Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Minoritari, ma presenti nella pronuncia più sorvegliata e quindi ancora con qualche possibilità di imporsi nell'uso generale sono: abbacìno, infervòro, subodòro, valùto. Per legittimarli, più che al latino, converrà pensare ai sostantivi corradicali: bacìno, fervore, odore, valuta, che tutti pronunciano piani.

Indovinello agli albori dell'italiano
Se pareba boves, alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba
Traduzione
Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati,
e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava


Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì :bll:

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.

"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono." :)
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da nemecsek. »

Carlè, me faresti un sunto sull uso della virgola?
Temo sempre di essere ridondante nel loro uso, e di metterle nei posti sbagliati.
Di essere ridondante nel loro uso e di metterle nei posti sbagliati.
Grazie. :D

edit puoi pure pigliare qualche mio vecchio intervento come esempio e correggerlo, se ritieni. :crazy:
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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nemecsek. ha scritto: martedì 12 giugno 2018, 23:39 Carlè, me faresti un sunto sull uso della virgola?
Temo sempre di essere ridondante nel loro uso, e di metterle nei posti sbagliati.
Di essere ridondante nel loro uso e di metterle nei posti sbagliati.
Grazie. :D

edit puoi pure pigliare qualche mio vecchio intervento come esempio e correggerlo, se ritieni. :crazy:
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"Vaste programme" avrebbe detto De Gaulle, perché l'uso dei segni di interpunzione è molto soggettivo e la virgola forse è quello che dipende più dai gusti personali. Ad es ci sono stati scrittori che hanno proprio deciso di non farne mai (o quasi) uso. In ogni modo posso dirti quello che pensa Luca Serianni il miglior italianista vivente.
Non va mai usata all'interno di blocchi unitari, ad es. fra soggetto e predicato (Nemecsek legge); tra predicato e oggetto (leggo il giornale), tra aggettivo e sostantivo (i vecchi nonni). Tuttavia questa norma non vale tutte le volte che uno dei due elementi del sintagma è messo in evidenza (sorrideva, lui, senza cappello e cravatta).
Segnaliamo alcune situazioni in cui può trovarsi la virgola:
a) nelle enumerazioni
b) prima di un apposizione; è andato a far visita a Giuseppe, suo figlio
c) prima di un vocativo assoluto: "Senti, babbo!" "Via, caro Renzo".
d) questa è la più importante: negli incisi
e) nelle ellissi: il primo indossava un berretto, il secondo un cappello (sottinteso indossava).
Mi fermo qui, ma ripeto ... anzi no . :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da lemond »

Anche il grande Luca Serianni fa riferimento al cambiamento di genere di cui avevamo già parlato: "... l'alternanza genera un cambiamento di dimensioni e di solito comporta anche una connotazione negativa; e le due possono andare di pari passo: se infatti una pennellessa o una coltella (o coltellessa) designano semplicemente un pennello a spatola molto larga e un coltello da macellaio di particolari dimensioni, articolessa e sonettessa significano invece un articolo lungo e noioso e un sonetto doppio e, per estensione, un sonettaccio da quattro soldi. E così discorsa o discorsessa nel Carducci sta a indicare un discorso lungo, enfatico, inconcludente e noioso! :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da nemecsek. »

lemond ha scritto: mercoledì 13 giugno 2018, 10:25
nemecsek. ha scritto: martedì 12 giugno 2018, 23:39 Carlè, me faresti un sunto sull uso della virgola?
Temo sempre di essere ridondante nel loro uso, e di metterle nei posti sbagliati.
Di essere ridondante nel loro uso e di metterle nei posti sbagliati.
Grazie. :D

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"Vaste programme" avrebbe detto De Gaulle, perché l'uso dei segni di interpunzione è molto soggettivo e la virgola forse è quello che dipende più dai gusti personali.
Grazie! :)

Se permetti, quando avrò qualche dubbio li posterò qui, per una tua opinione.

p.s.

Io di Serianni conosco un Bruno, meticcio arbereshe sardo, carpentiere, ultras non allineato in Maratona.
Sarebbe stato un mosca/ gallo eccellente.
Lui però la punteggiatura la violenta.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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nemecsek. ha scritto: mercoledì 13 giugno 2018, 22:00
Se permetti, quando avrò qualche dubbio li posterò qui, per una tua opinione.

p.s.

Io di Serianni conosco un Bruno, meticcio arbereshe sardo, carpentiere, ultras non allineato in Maratona.
Sarebbe stato un mosca/ gallo eccellente.
Lui però la punteggiatura la violenta.
Era proprio questo lo scopo della discussione e ti devo dire che l'eventuale opinione di Bitossi è migliore della mia. ;)

P.S. Se vuoi conoscere Luca, invece di bruno, ecco qui


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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il filo -> i fili/ le fila
Il maschile, al plurale designa in concreto i fili d'erba, della luce, del telefono etc. Il femminile, invece si riferisce più all'astratto, come ad es. alla trama di una congiura, cioè alle fila come intreccio di un caso, piuttosto che a singoli oggetti filiformi. C'è da dire altresì che è spesso usato, ma è sbagliato, l'uso di fila (plurale) come insieme di persone o cose, invece di *file*. Es. una certa inquietudine serpeggiava fra le *file* del partito.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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È un uso solo toscano, ma, in quanto tale non sbagliato secondo la grammatica, quello dei numerali in funzione di sostantivi e quindi possono avere anche il plurale, per cui, giocando a carte, uno può chiedere quanti setti sono usciti. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: lunedì 18 giugno 2018, 13:24 È un uso solo toscano, ma, in quanto tale non sbagliato secondo la grammatica, quello dei numerali in funzione di sostantivi e quindi possono avere anche il plurale, per cui, giocando a carte, uno può chiedere quanti setti sono usciti. :)
Dimmi il plurale di tre! :diavoletto:
(esistono anche i sostantivi invariabili, eh... :old: )


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Bitossi ha scritto: lunedì 18 giugno 2018, 13:40
lemond ha scritto: lunedì 18 giugno 2018, 13:24 È un uso solo toscano, ma, in quanto tale non sbagliato secondo la grammatica, quello dei numerali in funzione di sostantivi e quindi possono avere anche il plurale, per cui, giocando a carte, uno può chiedere quanti setti sono usciti. :)
Dimmi il plurale di tre! :diavoletto:
(esistono anche i sostantivi invariabili, eh... :old: )
Giusto, ma io parlavo degli altri. :bll:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Il noi allocutivo

Se vogliamo far notare a qualcuno che un'affermazione è eccessiva potremmo dirgli *non esagerare o non esageri*, ma anche dargli una sfumatura di maggiore benevolenza con, appunto il noi allocutivo: "Non esageriamo". ;) È un modo di prendere per noi un po' di colpa, ancorché ben sappiamo di non essere responsabili. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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I dimostrativi (ovvero, usati per indicare, lat. demonstro) fondamentali in italiano sono tre: questo, codesto e quello. Il secondo indica vicinanza a chi ascolta e non a chi parla, ma purtroppo è ignorato da molti al di fuori della toscana e addirittura Luigi Fornaciari (lucchese) nel 1881 osservava che il cotesto "puzzava" di affettazione! Ma che volete, costui era la stessa persona che applaudiva Pio IX, invece che mandagli gli accidenti di rito. :D


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: lunedì 18 giugno 2018, 13:24 È un uso solo toscano, ma, in quanto tale non sbagliato secondo la grammatica, quello dei numerali in funzione di sostantivi e quindi possono avere anche il plurale, per cui, giocando a carte, uno può chiedere quanti setti sono usciti. :)
Conoscevo un tizio che commentando le schedine soleva dire tra l' ilarità generale :- Quanti dui ci sono? - Scopro adesso che aveva ragione! :ouch:


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pro-blè-ma

dal latino problèma, dal greco próblema, derivato di probállein 'proporre, mettere innanzi', composto di pro- 'avanti' e ballein 'gettare'.

'Problema' è una parola che viene usata con disinvoltura fin dalla più tenera età, ma i suoi caratteri peculiari, quelli che la rendono potente, li colgono in pochi.

Partiamo dall'etimo perché è folgorante: il problema è il proposto, cioè letteralmente ciò che è posto davanti. Un 'posto' che nel greco ballein, verbo fecondo e benedetto, è un messo e un gettato. Il problema quindi interviene, collocato o lanciato sul nostro corso - e da questa prima presentazione, davvero neutra, già sorridiamo per come il problema si sia volto tutto in bega.

Sarebbe un errore credere di esaurire il problema nella bega, nella questione difficile, nell'inconveniente: perché l'intervento del problema richiede una soluzione.

P.S.
Sono una trentina d'anni che lotto contro l'uso di questa parola prezzemolo; la gente pare "si sciacqui la bocca" nell'usarla: non ci sono più difficoltà o malattie, ma solo problemi e problemi di salute. Ho usato solo due esempi, ma se potrebbero considerare a decine! La proposta è diventata difficoltà, perché i bambini alle elementari non sapevano risolvere i quesiti che assegnava loro il maestro e nella vita da adulti si sono rifatti!!!


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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L'indicativo presente del verbo avere, come tutti sappiamo, si scrive così:

Io ho
Tu hai
Egli / Ella ha
Noi abbiamo
Voi avete
Essi hanno
Chiediamoci però: che ruolo ha quell'acca nelle prime tre persone singolari (ho, hai, ha) e nella terza plurale (hanno)?

L'acca in quella posizione ha valore puramente diacritico – serve cioè a differenziare la scrittura del verbo avere dalle parole o congiunzione, ai preposizione articolata, a preposizione semplice e anno sostantivo – e non si pronuncia mai nel parlato, a meno che non si stia usando un tono scherzoso, caricaturale o volutamente errato.

Insomma, si scrive "io ho" e si pronuncia /'io o/; idem per "tu hai" grafico contro /tu 'ai/ fonetico, "egli ha" vs. /'egli a/ e infine "essi hanno" che si dice /'essi 'anno/ (nel precedente, le sbarrette delimitano la pronuncia e l'apostrofo precede la sillaba o la vocale su cui cade l'accento nella pronuncia: è una convenzione dei linguisti).


Perché allora la scrittura non si conforma alla pronuncia, nella quale dell'acca diacritica non c'è traccia?

Qui entra in gioco l'etimologia: il verbo "avere" e tutte le voci della sua coniugazione derivano dal verbo latino habere (ind. pres. habeo, habes, habit, habemus, habetis, habent), con l'acca ben visibile come si può leggere chiaramente.

Ciò non di meno, se in latino l'acca in avere ha un senso pieno e comprensibile, non lo ha in Italiano se non in forma di relitto grafico – tanto è vero che essa è semplicemente scomparsa in tutto il resto della coniugazione verbale (ad es. ci sono: abbiamo, avete, avevo, aveva, ebbi, ebbero, avessero, avremmo, etc.) per restare invece solo nelle quattro voci del presente indicativo.


Volete la riprova di ciò? Cercate sul vocabolario il verbo riavere, che di avere è un composto evidente con il prefisso "ri-"; scoprirete che la coniugazione in questo caso recita:

Io riò
Tu riai
Egli / ella rià
Noi riabbiamo
Voi riavete
Essi rianno
e dell'acca diacritica non v'è traccia.


Nel corso della storia evolutiva della nostra lingua nazionale ciclicamente i linguisti e gli esperti di grafematica si sono interrogati sull'opportunità di mantenere il relitto grafico o di trovare una soluzione alternativa per eliminarlo del tutto anche da ho, hai, ha e hanno; la proposta meglio strutturata di siffatto rinnovamento risale al 1911, quando nel II Congresso della Società Ortografica Italiana il grammatico Petrocchi propose di effettuare la seguente sostituzione formale:

Io ho --> Io ò
Tu hai --> Tu ài
Egli ha --> Egli à
Essi hanno --> Essi ànno
la quale, per il tramite del segnaccento, differenzia gli omografi e impedisce le confusioni ad esempio tra o congiunzione e ò voce verbale.

Delle avventure della forma accentata parla il celebre linguista Bruno Migliorini nella sua Storia della Lingua Italiana (Sansoni, 1963), citato a più riprese nella fondamentale Grammatica Italiana di Luca Serianni (per i tipi della Garzanti e della UTET).


A questo punto val la pena di porsi la domanda: che ne è stato di quella proposta? L'hanno respinta o l'hanno accolta?

Si potrebbe pensare, dal momento che tutti qui continuiamo a scrivere ho, hai, ha e hanno, che il buon Petrocchi si sia visto accolto da un livoroso lancio di ortaggi al momento della sua prolusione nel 1911, e che la Società Ortografica Italiana abbia rinviato al mittente l'idea bollandola come irricevibile.

Invece non è andata così: la proposta è stata accolta, però poi non ha mai attecchito davvero (non l'hanno recepita in modo uniforme nel corpo docente delle scuole, non l'hanno adottata le case editrici se non con rarissime eccezioni, non se ne sono preoccupati gli intellettuali).

Qual è allora lo status attuale delle forme "io ò" etc.?

Esse sono grafie ortograficamente corrette o comunque non erronee, che però sono considerate poco comuni, di tono basso e popolare, rarissimamente rinvenibili nel corpus scrittorio.

Fa ad esempio eccezione, come si può leggere in questo articolo dell'Accademia della Crusca, il Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi, che ha adottato le grafie alternative accentate «con un risparmio – scrive l'editore – di un centinaio di pagine».


Riassumendo: le forme "io ò" per "io ho" etc. si possono usare in ogni contesto (anche la scrittura sorvegliata), ma è raccomandabile farlo con prudenza e se si è certi di rivolgersi a qualcuno che sia in grado di cogliere il sottile "gioco ortografico" – apprezzandolo o meno, non importa – e prepararsi a strabuzzamenti d'occhi dell'interlocutore.

Provateci a casa, insomma.

E al professore di scuola che corregge il vostro bambino segnando "egli à" come errore raccontate pure del 1911, di Petrocchi (e di Ferdinando Martini, che insegnava alla Normale di Pisa e combatté per la soluzione accentata) e di un tempo in cui prosperava la Società Ortografica Italiana e si discuteva seriamente di revisioni formali della nostra bellissima lingua nazionale.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Questo non è italiano, ma la lingua còrsa è molto vicina. ;)

CRONACHE 1

ANTON DUMENICU MONTI
ADECEC 1992

Iste Cronache sò state scritte per
serve à trasmissioni di Voce Nustrale,
a radiu di l'ADECEC, aspessu
servendusi di infurmazioni digià
publicate. Ci scusinu l'autori
vittime di isti arrubecci



SAN GREGORIU MAGNU, PAPA (590-604) E' A CORSICA

L'ondeci marzu di l'annu 604 muria, in Roma, u papa Gregoriu Primu, dettu Gregoriu Magnu. Issu qualificativu ùn hè statu datu chè à un puntefice nanzu à ellu, Leone Magnu papa da u 440 à u 461, è à unu dopu à ellu, Niculaiu Magnu, papa da l'858 à l'867.
Gregoriu Magnu ebbe u geniu di tene copia di e lettere ch'ellu mandava. Cusì, 848 lettere sò state cunservate. Nove di isse lettere cuncernanu a Corsica. I ducumenti scritti sò tantu scarsi per cunnosce a storia di a Corsica durante i primi seculi di a Cristianizazione di l'isula, chì isse lettere sò veradimente preziose.
Un' sapemu sì i prufessori di l'Università aperta da Pasquale Paoli u 3 ghjennaghju 1765 cunnuscianu isse lettere, ma u fattu si stà chì u papa Gregoriu Primu fù sceltu cum'è u santu patrone di l'Istituzione.

Gregoriu ùn era statu preparatu à assume una carica tamanta di capu di a Chjesa catolica. E' purtantu, à l'epica chì Magumettu - chì avia una trentina d'anni di menu chè ellu - creava a religione musulmana, ellu dava forza à a Chjesa di Roma.
Era di una famiglia di magistrati. I genitori, ricchi immensi, l'avianu lasciatu un bellissimu palazzu è una furtuna. Mortu u babbu, ebbe à succedeli cum'è prefettu di Roma. Finite isse funzioni municipale, chì duravanu un annu, persuasu di a fine prussima di u mondu, sciuppa i so solli in limosine, face di u so palazzu un munasteru, ne crea altr'è sei, è cumencia una vita d'astinenza.
Hà passatu trè anni sebiati à dighjunà è à fà a carità, interrotti da u papa Benedettu Primu (574-578) chì u volse cum'è diacunu, è da u papa Pelagiu Secondu (578-590) chì u mandò imbasciadore à a Corte imperiale di Custantinopuli.
L'annu 590, Pelagiu morse da a pesta. Gregoriu fù sceltu da u cleru è u populu di Roma per succedeli.
U so gran meritu, cum'è papa, ùn hè micca di avè fattu mette e prighere in canzone, ma di esse statu un amministratore efficace, di avè sottumessu i veschi ribelli, è di avè spartu u Vangellu in Europa.
Issu omu, chì hà servutu d'esempiu à qualchì altru puntefice dichjarendu chì un papa deve esse u servu di i servi di Diu, hà lasciatu cummenti di a Bibbia è altri scritti teologichi ma, oghje chì a duttrina hè cambiata, restanu soprattuttu tredeci libri di lettere assai preziose pè a storia di u Cristianisimu.

Chì ne era di a Corsica à i tempi di San Gregoriu Magnu ? L'isula, aperta à tutti i venti di a pulitica è di a religione, era in pienu cumbugliu dapoi chì Teodosiu avia fattu di u Cristianisimu a religione di Statu è ch'ellu avia spartutu l'imperu rumanu in dui. Quandu ellu hè mortu, in l'annu 395, u so figliolu Onoriu ebbe l'imperu d'Occidente, capitale Roma, è l'altru figliolu, Arcadiu, ebbe l'imperu d'Oriente, capitale Bizanziu.
Era à l'epica di a ghjunta in Italia di i Barbari scalati da u Nordu, Roma hè stata distrutta da i Visigoti in l'annu 410, è da i Vandali in l'annu 455. E' po, eranu affaccati i Longobardi, pigliendu pusessu di una grossa parte di a penisula.
A Corsica hè stata occupata da i Vandali durante una ottantina d'anni, forse da u 457 à u 534. L'annu 534, u generale bizantinu Belisariu a face occupà da e so armate chì ci si stabiliscenu una quindecina d'anni. In 551, Totila, rè di l'Ostrogoti si impadrunisce di l'isula. L'annu dopu, scalanu i Longobardi assuciati à l'imperu d'Occidente, ma Bizanziu i ci caccia è a so duminazione dura più di centucinquanta anni sinu à a ghjunta di i Saracini.
Dunque, quandu, u 3 sittembre di l'annu 590, Gregoriu era fattu papa, a Corsica era in manu à l'amministrazione bizantina, mentre chì, da Roma, u papa dava ordini per dà forza à u Cristianisimu accettatu dapoi trè seculi in un paese chì avia digià i so martiri.

A prima lettera cunnusciuta di papa Gregoriu nantu à a Corsica, hè di l'annu 591, dunque qualchì mese dopu ch'ellu sia statu elettu. Issa lettera ci face sapè chì Sagone avia digià un vescu, è chì issu vescu, mortu dapoi parechji anni, ùn era ancu statu rimpiazzatu. Gregoriu dumanda à un certu Leone, vescu ùn si sà di induve, di visità a dioccesi è di urdinà diacuni è preti pè a chjesa principale è per l'altre parochje. Li dice : " Fate cum'è sì vo erete u vescu titulare di Sagone, fintantu chè vo ùn ricevete da mè una altra lettera ".

A seconda lettera porta numinazione di u vescu di Sagone. Gregoriu scrive à un certu Martinu, vescu di Tainum, una cità distrutta dapoi un pezzu da i Barbari, per dilli chì, secondu a so dumanda, u facia vescu di Sagone. A quistione si pone di sapè duve ella era a cità di Tainum, è risposta sicura per avà ùn ci ne hè. Certi storichi pensanu ch'ella era in Tavagna.

A terza lettera di Gregoriu hè pè i preti è nobili di Corsica. Li dice ch'ellu hà fattu di Martinu u vescu titualre di Sagone è chì, aspettendu ch'ellu pigli pusessu di a so carica, ci hà mandatu un visitadore. Issu visitadore apostolicu, u vescu Leone, preti è nobili devenu accoglielu cù divuzione è ubbidienza.

L'annu 595, Gregoriu Magnu scrive à Custantina Augusta, moglia di Mauriziu, l'imperatore di Bizanziu. Li face sapè chì, in Corsica, l'impositi sò grevi è chì i percettori si cumportanu male è sò crudi cù quelli chì ùn i ponu pagà. Dice chì i Corsi chì ùn anu mezi ne ghjunghjenu, per pagalli, à vende i so figlioli, o sò ubligati di sbribà è di andassine in a sciagurata nazione longobarda, chì peghju casticu ùn ci hè.

L'annu 596, Gregoriu scrive à Petru, vescu d'Aleria, per dilli di andà à cunsacrà una basilica è un battisteru ch'ellu hà fattu fà in l'onore di l'apostulu Petru è di u martiru Lurenzu, in un locu chjamatu Nigeunu, nantu à una terra detta Cella Cupias, pruprietà di a Santa Chjesa rumana.
Si dicerebbi chì storichi è archeologichi sianu d'accordu per cullucà a chjesa è u battisteru in San Petruculu d'Accia, cumuna di Quercitellu, accantu à a bocca di u Pratu, à u pede di u San Petrone, à mille metri d'altitutine. U locu dettu Nigeunu da u papa, serebbi dunque l'attuale monte San Petrone.

Petru, vescu d'Aleria, hà cunsacratu a chjesa è u battisteru, è n'hà resu contu à u papa chì li scrive l'annu dopu :" Dopu avè ricevutu a vostra lettera, avemu ringraziatu u Diu onniputente pè e numerose cunversioni fatte da voi. Cuntinuvate. A' quelli chì, nanzu eranu credenti, è chì, per forza o per amore, sò vultati à u cultu di l'idule, spicciatevi di falli rivene à a fede cristiana impunenduli una penitenza di qualchì ghjornu, di manera ch'elli pienghinu nantu à a so colpa, è chì a cunversione sia tantu più ferma ch'elli averanu più versatu lacrime amare nantu à u so errore. " In quantu à quelli chì ùn sò ancu stati battizati, avertiteli, pressateli, minacciateli di a sentenza di Diu, spiegateli perchè ùn devenu adurà nè u legnu nè a petra, aduniteli à a folla di i credenti per chì, u ghjornu di u ghjudiziu universale, siate contu frà i santi.
" Vi avemu mandatu cinquanta munete d'oru per cumprà i camisgi bianchi pè i novi battizati.
" Pè u terrenu dumandatu da u prete di a chjesa chì ghjè nantu à u monte Nigeunu, avemu datu u nostru accunsentu, à cundizione chì u rivenutu sia scalculatu da a so paga.
" Avete dumandatu per voi una residenza viscuvile in a chjesa chì ghjè accantu à a muntagna. Accettu vulenteri, chì cusì, essendu più vicinu, renderete megliu servizii à l'anime di issi lochi ".
E' Gregoriu facia di quellu chì purtava a lettera, u vicariu di u vescu d'Aleria.

D'uttobre 596, u papa scrive à Gennaghju, patriziu d'Africa, per dumandalli di fà casu à a sicurezza di a Corsica, mandenduci una armata diretta da un omu capace. I Corsi si eranu ludati di l'amministrazione di Anastasiu, un omu ghjustu chì si era fattu tene, è si lagnanu ch'ellu sia statu richjamatu in Africa. Bisogna à ridalli u so postu, dice Gregoriu.

Una lettera di u 16 ghjugnu di l'annu 601, hè indirizzata à Bonifaziu, prutettore di i interessi civili è religiosi di a Chjesa rumana in Corsica. Issa lettera hè fatta di rimproveri. Li dice ch'ellu hè tempu è ora di fà eleghje i veschi d'Aleria è Aiacciu, cità spadrunate dapoi un pezzu. Deve dinù premurassi di i poveri, sottuposti à l'inghjulie è à l'inghjustizie. E' po pare chì certi preti sianu stati tradutti davanti à i tribunali laichi. " Sì u fattu hè veru - dice Gregoriu - a colpa hè vostra chì, sì voi erete un omu, un fattu simile ùn serebbi accadutu ".

L'ultima lettera cunnusciuta hè pè u prutettore Simmiaccu. U papa li dice ch'ellu metti frati in u munasteru fattu da una donne assai devota, chjamata Labina, è di fanne un altru longu à a costa, in un locu prutettu contru à a ghjunta di i barbareschi. Prumette di mandà frati da l'isula di Monte Cristu è - cusì dice - " a Corsica tirerà prufittu di l'esempiu da issi rimiti "..
Madama Moracchini-Mazel suppone chì u primu munasteru purebbi esse l'abazia San Michele di Vezzani, per via chì a muntagna sopra porta u nome di Punta Lavina.
U secondu purebbi esse statu à u locu chì cunserva u nome di Abazia, nantu à a cumuna di i Prunelli di Fiumorbu.
Gregoriu finisce a lettera à Simmiaccu ramentenduli chì i preti ùn devenu campà cù altre donne chè a mamma, a surella, o a sposa cù a quale, deve vive castamente. Femu rimarcà chì, pè a Corsica, Gregoriu Magnu trasgredisce a regula di u celibatu, postu ch'ellu accetta chì un prete possi vive (castamente) cù una sposa, allora chì, dapoi u seculu quartu, i preti di a religione catolica devianu esse figlii o, s'elli eranu urdinati dopu un matrimoniu, devianu fermà scapuli ripudiendu a moglia.

Per cunclude, pudemu accertà chì, in l'annu 600, da u puntu di vista civile, a Corsica dipendia di l'imperu d'Oriente per mezu di a pruvincia d'Africa, chì l'amministrazione di i funziunarii bizantini era pessima pè u più, è chì i Corsi eranu disgraziati sinu à ghjunghjene à vende i so figlioli per pagà l'impositi o à spatriassi in Italia.
Da u puntu di vista religiosu, i Corsi, almenu quelli di e piaghje, eranu catolichi dapoi un pezzu, malgradu chì certi aduressinu sempre u legnu è a petra, ciò chì face pensà à e numerose stantare di l'isula.
L'urganizazione di a Chjesa di Roma era digià cunsequente, postu chì ci era almenu quattru veschi : in Aleria, Sagone, Aiacciu, è Tainum. Centu per una chì ci ne era d'altri, in Mariana è Calvi per esempiu, forse in altrò. E', in più, si principiava à fà munasteri per fà ghjunghje frati.

BIBL. LETTERON, " La Corse dans la correspondance de Saint-Grégoire-le-Grand ", in BSSHNC, fasc 5 (mai 1881, pp 141-145), 10 (oct1881, pp 241-255), 12 (déc. 1881, pp 323-330), 13 (janv. 1882, pp 341-345), et (févr, pp 362-366).


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli*

Per cominciare occorre spiegare che cosa significa studiare una lingua, perché ci sono diversi modi per rappresentarla e, possiamo in sintesi distinguere:

a) studio diacronico (dal greco dia -> attraverso e khrònos -> tempo) , che significa esaminare i mutamenti che hanno interessato, negli anni, quella lingua, non solo all'atto della nascita (dal latino volgare all'italiano, dal tedesco all'inglese), ma in tutta la sua evoluzione, fino al suo assetto attuale.
b) s. diatopico (topos -> luogo); il latino volgare ha dato vita non solo alle varie lingue romanze, ma anche alla grande quantità di dialetti presenti nella nostra penisola (o altrove) e talvolta diversi anche da una città limitrofa all'altra. Ad es. il latino classico aveva solo *caput* per indicare il *capo* e in Toscana, Romania e Catalogna quello prevale su testa (che significava vaso di argilla, ma che ha dato esito vincente in molte lingue romanze. Dipoi abbiamo *conca*, continuato nel sardo e coccia, vivo nell'italia centro-meridionale.
c) s. diastratico (lat. stratus, ovvero lo strato sociale dei parlanti); una persona colta, parla e scrive in modo diverso da un ignorante.
d) s. diafasico (greco phasis -> il parlare); significa indagare le trasformazioni legate alla situazione comunicativa. Es. in un colloquio di lavoro si usa una registro più formale che fra amici.
e) s. diamesico (greco mesos ->mezzo); vale a dire, secondo il canale di comunicazione scelto: la lingua scritta presenta caratteristiche diverse rispetto a quella parlata.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* II

Ciascuno di noi ha sentito sempre parlare della distinzione esistente fra vocali e consonanti, mentre qualcuno invece non conoscerà le due semiconsonanti (o semivocali) esistenti in italiano: lo *iod* palatale (ovvero il suono della i di ieri e di notaio); e il *wau* velare (la u di uomo e di buono), che si impostano come le vocali corrispondenti, ma hanno una durata più breve, perché l'articolazione passa subito alla vocale seguente.
In latino esistevano dieci vocali, perché ognuno dei segni grafici che conosciamo (cinque vocali) potevano essere articolati come breve e lunga quantità vocalica. Per es. venit con la e breve significava viene, mentre con la lunga, venne; lo stesso per solum: suolo/solo. Nel latino tardo questo sistema entrò in crisi e fu sostituito dalla tonalità o timbro (aperte/chiuse), arrivando a un sistema di sette vocali. In fiorentino, la è e la ò toniche, che si trovavano in sillaba terminante per vocale, dittongarono in iè e uò, per cui si ebbe fuoco, da fo-cus, mentre da cor-pus (terminante con r), si ebbe corpo normalmente.
Dei dittonghi del latino classico, ae confluisce in è, per cui da maestus si passa a mèsto e da laetus a lièto, con dittongamento della e in sillaba aperta (cioè, come detto, terminante in vocale). Il raro oe (poena) si con fonde con é (pena), mentre au, si riduce a ò, come in paucus, che diventa pòco.


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Slegar
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: martedì 12 giugno 2018, 12:41 Indovinello agli albori dell'italiano
Se pareba boves, alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba
Traduzione
Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati,
e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava
La soluzione dovrebbe essere lo scriba, o scribano, ma pongo un quesito sull'indovinello: si parla dell'aratro bianco come la penna d'oca, ma era già in uso a quel tempo? Non può essere il càlamo?


fair play? No, Grazie!
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Slegar ha scritto: lunedì 23 luglio 2018, 11:01
lemond ha scritto: martedì 12 giugno 2018, 12:41 Indovinello agli albori dell'italiano
Se pareba boves, alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba
Traduzione
Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati,
e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava
La soluzione dovrebbe essere lo scriba, o scribano, ma pongo un quesito sull'indovinello: si parla dell'aratro bianco come la penna d'oca, ma era già in uso a quel tempo? Non può essere il càlamo?
Bitossi, dài tu la risposta a Slegar, s.v.p. :)


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Bitossi
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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A me. pare che la soluzione sia semplicemente l’atto dello scrivere, e morta lì... ;)

Più interessante (o noiosa, a seconda dei punti di vista... :diavoletto: ) la questione se si possa parlare di un primo documento volgare, o se non si trattasse di latino semplificato.
Alcuni indizi (la terza persona senza la -t finale) fanno pensare alla prima ipotesi, altre (l’apparente accusativo ‘semen’), alla seconda.
Il punto cruciale è: chi scriveva stava esprimendosi nella propria lingua parlata, o “se la stava tirando” con una scrittura dotta o para-dotta? :dubbio:

Ovviamente ci sono teorie opposte al riguardo, quindi... :boh:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Grazie a Gigi

La distinzione fra vocali brevi e lunghe sopravvive nel friulano (che discende dal latino, non dall'italiano) forse anche come conseguenza delle lingue "barbare" che hanno contribuito alla sua formazione.
La grafia fa uso di accenti circonflessi (â, ê, î, ô, û), non di accenti brevi (ă, ĕ, ĭ, ŏ, ŭ) o lunghi (ā, ē, ī, ō, ū).
Gli accenti circonflessi vengono posti solo sulle vocali pronunciate lunghe (si tratta di un vero raddoppiamento) e, naturalmente, le parole hanno un altro significato.
Ti scrivo, senza pensarci troppo, qualche caso:

lat = latte ma lât = andato
pet = petto ma pêt = peto [pardon]
mil = mille ma mîl = miele
crot = nudo ma crôt = credo
brut = brutto ma brût = nuora [con una ulteriore distinzione: significa "la nuora" solo se è usato come femminile, "le brût", al maschile è "il brodo", "il brût"]

Salute a tutti i toscanacci


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* III

Nel passaggio dal latino all'italiano si assiste talvolta all'epentesi, ovvero allo sviluppo di una vocale o di una consonante all'interno della parola, soprattutto per evitare incontri fonici inusuali nella nuova lingua, es. baptismum -> battesimo. Assai più frequente è la sicope, ossia la caduta di una vocale all'interno di una parola (quelle vocali con accento più debole), es. da vanitare->vantare. La caduta di una sillaba, o vocale o consonante si dice aferesi, se avviene a inizio di parola illei->lei, apocope o troncamento, se si verifica a fine parola bontade->bontà.
Altro fenomeno interessante è l'assimilazione e si ha quando da due consonanti diverse, si passa a due eguali: lactem. septem, advenire si trasformano in latte, sette, avvenire. Si ha anche il fenomeno opposto: da venenum->veleno.
Altra cosa importante da aggiungere per il passaggio è che dalla base latina possono derivare in italiano due forme: una colta e l'altra popolare. Queste forme, dette allotropi, si differenziano per ragioni fonetiche, ma anche semantiche. Di solito la forma popolare sviluppa un significato concreto, mentre l'altra tende a mantenersi più vicina all'etimo. Es. il latino area produce aia e l'immutato area (superficie); plebem, accusativo di plebs -> pieve (chiesa) e plebe, come in latino.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* IV

Le trasformazioni morfologiche (dal greco, morphé "forma") possono essere riassunte in tre punti:
1) La perdita delle declinazioni, nel senso che solo la prima e la seconda sono rimaste in qualche modo produttive in italiano. Con la caduta della -M e delle altre consonanti finali, viene meno il sistema delle desinenze e quindi non si capisce più se un nome sia soggetto od oggetto. In latino l'ordine della frase era libero, in italiano e nelle altre lingue romanze invece è diventato rigido, perché è solo la posizione, prima o dopo il predicato, che ci consente di stabilire quale sia il soggetto.
In italiano i singolari derivano, di norma, dall'accusativo (rosam->rosa, lupum->lupo, oratorem->oratore. Eccezioni sono uomo<-homo, moglie<-mulier, re<-rex.
Complessa è invece la storia dei plurali, specie quelli maschili, dove si sarebbe avuto, per un certo periodo, un sistema a due casi, secondo che si trattasse di esseri animati lupi dal nominativo e invece *focos* (fuochi) dall'accusativo. Però poi la esse finale cadde e, allora per evitare la confusione, si scelse per quasi tutti la forma derivante dal nominativo.
2) È scomparso il neutro, anche se l'italiano mantiene una traccia dell'antico plurale in una serie in -a (di genere femminile), come ossa, braccia. In altri casi, invece un originario plurale neutro -a è stato percepito come femminile singolare. :D Es. da velum, plurale vela in italiano la vela e non le vele.
3) Profonda ristrutturazione del sistema verbale: delle quattro coniugazioni del latino classico, restano produttive la prima e, in parte, la quarta e molte forme verbali sintetiche sono sostituite da analitiche, es. il passivo amor (sono amato) è soppiantato da amatus sum; nasce il condizionale, un modo inesistente in latino.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* V

Gran parte del vocabolario latino classico si ritrova (per le due vie classiche) in italiano e nelle altre lingue romanze, ma alcune parole sono scomparse, per es. amnis (fiume) nemus (bosco) [a parte toponimi come Terni e Teramo, che derivano da *interamna, ovvero fra i fiumi, e ugualmente Nemi.
Evidentemente in italiano:
a) si preferiscono parole più trasparenti e immediate; e flere (piangere) è sostituito da plangere (battersi il petto in segno di dolore), edere da (manducare) dimenare le mascelle.
b) escono dall'uso parole di scarso corpo fonico, come res, specie dopo la perdita della consonante finale, che lascia il posto a causa -> cosa. Crus (gamba) cede al grecismo gamba (propriamente zampa di animale) e quindi più scherzosa. ;) Altri esempi di tono simile sono testa (vaso di coccio) e ficatum (invece di iecur) che significava fegato d'oca ingrassato con fichi. :D
c) per effetto di a e b, molte parole semplici sono sostituite dai diminutivi, per cui da genu -> genuculum (ginocchio), da agnus -> agnellus e per i verbi, da canere -> cantare (canticchiare) da salire -> saltare (saltellare), invece che saltare. In quasi tutte le lingue romanze non c'è più traccia dell'originaria forma: il verbo frequentativo ha sostituito quello semplice.

Dipoi esistono la metafore e la metonimia

La prima consiste nella sostituzione di una parola con un'altra che condivida con la prima almeno un tratto semantico, per es. "essere un coniglio" ha nella paura il tratto semantico condiviso. La condivisione può riguardare anche un aspetto esteriore, come il collo di bottiglia.
La seconda consiste nel designare un concetto, ricorrendo a uno diverso, ma legato al primo da una certa relazione. Per esempio l'effetto per la causa (guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte); la materia per l'oggetto (un bronzo di uno scultore); l'autore per l'opera (leggere Dante); il produttore per il prodotto (vestire Armani).

P.S. Un aneddoto da insegnante: i ragazzi molto spesso dicevano: domani devo studiare tutto il giorno il Ristori! :x

:crazy: :diavoletto:


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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* VI

I latinismi sono una componente essenziale dell'italiano e, fra gli allotropi sviluppatisi dalla base latina, più comune, di solito è quello di trafila dotta. Per es. da vitium, il vizio (dotto) è molto più usato del vezzo (popolare) ed è anche logico, perché la via colta produce un significato più astratto e generale. Lo stesso accade fra disco e desco, circolo e cerchio, plebe e pieve.
Molti latinismi si trovano fra gli aggettivi di relazione (che indicano il semplice riferimento al nome) , per es. mensile, che conserva il gruppo *ns* a differenza di mese, e poi oculare (oculus), floreale, equino (ed equestre), etc.
Non vanno inoltre dimenticati i latinismi morfologici (parole italiane, che però presentano meccanismi di formazione tipici della lingua madre): il più importante è il superlativo assoluto, con il suffisso -issimo.


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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* VII

Storia di alcune parole

Angelo, dal greco ànghelos (messaggero), che poi, per influenza dell'ebraico, è stato adoperato come mandato da Dio. In italiano appare già all'inizio del XIII secolo, mentre l'espressione angelo custode alla fine del Cinquecento in T. Tasso.

Burocrazia, dal francese (bureau, ufficio pubblico) e naturalmente dal greco. Presenta subito una connotazione negativa, ma in italiano questo ibrido con il greco ha riscontrato un notevole successo e anche certe parole tipiche del gergo, come iniziare, che quasi tutti (sbagliando) usano al posto di cominciare!

Desco, dal latino discus. Esso indicava il piatto adoperato per il pasto e poi, per metonimia, tavola imbandita. L'allotropo dotto è disco, che è nato più tardi, quando gli atleti cominciarono a lanciarlo e poi anche piastra vinilica.

Ragione, da ratio-nis, parola con un'ampia gamma di significati e, per esempio all'accezione conto, si rifanno le parole ragioniere,-ria e rendere ragione. Il verbo ragionare aveva anticamente il significato di discorrere, dire e si è perpetuato nel toscano/italiano (un bel ragionamento). Nel Settecento assume anche una valenza filosofica, per influsso dell'illuminismo


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* VIII

La linguistica esterna

Si occupa dei fattori di ordine socio-culturale che trasformano il lessico di una lingua. Se il toscano medioevale, ad es. accoglie vocaboli provenienti dal provenzale e dall'antico francese, è per il prestigio di cui godevano le letterature espresse da quelle lingue e, allo stesso modo, la dominazione spagnola del Cinque e Seicento produce un'infinità di prestiti dal castigliano.

Per schematizzare, possiamo distinguere tre tipologie fondamentali:

a) Fattori extraculturali, come la configurazione geografica e le trasformazioni del territorio. Essi influiscono poco, a parte i nomi di luogo, che possono conservare traccia della presenza di un'area forestale (Boscoreale, Selvapiana etc.) o anche di un'antica palude o di un lago (Palù, Subiaco, da sublaqueum).

b) Fattori culturali in senso lato, come i fenomeni economici, demografici o gli eventi politico-militari. Il dialetto parlato nel sud della Calabria è molto simile al siciliano, perché ha contato più la comune dominazione Normanna che lo stretto di Messina. ;)

c) Culturali in senso stretto: sono quelli che incidono maggiormente su di una lingua. La scolarizzazione, l'invenzione della stampa, che ha prodotto la fissazione e diffusione di un modello ortografico unico e condiviso per la lingua italiana; conquista impensabile senza di essa.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Il policentrismo medievale

La nostra penisola è stata caratterizzata da una straordinaria frammentazione politica e quindi linguistica e la riunificazione è stata lunga e dovuta soprattutto a un processo culturale: il prestigio delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio ha portato a riconoscere, alla fine, nel fiorentino, il modello linguistico da imitare nella scrittura. Anche se non è stato il primo, perché Federico II di Svevia (vedi e ascolta Barbero aveva imposto agli inizi del XIII secolo il siciliano illustre. In realtà la c.d. scuola siciliana comprendeva rimatori provenienti da varie regioni d'Italia: genovesi, campani, toscani, però quasi tutti erano alti funzionari della corte di Federico.
Quel siciliano è stato poi tramandato in una veste fonetica fortemente toscanizzata, ma ha lasciato comunque alcune tracce nell'italiano letterario: il condizionale in -ia (cantarìa "canterei"): la mancanza dei dittonghi uo e ie in parole come core, novo, leto, oppure nui per noi (vedi Manzoni):
La nascita di movimenti religiosi, molto presenti in Umbria e nella Marche dette grande impulso alla produzione di una letteratura religiosa mediana, per molti aspetti diversa dal toscano. Nel Cantico di Frate Sole ci sono molte *u* finali, alla latina, tratto tipico del volgare umbro.
Un caso particolare è rappresentato dalla Cronica dell'Antonino romano, che rappresenta l'opera più importante rimasta del volgare romanesco.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* X

La formazione della lingua letteraria


Il merito principale di Dante è quello di aver saputo cogliere le potenzialità del volgare, una lingua ancora giovane, fino a farne uno strumento linguistico versatile, adatto sia anche alla prosa. Egli fa tesoro delle esperienze letterarie precedenti e ricorre spesso a forme e a parole estranee all'uso di Firenze. Nella Commedia si trovano prestiti dal francese e provenzale, latinismi, forme della poesia siciliana e voci toscane, ma non fiorentine. La diffusione del poema dantesco in tutta Italia è così capillare che parole e forme in essa contenute, apparecchiano il tessuto di una lingua che si avvia a diventare comune. Per es. il dantesco sorella, si impone sul fiorentino *serocchia*.
Petrarca invece si mantiene quasi sempre su un unico registro stilistico, piuttosto aulico, non usando vocaboli concreti e/o legati al quotidiano e cerca di evitare il più possibile ogni prestito.
Boccaccio mette a punto un impasto linguistico che coincide quasi con il fiorentino parlato dalle persone colte, con qualche apertura a forme più volgari, quando lo richiede la caratterizzazione di singoli personaggi.
I tre grandi autori trecenteschi troveranno una codificazione ufficiale nel primo vocabolario degli accademici della Crusca (1612), che si impone ben presto come strumento indispensabile per i letterati non toscani. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* XI

Nel 1861, come molti sanno, si ebbe la proclamazione del Regno d'Italia, ma restava ancora lontana l'unificazione linguistica. L'italiano letterario, che si è fissato e diffuso a partire dalla seconda metà del Cinquecento è un patrimonio condiviso da pochi, mentre i molti sono analfabeti e parlano in dialetto.
Il nuovo assetto politico però spingerà verso l'unificazione linguistica:
a) creazione di un apparato amministrativo/burocratico (le parole più brutte provengono da questo gergo ;) )
b) la leva obbligatoria (linguaggio di caserma)
c) l'urbanizzazione, collegata all'industrializzazione
d) l'azione della scuola pubblica
e) forse il più importante, la nascita di nuovi mezzi di telecomunicazione, in particolare la televisione, capace di raggiungere tutti i parlanti. ;)
Sulla scuola c'è da dire che non ha prodotto solo risultati positivi, perché, per contrastare l'uso esclusivo del dialetto, i maestri elementari tendevano a essere Ipercorrettisti e a sanzionare anche molti elementi lessicali e sintattici della lingua parlata. In molte aule si è insegnato a preferire sempre volto a faccia, inquietarsi ad arrabbiarsi, affinché a perché e così via. C'è da dire però che negli ultimi anni si è assistito a una deriva in senso opposto e magari si dicesse arrabbiarsi, invece del verbo che è *ormai* sulla bocca e nello scritto di quasi tutti! :grr:
La pratica del tema ha favorito il linguaggio prolisso e l'uso di formule stereotipate e solo a partire dagli ultimi anni del secolo scorso, si è cercato di contrastare tale tendenza: sintetico è bello.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Storia dell'italiano *dal manuale di linguistica di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli* XII

Storia di parole II


Bolgia, dal latino tardo *bulga* (di origine celtica), penetrata in italiano attraverso il francese bolge o bouge, nell'accezione di tasca, sacca, borsa. Dante la usa, immaginando che fossero come delle tasche, delle pieghe nel terreno nelle quali erano puniti i peccatori. Oggi in Toscana con tale parola si indica anche il difetto di un vestito troppo largo, che fa dei rigonfi. Il passaggio all'accezione più comune (grande confusione) è più recente e si deve a G. D'Annunzio.

Logo
, è un'abbreviazione (logotipo), voce proveniente da un ibrido logos (parola) e inglese type (lettera), a sua volta dal greco (si finisce quasi sempre lì) typos (impronta). Dal significato tecnico-letterale di gruppo di due o più lettere, si è poi sviluppato quello di marchio di un'azienda o di un prodotto. La parola ha avuto risonanza internazionale grazie al libro di Naomi Klein "No logo", in cui è condannato lo strapotere delle aziende multinazionali, identificato nell'invadenza mediatica dei loghi.

Mass media
mai pronunciare midia!], parola composta da due, derivanti entrambe dal latino (massa, in origine pasta e media, plurale di medium, mezzo. Da questa, sono derivati in italiano alcuni aggettivi, es. massmediale.

Romanzo
; divertente come si sia arrivati a questo sostantivo. Esisteva in latino l'aggettivo romanicus (accanto a romanus) ed era più popolare. Presto fu messo in rapporto non con Roma, ma con la Romània, ossia con tutti i territori linguisticamente neolatini e parlare romanico indicava la novità di una lingua sempre più diversa dal latino scritto. All'interno della romanicità nel basso medioevo diventò molto popolare una nuova letteratura: cavalleresca, che era in lingua "d'oil" e da lì il romanico diventò "romanz" e fu identificato con il volgare parlato nella Francia del Nord e, in particolare, con i racconti composti in quella lingua.
Il vocabolo cavalleresco diventò *romanzo* in italiano e dal Seicento cominciò a indicare altre forme di narrazione. L'uso di tipo aggettivale (lingua romanza, cioè neolatina) è attestato nei primi del Settecento.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Mille modi di dire casa (tratto da un libro scritto da mia figlia Laura) I

"Sono a casa, torno a casa presto, ci vediamo a casa"; quasi ogni giorno introduciamo nel nostro "lessico famigliare" espressioni di questo tipo, poiché se la casa è il luogo di origine, spesso diventa anche il nostro punto di ritorno. Spazio concreto e simbolico della vita. Questa parola in linguistica, quando diventa un'unità polirematica (*), può trasmettere nuovi significati e molteplici espressioni idiomatiche.
(*) elemento formato da più di una parola, che assume un significato unitario non del tutto deducibile dai termini che lo compongono.

Un prodotto fatto in casa sarà dunque sinonimo di autenticità e naturalezza, mentre fare gli onori di casa indicherà essere dgli ospiti attenti e premurosi. Cacciare fuor di casa è ovvio che cosa significa, mentre casa e chiesa significa bigotto/a, oltre che dedito/a alla famiglia (come la mia amica Baccella) :crazy: .


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Domenica 03 febbraio 2019
di Aldo Grasso

Il neosegretario della Cgil Maurizio Landini ha infilato *un triplete* (qui si fa prendere dalla moda, perché: quando è moda è moda :x ) di congiuntivi sbagliati. La parlamentare 5 Stelle Teresa Manzo, in un intervento alla Camera, ha battuto ogni record di strafalcioni, mettendo in crisi gli stenografi. Roba così: «È tutto un pupularsi di opinioni» o «Il Jobs act ha precariato milioni di giovani». Non che in passato l’eloquio dei politici fosse impeccabile. Tanto che uno sconsolato Gesualdo Bufalino scriveva: «Recriminare sul congiuntivo perduto è ormai come piangere sul tabù della verginità».

Da tempo, infatti, il congiuntivo non rappresenta più la sintassi della complessità, delle sfumature, delle finezze linguistiche. Nel 1997, il panettiere Luigi, entusiasta sostenitore del neosenatore Antonio Di Pietro, dichiarava: «Finalmente il partito del popolo ha candidato un uomo del popolo. Uno che sbaglia i congiuntivi come noi». Sappiamo com’è andata. Il congiuntivo è solo un modo verbale che appartiene alla cultura radical-chic, un inutile orpello anti-populista? Parrebbe di sì. La sgrammatica (si dice?) produce nuove parole d’ordine contro la perfida élite, insegna a non vergognarsi dell’errore e a prefigurare una vita in brutta copia. In questa decrescita infelice, dietro l’errore si cela sempre un orrore. Anche «a sbaffo», come direbbe la portavoce Terry Manzo.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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In difesa del greco e del latino - con Philippe Daverio, Aldo Grasso, Antonietta Porro



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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Chi mi aiuta a capire questa frase ?
Si tratta della conclusione di un mail di Tiziano Renzi (un signore di Rignano vittima della magistratura a orologeria).


"Baci in bocca fino a gennaio poi una calorosa stretta di mano."

Singolare personaggio questo Tiziano Renzi: frequentatore di Medjugorje che si esprime come un frequentatore di donzelle non proprio santarelle.

Comunque baci in bocca non lo capisco, forse voleva dire sulla bocca, oppure acqua in bocca.
Grazie a chi m'illumina.
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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el_condor ha scritto: venerdì 22 febbraio 2019, 0:16 Chi mi aiuta a capire questa frase ?
Si tratta della conclusione di un mail di Tiziano Renzi (un signore di Rignano vittima della magistratura a orologeria).


"Baci in bocca fino a gennaio poi una calorosa stretta di mano."

Singolare personaggio questo Tiziano Renzi: frequentatore di Medjugorje che si esprime come un frequentatore di donzelle non proprio santarelle.

Comunque baci in bocca non lo capisco, forse voleva dire sulla bocca, oppure acqua in bocca.
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Dal contesto mi pare che *baci in bocca* c'entri poco, "acqua in bocca invece sì, perché sembra proprio che voglia dire: "stiamo in silenzio fino a ..."


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da nino58 »

lemond ha scritto: venerdì 22 febbraio 2019, 9:46
el_condor ha scritto: venerdì 22 febbraio 2019, 0:16 Chi mi aiuta a capire questa frase ?
Si tratta della conclusione di un mail di Tiziano Renzi (un signore di Rignano vittima della magistratura a orologeria).


"Baci in bocca fino a gennaio poi una calorosa stretta di mano."

Singolare personaggio questo Tiziano Renzi: frequentatore di Medjugorje che si esprime come un frequentatore di donzelle non proprio santarelle.

Comunque baci in bocca non lo capisco, forse voleva dire sulla bocca, oppure acqua in bocca.
Grazie a chi m'illumina.
ciao

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Dal contesto mi pare che *baci in bocca* c'entri poco, "acqua in bocca invece sì, perché sembra proprio che voglia dire: "stiamo in silenzio fino a ..."
Oppure potrebbe significare: "Culo e camicia" fino a gennaio e, in seguito, "Ognuno per se' e Dio per tutti" o "Si salvi chi può" :?:


Von Rock ? Nein, danke.
Diritto di correre senza condizioni a chi ha scontato una squalifica !!!
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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nino58 ha scritto: venerdì 22 febbraio 2019, 11:56 Oppure potrebbe significare: "Culo e camicia" fino a gennaio e, in seguito, "Ognuno per se' e Dio per tutti" o "Si salvi chi può" :?:
Vero.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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"relata refero" per questo sito

https://www.visual-thesaurus.com/collocazioni.php

Si tratta di un dizionario grafico che crea mappe semantiche ed anche un dizionario visuale dei sinonimi, utilizzando il menu a tendina.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Cesare non comanda ai grammatici, diceva Svetonio, ma (aggiungo io) il popolino sì e vedasi ad es. il verbo iniziare che, per errore comune è diventato anche intransitivo, oppure l'uso disinvolto di tante parole senza senso! :x


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: martedì 21 maggio 2019, 12:37 "relata refero" per questo sito

https://www.visual-thesaurus.com/collocazioni.php

Si tratta di un dizionario grafico che crea mappe semantiche ed anche un dizionario visuale dei sinonimi, utilizzando il menu a tendina.
Oh, funziona! :diavoletto: :diavoletto: :diavoletto:
20190719_101331.jpg
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Ringrazio la mia mamma per avermi fatto studiare da ciclista
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Confermo, perché le associazioni più numerose con la parola Contador sono: bagnino, bugiardo, baciapile etc. (stranamente cominciano tutte con la B. :diavoletto:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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chinaski89 ha scritto: mercoledì 24 luglio 2019, 19:08 Beh ma quello della povertà di linguaggio è anche un po' un altro discorso, ..
Mi ero dimenticato di risponderti a questa parte e lo fo ora qui: perché uno che pensa che il turpiloquio gli sia sufficiente a esprimersi *al meglio* dovrebbe cercare di imparare altro? Non ci pensa nemmeno e con una parola riesce a esternare, ad es, tutti i sentimenti. Mamma mia che progresso :champion: solo chi compila i vocabolari dei sinonimi e contrari può essere avverso! :champion:
P.S. aforisma di Ghisalberti "Chi ha un numero limitatissimo di vocaboli ha anche poche idee!"


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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correzione: era Galimberti e non Ghisalberti. :x :muro:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Sulla citazione concordo poco, è raro ma io conosco molti tizi pochissimo o nulla scolarizzati che di idee ne hanno un sacco, certo non ci disquisisci di massimi sistemi, per esempio c'è un tizio dalle mie parti che se ha una conoscenza approfondita del dialetto con l'italiano va poco d'accordo, ma ti assicuro che per certi versi è quasi un filosofo e di idee in campi più pratici ne ha un sacco, alcune oserei definirle geniali :D

Neppure sul turpiloquio concordo, non è che uno più è scurrile e meno sa. Per dire Sgarbi per quanto non mi sia troppi simpatico non si può certo dire che non sia erudito eppure..


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Patate ha scritto: mercoledì 24 luglio 2019, 12:48
chinaski89 ha scritto: mercoledì 24 luglio 2019, 12:38 Pensa che secondo me una delle cose più affascinanti del linguaggio è proprio che muta a seconda di come viene usato dalla gente, al di là dei significati originari e precisi delle parole, la lingua è materia viva e l'utilizzo da parte dei più alla lunga diventa regola
:clap:
E ciò vale per ogni tipo di linguaggio, comprese la musica e le arti figurative
Sono d'accordo, anzi vado oltre, perché il cambiamento è parte essenziale della vita e anche dell'inorganico. Però occorre distinguere e vediamo come, al di là del famoso aforisma di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. ;)
Sono inesperto di musica e ignoro del tutto le arti figurative (diciamo che sono cieco), però credo che in tali campi il cambiamento sia opera di persone intelligenti, se non addirittura geni. In lingua invece non sempre siamo di fronte a Rabelais o D'Annunzio, bensì magari ai più ignoranti fra i parlanti. :x Ci dobbiamo proprio affidare a costoro, senza possibilità di criticarli? Non credo, perché "mutatis mutandis" altrimenti dovremmo credere che in altri campi dove non necessitano grandi uomini, a parte il golf (dove l'imbecillità anzi aiuta :D ), mi riferisco ad es, al calcio, alla politica e al costume. Che dobbiamo dire del regolamento nuovo del primo dove il fallo di mano per essere tale non importa più che sia *volontario* :x , oppure per la seconda, laddove spesso si associa il nuovo alla sinistra (che di solito è progressista) anche quando i "dipoi cesaricidi" presero il posto, con un colpo di Stato chiamato rivoluzione, del governo Kerensky in Russia, o di Mao in Cina che ...? Mentre il cambiamento davvero di sinistra si ha ora, a mio avviso nel Paese di mezzo, con i nuovi capi (per il momento tirannici), ma che sono riusciti a togliere la miseria a una moltitudine davvero vasta di persone. A proposito sempre di cesaricidi, Bruto, Cassio e Cicerone rappresentavano la mutazione in meglio o la restaurazione della vecchia oligarchia senatoriale? Per quanto riguarda il costume che pensare dell'Islam, che è una religione *nuova*?


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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chinaski89 ha scritto: sabato 27 luglio 2019, 10:52 Sulla citazione concordo poco, è raro ma io conosco molti tizi pochissimo o nulla scolarizzati che di idee ne hanno un sacco, certo non ci disquisisci di massimi sistemi, per esempio c'è un tizio dalle mie parti che se ha una conoscenza approfondita del dialetto con l'italiano va poco d'accordo, ma ti assicuro che per certi versi è quasi un filosofo e di idee in campi più pratici ne ha un sacco, alcune oserei definirle geniali :D
Dialetto, italiano o latino poco importa è l'ampiezza del lessico a essere poietico. :) Questo è il senso della citazione. :cincin:
chinaski89 ha scritto: sabato 27 luglio 2019, 10:52 Neppure sul turpiloquio concordo, non è che uno più è scurrile e meno sa. Per dire Sgarbi per quanto non mi sia troppi simpatico non si può certo dire che non sia erudito eppure..
Non conosco il turpiloquio di Sgarbi, perché l'ultima volta che lo vidi/sentii fu una ventina di anni fa, perché allora mi resi conto che era una persona inaffidabile, nel senso di caratteriale! Come fa uno ad arrabbiarsi con sé stesso? Era una trasmissione in cui era solo! Un uomo così non può essere preso a riferimento, se non come ... tipo quelli che credono di essere Napoleone. :diavoletto:
P.S. Sgarbi è la solita storia di tanti altri, cominciata per me come suo estimatore e poi è finita invece come ... B,B,B,(B). :diavoletto:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Disprezzo dal più profondo del cuore chi può con piacere marciare in rango e formazione dietro una musica; soltanto per errore può aver ricevuto un cervello! A. Einstein (E se si tratta di parole, forse è anche peggio!)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Non so se riguarda più la geografia, ma trattandosi di un nome, può andar bene anche qui.

Jiří Felix, portavoce dell’iniziativa Česko/Czechia, fondata a Brno nel 1997, dice: “Diciamo sempre che la parola Czechia non viene usata nel mondo ma la colpa è nostra, perché siamo noi a non usarla. All’estero non importa a nessuno come chiamiamo il nostro Paese, si abitueranno”.

“Cosa c’è in un nome?” si chiedeva Shakespeare in Romeo e Giulietta. Una storia, potremmo dunque rispondere. Un popolo. Di tanto in tanto, l’argomento riguardante il nome della Repubblica Ceca torna fuori e i giornali ricominciano a parlarne, chiedendosi se mai sarà possibile mettere tutti d’accordo e trovare una versione che possa accontentare cittadini e politici.

Il Presidente Miloš Zeman, nei suoi discorsi all’estero ha affermato che è sua abitudine usare il termine Czechia al posto di Czech Republic e che preferisce il primo. In una recente intervista, Karel Oliva, direttore dell’Istituto di Lingua Ceca dell’Accademia delle Scienze, ha affermato che il dibattito riguardante il nome della Repubblica Ceca non concerne i cittadini cechi bensì quelli anglofoni. Se le giovani generazioni riusciranno ad abituarsi lentamente ad usare Česko, Czechia o Cechia, il termine potrà avere la diffusione che è mancata subito dopo la nascita della Repubblica Ceca nel 1993 e ottenere così una visibilità mondiale.

di Barbara Medici


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