«Un saggio documentato e irriverente sui soldi,
gli affari e i segreti dello Ior»
GIANLUIGI NUZZI
con la postfazione di Marco Pannella
allegata a questa mail
384 pagine, € 18,50 (€ 15,72 nelle librerie feltrinelli o sul sito
www.ibs.it)
Perché non può esserci un vero cambiamento nella Chiesa se non si risolve la controversa questione Ior?
Perché tra i messaggi di rottura con il passato che il nuovo pontefice, Papa Bergoglio, sta lanciando al mondo non può mancare la riforma dell’Istituto per le Opere di Religione?
Lo spiegano gli autori di questa dura inchiesta, che scoperchia una serie di scandali ancora sconosciuti alle cronache e inaccettabili per la Chiesa.
Un libro che analizza e rende pubbliche le finanze vaticane, dalla fondazione dell’istituto fino al crack del Monte dei Paschi. Soldi, tanti soldi «sospetti» e correntisti discutibili che ingrassano da decenni i forzieri vaticani, speculazioni che voltano spesso le spalle all’etica e alla morale.
Un’accurata ricostruzione che dalle origini passa attraverso gli anni di monsignor Marcinkus e i rapporti che avrebbe intessuto con alcuni boss della Magliana; i misteri irrisolti che ruotano intorno alle morti di Calvi e Sindona; la bancarotta del Banco Ambrosiano; gli intrecci con la maxitangente Enimont e Mani Pulite.
Carte, atti parlamentari, conti correnti mai pubblicati riempiono le pagine di Paradiso Ior, un libro che svela come il Vaticano ha preso parte anche ad ambigui affari attraverso Jp Morgan e altre società finanziarie lussemburghesi e svizzere.
In queste dense pagine non mancano le rivelazioni di alcuni fondi segreti e i rapporti che lo Ior ha avuto con politici e potenti di tutto il mondo: un vero paradiso fiscale a cui il Vaticano non rinuncerà facilmente.
Maurizio, maledizione! Sono ore che cerco di buttar giù qualche riga che abbia un
senso, un significato, che possa servire, utilizzabile. Sono ore che ti affacci nella
stanza dove lavoriamo con altri compagni, non dici nulla e quella tua espressione
stampata sul viso dice tutto, dei tempi che urgono, l’editore sta già facendo degli
strappi che mai ad altri avrebbe concesso, che deve mandare in stampa questo vostro
lavoro che m’appare davvero comunque di straordinario valore ed anche efficacia, e
che – temo – proprio per questo fatto, come tutte le altre cose radicali, sarebbe in
partenza destinato a essere ignorato, nascosto, materiale pericoloso, crea conoscenza,
che – come i leggendari “men in black” - temono diventi sapere comune: chi sa, chi
conosce, ragiona, tira le somme del due + due, ne ricava, direbbe Leonardo Sciascia,
il “giusto senso”…
Ecco: questo vostro lavoro è un lavoro di “giusto senso”. Vi basta? No? Troppo
breve, troppo poco? Ma che posso dire, cosa mai posso dire che già non abbia detto,
tentato di dire (o più propriamente mi si sia impedito di dire) in questo quasi secolo
di “mia” vita?
I compagni più giovani, ma anche gli amici che credono di conoscermi più a fondo,
si dicono stupiti su questo attuale, tornare al mio insistere su “Pietro” e “Cesare”,
come evoco da tempo il mondo cattolico che storicamente stagnava attorno allo Stato
Vaticano e all’altro Stato, quel mondo, insomma, che fu concepito e nacque, ma di
rado crebbe, come di laica religiosità. Mi accorgo che mi guardano come si guarda il
nonno che in un angolo della cucina farfuglia le sue manie: sia quando affermo oggi
che Giorgio Napolitano andrebbe processato, magari per poi assolverlo, per attentato
alla Costituzione… Gridano o dicono a mezza voce che i miei sono sempre più
sproloqui che una piccola setta di semi-plagiati o di interessati (di chissà quale
interesse) spaccia per brillanti ragionamenti. Naturalmente hanno le loro ragioni e
nessuno per ora può escludere che abbiano ragione; anzi, per sgomberare subito il
campo, dico che hanno senz’altro ragione, sono sempre più logorroico, mi perdo
dietro i miei discorsi, sono monomaniaco…
Lasciamoli perdere, dunque, i miei ellittici e zoppiacanti ragionamenti, proviamo a
occuparci di cose “serie”. Un compagno cui piace nel suo poco tempo libero
immergersi nelle carte ingiallite a cercare brandelli di testi che abbiano ancora un
significato, che pur pensati e scritti oggi per l’oggi, abbiano un senso anche “a
venire”, l’altro giorno, quando ancora non mi tormentavi per avere queste due
paginette che non vengono fuori, mi ha allungato la fotocopia di un articolo che in
parte riproduco:
“…Il dato è un altro: oggi non possiamo assolutamente pensare che la
battaglia laica possa vivere nella stratosfera della filosofia politica
individuale. Una battaglia è laica se è concretamente amministrata giorno
dopo giorno e se nega al politico la proprietà sacrale della verità politica,
rifiutando alla classe dirigente costituita nello Stato, come ai dignitari
costituiti nella Chiesa, la tutela della libertà a cui nessuno ha rinunciato…”.
Molto bello, molto attuale. Ho subito chiesto a questo amico chi e quando aveva
scritto queste cose.
“Non lo so, è anonimo”, mi ha risposto. “Dalla data del ritaglio si ricava che è roba
che risale a più di quarant’anni fa”. L’infame sorrideva, e si capiva che invece
sapeva bene chi era il suo autore, e che mi stava tendendo un tranello. E infatti…
“Guarda quest’altra fotocopia”, ha poi aggiunto, allungandomi un altro foglietto.
Leggo a voce alta:
“…La libertà non è il patrimonio di una classe che distribuisce i beni senza
tener conto della realtà delle nuove indicazioni, considerando ogni proposta
simile al bracconiere che invade la riserva di caccia. La lotta per la libertà
deve essere una lotta di popolo, del popolo che ha riscoperto il volto di Pietro
e il volto di Cesare, di gente semplice che parte da una rivendicazione della
propria responsabilità, che esprime giudizi politici laici, giudizi sui fatti, non
sulle persone, senza pessimismo, senza inimicizia. La verità non va riscoperta
sui libri e nell’ideologia, ma in concreto, attraverso il dialogo…”.
Sorrideva, con un’aria che forse voleva essere sorniona, e invece lo rendeva
ebete: “C’è chi ti ha preceduto, con questa storia di Pietro e di Cesare… e anche la
gente: tu la chiami ‘comune’ contrapponendola alla ‘normale’; lui, l’autore di queste
riflessioni, la chiama ‘semplice’, ma se non è zuppa è pan bagnato…”.
Decido di stare al suo gioco: “Interessante. Chi ha detto o scritto queste cose ha
un’aria di casa…”.
“Lo credo bene”, fa lui, che forse ha capito che ho capito; o forse, semplicemente,
si è stancato nel vedere che non gli do molta soddisfazione. “Ti ho appena dato parte
del tuo intervento al convegno “Concordato e libertà civili” al teatro AMGA di
Genova del dicembre 1972…Sei noioso, Pannella, ripetitivo: dici sempre le stesse
cose”, aggiunge, col tono di chi scherza, ma ridendo dice anche una cosa vera. E poi:
“Ascolta come concludevi: ‘…Bisogna avere la capacità di protestare, di contestare
e di contrastare i volti bruti da bestia del potere, si tratti di quello di Cesare o di
Pietro, certi di portare avanti la speranza e la forza della verità, non per distruggere
nessuno, ma per poter essere diversi. Solo un po’ più felici, un po’ più responsabili e
un po’ più liberi per noi e, soprattutto, per gli altri…”.
Però è pur vero: dico, in fondo, sempre le stesse cose da sempre. E come potrebbe
essere altrimenti? Sono sessant’anni che, con le sue varie declinazioni, siamo sempre
più duramente sgovernati da un Regime apparentemente multiforme, camaleontico,
come Proteo assume di volta in volta mille volti, anche accattivanti, ma nell’essenza
sempre uguale a se stesso; e sono più di sessant’anni che la nostra lotta, il nostro
“dialogo”, il nostro Satyagraha consiste nel chiedere, nell’esigere e pretendere che
sia rispettata la Legge, quale che sia, a cominciare da quella che “loro” stessi si sono
dati, e “loro” violano. Perché siamo contro le mille piazzali Loreto che pur tanti – in
cuor loro, e non solo - invocano e giudicano auspicabili, necessarie; perché noi non
abbiamo – né siamo - nemici, ma dialoganti innanzitutto con gli “avversari”, e anche
con loro pensiamo sia doveroso cercare di comprendere, di compatire. Come tali
quindi ci sono preziosi, anche – perfino! – con loro possiamo e dobbiamo tentare di
fare quello che serve, quello che è utile e giusto…
Ma tu giustamente mi chiedi di IOR, e io invece divago… Potrei cavarmela
citando quel versetto del Vangelo di Matteo che campeggiò in quel bellissimo maxifotomontaggio
realizzato da Oliviero Toscani, che mostrava un corteo di ragazzimonaci
tibetani, avvolti nelle loro semplici tuniche e a piedi scalzi; e, al centro, un
Joseph Ratzinger di allora appena proclamato Benedetto XVI riccamente bardato, e
ai piedi le famose babbucce di Prada, con i suoi anelli e diademi… Riportando le
parole del Cristo, il passo di Matteo dice:
“Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né
bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone…”.
E’ sempre Matteo a ricordare quel passaggio dove il Nazzareno esorta a non
affannarsi troppo, nella vita:“…Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né
mietono, né ammassano nei granai… E perché vi affannate per il vestito? Osservate
come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che
neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro…”.
Abbiamo ora il nuovo Papa Francesco venuto da “quasi la fine del mondo”, che
con le sue parole semplici e “comuni”, ha subito saputo conquistare l’attenzione e la
simpatia di tutti; questo Papa – gesuita, ricordiamolo - che ha voluto chiamarsi, ed è
già questo un evento, un progetto, “parola” come il poverello d’Assisi, sono certo
che altre “sorprese” riserverà a tanti, anche scettici; ora confido che prima o poi si
avrà anche una Chiara perché i tempi stanno maturando…
Ve lo ricordate, ancora don Luigi Verzè, il “sacerdote-manager” come un po’ tutti
lo definivano, ed era definizione che non amava? Su di lui si è scritto e detto molto:
le inchieste, le amicizie spericolate e spesso imbarazzanti, il suicidio del suo
principale collaboratore, un settimanale – come s’usa dire – “familiare” qualche
giorno fa ha fatto uno scoop, mostrandolo mentre faceva il bagno in una piscina in
Brasile assieme a una bella signora…Insomma di tutto. O meglio, quasi. Ma nessuno
mi pare, che ricordi un passaggio contenuto in un suo libro del 2004, “Pelle per
pelle”, realizzato con Giorgio Gandola, e pubblicato da Mondadori: editore non certo
di nicchia, e a cui non mancano possibilità di segnalare quello che pubblica. Eppure
le recensioni a “Pelle per pelle” si contano sulle dita della mano. A parte le insistenti
segnalazioni che facemmo da Radio radicale. Curioso? Non tanto, se si tiene conto
che in quel libro don Verzè sillaba cose che alle gerarchie vaticane dell’epoca non
devono certo essere risultate gradite. Per esempio, i “Dieci pensieri per il prossimo
Papa”, immaginati e scritti quando Karol Wojtyla stava raggiungendo “il padre” e
Joseph Ratzinger ancora non lo aveva sostituito. Il “settimo pensiero” è il manifesto
di una rivoluzione:
“Il nuovo Papa è universalmente atteso per rivedere coraggiosamente, da
padre universale, le decisioni tradizionali sugli argomenti: a) celibato del
clero cattolico latino; b) Attribuzione di poteri ministeriali ai laici “probati”,
donne comprese; c) sacramenti ai divorziati; d) uso di anticoncezionali; e)
procreazione assistita; f) non si può sonnecchiare accontentandosi di divieti
contro una scienza biologica che irresistibilmente corre. Il guarire è un
sacramento imperativo-cristologico; g) coinvolgimento dei fedeli nelle scelte
gerarchiche, episcopato compreso”.
Chissà che Papa Francesco non faccia quello che i suoi predecessori non hanno
potuto, o saputo, o voluto fare, nella direzione indicata da don Verzé. Chissà… E
sempre in omaggio alla mia logorrea – ma l’hai voluta tu, Maurizio, questa
“prefazione”, tu mi hai istigato… - il pensiero mi corre a un altro libro, ancor meno
recensito, e non meno interessante: “Siamo tutti nella stessa barca” (Editrice San
Raffaele). E’ un libro del 2009, un “colloquio” di una novantina di pagine tra due
personaggi che all’apparenza si direbbero agli antipodi: l’arcivescovo di Milano,
cardinale emerito Carlo Maria Martini, e ancora don Verzè.
A un certo punto don Verzè si domanda: “Ma Gesù, mi chiedo, andrebbe con i suoi
sandali e il suo mantello anche in piazza San Pietro?”, e già il solo fatto che si
ponga l’interrogativo, un interrogativo di sapore retorico, la dice lunga. Ne ricava,
dal cardinale Martini una risposta franca e netta: “…Credo che andrebbe con un
vestito che faccia un po’… un po’ di scalpore e produca un certo disagio nella
gente… Agire controcorrente, questa sarebbe l’opera di Cristo. E senza dubbio
troverebbe da ridire anche sui figli della Chiesa, perché non abbiamo creduto
abbastanza e non abbiamo amato abbastanza…”.
Ma c’è anche altro. “Non le sembra sconveniente che il Santo Padre sia
universalmente considerato quale capo di Stato? Il Papa per me è un grande papà;
grande perché universalmente riconosciuto come tale, forte del genuino mandato di
Cristo, pastore di tutte le pecore, soprattutto di quelle perdute… Il papà, senza vesti
sontuose, scende tra i suoi figli, ricorda, ammonisce, predice, dona, salva, perché in
sé ha il Cristo che vive nel Padre, Dio di ogni uomo…”. Non pago, insiste: “Non
crede anche Lei che un Gandhi nudo sia più eloquente di un Papa mitrato? Così
come un Francesco stigmatizzato fa sempre storia per tutti gli esseri umani di tutte
le epoche e di tutte le fedi…”.
In Brasile don Verzè non andava solo a fare il bagno in piscina: “Ricordo che nella
mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne
senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le
seguivano, tutti prodotti di diversi mariti. Era giocoforza concludere che la pillola
anticoncezionale andava consigliata e fornita… La Chiesa cattolica è troppo
lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno
il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l’antica Venere alla
quale tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali… Penso che anche
ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo al celibato, perché temo che per
molti il celibato sia una finzione”.
Tutto questo, Maurizio, c’entra con quello che mi chiedi, con la pompa del
Vaticano, lo IOR e i suoi mille scandali, quel Paul Marcinkus colpevole di mille
colpe e tuttavia impunito e protetto, i riciclaggi e le ignobili speculazioni che denunci
così efficacemente da sempre, fin da quando eri parlamentare europeo,
guadagnandoti stima e considerazione anche da coloro che pregiudizialmente ti
avversavano, perché si rendevano poi conto che dietro ogni tua affermazione, ogni
tuo gesto, ogni tua iniziativa politica c’era sempre un paziente, metodico, preciso
lavoro di ricerca della verità, scavo, documentazione, raccolta di cifre, fatti,
testimonianze? Non lo so, e forse neppure importa molto saperlo. Ti dico quel che mi
preme.
Perché sì, accanto alla mia “mania” e attenzione a quel che si muove e si agita nel
mondo cattolico e dei credenti; accanto alle mie ricorrenti evocazioni di Lord Acton
e John Henry Newman – non foss’altro perché non se ne smarrisca il ricordo -, e con
loro don Romolo Murri, o – ancor più - “I quattro del Gesù”, il coraggioso, trepido
bel libro di Giulio Andreotti che racconta la storia, tuttora misconosciuta, più che del
modernismo, della storia cattolica italiana, attraverso quattro suoi protagonisti, che
da seminaristi avevano l’abitudine, terminati i loro studi, verso le cinque del
pomeriggio, di passeggiare e discutere tra loro (può dirsi: profeticamente?) in piena
libera gravità: sacerdoti scomodi come Ernesto Buonaiuti e Angelo Roncalli, il
primo scomunicato, l’altro che assurge a Papa col nome di Giovanni XXIII; e con
loro don Giulio Belvederi, zio della moglie di Andreotti, anche lui perseguitato dalla
curia romana senza però arrivare alla scomunica; e don Alfonso Manaresi, messo
sotto pressione dall’Inquisizione, che preferì abbandonare lo stato sacerdotale e così
proseguire con rigore e onestà intellettuale e di fede, i suoi studi storici. Accanto a
questo mondo c’è sicuramente una nuova Porta Pia da attraversare: quella
economico-finanziaria dell'unico Stato al mondo che goda di tutte le impunità
possibili, immaginabili ed inimmaginabili lo Stato-Città del Vaticano: ma in ciò, a
rappresentare e servire la tentazione (“simoniaca”) di Simon Mago, determinante, lo
Stato, il “Cesare” italiano partitocratico, delle fazioni, per un ventennio ”fascista”, un
sessantennio “antifascista”, metamorfosi dello stesso male, sua “ri-vincita”. Oggi, lo
ripeto, oggi è da Pietro, dalla sua sponda destra del Tevere, da quella di San Pietro, e
non da quella opposta, quirinalizia, come ai tempi delle catacombe, oggi come più di
allora, da laici (spiritualisti, personalisti, di religiosità senza frontiere e senza paure,
aggiungo, ad esempio contemporanei capitiniana e più ancora crociana). Siamo
insomma consapevoli che “Cesare” è di nuovo impazzito, un po’ ovunque nel mondo
di oggi: con i quasi 200 suoi “Stati” dell’Onu. Così come le grandi tragedie, quella
greca e shakespeariana, e quelle novecentesche, ci ammonirono e ci insegnano. Oggi
danno energia nuova alla attuale specie umana, i profetici annunci, via via, ora del
nuovo Vescovo di Roma, ora del Tibetano Dalai Lama di Dharamsala.
Quindi sappiamo e dobbiamo ben sapere come siano cose vive, al di là dei singoli
e gravi episodi, lo scandalo costituito dallo IOR, la colossale opera di inquinamento
e riciclaggio di denaro sporco; e per andare a vicende il cui ricordo sbiadisce: la
morte (certa) di Roberto Calvi, con i suoi complici, e probabili assassini impuniti, e
con il cardinale Marcinkus salvato dall'articolo 11 del Concordato. E certo non ha
una spiegazione o una motivazione di carattere religioso la sottrazione delle isolette
Turks and Caicos e Cayman alle rispettive Diocesi di Nassau nelle Bahamas, e di
Kingston in Giamaica, per proclamarle “Missio sui iuris”. Non a caso delle prime
venne proclamato Superiore, il Cardinale americano Theodore Edgar McCarrick,
mentre delle seconde il cardinale americano di origine polacca Adam Maida,
membro della Commissione di Vigilanza dello IOR. McCarrick era amico di
Marcinkus; Maida di Papa Wojtila; Turks and Caicos e Cayman, come sanno anche i
neonati, sono centri finanziari offshore dove convergono capitali, diciamo averi, di
ogni tipo e provenienza.
Certo, Maurizio, fai bene, facciamo bene, a ricordare testardi che lo Stato-Città del
Vaticano non ha legge antiriciclaggio; che l'unica banca operante nello Stato-Città
del Vaticano, lo IOR, è anche la Banca centrale, e di conseguenza il campo
d'applicazione delle normali misure antiriciclaggio che includono il sistema
finanziario è limitato; che il sistema bancario, economico e finanziario dello Stato-
Città del Vaticano non è mai stato oggetto di verifiche da parte di organismi
internazionali; che lo IOR partecipa indirettamente, attraverso due grosse banche,
una tedesca e una italiana, al sistema di pagamento dell'area euro, denominato
Target, e solo le banche che partecipano direttamente al sistema Target sono
sottoposte ai controlli delle autorità bancarie; che la "Convenzione monetaria tra la
Repubblica italiana, per conto della Comunità europea, e lo Stato della Città del
Vaticano, e per esso la Santa Sede", autorizza lo Stato della Città del Vaticano ad
emettere euro; che in questa convenzione lo "Stato della Città del Vaticano" è
rappresentato dalla "Santa Sede" in virtù dell'articolo 3 del Trattato del Laterano; che
questo trattato assicura agli enti centrali della Chiesa cattolica l'esenzione da "ogni
ingerenza da parte dello Stato italiano"…
Ma queste e altre cose, tu le conosci e le sai raccontare, denunciare, molto meglio
di me, e lo fai da sempre; e te ne do, te ne diamo, piena, totale fiducia. E per questo
tuo paziente, certosino lavoro, che spesso realizzi nell’ombra, a volte regalandolo
agli altri – penso al libro “La questua” di Curzio Maltese (Feltrinelli): quanto c’è di
tuo e di Carlo che ha fatto suo, col vostro consenso? Tanto, credo, e comunque
l’essenziale…
Ecco, lo vedi, mi son perso ancora. La faccio finita, torno alle mie altre
questioncelle legate alla barbarie imperante da noi: ad esempio la giustizia italiana
allo sfascio, che potrà essere sanata solo con le indispensabili riforme strutturali, la
prima delle quali è l’Amnistia, che sgomberi le scrivanie dei magistrati di milioni di
fascicoli che ne seppelliscono capacità e funzioni. Vorrei, dovremmo occuparci del
Diritto alle verità, al sapere, che dobbiamo incardinare alle Nazioni Unite, con il
collaudato sistema che ci ha già consentito successi come l’istituzione del Tribunale
Penale Internazionale, la moratoria delle esecuzioni capitali e quella contro le
Mutilazioni Genitali Femminili. C’è, poi, l’altro mio e nostro chiodo fisso, la verità
sull’invasione dell’Irak e l’assassinio del Saddam, perché convertito all’esilio, alla
pace, alla nonviolenza. Guerra fortissimamente voluta da George W.Bush e Tony
Blair, che devono essere messi in stato di accusa, perché hanno mentito ai loro
popoli e al mondo intero, i principali responsabili di centinaia di migliaia di loro
vittime, di morti.
Per quanto riguarda il suo fronte italiano, il Partito Radicale Nonviolento
Transnazionale Transpartito - Nonviolent Radical Party Transnational Transparty –
ci sono il movimento da costruire attorno a quello straordinario patrimonio politico e
umano che sono state le liste “Amnistia, Giustizia e Libertà”; l’aiuto che dobbiamo
assicurare e garantire anche agli sciagurati che ci sgovernano (i referendum per i
quali chissà se riusciremo a raccogliere in tempo utile le firme); l’iniziativa attorno
ad Emma Bonino che tutti i sondaggi demoscopici indicano da quindici anni come la
candidata ideale del popolo italiano per il Quirinale …
Maurizio, queste sono le mie, le nostre urgenze; e tra queste il tuo, vostro
splendido lavoro… E io che pigio stancamente sui tasti di una logora macchina da
scrivere queste note, che chissà se… Buon lavoro a tutti, compagne e compagni…
come si dice? Fai quel che devi, accada quel che può…