Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Admin
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Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

Messaggio da leggere da Admin »

http://www.chimerarevo.com/2011/08/12/w ... -chiusura/
http://www.tecnocino.it/articolo/in-cri ... ata/31629/
http://www.rai.it/dl/grr/notizie/Conten ... bca48.html

Stiamo giungendo forse al momento in cui tutti i "webbers" del mondo dovranno guardarsi negli occhi e prendere finalmente atto che qualcosa non va nel "sistema" internet?
Forse ne ho già parlato da qualche parte, di sicuro da tempo avevo intanto notato che Wikipedia aveva preso una china pericolosa (soprattutto in Italia), che poi è quella che viene descritta nei vari link.
E da tempo ho capito che internet deve mutare profondamente pelle se vuol continuare ad essere quell'inesauribile fonte di conoscenza che fin qui è stata.

Che i social network più diffusi stessero togliendo risorse a tutti i vari spazi di conoscenza condivisa sul web, era già chiaro da un paio d'anni (e ce ne siamo accorti anche sul nostro forum), ma il punto vero è un altro. Ovvero, internet è poi quel business che tutti credevano fosse?
La questione non è affatto una boutade. Investita di grandiosi investimenti (scusate il bisticcio) ai tempi della "prima ondata", negli anni '90, la rete non ha reso per nulla rispetto a quelle che erano le aspettative, e abbiamo avuto una prima bolla speculativa già quasi 15 anni fa...
La seconda bolla speculativa, a inizio anni 2000, è esplosa quando gli investitori scommisero molto sulle linee veloci. Drang!, anche qui parecchie aziende saltate in aria (ricordo un investimento incredibile, 800 milioni di lire, per una piattaforma su cui far girare i siti di Totti e Nesta - per un annetto lavorai per la società che si occupava della gestione di tali siti: risultato, soldi bruciati da un ritorno enormemente inferiore a quanto si stimava).

Ci dicemmo che erano normali flussi economici, e che poi tutto avrebbe preso una giusta e più equilibrata piega (ovvero: non più mastodontiche imprese, ma la giusta liquidità da immettere gradualmente nel sistema). Purtroppo però questa presunta gradualità è stata negli anni più che altro una stagnazione.
Il web 2.0 ha rifatto venire l'acquolina in bocca a molti investitori, e ve lo dico e credetemi, tra non molto assisteremo all'esplosione della terza bolla speculativa di internet in 15 anni: decisamente troppe per qualsiasi segmento produttivo.

I colossi odierni sono sopravvalutati in maniera spropositata, il valore ufficiale di Facebook o Twitter è di troppo superiore al fatturato che questi siti possono garantire.
Che poi, di garantito, non c'è davvero niente, basti pensare alla fine che ha fatto MySpace: 4 anni fa sembrava (era!) la nuova frontiera, in un attimo è stato azzerato dall'impetuosa crescita di FB.
Domani spunterà un'idea più accattivante di FB, e i 100 miliardi di dollari (una follia!) di valore della creatura di Zuckerberg diventeranno in breve carta straccia.
Da qualche tempo si sente parlare nuovamente di grandi investimenti, AOL ha speso una fortuna per acquisire l'Huffington Post (un blog), 315 milioni di dollari! Ripeto, follia pura.
Facebook fatturerà quest'anno circa 4 miliardi di dollari, un venticinquesimo del suo valore di mercato attuale (chi ha un'impresa si chieda se questa vale 25 volte il fatturato annuo - e consideriamo che su internet non si ha un controvalore in merci, come nelle normali attività commerciali); peggio Twitter, 150 milioni di fatturato contro un valore di 7 miliardi.
Mi paiono giganti dai piedi d'argilla.
In ogni caso, il grosso del movimento di denaro relativo a internet avviene in America, nel resto del mondo le briciole.

Alcuni siti molto importanti (Times e New York Times, per dire) stanno provando la via dei contenuti a pagamento. Aspettiamo sviluppi, ma finora questa non è stata una scelta vincente per chi l'ha provata in passato.
In ogni caso questa scelta ci dice che anche colossi dell'informazione on line non se la passano poi così bene. Che significa?

Una verità è che la pubblicità su internet viene pagata troppo poco, il rapporto tra lettori e introiti generati è dello 0.001%, assurdo.
Un'altra verità è che internet è fondata su due elementi: la rete e i contenuti. Bene, se chi mette a disposizione la rete viene pagato, ciò non avviene per chi mette a disposizione i contenuti. E qui torniamo a Wikipedia: se io utente avessi un ricavo di 10 centesimi (dico una cifra x) per ogni contenuto valido che metto a disposizione della collettività, ecco che il numero di collaboratori del portale tornerebbe ad aumentare: che magia, vero?
Eppure non ci si è ancora pensato, facendo affidamento sul "volontariato" di chi spende il suo tempo pro bono. Ma il tempo è limitato, e se io ho 2 ore al giorno da dedicare a internet, tra posta elettronica, social network, lettura, resta molto poco da dedicare all'inserimento di contenuti.
L'inserimento di contenuti su internet è un'attività di scarsa longevità, il "ciclo dell'entusiasmo" dura pochi anni, dopodiché si passa ad altro.
Non esiste un incentivo a inserire contenuti sul web, e questo sarà un problema serissimo da affrontare quanto prima (come hanno - in ritardo, dico io - capito anche quelli di Wikipedia).

Per cui occorre un riequilibrio. Non è possibile che le entrate garantite da internet vadano in gran parte a finire nelle casse dei provider, e nulla nelle tasche di chi permette a internet di vivere e di avere dei contenuti appetibili.
Certo, mi rendo conto che non è facile trovare una quadratura del cerchio, ma a mio avviso nei prossimi anni il flusso di denaro dovrà spostarsi almeno parzialmente dal servizio offerto dai provider (che in teoria già oggi potrebbe essere del tutto gratuito, visto che non costa praticamente nulla a chi lo fornisce) a chi garantisce i contenuti.
Di sicuro la sproporzione attuale è inconcepibile.

D'altro canto, occorre che la pubblicità su internet venga valorizzata di più, ciò è vitale per la sopravvivenza di numerose (ma direi "di tutte le") testate on line.

Certo, allo stato delle cose, almeno per quanto riguarda l'Italia, non si prospettano grandi novità. Anzi, nel Belpaese se si può osteggiare il web, lo si osteggia: internet fa comunque paura, sia come concorrente della tv (abbiamo un premier tycoon che però non ha grossi investimenti nella rete), sia come fonte di libertà (che a regimi e regimetti fa sempre venire la tremarella quando è troppa).
Intanto dappertutto si taglia sul web, a partire da Corriere e Repubblica.
Insomma, il rischio che internet si svuoti prima di diventare remunerativo (non è che si può tenere un'azienda in perdita per chissà quanti anni) esiste ed è tangibile. Quanto tangibile, lo scopriremo da qui al 2015.


Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
donchisciotte
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

Messaggio da leggere da donchisciotte »

Questo è uno dei post più interessanti mai aperti, secondo me. Ho letto anche su Repubblica un articolo su questo argomento ma da un punto di vista più ristretto ( siti che anni fa erano vitali e oggi quasi inutilizzati, tipo Second Life e Altervista). Argomento complesso e centrale quello sollevato da Admin.


Verità e giustizia per Marco Pantani, una battaglia di civiltà.
Lasciamolo in pace un cazzo!
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maglianera
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

Messaggio da leggere da maglianera »

osservazioni interessanti. Io però non sarei d'accordo sul compenso ai collaboratori dei siti tipo Wikipedia: il rischio è che si faccia avanti un esercito di copia-incollatori con competenze insufficienti interessati ad un guadagno. Sono i veri appassionati disinteressati che danno migliori garanzie. Piuttosto dovrebbero semplificare le procedure tecniche di inserimento dei dati: io avevo provato ad inviare qualche piccolo contributo, ma c'era da perdere tanto tempo per la normalizzazione che ho lasciato perdere.


Principe

Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

Messaggio da leggere da Principe »

Admin ha scritto: E qui torniamo a Wikipedia: se io utente avessi un ricavo di 10 centesimi (dico una cifra x) per ogni contenuto valido che metto a disposizione della collettività, ecco che il numero di collaboratori del portale tornerebbe ad aumentare: che magia, vero?
Marco, se mi vuoi pagare 10 cents per ogni messaggio che posto sul forum (che presentano tutti un contenuto validissimo messo a disposizione della collettività) sei il benvenuto! :bll:

La realtà, secondo me, è molto diversa. Un annetto fa ho letto un libro intitolato "Strategie assurde" (mi pare) in cui si dimostrava, tra l'altro, come ricompensare economicamente dei volontari ne facesse diminuire il numero (mi pare di ricordare che venisse citato l'esempio dei donatori di sangue). In sostanza, pagare delle persone per tenere comportamenti socialmente meritevoli, sminuiva la portata morale del gesto che compievano e faceva venir meno l'interesse di molti a fare volontariato.

Secondo me, pagare (anche 1 euro!) per ogni contenuto inserito su wikipedia non avrebbe alcun senso. Non so, vorrebbe dire pagare un'attività intellettuale abbastanza complessa un paio di euro l'ora (o forse anche meno!). Non mi sembra un grande incentivo.


SimoSimo
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

Messaggio da leggere da SimoSimo »

Anche la "Gazzetta" mette a disposizione dei contenuti a pagamento.


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robot1
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

Messaggio da leggere da robot1 »

Admin ha scritto: D'altro canto, occorre che la pubblicità su internet venga valorizzata di più, ciò è vitale per la sopravvivenza di numerose (ma direi "di tutte le") testate on line.
Approfitto dello spazio per fare un discorso con te, che sei ovviamente importante parte in causa.
Hai detto che la pubblicità su internet è poco remunerativa, ed è sicuramente vero (esempio: con gli annunci di google... ci guadagna solo google).
Però dobbiamo dire che, in moltissimi siti, la pubblicità è veramente insopportabile. Molto peggio della TV e dei giornali.
Quindi prolificano mezzi per il blocco delle pubblicità - anche perché Internet è nata "libera" e per molti tale rimane.
Questa stessa libertà di internet è quella che ha fatto morire i contenuti a pagamento di diversi siti.
Leggo spesso la gazzetta online, e, da quanto ho capito, tra un mesetto diversi contenuti saranno a pagamento. Sopravviverò senza.
Pago 20 euro al mese per navigare. Se fossero 25 e 5 andrebbero ai siti che visito, in proporzione al tempo dedicato, non avrei di certo problemi (e tu saresti ricco :D )

:italia:


Un giorno potremo raccontare ai nipotini che noi siamo stati fortunati a veder correre Sagan
Admin
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

Messaggio da leggere da Admin »

robot1 ha scritto:
Admin ha scritto: D'altro canto, occorre che la pubblicità su internet venga valorizzata di più, ciò è vitale per la sopravvivenza di numerose (ma direi "di tutte le") testate on line.
Approfitto dello spazio per fare un discorso con te, che sei ovviamente importante parte in causa.
Hai detto che la pubblicità su internet è poco remunerativa, ed è sicuramente vero (esempio: con gli annunci di google... ci guadagna solo google).
Beh, dici questo perché forse non conosci altre concessionarie di pubblicità in rete... ti dico che GoogleAdsense è la più remunerativa tra tutte... :muro:

Però dobbiamo dire che, in moltissimi siti, la pubblicità è veramente insopportabile. Molto peggio della TV e dei giornali.
Quindi prolificano mezzi per il blocco delle pubblicità - anche perché Internet è nata "libera" e per molti tale rimane.
Il cane si morde la coda: per avere rendimenti un minimo migliori, si deve dar spazio a forme di pubblicità più aggressive. Da parte nostra abbiamo cercato di limitare questa invadenza (per dire: dovendo scegliere tra pop up e pop under, abbiamo optato per questi ultimi... ma tanto abbiamo ricevuto ugualmente delle lamentele...), ma non me la sento di gettare la croce addosso a chi ha fatto scelte diverse. C'è poco da essere eroi, in effetti...

Questa stessa libertà di internet è quella che ha fatto morire i contenuti a pagamento di diversi siti.
Leggo spesso la gazzetta online, e, da quanto ho capito, tra un mesetto diversi contenuti saranno a pagamento. Sopravviverò senza.
E così faranno milioni di altri navigatori. Non è quella la via, probabilmente.

Pago 20 euro al mese per navigare. Se fossero 25 e 5 andrebbero ai siti che visito, in proporzione al tempo dedicato, non avrei di certo problemi (e tu saresti ricco :D )
Ecco, hai perfettamente centrato la questione. Un fondo in bolletta da destinare proporzionalmente ai siti visitati da un utente.
L'unico errore del ragionamento è che comunque io - così come qualunque altro piccolo editore on line - non diventerei ricco. Però potrei forse un po' ingrandire l'azienda, ma pare che le possibilità di lavoro che internet potrebbe offrire non vengano prese in considerazione, soprattutto in Italia, come leggerete nell'articolo che vi copierò sotto.


Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
Admin
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

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Come detto su, copincollo da Repubblica.it un interessantissimo approfondimento.

IL CASO
Così l'Italia spreca
il tesoro di Internet

Secondo un rapporto McKinsey preparato per il G8 in quindici anni ci sono stati 700mila nuovi occupati grazie alla Rete. Eppure nel nostro Paese non ci sono investimenti
di RICCARDO LUNA

C'E' UNA favola che gira da così tanto tempo che molti ormai ritengono che sia una storia vera. Racconta che Internet, nella sua avanzata inesorabile, distrugga più posti di lavoro di quanti riesca a crearne: la morale è che la rete ci farebbe perdere occupazione. Accade invece esattamente il contrario. Il saldo fra posti di lavoro creati e perduti grazie a Internet è sempre positivo: il dato varia molto a seconda di quanto ciascun Paese abbia effettivamente investito nella rete, ma il segno finale non cambia. Ed è un segno più. La foto del ruolo trainante di Internet nello sviluppo economico è in un report che la società di consulenza McKinsey ha preparato in occasione del G8 dello scorso maggio, quando il presidente francese Sarkozy volle un prologo (l'e-G8) per analizzare l'impatto della rete sulla politica e sulla economia. Quel report metteva a confronto tredici paesi: quelli del G8 più Cina, Brasile, Corea del Sud, India e Svezia. In questa compagnia l'Italia non ci faceva una bella figura, visto che eravamo in fondo a tutte le classifiche.

Per capire le ragioni di questa debacle, allora venne commissionato un focus proprio sull'Italia le cui conclusioni sono in arrivo nei prossimi giorni. L'economista della Bocconi Francesco Sacco, che partecipa al gruppo di lavoro che sta ultimando il rapporto, ha anticipato quello che forse sarà il dato saliente: l'occupazione. Ebbene dallo studio sugli ultimi quindici anni emerge che Internet ha creato 700 mila posti di lavoro, ne ha distrutti 380 mila
con un saldo netto positivo di 320 mila posti. "Distrutti", non è un verbo scelto a caso: i posti perduti infatti "non sono privi di un costo sociale", come ha ricordato qualche giorno fa il presidente dell'Agcom Corrado Calabrò, e una società matura deve farsene carico, ma non chiudendo la porta al futuro.

Stefano Quintarelli, uno dei pionieri di Internet in Italia, titolare del più autorevole blog su questi temi, ricorda cosa accadde in Inghilterra nel 1865 quando, per proteggere il posto di lavoro di "cocchieri, vetturini, personale di stalla e agricoltori", venne emanato il Red Flag Act per cui ciascuna automobile doveva essere preceduta da un pedone con una bandiera rossa in mano. Ironizza Quintarelli: "Chi sentiva il bisogno di queste macchine infernali, che tra l'altro per legge dovevano muoversi con equipaggi di tre persone ad una velocità massima di tre chilometri orari in città?".

La stessa cosa, una avanzata a passo d'uomo dietro una bandiera rossa che segnala il pericolo in corso, rischia di capitare con Internet. Soprattutto in Italia, il paese che meno si sta avvantaggiando della ricchezza che la Rete porta alla economia. In Francia per esempio il risultato occupazionale è questo: un milione e 200 mila posti di lavoro creati in quindici anni, 500 mila perduti, saldo positivo 700 mila. In pratica, da noi ogni due posti perduti se ne creano tre, in Francia cinque.

Perché questa enorme differenza? Ci sono tanti motivi: il più evidente è la scarsa diffusione della banda larga e quella, pressoché inesistente, della banda ultralarga (fino a 100 megabit al secondo). Calcola Sacco: "È dimostrato che ogni 10 per cento di aumento di penetrazione della banda larga, la ricchezza di un paese in termini di Pil cresce dell'1 per cento. E ogni mille nuovi utenti di banda larga si creano 80 nuovi posti di lavoro". Ci sarebbe da correre a dare un senso al tavolo aperto mesi fa dal ministro Paolo Romani con le società di telecomunicazioni che finora non ha prodotto nulla o quasi. Del resto quando lo scorso giugno il ministro Tremonti provò ad inserire nella manovra del Patto di Stabilità una norma che equiparava l'accesso a Internet ad un diritto universale facendo propri gli obiettivi della Agenda Digitale Europea (connessione garantita minima per tutti a 30 megabit: oggi siamo sotto i 3), fu messo in minoranza dallo stesso governo e ne uscì un articolo molto blando che si limitava a generici auspici.

Non è però solo una questione di fibra (ottica). C'è una questione di cultura. Di incapacità di capire il potenziale di innovazione portato dalla rete non solo per le aziende che offrono servizi Web, ma soprattutto per le altre. Secondo McKinsey, "Internet comporta una modernizzazione per tutti i settori economici e il maggiore impatto positivo si registra per le imprese tradizionali: tre quarti della ricchezza totale prodotta dalla rete viene da aziende che non si definiscono Internet player ma che hanno beneficiato dalla innovazione digitale". In questo ambito, il ruolo più importante sembrano giocarlo le piccole e medie imprese, che grazie alla rete possono fare economie di scala, aprirsi a nuovi mercati e recuperare competitività: fra 4800 casi analizzati in occasione del G8, "le aziende con una forte presenza Web sono cresciute molto di più, fino al doppio di quelle che invece non usano la rete. Le prime hanno anche un valore doppio di esportazioni e di posti di lavoro creati".

Ed è qui che cade l'Italia, secondo Sacco: sull'atteggiamento di chiusura delle piccole e media aziende verso la rete. I 700 mila posti di lavoro creati da Internet in 15 anni riguardano soprattutto le grandi aziende, le altre hanno invece un saldo zero: uno si crea e uno si distrugge.
Che fare? Investire sulla rete, naturalmente, a partire dalle entrate impreviste dell'asta in corso per le frequenze dell'Internet mobile, come ha scritto Calabrò al governo e al parlamento. Ci si aspettavano 2,4 miliardi di euro: siamo già sopra i 3 miliardi. Ce n'è abbastanza per abbattere il digital divide, portando finalmente la banda larga in tutto il paese: "Il valore socioeconomico di coprire il 100 per cento della popolazione - sostiene Sacco - è più alto di quello di portare la banda ultra larga al 30 per cento della popolazione". In palio, c'è il nostro futuro prossimo: secondo la società di consulenza Boston Consulting, oggi in Italia Internet vale il 2 per cento del Pil, pari a 36,1 miliardi di euro: nel 2015 questo valore può raddoppiare, con una crescita annua fra il 13 e il 18 per cento". Dipende dalle scelte che faremo oggi.


Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
Admin
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

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(Non vi dico quanto leggere quest'articolo mi abbia rovinato la giornata)


Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
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desmoblu
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Parliamo di informatica

Messaggio da leggere da desmoblu »

Mi sono accorto che dopo il trasloco questo thread non era ancora stato riaperto. Beh, eccoci.

Lo riapro estrapolando da un post sul mio blog, mi pare a tema:
"(...) Sono stato su fb di nuovo per qualche minuto, c'è una situazione che non vi sto a raccontare per una serie di motivi ma mi ha fatto riflettere. Quella e altre diecimila cose, post, messaggi, simili. Alla fine, ho pensato, ci stanno trasformando in pubblicità viventi, utenti pronti a tramandare e diffondere viralmente links, video, foto, articoli. La nuova frontiera sono i concorsi, amici che ti chiedono vota e fammi votare, e di colpo ti viene associato un marchio, tu stesso diventi un cartellone pubblicitario. E le foto della L., e i drinks della M., non solo il tuo amico/a è uno spot vivente ma ora anche tu.
Mi direte: è logico. Si, ma non ci avevo ancora pensato. Finora la mia critica al moloch azzurro era basata sul TEMPO, la cosa più rara che abbiamo. Vedevo in facebook una specie di buco nero capace di ingoiare e dilatare il nostro tempo basandosi su una cosa comune, e cioè il desiderio di essere al centro dell'attenzione di una, dieci, cento persone, di nuovo una. Le pubblicità le vedevo a lato, le ignoravo, bene così. Ma accanto a questa azione passiva (e cioè: lascio che tu ti fotta da solo) ce n'è una attiva (ovviamente parlando dal punto di vista del moloch: per la personcina davanti allo schermo tutto si capovolge). Facebook impone nuove forme di comunicazione, suggerisce quello che gli utenti metteranno in bacheca, facendo leva sulle amicizie virtuali e sui bisogni di cui sopra. Certo, in realtà è un concorso di colpa: al risultato contribuiscono pubblicitari,esperti di marketing, schiere e schiere di di di.
Il risultato non cambia.
L'acqua non bolle ancora, e quindi passo all'altro fatto. Non è per far sapere la mia opinione su qualcosa (chissel'in¢µla!), sto semplicemente buttando giù il flusso strampalato dei miei pensieri. Steve Jobs. Morto.
Dispiace per una persona morta, ok, gli si riconoscono molti meriti, ok. Ma la celebrazione e l'idolatria legate alla sua figura sono emblematiche della società feisbuchiana. Vengono citate le sue frasi, su tutte la famosa "la vita è breve, non perdete tempo vivendo quella di qualcun altro". Oh, bella frase. Peccato che milioni di persone vivano la vita pensata e immaginata da qualcun altro, SJ ed i suoi pubblicitari inclusi (e anzi, in cima alla lista). Milioni di persone con l'iphone (è un telefono), milioni con l'ipad, gente che non esce di casa senza il suo aggeggino e se non ce l'ha si sente persa, gente abituata ad una standardizzazione assoluta, anche se elitaria. I prodotti melati diventano tratto distintivo della persona stessa, e questo è triste. Se un telefono o un computer ti cambiano la vita, vuol dire che la tua vita non è un granché-
Nel mondo dell'informatica "comune" un mac è sicuramente un buon prodotto, ma più monopolistico ancora di windows. Non puoi usare hardware non-mac, non pioi ripararti da solo il tuo computer, non puoi usare applicazioni non approvate da qualcun altro, lo stesso ASPETTO è standardizzato. Che poi sia cool è un altro discorso.
Certo, è un discorso da linuxiano, e cioè: se vogliamo essere alternativi, almeno scegliamo la via difficile e un qualcosa che sia completamente configurabile e personalizzabile. Ovviamente facendosi un mazzo, ma almeno poi si può dire di CONOSCERE veramente qualcosa, di SAPER fare. Vabbè, discorsi di lana caprina, me ne rendo conto. O seghe mentali, come preferite.
Rimane il fastidio per un qualcosa di fideistico, dogmatico. I fan-del-mac applaudono se si loda SJ, s'incazzano se si critica qualunque cosa del loro mondo (purtroppo c'è caduto anche l'ottimo Bordone). Fucecchi, sul Fatto, scrive "Non era Leonardo. Sappiamo che la vera genialità di Steve Jobs è stata mettere insieme buoni prodotti commerciali e una persuasiva brand identity. La chiave del successo, vestire e identificare il cliente vendendogli l’illusione dell’originalità. Quello che vorrebbero fare tutte le “marche”. E come accade tra un prodotto da supermercato rispetto a uno firmato, sappiamo che spesso la differenza tra un non-Apple e un I-product è nel surplus comunicativo.". Giusto, poi però si perde in sbrodolamenti destra/sinistra, e soprattutto identifica questa "spersonalizzazione" (riassumo) come un fatto "di sinistra".
In realtà è cosa molto alla Mondo Nuovo, molto fordiana, molto huxleiana. E quindi totalitaria. Ipnopedica come gli Orgy & Porgy, twist and fun..
E ipnopedicamente tutti ripetono "eh, ma i mac sono costruiti meglio di tutti" o "per la grafica sono i migliori", è ormai una realtà assodata e anzi un assioma. Certo, poi però devi sempre vedere a COSA ti servono, e COME li usi. Che certe stronzate me le dica mio fratello, che non sa un emerito di grafica, mi fa sorridere. Per il suo fabbisogno di grafica annuo basterebbe una vecchia versione di photoshop o il primo gimp. E avanzerebbe.
Davvero il mondo è migliore ora che tutti vogliono dipendere da un pezzo di plastica? ora che l'informatica, poi, è passata dal "necessario" al cazzeggio pieno, peraltro onnipresente, senza fili, tracciante? Schermi grandi, parenti che parlano in salotto, la tv che dice il tuo nome, Mildred..
I fan-del-mac, orfani di Jobs, hanno proposto di dedicargli una giornata (nello specifico il 14 ottobre), in cui- tra le altre cose- vestirsi tutti in jeans e dolcevita nera. Uhm...divise.. nell'anno Ford numero? È un culto, tecnologico perlatro, una cosa che mi fa rabbrividire. E la stessa contiguità/ambiguità tra uomo e tecnologia, tra Jobs/apple, tra morte di Jobs/lancio dell'Iphone nuovo, tra uscita negli store del medesimo/SteveJobsDay è emblematica di molte cose. Ma mi fermo qui.
L'acqua bolle.
Metto su degli agnolotti.
Mangio gli agnolotti col piatto in mano, e mangiando col piatto in mano ritorno, mi siedo, mi rimetto a scrivere.
Assante, su Repubblica, dice che Jobs era democratico perché ha fornito gli strumenti comuni per essere creativi. Che l'Ipad e l'Iphone hanno cambiato il modo di fare e ascoltare musica, di scrivere e di leggere, di disegnare.
Ma qui, mi spiace, mi sento chiamato in causa e dissento. A ME, ad esempio, non ha cambiato il modo di disegnare (...). Ecco, l'errore è credere che non ci sia alternativa, che davvero PER TUTTI le cose vadano in un certo modo. Certo, per la legge del mezzo pollo non faccio testo, e per un Umberto che fa le cose a modo suo ci sono venti o cinquanta o cento persone che rispondono all'identikit del (seppur ottimo, di solito) Assante, cosicché il mio chiamarmi fuori non sposta minimamente la media. Ma cambia molto la MIA via (via all'inglese, way, modo di vivere, boh).(...)"


Strong
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Re: Parliamo di informatica

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desmoblu ha scritto:Mi sono accorto che dopo il trasloco questo thread non era ancora stato riaperto. Beh, eccoci.

Lo riapro estrapolando da un post sul mio blog, mi pare a tema:
"(...) Sono stato su fb di nuovo per qualche minuto, c'è una situazione che non vi sto a raccontare per una serie di motivi ma mi ha fatto riflettere. Quella e altre diecimila cose, post, messaggi, simili. Alla fine, ho pensato, ci stanno trasformando in pubblicità viventi, utenti pronti a tramandare e diffondere viralmente links, video, foto, articoli. La nuova frontiera sono i concorsi, amici che ti chiedono vota e fammi votare, e di colpo ti viene associato un marchio, tu stesso diventi un cartellone pubblicitario. E le foto della L., e i drinks della M., non solo il tuo amico/a è uno spot vivente ma ora anche tu.
Mi direte: è logico. Si, ma non ci avevo ancora pensato. Finora la mia critica al moloch azzurro era basata sul TEMPO, la cosa più rara che abbiamo. Vedevo in facebook una specie di buco nero capace di ingoiare e dilatare il nostro tempo basandosi su una cosa comune, e cioè il desiderio di essere al centro dell'attenzione di una, dieci, cento persone, di nuovo una. Le pubblicità le vedevo a lato, le ignoravo, bene così. Ma accanto a questa azione passiva (e cioè: lascio che tu ti fotta da solo) ce n'è una attiva (ovviamente parlando dal punto di vista del moloch: per la personcina davanti allo schermo tutto si capovolge). Facebook impone nuove forme di comunicazione, suggerisce quello che gli utenti metteranno in bacheca, facendo leva sulle amicizie virtuali e sui bisogni di cui sopra. Certo, in realtà è un concorso di colpa: al risultato contribuiscono pubblicitari,esperti di marketing, schiere e schiere di di di.
Il risultato non cambia.
L'acqua non bolle ancora, e quindi passo all'altro fatto. Non è per far sapere la mia opinione su qualcosa (chissel'in¢µla!), sto semplicemente buttando giù il flusso strampalato dei miei pensieri. Steve Jobs. Morto.
Dispiace per una persona morta, ok, gli si riconoscono molti meriti, ok. Ma la celebrazione e l'idolatria legate alla sua figura sono emblematiche della società feisbuchiana. Vengono citate le sue frasi, su tutte la famosa "la vita è breve, non perdete tempo vivendo quella di qualcun altro". Oh, bella frase. Peccato che milioni di persone vivano la vita pensata e immaginata da qualcun altro, SJ ed i suoi pubblicitari inclusi (e anzi, in cima alla lista). Milioni di persone con l'iphone (è un telefono), milioni con l'ipad, gente che non esce di casa senza il suo aggeggino e se non ce l'ha si sente persa, gente abituata ad una standardizzazione assoluta, anche se elitaria. I prodotti melati diventano tratto distintivo della persona stessa, e questo è triste. Se un telefono o un computer ti cambiano la vita, vuol dire che la tua vita non è un granché-
Nel mondo dell'informatica "comune" un mac è sicuramente un buon prodotto, ma più monopolistico ancora di windows. Non puoi usare hardware non-mac, non pioi ripararti da solo il tuo computer, non puoi usare applicazioni non approvate da qualcun altro, lo stesso ASPETTO è standardizzato. Che poi sia cool è un altro discorso.
Certo, è un discorso da linuxiano, e cioè: se vogliamo essere alternativi, almeno scegliamo la via difficile e un qualcosa che sia completamente configurabile e personalizzabile. Ovviamente facendosi un mazzo, ma almeno poi si può dire di CONOSCERE veramente qualcosa, di SAPER fare. Vabbè, discorsi di lana caprina, me ne rendo conto. O seghe mentali, come preferite.
Rimane il fastidio per un qualcosa di fideistico, dogmatico. I fan-del-mac applaudono se si loda SJ, s'incazzano se si critica qualunque cosa del loro mondo (purtroppo c'è caduto anche l'ottimo Bordone). Fucecchi, sul Fatto, scrive "Non era Leonardo. Sappiamo che la vera genialità di Steve Jobs è stata mettere insieme buoni prodotti commerciali e una persuasiva brand identity. La chiave del successo, vestire e identificare il cliente vendendogli l’illusione dell’originalità. Quello che vorrebbero fare tutte le “marche”. E come accade tra un prodotto da supermercato rispetto a uno firmato, sappiamo che spesso la differenza tra un non-Apple e un I-product è nel surplus comunicativo.". Giusto, poi però si perde in sbrodolamenti destra/sinistra, e soprattutto identifica questa "spersonalizzazione" (riassumo) come un fatto "di sinistra".
In realtà è cosa molto alla Mondo Nuovo, molto fordiana, molto huxleiana. E quindi totalitaria. Ipnopedica come gli Orgy & Porgy, twist and fun..
E ipnopedicamente tutti ripetono "eh, ma i mac sono costruiti meglio di tutti" o "per la grafica sono i migliori", è ormai una realtà assodata e anzi un assioma. Certo, poi però devi sempre vedere a COSA ti servono, e COME li usi. Che certe stronzate me le dica mio fratello, che non sa un emerito di grafica, mi fa sorridere. Per il suo fabbisogno di grafica annuo basterebbe una vecchia versione di photoshop o il primo gimp. E avanzerebbe.
Davvero il mondo è migliore ora che tutti vogliono dipendere da un pezzo di plastica? ora che l'informatica, poi, è passata dal "necessario" al cazzeggio pieno, peraltro onnipresente, senza fili, tracciante? Schermi grandi, parenti che parlano in salotto, la tv che dice il tuo nome, Mildred..
I fan-del-mac, orfani di Jobs, hanno proposto di dedicargli una giornata (nello specifico il 14 ottobre), in cui- tra le altre cose- vestirsi tutti in jeans e dolcevita nera. Uhm...divise.. nell'anno Ford numero? È un culto, tecnologico perlatro, una cosa che mi fa rabbrividire. E la stessa contiguità/ambiguità tra uomo e tecnologia, tra Jobs/apple, tra morte di Jobs/lancio dell'Iphone nuovo, tra uscita negli store del medesimo/SteveJobsDay è emblematica di molte cose. Ma mi fermo qui.
L'acqua bolle.
Metto su degli agnolotti.
Mangio gli agnolotti col piatto in mano, e mangiando col piatto in mano ritorno, mi siedo, mi rimetto a scrivere.
Assante, su Repubblica, dice che Jobs era democratico perché ha fornito gli strumenti comuni per essere creativi. Che l'Ipad e l'Iphone hanno cambiato il modo di fare e ascoltare musica, di scrivere e di leggere, di disegnare.
Ma qui, mi spiace, mi sento chiamato in causa e dissento. A ME, ad esempio, non ha cambiato il modo di disegnare (...). Ecco, l'errore è credere che non ci sia alternativa, che davvero PER TUTTI le cose vadano in un certo modo. Certo, per la legge del mezzo pollo non faccio testo, e per un Umberto che fa le cose a modo suo ci sono venti o cinquanta o cento persone che rispondono all'identikit del (seppur ottimo, di solito) Assante, cosicché il mio chiamarmi fuori non sposta minimamente la media. Ma cambia molto la MIA via (via all'inglese, way, modo di vivere, boh).(...)"
:clap:

SJ è stato un grande manager.
E' riuscito a rendere indispensabile qualcosa di assolutamente inutile (i suoi prodotti)
Per quanto mi riguarda i suoi meriti stanno solo in questa frase e mi fanno ridere tutte le santificazioni che si leggono sul
web e si vedono in televisione.


i fondamentalisti del ciclismo e gli ultras dei ciclisti sono il male di questo sport.
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eliacodogno
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Re: Parliamo di informatica

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Condivido perfettamente: un esempio di perfetta promozione del marchio a fronte di un prodotto non radicalmente innovativo
E lo dico da possessore di ben 2 Ipod (entrambi regalati se no avrei preso un lettore mp3 qualunque che costava la metà); fra l'altro il primo di essi mi ha mollato dopo poco più di un anno e nonostante la garanzia fosse 2 anni l'ho dovuto buttare, perchè l'assistenza è garantita a quel punto solo per guasti di responsabilità provata del produttore (in pratica solita fregatura dei prodotti in garanzia!)
Per il resto mi dispiace ovviamente per la morte di quest'uomo, per i suoi familiari e i suoi amici, anche se non ha cambiato il mondo.


Se il tuo modo di lavorare è questo qui, compragli un casco a Sgarbozza e fallo fare a lui il Giro, perché io non lo faccio più (P.S.)

'Idea del Forum' per me non vuol dire assolutamente niente. (H.F.)
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Re: Parliamo di informatica

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Desmo, forse possiamo riportare tutto nell'altro thread su Wikipedia... magari cambiando il titolo del thread medesimo. Ci pensi tu? ;)


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desmoblu
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Re: Wikipedia in crisi... riflessioni su internet

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done, herr M.


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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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desmoblu
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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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1) Mah..nemmeno tanto pessimismo e nemmeno tanto fastidio.. parlo per me ovviamente, anche se come addetto ai lavori posso sembrare poco coerente.
La banda larga viene vista come la soluzione a tutti i problemi, in realtà potrebbe servire solo se la si portasse ad un costo bassissimo o nullo per l'utente finale. Ma in questo modo avremmo un consumo ENORME di banda, e quindi di energia. Una cosa che sempre meno possiamo permetterci.
Se ogni cosa venisse misurata in termini di impatto ambientale (e cioè i famosi kg di CO2 pro-capite/die), ci renderemmo conto che anche l'accesso a internet e l'uso dei pc dovrebbe essere limitato il più possibile. E allora più che la quantità di informazioni dovrebbe contare la qualità.
2) Anche qui, mi sento di esprimere un'altra posizione. Posto che stampare e trasportare e distribuire quotidiani e giornali ha un costo (anche ambientale, in parte compensato dall'utilizzo di carta riciclata.. che comunque per essere prodotta necessita di un trattamento industriale, sempre costoso ed inquinante), credo che la migrazione esclusivamente digitale alla fine impoverirà la circolazione delle informazioni. Ogni cosa ha i suoi pro e i suoi contro.
Considerazioni a caso (da sviluppare, io butto lì):
1)Il medium migliore per conservare i documenti negli archivi rimane la carta: più la tecnologia avanza più i supporti sono a breve scadenza. Ancora oggi leggiamo documenti di secoli (e a volte millenni) fa, le bobine e i nastri e i microfilm hanno una vita di qualche decina di anni, i dischi ottici di qualche anno. Gli stessi hard disk hanno una vita limitata. (Tra l'altro: nelle soprintendenze il tema è molto popolare).
2)Più informazioni, soprattutto immesse senza grandi ostacoli (di spazio, tempo, soldi etc) vuol dire più conoscenza? Io direi solo se la qualità è direttamente proporzionale alla quantità, ma il video più seguito in questi giorni è lo spogliarello di una ballerina sudamericana seguito da J.Depp che barcolla ubriaco.
3)Valore e plusvalore: siamo sicuri che i dati in rete meritino sul serio gli investimenti e le energie di cui sono oggetto? C'è un bisogno reale e giustificato oppure spesso siamo di fronte ad enormi plusvaleze? Tu stesso ricordavi la vicenda-Facebook, un sito che è quotato a valori immensamente più alti del suo reale fatturato. E allora, siamo sicuri che ne valga la pena?
Aspetto repliche ed altri fronti ;)


alfiso

Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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desmoblu ha scritto:1) Mah..nemmeno tanto pessimismo e nemmeno tanto fastidio.. parlo per me ovviamente, anche se come addetto ai lavori posso sembrare poco coerente.
La banda larga viene vista come la soluzione a tutti i problemi, in realtà potrebbe servire solo se la si portasse ad un costo bassissimo o nullo per l'utente finale. Ma in questo modo avremmo un consumo ENORME di banda, e quindi di energia. Una cosa che sempre meno possiamo permetterci.
Se ogni cosa venisse misurata in termini di impatto ambientale (e cioè i famosi kg di CO2 pro-capite/die), ci renderemmo conto che anche l'accesso a internet e l'uso dei pc dovrebbe essere limitato il più possibile. E allora più che la quantità di informazioni dovrebbe contare la qualità.
2) Anche qui, mi sento di esprimere un'altra posizione. Posto che stampare e trasportare e distribuire quotidiani e giornali ha un costo (anche ambientale, in parte compensato dall'utilizzo di carta riciclata.. che comunque per essere prodotta necessita di un trattamento industriale, sempre costoso ed inquinante), credo che la migrazione esclusivamente digitale alla fine impoverirà la circolazione delle informazioni. Ogni cosa ha i suoi pro e i suoi contro.
Considerazioni a caso (da sviluppare, io butto lì):
1)Il medium migliore per conservare i documenti negli archivi rimane la carta: più la tecnologia avanza più i supporti sono a breve scadenza. Ancora oggi leggiamo documenti di secoli (e a volte millenni) fa, le bobine e i nastri e i microfilm hanno una vita di qualche decina di anni, i dischi ottici di qualche anno. Gli stessi hard disk hanno una vita limitata. (Tra l'altro: nelle soprintendenze il tema è molto popolare).
2)Più informazioni, soprattutto immesse senza grandi ostacoli (di spazio, tempo, soldi etc) vuol dire più conoscenza? Io direi solo se la qualità è direttamente proporzionale alla quantità, ma il video più seguito in questi giorni è lo spogliarello di una ballerina sudamericana seguito da J.Depp che barcolla ubriaco.
3)Valore e plusvalore: siamo sicuri che i dati in rete meritino sul serio gli investimenti e le energie di cui sono oggetto? C'è un bisogno reale e giustificato oppure spesso siamo di fronte ad enormi plusvaleze? Tu stesso ricordavi la vicenda-Facebook, un sito che è quotato a valori immensamente più alti del suo reale fatturato. E allora, siamo sicuri che ne valga la pena?
Aspetto repliche ed altri fronti ;)
Desmo guarda che il progetto iniziale era proprio quello. Ora lo si abbandona per far perseguire all'investimento privato (ma sempre con tanti soldi pubblici :angry:) il massimo del profitto a discapito di una crescita complessiva del Paese. I paesi BRIC invece investono ampiamente sulla rete per creare le migliori condizioni per le loro aziende ed attività (e non secondario: la crescita culturale di quei paesi).
Il passaggio alla banda larga non implica un così sensibile aumento del consumo energetico, anzi una sua razionalizzazione complessiva per i risparmi indotti di scala. Eppoi non necessariamente l'energia deve essere quella fossile, ANZI.
Riguardo alle tue perplessità sulla conservabilità delle informazioni legate alla fragilità dei supporti, il cloud computing sta rispondendo anche a questo (sfruttando la natura neuronica artificiale della rete).
Qualche anno fa Google aveva giustamente pensato ad un investimento allo scopo nel solare (mi pare fosse Nanosolar) per aumentare la capillarità della rete.
E qua in Italia nello sviluppo del grande wireless non siamo neppure indietro (sebbene la ricerca sia affidata a pochi e senza mezzi).
Si veda questo esempio di esperimento riuscito, UTILIZZANDO VECCHI 386 :diavoletto: :angry:
http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni ... mento.html


alfiso

Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Per chi è del settore markettaro come me o interessato agli sviluppi della rete:
il live del IAB Forum (Internet Advertising Bureau Forum 2011):
http://www.iabforum.it/iab-forum-milano ... -live.aspx


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desmoblu
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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Certo, una razionalizzazione ma votata a un sempre maggiore uso.
Banda larga significa maggiore velocità e quindi maggior fruibilità di qualunque contenuto, con un maggiore transito di bytes nello stesso intervallo di tempo. Se poi è un processo generalizzato, allora sempre PIÙ persone avranno accesso a PIÙ bytes. Vuol dire una crescita esponenziale. Il problema è appunto che ogni cosa costa in termini di energia, e quindi di impatto ambientale (anche se le fonti non fossero fossili ma rinnovabili).
Esempio: a casa navigo con una chiavetta cinese e dentro una sim. Fino a 1gb di traffico viaggia a qualche mb/sec, poi scende a 56k (come 10/15 anni fa, che nostalgia!). Risultato? Vado molto meno su siti "pesanti" (e che caricano mb di contenuti, es: gazzetta.it), non guardo i video di youtube, non scarico film o musica, leggo se possibile le versioni "leggere" dei siti (di solito pensate per i dispositivi mobili). Il computer sta spento molte più ore al giorno, consumo meno energia elettrica, incidentalmente perdo meno tempo per putŧanate. ;)
Il problema è sempre quello: che COSA fare con un determinato mezzo.

{sulle energie rinnovabili/non rinnovabili: il problema non è produrre PIÙ energia, aumentando magari la percentuale ottenuta dalle rinnovabili: più energia- anche se fosse sempre più "pulita"- vuole dire più produzione industriale, più automobili, più inquinamento etc. È notizia di questi giorni che a Pechino è finito l'effetto-Olimpiadi: nel 2008, per rendere respirabile l'aria in città, s'era dato inizio a una serie di misure antinquinamento e limitazioni alla produzione di smog, CO2, micropolveri e quant'altro. S'erano ridotte le emissioni delle fabbriche, s'era limitata la circolazione delle auto. Finite le olimpiadi, e nel nome della produttività, tutto è tornato come prima, con un ruolo da protagonista svolto da fabbriche e industrie. Risultato? L'inquinamento è oggi talmente alto che gli stessi strumenti non sono in grado di misurarlo, è come si dice fuori scala. Se anche aumentasse la percentuale di energia tratta dalle rinnovabili, la cosa non cambierebbe. Anzi, forse sarebbe addirittura più conveniente, o incentivata, e quindi alla fine con la stessa spesa energetica la fabbrica Ŋ produrrebbe un 2% di auto in più. E quindi ci sarebbe un +2% di auto per le strade, e questo 2% produrrebbe altro inquinamento e così via.
L'unica via, come scritto altrove, è RIDURRE l'energia prodotta e AUMENTARNE il prezzo. Questo significherebbe una drastica riduzione della produzione industriale, e quindi un effetto domino su qualunque attività. Vuol dire un cambiamento enorme degli stili di vita, dei salari, una diminuzione netta delle ore di lavoro etc etc. Utopia? Forse. Ma è chiaro che da 100 anni a questa parte abbiamo adottato stili di vita semplicemente insostenibili. È come la parabola del figliol prodigo, col ragazzo che sbelina tutti i soldi conducendo una vita al di sopra delle sue possibilità. Poi va dal padre e questo lo riempie di nuovo di soldi, ma nelle nostre vicende non possiamo fare affidamento su un ipotetico padre che ci ridia quello che abbiamo distrutto}

Cloud? È sempre e comunque basato su software e hardware, basta un ipotetico blackout esteso per non avere accesso ai dati. E inoltre: qual è il peso sui SERVER per gestire la nuvola? E quindi quanta energia supplementare occorrerà per gestire un nuovo enorme flusso continuo e interdirezionale di dati?


Dino
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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Admin, mi ero perso questo interessante post, provo a riprenderlo in quanto mi piacerebbe avere una tua opinione su questi due aspetti:

1- internet in questi ultimi anni sembra aver insegnato che è possibile creare grandi profitti con idee semplici ma efficaci, avendo però come contropartita una grandissima volatilità. Così come, grazie ad una bassa barriera di entrara nel sistema, è possibile creare dal nulla importanti realtà di prodotto, di servizi o di contenuti informativi, così il "sistema liquido" del web fa in modo che lo stesso prodotto o servizio vengano rapidamente distrutti senza, a volte, lasciare il tempo all'impresa stessa di stabilizzarsi e strutturarsi (probabilmente la metafora più azzeccata che mi viene in mente è quella della "spremitura dei limoni"). Ciò che funzionava perfettamente 2 anni fa improvvisamente non funziona più, l'azienda che fatturava centinai di milioni di euro nel giro di appena 6 mesi si trova sull'orlo del fallimento etc... etc... E' secondo te possibile creare impresa sul web ( possa essere anche un'impresa editoriale) che riesca a mantenere una certa stabilità, soprattutto economica, senza sentirsi continuamente minacciata?

2- uno dei grossi problemi, da quanto ho capito, sembra riguardare la raccolta pubblicitaria o, quando si parla di contenuti informativi, della vendita del servizio stesso ( così come è normale dover pagare 1 euro per leggersi un quotidiano, così non lo è nel caso venga richiesto un pagamento o un abbonamento da parte di un porlare web per leggerne i contenuti). Probabilmente tutto questo nasce dalla natura stessa di Internet, nato come luogo di libertà in cui poter far circolare informazioni e contenuti, ma di questo passo, se non diverrà anche un luogo regolamentato e in cui poter creare profitti stabili, c'è il rischio che imploda su se stesso diventando semplicemente troppo liquido per poterne fruire agilmente. Come si potrebbe risolvere questa questione? come poter creare profitti stabili che possano permettere (immagino anche a portali quali cicloweb) di "programmare" una crescita?

Grazie

Davide


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desmoblu
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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Posso inserirmi con un paio i riflessioni?
-Il fenomeno facebook e la quantità di informazioni percepite.
Comparando vari social networks (facebook e twitter, certo, ma anche diaspora e google+) ho ragionato sulla quantità di informazioni immesse in media dall'utente in un intervallo i tempo x. Diciamo quattro anni? Quanti post ho scritto in 4 anni? Quanti link ho messo, quante immagini, quanti... e quante informazioni hanno immesso i miei contatti? Siamo passati dalle cabine del telefono dei '90 ai cellulari e al messenger del 2000, al facebook del 2010. Le connessioni e le interconnessioni (telefono= scambio 1:1 [l'interlocutore]; telefonino= scambio 1:10 ; messenger= scambio 1:5 [la quantità massima i 'amici' collegati per poter gestire una o più conversazioni]; facebook= scambio 1:200) sono aumentate notevolmente. Ma se guardiamo anche la quantità di informazioni, oltre al numero delle fonti, tale aspetto si accentua. Nelle ultime 10 ore, considerano anche che la notte si usa talvolta dormire, sul mio facebook i messaggi sono stati circa duecento: 200 informazioni immesse (in tutto) da una decina di utenti (più i commenti degli altri). La quantità potenziale i informazioni comunque registrate ed assorbite al nostro cervello è enorme. Ma siamo pronti per questa "invasione"? Nel giro di 15 anni siamo passati da un rapporto 1:1:1 (1 soggetto- 1 interlocutore- 1 informazione) ad un rapporto 1:200:1000, potenzialmente 1:200:5000.
È tanto strano che- in Giappone come in Italia- le cliniche per 'disintossicare' da facebook spuntino come funghi?
-In merito alla 2) di Davide/Dino; Internet è un canale, non il contenuto. Interrogarsi sulle possibilità remunerative di un mezzo non-fisico è un esercizio un po' difficile, tanto più che non si tratta di un medium tradizionale (es: il periodico, con spazi definiti, tiratura media e massima e così via) e quindi gerarchico, ma di un medium decisamente (o potenzialmente?) orizzontale e poco polarizzato. In questo contesto secondo me ha più senso adottare il metro del contenuto, piuttosto che quello della remuneratività del contenitore.


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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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mi rifacevo al discorso iniziale di Marco, i contenuti certo sono importanti, ma senza un'incentivazione di tipo economico, come del resto qualsiasi attività imprenditoriale che si rispetti, diventa difficile poter programmare una crescita e una continuità.

Il quesito riguarda quindi le possibili strada da intraprendere per permettere ad internet di diventare un "canale" su cui immettere "contenuti" che possano creare anche un valore aggiunto economico che possa a sua volta permettere, come un volano, di aumentarne i contenuti, di razionalizzarli e di strutturarli.


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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Sisi, sono andato io fuori tema introducendo un paio di cosine nuove (e non strettamente pertinenti).
Il discorso della capacità di internet di generare (e garantire) introiti è legato a molti fattori. Innanzitutto: la rete come contenitore o anche come contenuto?
È la domanda da cui partire per qualunque riflessione sul tema.


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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Non mi sono dimenticato, eh, rispondo appena possibile ;)


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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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desmoblu ha scritto:Sisi, sono andato io fuori tema introducendo un paio di cosine nuove (e non strettamente pertinenti).
Il discorso della capacità di internet di generare (e garantire) introiti è legato a molti fattori. Innanzitutto: la rete come contenitore o anche come contenuto?
È la domanda da cui partire per qualunque riflessione sul tema.
come dicevo prima: la rete come "contenitore" in cui veicolare "contenuti"!


Dino
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Re: Parliamo di informatica, internet e crisi telematiche

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Admin ha scritto:Non mi sono dimenticato, eh, rispondo appena possibile ;)
Attendo...grazie ;-)


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