rivisto a Cannes, Habemus Papam si conferma un film importante e imperfetto, grande nei pregi e a volte nei difetti, che forse non vincerà la Palma, ma di sicuro merita di «cominciare da qui un viaggio per il mondo», come si augura l'autore. Altro è il discorso per il protagonista, Michel Piccoli, al quale dovrebbero dare il premio per il miglior attore da subito, più l'Oscar e il Nobel per la recitazione, quando verrà istituito. Per la verità Habemus Papam meriterebbe anche di ricominciare un altro viaggio in patria. L'idea di calare un nuovo Celestino V ai giorni nostri non è soltanto un soggetto formidabile. Con il tempo si rivelerà magari un'intuizione profetica, come lo sono stati in passato altri film di Moretti. Come Ecce Bombo, sulla fine del movimentismo, girato in pieno '77. Palombella Rossa, sulla crisi della sinistra italiana, pensato quando esisteva ancora il Pci. Per non dire del Caimano, più attuale oggi di allora.

Questo è un film su una crisi epocale della chiesa cattolica, forse la peggiore mai affrontata in duemila anni di storia. E se Moretti tende a minimizzare le reazioni dure delle gerarchie vaticane, a ripetere di non aver voluto fare un film «contro la Chiesa», tantomeno «di denuncia», la realtà è che proprio la natura di quelle reazioni segnalano la forza del film. Perché il vero segreto terribile del Vaticano di oggi non sta negli scandali dello Ior o dei pedofili, nelle trame mille volte raccontate al cinema o sui giornali, ma piuttosto nella perdita di senso, nell'incapacità di dire e fare qualcosa di decisivo nella società. Nella debolezza, addirittura irrilevanza, che si manifesta perfino nelle occasioni più felici e seguite, come la beatificazione di Giovanni Paolo II. Dove il sentimento prevalente era l'acuta nostalgia per un papa molto amato, che ha segnato la propria epoca, e del quale non s'intravede nemmeno alla lontana un vero possibile successore, nel presente e nel futuro. «Non ci sarà mai più un papa come lui» diceva un fedele a piazza San Pietro. Nella metafora di Moretti è diventata l'impossibilità quasi fisica di fare il papa. Diventa il passo sperduto e fuggiasco di Michel Piccoli per le strade di Roma.

Accanto a questo talento profetico e a scene di una forza straordinaria, come l'angoscia notturna dei cardinali, certo in Habemus Papam si trovano cadute non necessarie, vezzi, perfino incongruenze. Moretti rivendica com'è giusto il diritto dell'artista a mettere in scena il proprio papa e i propri cardinali, senza obblighi di realismo, e pazienza se somigliano più a Don Camillo che a Bertone o a Bagnasco. Ma ridurre l'incontro fra psicanalisi e religione, un tema così affascinante e inedito, a una serie di battute, qualche partita e due macchiette di analisti nevrotici, appare un po' deludente. Si tratta di dettagli, ma i dettagli sono importanti quando si ha fra le mani un possibile capolavoro. Moretti sembra comunque felice così, soddisfatto del successo italiano (finora cinque milioni d'incassi) e curioso del mondo, di come il film verrà accolto da Cannes in poi. E tutti noi siamo felici che Moretti e i suoi film ci siano stati in questi anni, quando erano quasi gli unici a far parlare ancora del cinema italiano e ora che i tempi stanno cambiando. Soddisfatti nel vedere la sala stampa di Cannes piena di giornalisti di tutto il mondo, come per un film italiano non accadeva da una decina d'anni e forse più.
Quindi, in ogni caso, grazie Nanni.


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"la paura della morte impedisce di vivere"

Woody Allen: "Il mio Decameron un film a episodi con Benigni"

Il regista svela il suo progetto italiano. A giugno sarà a Roma per i sopralluoghi, a luglio il via alle riprese. "Ho reinterpretato liberamente Boccaccio in un racconto corale nella città di oggi". "Roberto? Il meglio del vostro cinema"

Arianna Finos per "La Repubblica"

"Farò interpretare a Benigni un italiano qualunque che si trova di fronte a un'esperienza straordinaria". Woody Allen, reduce dal successo al Festival del suo Midnight in Paris, ci parla dell'atteso Bop Decameron, il film prodotto da Medusa che girerà a Roma in estate.

Signor Allen, ci conferma che sarà tratto dall'opera di Boccaccio?
"Sì. Ho pescato qua e là molti piccoli pezzi dal Decameron, li ho liberamente interpretati e inseriti in un racconto corale, con tante storie che s'intrecciano e interagiscono nella Roma di oggi. Roma è una città capace di far coesistere antico e moderno in un bel caos urbanistico che la rende la città più carismatica del mondo".

A che punto è la sceneggiatura?
"La storia è scritta, il cast americano quasi completato: Alec Baldwin, Ellen Page, Jesse Eisenberg, Penelope Cruz, Judie Davis. E ci sarò anch'io, per questo film torno a far l'attore in uno degli episodi, che saranno tutti molto comici".

E Benigni?
"Non potevo fare un film in Italia senza di lui, rappresenta il meglio del vostro cinema. Sarà protagonista di uno degli episodi. Mi divertiva l'idea di fargli interpretare un italiano qualunque che vive a Roma. Il suopersonaggio è un impiegato in un ufficio. Una persona molto comune, un uomo dimesso e tranquillo che si ritroverà vivere un'esperienza fantastica".

Quando verrà in Italia?
"Sarò a Roma il 18 giugno per i sopralluoghi, inizieremo le riprese a luglio".

La sua ormai è una vita itinerante. Londra, Barcellona, Parigi. Ora Roma. Cosa dice la sua famiglia?
"Soon Yi e i bimbi si eccitano ad ogni viaggio. Adorano passare da una città all'altra. Io invece amo starmene a New York, in primavera mi manca la stagione del baseball. E nella mia casa a Manhattan c'è tutto quel che serve, al solito posto: il clarinetto, le mie pillole. La tappa a Roma fa eccezione, adoro la cucina italiana".

La sua vita sembra molto piena.
"In un anno scrivo, trovo il cast, dirigo e monto un film. Ma ho anche il tempo per suonare, andare in tour con la band, giocare con i miei figli, andare alle partite di baseball e al museo con mia moglie. Rispetto a un tassista o un insegnante è uno stile di vita decisamente più pigro".

In Midnight in Paris incontra idealmente i suoi miti, da Hemingway a Fitzgerald. Nella vita le è successo?
"Il primo personaggio famoso che ho incontrato era il mio eroe d'infanzia, Groucho Marx. Ma quando mi sono ritrovato in un bar con lui è successo qualcosa di strano. Era gentile, ma non aveva i baffoni. Sembrava uno zio ebreo, di quelli che incontri ai matrimoni, che parlano del tempo e fanno scherzi più o meno divertenti. Era davvero troppo umano e questo non mi è piaciuto. Così, quando ho avuto la possibilità di incontrare Louis Armstrong ho rinunciato".

Fa dire a Hemingway che l'amore fa scordare la paura della morte. La pensa così anche lei?
"No, io penso che la morte sia sempre in agguato, nei momenti più belli".

Lei convive quotidianamente con questa paura?
"Perché, non è anche la sua?".

Hemingway diceva che la paura della morte impedisce di vivere.
"E' vero. Penso che la mia codardia e la mia timidezza mi sono costate molto nella vita quotidiana e in quella artistica. Se fossi stato più coraggioso avrei scritto meglio e fatto film migliori, avuto una vita migliore. O magari, ad essere troppo coraggioso, sarei già morto".


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Re: Cinematografo

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Noooooooooooo!!!! Admin, questo colpo al cuore non me lo dovevi dare, proprio tu.
Moretti è intoccabile, qualsiasi cosa faccia o dica. E' proprio la sua presenza che uno cerca in un fim, la sua presenza è già una storia, un punto di vista, una visione del mondo e un modo di stare al mondo.
Il film non l'ho ancora visto perché condivido tutte le difficoltà cui accennava Lemond ( Sky le risolve tutte, non c'è niente da fare, sì, manca il buoio, lo schermo enorme e gli altri, sconosciuti, in sala, ma le comodità sono tante, tante) ma l'idea che mi sono fatta è proprio quella di Lemond, l'asimmetria ontologica fra l'uomo e il potere e, quindi, la voglia matta di trovarsi un mondo in cui continuare a giocare a palla prigioniera e se non esiste più chissenefrega.
Ho letto anch'io di alcune riserve della critica sul film ( come ho letto di tante critiche osannanti) ma se pure il film non fosse quello che mi aspetto, sono certa che direi, come il critico francese," non funziona la psicanalisi, non funziona la religione e la critica al Vaticano, funziona solo Nanni Moretti".
Lemond, vedo che citi Woody, altro mito inarrivabile, secondo me. Va beh, per questo tiperdono il tuo appassionarti per Gaber, io la penso come Zoro su di lui: lo posso di'? Che palle, uno che c'ha problemi con i segnali stradali: qua è destra e lè è sinistra. Semplice.


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donchisciotte ha scritto:Noooooooooooo!!!! Admin, questo colpo al cuore non me lo dovevi dare, proprio tu.
Moretti è intoccabile, qualsiasi cosa faccia o dica. E' proprio la sua presenza che uno cerca in un fim, la sua presenza è già una storia, un punto di vista, una visione del mondo e un modo di stare al mondo.
Il film non l'ho ancora visto perché condivido tutte le difficoltà cui accennava Lemond ( Sky le risolve tutte, non c'è niente da fare, sì, manca il buoio, lo schermo enorme e gli altri, sconosciuti, in sala, ma le comodità sono tante, tante) ma l'idea che mi sono fatta è proprio quella di Lemond, l'asimmetria ontologica fra l'uomo e il potere e, quindi, la voglia matta di trovarsi un mondo in cui continuare a giocare a palla prigioniera e se non esiste più chissenefrega.
Ho letto anch'io di alcune riserve della critica sul film ( come ho letto di tante critiche osannanti) ma se pure il film non fosse quello che mi aspetto, sono certa che direi, come il critico francese," non funziona la psicanalisi, non funziona la religione e la critica al Vaticano, funziona solo Nanni Moretti".
Lemond, vedo che citi Woody, altro mito inarrivabile, secondo me. Va beh, per questo tiperdono il tuo appassionarti per Gaber, io la penso come Zoro su di lui: lo posso di'? Che palle, uno che c'ha problemi con i segnali stradali: qua è destra e lè è sinistra. Semplice.
Woody, Moretti e il povero Troisi, per me sono l'emblema del cinema che mi piace di più e che vedo e rivedo in continuazione. poi ci sono altri registi, come gli autori di Le invasioni barbariche e Train de vie e poi naturalmente anche altri, ma a grande distanza.
Però veniamo al mio mito più grande, che ha fatto pure lui cinema, anche se poco purtroppo ed "Il caso di Alessandro e Maria" era "in primis" stato scritto per la ... arte. ;)
Al riguardo non ho ben compreso il pensiero di Zoro e, al riguardo di destra e sinistra, vi fornisco la mia idea, proprio servendomi della sua traccia. Sarei contento di ricevere più contestazioni possibili. ;)

Qualcuno ha chiesto la mia opinione su chi è di destra e chi di sinistra. Lì per lì ho risposto che la differenza, se c’era, pensavo fosse invisibile, poi mi sono fatto aiutare da il signor G. e sarei arrivato alla conclusione che si può ben distinguere le due parti dal punto di vista antropologico, mentre da quello politico assolutamente no (almeno in questa temperie italiana).
Naturalmente sono aperto alla discussione.

Qualcuno era di destra perché pensava come la maggioranza in cui era nato, o il che è lo stesso, il nonno, lo zio, il padre, la madre lo avevano catechizzato bene.
Qualcuno era di destra perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il Paradiso Terrestre, appunto era di destra, perché aveva bisogno di un Dio.
Qualcuno era di destra perché si sentiva solo e si sa che il totalitarismo fa apparire tutti meno responsabili e non c’è paura di sbagliare come individuo.
Qualcuno era di destra perché aveva avuto un’educazione cattolica.
Qualcuno era di destra perché si faceva molto influenzare dall’opinione dei capi.
Qualcuno era di destra perché “La Storia e Dio sono dalla nostra parte!”.
Qualcuno era di destra perché glielo avevano detto.
Qualcuno era di destra perché non gli avevano detto tutto.
Qualcuno era di destra perché prima era fascista o comunista (è lo stesso).
Qualcuno era di destra perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano.
Qualcuno era di destra perché pensava che Berlinguer fosse un grande politico.
Qualcuno era di destra perché pensava che Andreotti fosse un bravo politico (un po’ meglio di Berlinguer, sì (dico io) ma non tanto).
Qualcuno era di destra perché era ricco di nascita e non voleva che altri potessero diventarlo
Qualcuno era di destra perché credeva nei valori della Famiglia.
Qualcuno era di destra perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari.
Qualcuno era di destra perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio ;).
Qualcuno era di destra perché non ne poteva più di sentir dire com’è bello essere operaio.
Qualcuno era di destra perché vedeva solo l’aumento di stipendio e le ferie.
Qualcuno era di destra perché gridava “Viva Stalin, viva Lenin, viva Mao Tse-Tung, viva Castro” in altre parole i tiranni peggiori della storia dell’umanità.
Qualcuno era di destra perché guardava sempre Emilio Fede o Rai Tre.
Qualcuno era di destra per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era di destra perché voleva lo Stato sopra a tutto e a tutti.
Qualcuno era di destra perché credeva nei grandi Partiti.
Qualcuno era di destra perché era qualunquista.
Qualcuno era di sinistra perché non era qualunquista e non diceva i partiti sono tutti uguali, perché per lo meno uno è diverso dagli altri ;)
Qualcuno era di sinistra perché non ne poteva più di quarant’anni di governi democristiani (e poi si è accorto che dopo era peggio).
Qualcuno era di sinistra perché era contro, ma “con giudizio”.
Qualcuno era di destra perché era sempre contro: antiglobal, antitav, antiamericano, anti…
Qualcuno era di destra perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia (vedi Churchill).
Qualcuno era di sinistra perché sognava la libertà.
Qualcuno era di sinistra perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era di sinistra perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa da quella ufficiale. E anche se forse era solo un sogno, uno slancio in fieri, c’era comunque veramente il desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Qualcuno era di sinistra perché con accanto questo slancio ognuno era come più di sé stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.

Ciao, Carlo


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Guarda, a me pare chiarissimo cosa sia di destrao o di sinistra. Poi che, per esempio, il PD spesso e volentieri dica e sostenga cose non di sinistra, non significa che, con questo, non si sa più chi è di destra e chi di sinistra.
E' vero che viviamo in un'Italia dove la cialtroneria, l'ignoranza e la voglia di ricavarne qualche beneficio stravolgono la storia, le idee, le motivazioni.
Ma non per questo non si sa cosa sia destra o sinistra.
E' come con i segnali stradali, si capisce la freccia cosa indica.
Tutti questi con la puzzetta sotto il naso che vogliono mischiare motivazioni di destra ( la difesa del privilegio, del profitto, il perbenismo feroce, la religione confusa con il perbenismo e con la gerarchia della chiesa, il patriottismo becero o l'invenzione della piccola patria a difesa del proprio portafoglio, la chiusura alla diversità dell'altro ecc.), con le motivazioni di sinistra, unificandole in un generico ridimensionamento buffonesco, fanno un'operazione di destra.
E Gaber fa questo, forse per giustificare a se stesso di avere una moglie, cantante finita ,che si ricicla come deputata berlusconiana.
Ripeto, a me pare chiarissimo cosa è di sinistra, vedo uno smarrimento nella tattica e nella strategia, non in quello che connota le cose.
E ti dirò, forse non c'entra, che ho smesso anche di discutere con questa destra. Lo dobbiamo spiegare che se decine di ragazze bele, vistose e arrampicatrici ricevono soldi e case da un vecchio brutto e miliardario non lo fanno per partecipare a cene eleganti ma per i motivi che sappiamo benissimo? No, lo capisce anche un berlusconiano, dice cazzate perché ci guadagna o perché è ingozzato di televisione ( la creazione del consenso, come tutti sanno, non si fa a Anno zero ma a Uomini e donne, al TG1 e in tutta quella televisione scema).
Lo dobbiamo spiegare che dire che uno che ha un'amante con fidanzato narcotrafficante con deposito di cocaina nella casa pagata dal premier, non può fare il premier? No, lo sammo benissimo, come sopra.
Lo dobbiamo spiegare che il mercimonio immondo non c'entra niente con il libero amore di sessantottina memoria? no, lo sanno benissimo, come sopra.
Ecco, a me quelli che dicono " ma sono uguali, fanno le stese cose", sbagliano o sono in malafede. Errori quante ne vuoi, scemenze quante ne vuoi ma fra un D'Alema e Berlusconi continua ad esserci un abiso umano, estetito, etico, politico e culturale. E questo è chiarissimo.
Quelli che mischiano le carte, alla Gaber, non li sopporto. Tutto qua.


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donchisciotte ha scritto:Guarda, a me pare chiarissimo cosa sia di destrao o di sinistra. Poi che, per esempio, il PD spesso e volentieri dica e sostenga cose non di sinistra, non significa che, con questo, non si sa più chi è di destra e chi di sinistra.
E' vero che viviamo in un'Italia dove la cialtroneria, l'ignoranza e la voglia di ricavarne qualche beneficio stravolgono la storia, le idee, le motivazioni.
Ma non per questo non si sa cosa sia destra o sinistra.
E' come con i segnali stradali, si capisce la freccia cosa indica.
Tutti questi con la puzzetta sotto il naso che vogliono mischiare motivazioni di destra ( la difesa del privilegio, del profitto, il perbenismo feroce, la religione confusa con il perbenismo e con la gerarchia della chiesa, il patriottismo becero o l'invenzione della piccola patria a difesa del proprio portafoglio, la chiusura alla diversità dell'altro ecc.), con le motivazioni di sinistra, unificandole in un generico ridimensionamento buffonesco, fanno un'operazione di destra.
E Gaber fa questo, forse per giustificare a se stesso di avere una moglie, cantante finita ,che si ricicla come deputata berlusconiana.
Ripeto, a me pare chiarissimo cosa è di sinistra, vedo uno smarrimento nella tattica e nella strategia, non in quello che connota le cose.
E ti dirò, forse non c'entra, che ho smesso anche di discutere con questa destra. Lo dobbiamo spiegare che se decine di ragazze bele, vistose e arrampicatrici ricevono soldi e case da un vecchio brutto e miliardario non lo fanno per partecipare a cene eleganti ma per i motivi che sappiamo benissimo? No, lo capisce anche un berlusconiano, dice cazzate perché ci guadagna o perché è ingozzato di televisione ( la creazione del consenso, come tutti sanno, non si fa a Anno zero ma a Uomini e donne, al TG1 e in tutta quella televisione scema).
Lo dobbiamo spiegare che dire che uno che ha un'amante con fidanzato narcotrafficante con deposito di cocaina nella casa pagata dal premier, non può fare il premier? No, lo sammo benissimo, come sopra.
Lo dobbiamo spiegare che il mercimonio immondo non c'entra niente con il libero amore di sessantottina memoria? no, lo sanno benissimo, come sopra.
Ecco, a me quelli che dicono " ma sono uguali, fanno le stese cose", sbagliano o sono in malafede. Errori quante ne vuoi, scemenze quante ne vuoi ma fra un D'Alema e Berlusconi continua ad esserci un abiso umano, estetito, etico, politico e culturale. E questo è chiarissimo.
Quelli che mischiano le carte, alla Gaber, non li sopporto. Tutto qua.
Ti rispondo, perché il cinematografo non c'entra, nella discussione su Giorgio Gaber.


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Io non l'ò visto, però quanto è stato scritto, mi sembra materia interessante.


IL FILM DI MALICK, UN MISTERO SVELATO

02 giugno 2011 — pagina 34 sezione: COMMENTI

Gentile Augias, ho visto il film l' Albero della vita di Terrence Malick, vincitore dell' ultimo Cannes: può non piacere e mettere a dura prova lo spettatore più esigente; ma a me è piaciuto, e molto. Malick di fatto affronta il tema della Teodicea (cita espressamente il "Libro di Giobbe") con un piglio disarmante: prima presenta l' immensità del Creato (e quindi la "piccolezza" di un qualsiasi dolore ad esso accostato); dopo, ci fa conoscere la breve vita del bimbo scomparso trasformando la nostra iniziale freddezza in una partecipazione quasi commossa che si scatena con la grande elegia finale. In genere i registi "borghesi" fanno il contrario, costringendo lo spettatore prima ad affezionarsi al personaggio, per poi piangerne la scomparsa. Malick, invece, prima presenta la morte in punta di fioretto (tanto per creare una premessa), poi racconta il Cosmo, solo alla fine costringe al dolore: è come se dentro lo spettatore si fossero accumulate tante cose per farle esplodere alla fine. Mi sembra che Malick indichi una via attraverso cui non ci si potrà arrendere di fronte ad un lutto, né tantomeno accettarlo "cristianamente"; ma vedo anche un profondo rispetto per l' una e l' altra parte, per la magnificenza del tutto, pietà per la dimensione microscopica di chi affronta tanto buio. Alessandro Loppi - [email protected]

Malick è certamente il regista, l' artista, più misterioso del cinema mondiale. La leggenda dice che nel suo studio non possa entrare nessuno, nemmeno sua moglie. Impensabile avere da lui un' intervista o una foto. A Cannes, dove pure ha avuto la prestigiosa Palma d' oro, non s' è nemmeno fatto vedere, ha mandato qualcuno a ritirare il premio a suo nome. Quando girò La sottile linea rossa le più celebri star di Hollywood si offrirono di partecipare anche gratis al film, scelse chi volle lui, di alcuni tagliò completamente via la parte durante il montaggio. Tutto questo potrebbe sembrare esibizione o snobismo e diventare quindi una stucchevole maniera. Invece si sente, come per Salinger ( Il giovane Holden ), al quale è stato infatti accostato, che si tratta di un atteggiamento sincero, a mio modesto parere sinceramente nevrotico. Non credo che Malick conosca Leopardi, eppure il tema del dolore e dell' impassibilità della natura di fronte alle pene degli esseri umani è trattato in maniera assai simile nell' uno e nell' altro. Si tratta di una visione che deve di necessità escludere dio, quanto meno la divinità com' è stata disegnata e intesa nel cristianesimo. Non c' è redenzione né provvidenza in questa visione dell' esistenza , i personaggi sono disperati e soli, il rapporto con la vita appare estremo. Ecco perché, a mio parere, Malick ha citato Giobbe, esempio supremo della misteriosa ingiustizia divina.

°°°°°°°

domenica 29 maggio 2011
l'albero di Malick
Premessa necessaria e sufficiente, almeno per chi viene in questo blog per la prima volta: 1 non credo nella critica interpretativa; 2 non amo il critico all'italiana (perché segue troppe convenienze extrartistiche); 3 sono convinto che un'opera non debba necessariamente "piacere"; 4 l'opera d'arte non va "capita": può piacere o non piacere, senza sensi di colpa o timori reverenziali di sorta (e attenzione a quelli che "spiegano": spesso parlano solo di loro stessi).
Detto ciò, se non avete visto l'Albero di Malick, forse è meglio che non andiate oltre questo secondo paragrafo. A me è piaciuto, molto (forse troppo), e quello che voglio raccontarvi sono alcuni spunti tecnici miscelati ad alcune sensazioni. Sensazioni totali, che quindi potrebbero raccontarvi qualcosa del film. Il bello è che non c'è un "come va a finire", perché in fondo è l'inizio del film il come va a finire; sempre che di finale si debba parlare. Quindi, se volete, prendiamoci questo tè insieme; altrimenti ritornate quando (e se) l'avete visto.

Ebbene, pensate a un dolore enorme, il più devastante che abbiate mai provato. Pensateci per un solo istante, e poi chiedetevi: cosa ho provato?
Sapreste raccontarlo per sole immagini?
E quindi: che giustificazione date a quel dolore così immenso? Di conseguenza: perché dio, o chi per lui, permette la sofferenza? Qui dovrebbe scattare in piedi il filosofo esperto per parlare di teodicea (e del resto, Malick cita esplicitamente il Libro di Giobbe), di Leibniz e di Boyle; allora tutti a casa, a chiedersi perché bisogna scomodare tanta sapienza per giustificare una morte ingiustificabile; oppure: perché bisogna "sapere" tutte queste cose per "entrare" nel film.
Alla seconda parte ho già risposto implicitamente nella premessa: non è necessario conoscere il dietro le quinte di un pensiero che "genera" arte; però, in questo caso, può essere utile e "divertente". Alla prima parte, rispondo con una domanda: è necessaria la sofferenza per capire quanto vale la vita? O meglio: perché dio, o chi per lui, ci fa soffrire, e di una sofferenza così totale quale sola può sgorgare dalla morte di un figlio?
Per come viene comunemente e "visivamente" proposta, la sofferenza è una landa desolata e oscura, e la musica che la accompagna sarebbe dolente e devastante. E, invece, Malick propone un'operazione opposta: ci mette dolcemente di fronte alla magnificenza del Creato (atea o religiosa, poco importa), e la celebra con sontuose e bellissime inquadrature in cui la recitazione e la cinematografia vengono quasi messe via (per quanto non sia necessario un canone per stabilirne i limiti, no?). Eppure a recitare sono proprio le sensazioni assolute, quelle che mai ci potremmo aspettare nella descrizione di un dolore; sensazioni nostre, e che ci avvolgono lungo tutta la seconda parte della proiezione.
Va detto: ci sono momenti visivi che (banalizzo, eh) magari potrebbero ricordare 2001; ma non è così semplice: se qualcuno fa intravedere un pianeta, non è che va subito accomunato a Kubrick o a Piero Angela; è il contesto del film che conta.
Malick, quindi, esplora il Creato, l'Universo degli albori che non ci sono più, oppure (e anche) quegli albori che ancora oggi si manifestano in tutta la loro modernità (vulcani, acque, lo spazio), e li racconta con una fotografia titanica, una regia che osserva, e una serie impressionante di bellissime "cose" che ci circondano e che in genere ci accompagnano nella nostra esistenza, senza che ce ne accorgiamo.
Ma poi, e alla fine, sono proprio queste "cose" che ci suggeriscono quanto possa essere comunque lenita la morte di un figlio, quanto cioè tutto quello che stiamo passando di doloroso sia invece così nulla di fronte al Tutto. Malick sembra costringere lo spettatore a chiedersi: quali sono gli esatti confini del mio lutto, del mio mondo insomma, dinanzi al Mondo vero e proprio?
Ammettiamolo, quando cediamo a questo tipo di domande (che cinematograficamente sarebbero "furbe" e efficaci), la cultura bianca e occidentale si ferma attonita e soffoca, rassegnandosi. Haivoglia, quindi, a film dolenti e dolorosi che tanto piacciono al borghese medio. E, invece, Malick non indugia nella rassegnazione: non apre cioè il film, raccontandoci in maniera aulica cosa era la vita del bimbo prima che morisse; invece, ci butta subito addosso il sentimento del dolore (e che chiunque altro avrebbe messo nel finale). Ci costringe a fare i conti col sentimento puro e con la sensazione di totale perdizione, e anche con la futilità di tutto questo (che poi, forse, può anche essere letta con la granitica resistenza della mamma che vuole superare il buio grazie anche alla fede).
Finita questa prima parte così sospesa, solo dopo Malick ci racconta la breve vita del fanciullo; genuinamente, per quella che è stata (e che in tutto il film si dipana a sprazzi di raffinati colpi di pennello, fino al grandissimo finale): una vita vissuta, con un padre autoritario (un Brad Pitt ripreso spesso di quinta, o comunque di profilo), con una madre dolce e delicata (e di una sensuale maternità, sempre casta e sempre ai giusti confini del ruolo), e con un fratello maggiore di rara bellezza spirituale (chi lo interpreta, ha il privilegio di ricordare somaticamente il perfetto Caviezel della Sottile linea rossa).
Insomma, Malick ha capovolto la tipica sintassi filmica: prima ha rappresentato il dolore (quindi, non un dolore entro cui ci si possa immedesimare; tanto che lo spettatore non lo proverà all'istante); poi, ha ipotizzato la dimensione esatta di questo dolore di fronte all'assoluto; infine, ha pennellato il breve vivere del nostro protagonista, aggiungendo una conclusione finale che meriterebbe caterve di libri, di scritti, di impressioni, per quanto lasci aperte mille porte interpretative e suggestive, tutte pertinenti, tutte logiche. E il bello è che di fronte a tutto questo, finalmente ti commuovi; tutto quello che hai visto prima si era sedimentato in un cantuccio del tuo animo, e adesso esplode "serenamente". Un'operazione estetica e stilistica di rara maestria.
Certo è che Malick lavora di fino, di un'apparente lentezza, che invece io vedo più come sospensione; con delle accelerazioni, poi, che veramente fulminano anche il cuore più distratto. Come non restare coinvolti durante i giochi infantili con i genitori? Come non sentirsi esattamente a tavola con i protagonisti, quando il padre alterna rimproveri a dolcezze, o con la madre sulla quale dispone litigi e tenerezza in egual misura? Come non restare affascinati dalla lenta e genuina crescita del primogenito, che prima subisce la durezza del padre, poi si ribella, e poi quando è maturo la sa quantificare e qualificare per quello che era?
Malick sfida ogni possibile rigore di grammatica registica, usando camere a spalla là dove è necessaria un'inquadratura statica, o comunque rigorosa; mettendo (pochi) dialoghi là dove sarebbe necessario il silenzio; disponendo di fior di interpreti, senza quasi farli parlare (la voce del sacrificato Sean Penn è solo fuori campo); accennando spesso a brevissimi frame fuori contesto che però restituiscono esattamente il sentimento di quella specifica sequenza (signori, è roba da Ėjzenštejn!); scomodando un velociraptor del cretaceo che risparmia una delle sue vittime, per significare una forma di pietas basata sull'istinto (se non scappi, non sei una preda; qui qualche critico ci vede la morale americana); descrivendo la morte e la vita come un identico passaggio; presentando un ipotetico paradiso (o ritrovo di anime, di coscienze, fate voi) vicino una spiaggia desolata (ma non desolante), in cui tutto sembra fermo… ma lo spirito di chi ha vissuto tanti anni nel ricordo - nel dolore, nel rancore, nel dubbio - è cambiato, e cambiati saranno i sentimenti con cui i protagonisti si abbracceranno ormai liberi da ogni freno, emotivo, fisico e spirituale.
Se non vi vengono le lacrime in questo momento, vuol dire che il film non vi è piaciuto. Non importa: sicuramente vi commuoverete per altro. Io, invece, da quando l'ho visto non riesco a togliermelo dalla mente, tanto mi ha coinvolto nel mio io più inafferrabile.
Ho fatto cenno alla stratosferica fotografia, senza luci artificiali (ma da Malick te l'aspetti), e anche al come il nostro adori ribaltare certi canoni comuni. Ebbene, Malick applica queste due attitudini anche nella scelta delle musiche non originali, capovolgendo il significato dei brani usati, estirpandoli dalle loro originarie intenzioni compositive. E già: la morte del figlio viene accompagnata dall'incipit del Titano di Mahler, che il grande compositore scrisse pensando alla primavera (e che io ho sempre riferito alla Vienna mitteleuropea, ricca di carrozze e cavalli); Malick l'ha trasformato in un lutto.
C'è poi la Lagrimosa che Zbigniew Preisner intarsiò nel suo Requiem for a friend dedicato al compianto Kieslowski, trasformata da Malick nell'inno gioioso e riverente all'Assoluto, mantenendola ben salda tra le riprese di una Supernova in evoluzione.
E, infine, cosa c'entra la Moldava dalla Má Vlast di Smetana? Dico, in origine parla (letteralmente "parla") di un fiume; e, invece, Malick l'ha trasformata in un folgorante inno alla giovinezza. Che nostalgia (mai vissuta, poi) vedere quei bimbi felici, rincorrersi tra loro e sbeffeggiare dolcemente i due genitori…

Per concludere, fosse questo film la vera via a un modo di intendere la religione, non avrei alcuna difficoltà ad avvicinarmi ad essa e ai suoi misteri. Fossero questi i veri cristiani, sarebbe stimolante ed avvincente intavolare discussioni e chiacchierate sul nulla e sul tutto.
Malick ha fatto una straordinaria operazione, in cui alla fine ci si sente vuoti e impreparati ad affrontare le luci della sala appena accese. Malick ci ha indicato una strada che ha bisogno di una profonda coscienza; e la coscienza, si sa, è una infallibile amica.

°°°°°°

Controcorrente: Dio e famiglia nel capolavoro di Malick.

[Dal Prof. Woland per la Città Invisibile]

Il Festival di Cannes si è concluso con l'assegnazione della Palma d'Oro al film The Tree of Life del regista statunitense Terence Malick (autore dell'indimenticabile The Thin Red Line).

Il premio, una volta tanto, non ha suscitato critiche o lamentele (anche il nostro Paolo Sorrentino, in gara col suo This must be the place, aveva dichiarato «È stata una crudeltà mettere in concorso il film di Malick. È come scendere in campo e scoprire che devi giocare contro Maradona»).

Ho visto il film e devo dire che si tratta di un'opera davvero straordinaria, nel significato etimologico dell'aggettivo.
Grande cinema.

A me interessa qui fare due osservazioni sulla religione e la famiglia.
Queste due istituzioni, cardini della storia dell'umanità, escono, a mio parere, davvero malconce dopo il trattamento Malick.

Dio appare lontano ed insensibile agli eventi umani: mentre il piccolo uomo lo prega, il regista - con una serie di immagini stupende che vanno dai mari alle stelle, dai vulcani ai dinosauri, dalle colonie di batteri ai deserti e alle foreste - ti comunica l'insensatezza di quelle preghiere.
L'uomo è un minuscolo essere del tutto insignificante nell'immensità dell'Universo e le immagini di Malick ne sono una spietata dimostrazione.

Il bimbo, protagonista del film, è schiacciato dal peso di una religione cupa ed ossessiva: la presenza di un Dio che va temuto e continuamente ringraziato è insopportabile.
Nulla è comprensibile per la mente del bambino che, dinanzi a lutti ed eventi inaccettabili, dice al Signore: «Perché dovrei essere buono io se tu non lo sei?».

La famiglia poi è altrettanto angosciante. Il padre è un uomo frustrato che spera, con un educazione rigida e severa, di far crescere i figli forti e vincenti. Suscita così solo l'odio del bambino, che anche in questo caso non capisce e dice al fratello: « Perché gli adulti pretendono da noi le cose che loro stessi non fanno?»
Dovrebbe addolcire il quadro una madre tenera ed affettuosa, che invece è talmente priva di carattere da sembrare 'una bella statuina'.
Il finale del film vorrebbe tentare una conciliazione in extremis di sentimenti e risentimenti, ma ormai il messaggio è partito:

Voce dal sen fuggita
poi richiamar non vale;
non si trattien lo strale
quando dall'arco uscì.

(Metastasio)

P.P. [Post Post]
Mi rendo conto che le mie impressioni sono piuttosto isolate nel panorama generale (molti critici hanno inneggiato al misticismo del film). Peraltro è probabile che l'intento comunicativo di Malick non coincida con l'esito che ha prodotto in me. Ma l'opera, una volta licenziata, non appartiene più al suo autore e può accadere, soprattutto coi capolavori, che parli una lingua a lui sconosciuta.
Proprio per questo, mi piacerebbe molto conoscere il vostro parere.

Aggiornamento del 3 giugno 2011

Su la Repubblica di oggi Corrado Augias rispondendo ad un lettore scrive: "Non credo che Malick conosca Leopardi, eppure il tema del dolore e dell'impassibilità della natura di fronte alle pene degli esseri umani è trattato in maniera assai simile nell'uno e nell'altro. Si tratta di una visione che deve di necessità escludere dio, quanto meno la divinità come è stata disegnata ed intesa nel cristianesimo. Non c'è redenzione né provvidenza in questa visione dell'esistenza, i personaggi sono disperati e soli, il rapporto con la vita appare estremo."
Sottoscrivo decisamente questo giudizio: forse le mie impressioni sono meno isolate di quel che credessi.


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Re: Cinematografo

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lemond ha scritto:Io non l'ò visto, però quanto è stato scritto, mi sembra materia interessante.
be', io l'ho visto un po' cosi'...
http://confindustrial.noblogs.org/post/ ... el-dolore/

(mi si perdoni la digressione musicale, ma era il mio campo...)


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Re: Cinematografo

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I guardini del destino

Casualità, destino o libero arbitrio? Ognuno si trova a riflettere in un qualche istante della sua quotidianità, quale sia fra questi elementi a muovere la propria esistenza. Non essendo tema di facile risoluzione è forse per questo motivo che molti autori, nel tentativo di rispondere a tale quesito, interrogano mondi alternativi dove in un’ipotetica oggettività personaggi con anomali poteri possono scrutare dall’alto lo scorrere degli eventi e regolare le vite altrui.

E’ anche il caso di George Nolfi che per il suo primo film da regista I guardiani del destino, ha colto una suggestione dal racconto Squadra riparazioni (Adjustment Team) di Philip Dick (autore che dagli inizi degli anni '80 ad oggi è stato ampiamente rielaborato da molteplici registi). Nel film, l’agente immobiliare del libro Eddie Fletcher diventa il candidato senatore David Norris (Matt Damon) uomo politicamente corretto, la cui unica licenziosità commessa nella vita è stata quella di essersi abbassato i pantaloni al liceo. Il suo futuro è deciso come le linee della vita sono scritte sulla mano, finché non incontra Elise (Emily Blunt) la stessa Emily del Diavolo veste Prada (ma qui con l’abito di una promettente danzatrice e non nei panni della collega acida) che lo risveglierà dalla sua inconsapevole vita. La ricerca del completamento attraverso l’altro, il tema dell’amore impossibile, il desiderio spasmodico del suo raggiungimento occupano la parte centrale del film e si sostituiscono ad un’indagine più profonda di ordine mistico-spirituale che potenzialmente il soggetto offrirebbe. La riflessione sui destini umani che per Dick è questione centrale resta infatti nel film sotterranea, adombrata da un’analisi incentrata sull’umano destino di Norris. Il cineasta apre qualche spazio “mistico” attraverso la sceneggiatura, nei dialoghi tra il possibile senatore e il capo dei guardiani Thomphson (Terence Stamp), ma ogni sguardo sull’oltre, ogni possibile visionarietà registica, che nel mettere in scena una riflessione sui concetti di Caos e caso sarebbe attesa, resta negata. Il mondo oltre lo specchio tratteggiato dall’autore riflette, infatti, un immaginario che presenta la sensazione di un déjà-vu allo stesso modo in cui il destino (come ci viene ripetutamente fatto notare nel film) è già scritto. Uomini che gestiscono la vita degli altri con abiti un po’meno di tendenza degli agenti di Matrix, una terrazza che non può non ricordare la scena finale di Apri gli occhi, mondi che si spalancano improvvisamente davanti al nostro sguardo ma con minor ispirazione creativa di Inception: film che a loro volta traggono le loro ispirazioni dallo stesso Dick.

Se quindi Nolfi non trasforma il materiale del libro in un’opera indimenticabile, come è accaduto per Blade Runner o Minority Report, tuttavia Damon e la Blunt assolvono i loro compiti in modo esemplare. Corrono, danzano, si cercano, si guardano intensamente e interpretano David e Elise trasmettendo la reale urgenza e necessità del loro sentimento. Accade dunque che i nostri occhi non particolarmente calamitati da scenari onirici e mondi fantascientifici, suggeriti ma non finalizzati, si concentrino sulla vicenda intima dei due protagonisti, sulla loro passione divisa e sul conseguente desiderio di ricongiungimento.

In questo senso, essendo gli attori convincenti (più dei loro stessi dialoghi) l'amore che li unisce è credibile e tra inseguimenti sviluppati in periferici sotterranei e scene di danza contemporanea, finiamo per seguire con passione il flusso delle loro vite in attesa di conoscere la sorte dei due protagonisti.


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Re: Cinematografo

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Cirkus Columbia - Un film di Danis Tanovic

Jugoslavia, 1991. Divko Buntic è un farabutto. Torna nel paese d'origine dopo aver trascorso molti anni in Germania, seguito da un'attraente compagna e un gatto nero di nome Bonny. Con l'appoggio del sindaco, sfratta la ex moglie e il figlio Martin, occupa l'appartamento e comincia a tormentarli per tentare di mandarli via. Ma la guerra serbo-bosniaca-croata è alle porte e i rapporti tra compaesani stanno per cambiare. Così come Divko sta per dare una svolta alla sua vita.
Danis Tanovic torna a parlare dei conflitti in terra balcanica. Questa volta, sulla base del libro di Ivica Djikic, sceglie di approfondire il periodo storico che precede la guerra, concentrandosi sulle dinamiche umane di un piccolo paese bosniaco. In tempo di pace, Divko non va incontro alla sua vecchia famiglia, cerca di ricostruire il rapporto con il figlio, abbandonato da piccolo, in un modo del tutto inopportuno, e mostra l'affascinante amante come un trofeo per fare invidia ai coetanei. Quando il micio Bonny – l'unico che ama profondamente - si allontanerà dall'appartamento, anche l'equilibrio perverso che ha creato, si spezzerà definitivamente. E a quel punto i rapporti si mescoleranno creando un'inversione di ruoli atipica e umanamente distruttiva.
La caratteristica predominante del film è proprio la commistione di generi che diventa la metafora delle contraddizioni tipiche della guerra: gli amici diventano nemici nel corso di una sola notte. Come la violenza psicologica di Divko mette in subbuglio gli altri personaggi, così il terrore dell'esercito invade le coscienze, deturpandole di solidarietà e compassione. L'ironia con la quale Tanovic descrive la preparazione emotiva al conflitto segna il ritorno al cinema di No Man's Land, dove il regista coglieva il senso tragicomico della violenza, senza renderla ridicola. L'universalità della questione in oggetto è un pregio assicurato dalla rarità di riferimenti espliciti alla politica locale, e da un'intelligente assemblaggio di immagini – come la straordinaria scena finale – che sono contestualizzate ma allo stesso tempo distanti da quella realtà. Non c'è nostalgia né rancore ma solo un grande racconto fatto di piccole persone che, messe alle strette dalla Storia, reagiscono con dignità. La difesa dell'amore gira come la giostra Cirkus Columbia, come un gioco dove il moto ritorna su se stesso ma è tragicamente bellissimo.


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Re: Cinematografo

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che film meraviglioso :worthy: :D


Gibo il migliore!!!!!

Signori non ce ne sono più - Gilberto Simoni ad Aprica 2006

30 Maggio 2010 La fine di un Sogno Magnifico!

Le vere emozioni sono nell'accarezzare una mamma non più autosufficiente e su una sedia rotelle e vedere il sorriso di essa.
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lemond
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Re: Cinematografo

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Recensione Film: Carnage Laura Ristori Martedì 20 Settembre 2011 08:27

Nella prima scena di Carnage, assistiamo ad una rissa tra due ragazzini, uno dei quali colpisce l’altro con un bastone. Dopo il giorno della discordia, i coniugi Penelope e Michael Longstreet (J. Foster- J. C. Reilly) genitori della “vittima”, decidono di invitare Nancy e Alan Cowan (K. Winslet- C. Waltz) genitori del “colpevole”, nel loro appartamento di Brooklyn per risolvere civilmente l’accaduto. Nessuno vuole essere più infantile dei propri figli, ma comunicare con educazione.
La coppia Longstreet, dunque, dopo aver comprato tulipani gialli e preparato il caffé, dispone gli avanzi di un dolce fatto in casa sulla tavola per creare un clima di fiduciosa collaborazione. La coppia Cowan si accomoda nello spazioso salotto, beve il caffé, mangia il dolce e cerca di partecipare alla conversazione piacevole. Malgrado ciò, fin dall’inizio, gli sforzi imbarazzanti da entrambe le parti raccontano un disagio che va oltre le apparenze e annuncia una profonda incompatibilità. Le telefonate assillanti di lavoro ricevute da Alan, le provocazioni nemmeno tanto velate di Penelope, le spiazzanti dichiarazioni di Michael e i malesseri di Nancy, lasciano intendere un diverso modo di pensare e sentire la realtà. In un crescendo di tensione che diventa sempre più tragico e grottesco e all’interno di uno spazio fisico che sembra restringersi, il tentativo di appianare le divergenze si capovolge in un vero e proprio scontro a carte sempre meno coperte. Le due coppie rivali, inizialmente alleate al loro interno, cominciano pian piano a naufragare e smarrire il precario sodalizio che le univa.

La lite che odora di “massacro” si sposta su continui piani diversi: dall’adolescenza con annessi denti sfracellati, al ruolo educativo della famiglia fino alla crisi della coppia stessa, istituzione che sembra più esistere in apparenza che esserci nel profondo. Polanski cambia bersaglio continuamente e con eleganza calpesta ogni travestimento borghese liberando i freni inibitori di ognuno dei coinvolti. È così che bastano due bicchieri di cognac a Nancy per spogliarsi di quell’immagine di donna dalle perle gentilmente accomodate sul collo e reagire al disinteresse coniugale del marito, come sono sufficienti pochi segnali per capire quanto le pulsioni umanitarie di Penelope siano la spia di una frustrazione più profonda. Chiuso in un interno da dove, con lo scorrere del tempo, si avverte sempre di più l’impossibilità di uscire, come diventa altresì palese l’irriducibilità dello scontro, il tutto procede ad un ritmo perfetto grazie anche a quattro interpreti che collaborano in maniera eccellente. Attori che confermano le proprie caratteristiche, ma che escono anche dai loro ruoli più ordinari, dando vita ad un’opera (adattata dalla pièce teatrale Il Dio della carneficina di Yasmina Reza) drammatica e al contempo carica di humour. 79 minuti, dunque, di tragedia e ironia, uno spazio di tempo che conferma l’acuta capacità di Polanski di viaggiare con la macchina da presa negli interni della mente umana.


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Re: Cinematografo

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non sapendo esattamente quale sezione e topic sia il piu' indicato... mi fermo sul cinema (ma il thread "film che parlano di ciclismo" non esiste piu'?)...
segnalo l'arrivo a milano del primo festival di "bike porn"! sara' il 7/8 ottobre, qui alcuni dettagli:
http://torchiera.noblogs.org/post/2011/09/23/bike-smut/


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Ieri ho visto "Porzûs" un film di di Renzo Martinelli del 1997. Il regista anche di
Sarahsarà (1994)
Vajont - La diga del disonore (2001)
Piazza delle Cinque Lune (2003)
La bambina dalle mani sporche (2005)
Il mercante di pietre (2006)
Carnera - The Walking Mountain (2008) e purtroppo anche Barbarossa (2009).
A me è subito venuto in mente Katyn, però qui siamo su scala minore, anche se la la ferocia è maggiore.
Il succo mi sembra descrivere con due frasi dei protagonisti dell'eccidio: Giacca ( nel film Geco) sostiene: "Non si può essere comunisti se non si amano gli altri". Spaccaossi (nel film, non so in realtà quale fosse il suo soprannome vero): "Quello che tu fai oggi, lo puoi fare anche domani e chi non la pensa come te, tu lo uccidi" Ed io sono comunista, ma non la penso come te! :grr:

P.S.

Il grande (per tanti, ma non per me) Sandro Pertini, non appena eletto P.d.R. si premurò di dare la grazia a Giacca (Geco) :grr:

P.P.S.

Chi volesse avere il DVD, basta che me lo chieda, fornendo il proprio indirizzo.


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Re: Cinematografo

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lemond ha scritto:Ieri ho visto "Porzûs" un film di di Renzo Martinelli del 1997. Il regista anche di
Sarahsarà (1994)
Vajont - La diga del disonore (2001)
Piazza delle Cinque Lune (2003)
La bambina dalle mani sporche (2005)
Il mercante di pietre (2006)
Carnera - The Walking Mountain (2008) e purtroppo anche Barbarossa (2009).
A me è subito venuto in mente Katyn, però qui siamo su scala minore, anche se la la ferocia è maggiore.
Il succo mi sembra descrivere con due frasi dei protagonisti dell'eccidio: Giacca ( nel film Geco) sostiene: "Non si può essere comunisti se non si amano gli altri". Spaccaossi (nel film, non so in realtà quale fosse il suo soprannome vero): "Quello che tu fai oggi, lo puoi fare anche domani e chi non la pensa come te, tu lo uccidi" Ed io sono comunista, ma non la penso come te! :grr:

P.S.

Il grande (per tanti, ma non per me) Sandro Pertini, non appena eletto P.d.R. si premurò di dare la grazia a Giacca (Geco) :grr:

P.P.S.

Chi volesse avere il DVD, basta che me lo chieda, fornendo il proprio indirizzo.
Lo sapevi che De Gregori, il Comandante della Osoppo, trucidato dal Giacca, era lo zio del cantanautore Francesco De Gregori ? Si chiamava, pure lui, Francesco de Gregori.


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Re: Cinematografo

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TIC ha scritto:Lo sapevi che De Gregori, il Comandante della Osoppo, trucidato dal Giacca, era lo zio del cantanautore Francesco De Gregori ? Si chiamava, pure lui, Francesco de Gregori.
No, sapevo che invece, fra i partigiani trucidati, c'era il fratello di P.P. Pasolini.


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Re: Cinematografo

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lemond ha scritto:
TIC ha scritto:Lo sapevi che De Gregori, il Comandante della Osoppo, trucidato dal Giacca, era lo zio del cantanautore Francesco De Gregori ? Si chiamava, pure lui, Francesco de Gregori.
No, sapevo che invece, fra i partigiani trucidati, c'era il fratello di P.P. Pasolini.

Un po ci assomiglia pure :

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bandana_gialla
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Re: Cinematografo

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lemond ha scritto:Habemus papam

Per me andare in una sala cinematografica rappresenta quasi un'impresa, nel caso di ieri, ancora peggio, perché il film non era nemmeno ad Empoli e quindi ci voleva pure la macchina, oltre la fatto normale che c'è un orario da rispettare. Ciò che per me significa fare tutto con ansia, per paura di arrivare tardi (che poi sarebbe almeno un quarto d'ora prima), poi la fila al botteghino, gli spazi non troppo comodi quando il locale è affollato, la gente che ti costringe ad alzarti per raggiungere i propri posti, e se hai qualcuno davanti, alto, ti devi spostare continuamente per trovare una posizione che ti permetta di vedere quasi tutto lo schermo ed hai anche un certo timore di disturbare gli altri, muovendoti o esprimendo con troppo clamore i tuoi sentimenti (ad es. risate). E poi, e per me la cosa è quasi esiziale, non puoi fermare l'immagine a tuo piacimento per eventuali pause obbligatorie e questo naturalmente genera ansia "ex ante", né tornare indietro se non hai messo bene a fuoco qualcosa e poi e poi ... Insomma, è inutile andare avanti, perché credo di essermi spiegato. ;)
Detto ciò, ieri ho fatto comunque la scelta giusta, perché era dai tempi di Amici miei e di Gaber che non ridevo così tanto in uno spazio di tempo dato. Per me questo è, in assoluto, il miglior film di Gianni Moretti, perché il regista riesce a trasportare il suo privato in un ambito politico-religioso, che non risparmia però niente alla religione cattolica apostolica romana (è di quello che si parla), ma neppure all'assoluto in genere, perché è l'uomo e non dio al centro dell'opera. Di cardinali e papi, sì, se non son visti, ma a cominciare dal funerale del papa-boy(a) in maniera piuttosto ridicola e grottesca, ad es. con tutte quelle bandiere polacche!? In effetti la superstizione religiosa quel che produce non è mai l'universalismo (insito peraltro nella "ragione sociale"), ma il particulare: il leghismo di dio! Ed infatti, pian piano, altre bandiere sostituiranno quella "defunta" e, molto bellina ai miei occhi di "ciclista". è quella delle Fiandre. :-)
Chiudo con Michel Piccoli che giganteggia nella parte di un Celestino V o di Giovanni Paolo I che hanno cercato di far capire allo spirito santo che, per due volte, ha sbagliato soggetto, altrimenti perché il gran rifiuto o l'assassinio dopo pochi giorni?

Non l'ho ancora visto, i film di Moretti mi hanno sempre incuriosito ma un argomento simile proprio no. dovrò armarmi di pazienza!!!


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desmoblu
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Re: Cinematografo

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Breve recensione su un film che mi è capitato di vedere.
Premessa: non è il mio genere cinematografico, letterario, di solito non apprezzo opere del genere, non apprezzo l'autore del romanzo da cui è tratto il film etc etc.

Detto questo, la Talpa è un bel film.
Film di spionaggio d'altri tempi, e non solo per l'ambientazione (Londra-Budapest-Istanbul negli anni '70): l'andamento, i tempi, le pause sono tipici di film di decenni fa ("I tre giorni del condor" è il primo che mi è venuto in mente). Non ci sono esplosioni. Pochissime sparatorie, ma realistiche (e dopo anni e anni in cui il meno peggio era Brosnan). Dialoghi estremamente rarefatti, essenziali. Tecnicamente ottimo: la fotografia, le scenografie, le ricostruzioni sono eccelse.
Si diceva dell'abitudine agli sparatutto: il film può sembrare molto lento proprio perché molto differente da quello che siamo stati abituati a vedere.
In quanto agli attori, tutti molto bravi. Gary Oldman taciturno, riflessivo, perfettamente calato nella parte; vederlo a metà tra Andreotti e Provenzano, invecchiato e con gli occhialoni, è un po' straniante (poi ci si rende conto che da Dracula o Leon o Rosencrantz e Guilderstern sono morti sono passati oltre 20 anni, e pazienza). Colin Firth molto bravo. Benedict Cumberbatch, reduce dal successo della migliore serie di sempre (a mio parere: Sherlock, prodotta dalla BBC) e dalle riprese de Lo Hobbit, convincente (ma quella zazzera bionda non si può vedere).
A proposito: le ambientazioni tamarre dell'Inghilterra anni '70 sono rese alla perfezione: quelle carte da parati arancioni e fucsia, un po' alla "Arancia Meccanica"; o i vestiti, la polvere, le auto...insomma, la ricostruzione è ottima.
Ci sono andato trascinato da un amico senza aspettarmi niente di che, eppure (nonostante le premesse valgano sempre e comunque) mi è piaciuto. Ergo, se mi è piaciuto un film di spionaggio nonostante io tenda a detestare il genere, direi che è un bel film a prescindere.
Voto: 7/8
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Re: Cinematografo

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desmoblu ha scritto:... l'andamento, i tempi, le pause sono tipici di film di decenni fa ("I tre giorni del condor" è il primo che mi è venuto in mente).
Che non era per niente, a mio parere, lento. :-)


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Re: Cinematografo

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desmoblu ha scritto: A proposito: le ambientazioni tamarre dell'Inghilterra anni '70 sono rese alla perfezione: quelle carte da parati arancioni e fucsia, un po' alla "Arancia Meccanica"; o i vestiti, la polvere, le auto...insomma, la ricostruzione è ottima.
Hahhaha...fantastici gli interni super kitsch di Arancia meccanica.....A parte gli scherzi questa recensione mi ha incuriosito. Soprattutto per le poche sparatorie (almeno da quanto dici tu).

Spero di vtrovarlo in streaming.
Grazie per la segnalazione

Ciao


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pacho
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Re: Cinematografo

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Re: Cinematografo

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C'è Woyzeck a Fuori Orario (in versione originale :pomodoro: ), non riesco a staccare lo sguardo dal televisore.

Werner Herzog, un'esperienza plurisensoriale, un miracolo che, per me, si ripete ogni volta.

Son contento! :)

(Non vi ammorbo con monografie o che so io solo perché mi pare che abbiamo già parlato diffusamente dell'opera di questo gigante della storia del cinema. Mi limito a ricordare il mio preferito, Aguirre, più che altro come promemoria per me stesso, lo devo riguardare quanto prima).


Riflettevo poi su quanto un tipo stramboide come Enrico Ghezzi abbia giocato un ruolo fondamentale nella mia vita... prima o poi dovremo approfondire questa figura asincronica. :old:


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Re: Cinematografo

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bello sapere di non essere i soli fulminati sulla via herzog-iana... :)


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TIC
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Re: Cinematografo

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Film sui buoni e sui cattivi :

The Experiment - Oliver Hirschbiegel (2001)

Per chi non l'avesse visto, e' un film cattivo, bellissimo.
Si basa sull'esperimento carcerario di Stanford, fatto reale.
http://it.wikipedia.org/wiki/Esperiment ... i_Stanford

E' stato fatto anche un remake del film nel 2010, che non ho visto.


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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da TIC »

TIC ha scritto:...
The Experiment - Oliver Hirschbiegel (2001)
...
Si trova tutto su Youtube


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pacho
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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da pacho »

film visti in questi giorni che meritano di esser visti:

Sennentuntschi (svizzero)
Quartier lointain (francese)

visioni previste per le prox sere, che promettono bene:

De bon matin
Crime d'amour
Bunohan


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Re: Cinematografo

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Uomini di Dio

Xavier Beauvois porta sullo schermo il sacrificio di sette monaci francesi che nel marzo 1996 vennero sequestrati da un gruppo armato della Jihad islamica e le cui teste vennero ritrovate il 30 maggio di quello stesso anno. Documenti ritrovati di recente coinvolgono le forze armate algerine nel tragico esito finale del sequestro.
Non era facile trovare la cifra stilistica giusta per raccontare la vita e il progressivo avvicinarsi alla morte di questi religiosi facendoli restare degli uomini e non trasformandoli agiograficamente in martiri quali poi sarebbero divenuti. Beauvois, pur con una certa piattezza per quanto attiene al linguaggio cinematografico, ci è riuscito sul piano della sceneggiatura che ritma lo scorrere del tempo grazie al succedersi delle celebrazioni e delle preghiere e canti comunitari. A questi si alternano le vicende esterne e interne al luogo sacro con la messa in luce di tutte le convinzioni ma anche di tutte le incertezze e debolezze dei monaci. Il film riesce a far emergere al contempo le singole individualità così come la tenuta complessiva di un gruppo animato da una fede che non si trasforma in esclusione ma che vuole, fino all'ultimo, tradursi in atti di condivisione sia all'interno che all'esterno. In un mondo distratto dal succedersi di eccidi e manipolato da una propaganda che vuole assimilare Islam e terrorismo fondamentalista, ricordare questo sacrificio non significa riaccendere la polemica ma piuttosto il contrario. Uomini e dei possono incontrarsi, conoscersi e rispettarsi a vicenda. Nonostante tutto. Film da vedere ed anche da ascoltare. :-)


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Re: Cinematografo

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Aspetta, ho un déja-vu: non è che ne avevi già scritto? O questo oppure le mie sinapsi sono in rivolta..


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Re: Cinematografo

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desmoblu ha scritto:Aspetta, ho un déja-vu: non è che ne avevi già scritto? O questo oppure le mie sinapsi sono in rivolta..
"Pas possible", perché è un fim che ho visto in questa settimana (finito ieri). :)


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Re: Cinematografo

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Ok, bene. Allora sono le mie sinapsi.


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Re: Cinematografo

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lemond ha scritto: "Pas possible", perché è un fim che ho visto in questa settimana (finito ieri). :)
l'hai visto a puntate? :O


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Re: Cinematografo

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cauz. ha scritto:
lemond ha scritto: "Pas possible", perché è un fim che ho visto in questa settimana (finito ieri). :)
l'hai visto a puntate? :O
E' molto difficile che veda un film per intiero: sia da solo o con mia moglie, il tempo medio di ogni "sessione" è di circa un'ora. ;) :cincin:


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Re: Cinematografo

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Stasera ho visto un film non bellissimo ma interessante, Cirkus Columbia di Danis Tanovic (edit: ho visto che ne aveva parlato anche Lemond qui: viewtopic.php?f=3&t=218#p32120 ). Il regista è quello del notevole No Man's Land, poi un po' persosi negli anni, ma efficace in questo ritratto della Croazia un attimo prima della guerra.

Lo spaesamento del dramma che sta per scoppiare è nelle cose di tutti i giorni, dalla fine del comunismo all'impetuosa ascesa dei nazionalismi, e dietro l'angolo ci sono i massacri... Tutto ruota intorno al personaggio interpretato dall'ottimo (come sempre) Miki Manojlovic, la storia ha una sua coerenza (anche se un finale - per quanto poetico - del tutto posticcio), e senza alcune inutili lungaggini sentimentalistiche (che personalmente detesto in quasi tutti i film) l'opera mi sarebbe piaciuta un po' di più.

Comunque mi ha spinto ad andare a ripassarmi un po' della storia delle guerre jugoslave del '91-'95, quindi funzione cognitiva svolta appieno; funzione emotiva: insomma.

Alcune scene e un'intervista al regista:
Il film in lingua originale :D

Immagine
(http://www.locandinebest.net)


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Re: Cinematografo

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Si e' buttato giu da un ponte Tony Scott. "Top Gun" e sopprattutto "Una vita al massimo (True Romance)".
Era il fratello di Ridley, quello specializzato nel genere "cult".
Ultima modifica di TIC il lunedì 20 agosto 2012, 15:52, modificato 1 volta in totale.


Winter
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Re: Cinematografo

Messaggio da leggere da Winter »

Ieri ho visto Un gelido Inverno , un'america un po' diversa
L'attrice protagonista bravissima (Jennifer Lawrence , ho letto poi su wikipedia che è stata candidata all'oscar per questo film) in un ruolo non facile

Da vedere


riddler
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Re: Cinematografo

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Ieri ho rivisto per l'ennesima volta su sky il capolavoro di Martin Scorsese:
Fuori orario...
Voi direte, ma ne ha fatti tanti film, anche pluripremiati...
Quello mi è rimasto nel cuore, quella notte assurda, quei personaggi uno + strambo dell'altro, il fatto che non poteva uscire + da quella città quasi un senso claustrofobico...
Insomma quel film è un mito, ritmo incalzante, nessun effetto speciale, ma tantissime idee per fare un film riuscito...
Oggi i film li fanno con tantissimi effetti speciali e zero idee...
E' tanto che non vado al cinema, e non ne sento la mancanza...


Ecco l'elenco delle corse minori del ciclismo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Sacha_Modolo
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Re: Cinematografo

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E Scorsese che muove il riflettore nella discoteca (era una discoteca?) fa sempre la sua figurina :D

Il mio preferito del vecchio Martino è GOODFELLAS :)
Sul podio Re per una notte e uhm... Fuori orario in effetti se la gioca con Taxi Driver per il bronzo :D
Ma non ho mai visto Toro Scatenato (per la mia teoria delle sacche d'ignoranza) che potrebbe rientrare nel discorso medaglie.

Gli ultimi film, perfetti stilisticamente, mi sembrano un po' troppo calligrafici. Anche se, come si suol dire, averne di film come The Departed e Shutter Island!


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riddler
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Re: Cinematografo

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son d'accordo con te Marco gli ultimi film, io direi che sembrano fatti apposta per vincere l'oscar, ma manca qualcosa...
Ma poi in "Quei bravi ragazzi" a parte De Niro non c'erano grandi attori di richiamo... e Joe Pesci fece un'interpretazione indimenticabile... a proposito l'hai seguita la serie tv I soprano? tutti gli attori del film goodfellas praticamente li trovi in quella serie... bellissima direi...
E appunto in fuori orario gli attori non sono grandissimi come nomi... specie i vari personaggi che incontra Griffin Dunne eppure sta li il bello.... Poi Linda Fiorentino fa una parte eccezionale... ah però la scena mitica è quando il barista gli porta il caffè e l'hamburger non so se ve la ricordate...


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Re: Cinematografo

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Appena rivisto Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi.

Vengono uccisi alcuni giudici, un poliziotto (Lino Ventura) indaga e scopre che c'è un complotto che coinvolge ai massimi livelli le istituzioni... i poteri forti lavorano per arrivare a una nuova stagione della repubblica... e anche i comunisti alla fine, sotto i Funerali di Togliatti di Guttuso...

Non voglio dire di più perché non voglio spoilerare per chi non l'ha visto.
SI direbbe una trama ricavata dalle ultime notizie sulla trattativa stato-mafia, e invece parliamo di un film del 1976 (tratto da Sciascia); solo che all'epoca la nuova stagione era interpretata come la svolta autoritaria, nel nostro caso parliamo invece di un patto di convivenza con la mafia...

Le solite due riflessioni: l'Italia non è cambiata sostanzialmente di una virgola, da decenni in qua; e all'epoca abbiamo avuto una generazione di autori cinematografici da togliere il fiato per lucidità, capacità di messa in scena e di interpretazione della realtà; e di lungimiranza, ovviamente.

Ps: adesso inizia Salvatore Giuliano... ho visto che su Rai3 davano Il caso Mattei... mi chiedo in diretta: ma è morto Rosi?


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Re: Cinematografo

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No, l'hanno premiato a Venezia :champion:
Potevo anche controllare prima di fare 'sto siparietto. :pomodoro: :pomodoro: :pomodoro:

Comunque Francesco Rosi, un grandissimo... senza parole. Mi registro Salvatore Giuliano e me lo rivedrò nottetempo :P
Spero diano anche Le mani sulla città, vorrei tanto rivederlo.


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Re: Cinematografo

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il nuovo batman per me è una mezza delusione rispetto ai due capolavori che l'hanno preceduto. oserei quasi direi che si colloca tra le ultime posizioni nella filmografia di nolan... ma sono un integralista nolan-iano quindi predentela con le pinze :)

ad ogni modo, a chi volesse andarlo a vedere consiglio di ri-guardarsi prima "batman begins", non solo perchè è un gioiello che merita di esser visto più volte :) ma soprattutto perchè nella trama di questo nuovo episodio, a tratti un po' intricata, sono tanti i richiami alle origini.


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alfiso

Re: Cinematografo

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Me too, come ben sai.
Stavolta ci ha messo troppo poco a farlo. Si è piegato alle pressioni della produzione :(


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