Lingua italiana, domande e risposte.

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herbie
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: La lettera *e* deriva dall'epsilon greca e in italiano, come già detto, esistono due tipi di accentazione, mentre, quando non è tonico, è sempre chiusa, vedasi ad es. èssére. Purtroppo, a differenza del francese, in italiano l'accento grafico si usa solo per la parole tronche e questo ha ostacolato la diffusione della pronuncia giusta in diciannove regioni. :grr: Hai voglia te a dire a un settentrionale che bene è bène e non béne, mentre freddo è fréddo e non frèddo!
Dalla preposizione latina *ex* (da/fuori) viene il prefisso italiano e-, indicante privazione o allontanamento: emettere (messo fuori), evirare (privare della virilità) eccentrico (stravagante, perché fuori dal centro di un discorso o ...) in emigrare quella e- è rafforzativa, perché già migrare significa andar fuori. :)
io dico che, se la cosa non ti è di peso, faresti una cosa utilissima se, nello scrivere, ti sforzassi di mettere gli accenti giusti sulle vocali, in maniera che graficamente si capisca come si pronunciano le varie parole. Perchè, effettivamente, noi settentrionali ne azzecchiamo forse uno su dieci.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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herbie ha scritto: io dico che, se la cosa non ti è di peso, faresti una cosa utilissima se, nello scrivere, ti sforzassi di mettere gli accenti giusti sulle vocali, in maniera che graficamente si capisca come si pronunciano le varie parole. Perchè, effettivamente, noi settentrionali ne azzecchiamo forse uno su dieci.
Intendi così? péso, farésti, sfórzassi di mèttere gi accènti sulle vócali, in manièra che -ménte (è sempre così). Perché l'ài scritto male éfféttivamente nói sétténtriónali ne azzécchiamo fórse dièci. P.S. Pérò atténzione, pérché pótrèi sbagliare a digitare e quindi, se non vi tórna, chiédete, prima di mémórizzare. ;)


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Confessi chi non ha mai detto, prima di un esame, la fatidica frase “No, ma io non so assolutamente nulla”, nonostante la certezza di una preparazione accettabile. L’autodenigrazione simulata è una delle forme di una parola che a me sta alquanto simpatica, perché assomiglia a un'altra che per me è ... Tale sostantivo è l' *asteismo*
L’asteismo è una figura retorica che “si fa quando tutto ciò che si espone è condito di sufficiente urbanità, e privo di rustica semplicità”. Ecco spiegata questa strana etimologia (dal greco [ásty] ‘città’. Asteismo è un biasimo, proferito col sorriso, che cela tanto, troppo garbo, la strizzata d’occhio retorica che dice all’interlocutore di non preoccuparsi, “guarda che ti riprendo, ma mica ce l’ho con te, anzi!”
Che vuol dire? Non so voi, però io ricordo le visite natalizie agli amici di famiglia fatte coi genitori: puntualmente c’era lo scambio di auguri e, altrettanto tradizionale, la consegna del cesto, carico di cibo sufficiente per un reggimento. Di rito gli auguri, di rito il cesto e di rito l’asteismo: “Ma no, non dovevate assolutamente! Vi dobbiamo sgridare anche quest’anno!” L'asteismo è insito nella nostra cultura, così come il suo contrario e cioè quando Guardiola dice bene di Sarri e aggiunge che una squadra come quella di mercoledì non l'aveva mai incontrata. :crazy: :diavoletto: :D
Ultima modifica di lemond il venerdì 3 novembre 2017, 8:35, modificato 1 volta in totale.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Dittongo mobile

-uo e –ie tendono a ridursi alle sole vocale *o* ed *e* quando non sono tonici ad es. suonare resta dittongo in io suòno, ma diventa invece noi soniàmo e così egli viène, ma egli venìva. Esso però non è senza eccezioni, in alcune parole infatti, in virtù dell’analogia, il dittongo è esteso anche in posizione atona: buonino, nuovissimo, cuoveva, muovendo, suonando. Ma in Toscana si dice sta’ bonino, un gioco novissimo, egli coceva, pur movendosi e sonando. ;)

Gli apostrofi di *o*

Po’, forma tronca di poco
Mo’, f.t. di modo, quasi sempre in locuzioni
To’. F.t. di togli nel significato di prendi es. to’ i soldi per la spesa (ma di solito to’ si dice ai cani). ;-) Talvolta si usa anche la grafia toh

Esempi di o aperta e chiusa

Se ne accòrse troppo tardi
Ti ho còlto in fallo
Il grande còrso (Napoleone)
Vacche e pòrci
Svòlto qui a destra
Non fare pòse strane in foto
Quell’avvocato è il principe del fòro
Quella è la pòsta di oggi
Vòlgo lo sguardo al sole
C’era gente di ogni sòrta

E invece sono * ó * chiuse

Accorse al telefono
Un medico colto
In corso Cavour, ho corso a lungo e sono stanco
Dobbiamo porci questa domanda
Il volto della Gioconda
Vi pose molta cura
Praticare un foro nel muro
La borsa della spesa è posta sul tavolo
Le superstizioni del volgo e dei gi ó cat ó ri di calcio
Accidenti, è s ó rta una complicazione


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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La *u* deriva, cósì cóme la v, w, e Y dall’ipsilon greco, attraverso il latino dóve, come abbiamo già scritto, si alternava indifférentemente con la V. Anche nell’ortógrafia italiana più antica non esisteva una distinta lettere *u* , ma si scriveva sempre V la maiuscola e u la minuscola. Sólo dall’òttócento le còse sono cambiate, nel senso di come le cónósciamo ora. Essa ha valore cónsónantico quando è tra c, g, e q e una vocale, es. acqua, guardia, scuola.
La c e la g si assómigliano mólto anche per la doppia pronuncia: entrambe hanno suòno vélare (casa, gara, chiromante, ghiro) o palatale (cipolla, gelato, ciao, giallo). Come abbiamo già detto la *i* per il suòno palatale nón deve èssére pronunciata è, come la acca, solo un segno grafico. In testi di italiano antico può capitare di trovare paròle scritte con la *c* al posto della *g* e alcune sóno rimaste: lagrima e lacrima, sagrificio e sacrificio.
In latino invece c’èra una sola prónuncia per entrambe: quélla velare (dura) anche davanti a *e*, *i*. E infatti Cicerone era scritto così, ma loro lui si autochiamava chicherone. ;) Sólo nel V secolo, assai dópo l’infame Costantino e l’avvènto del cristianesimo di stato, arrivaróno alla palatalizzazione.
La G, iniziale di paròla, è un marchio germanico medievale e infatti la g, seguita da *u* non è originaria dell’Italia e: guardare, guerra, guercio, guadagnare, guarire, guaio, guanto, guancia sóno tutti prestiti dal francone.
Unica eccezione guado e guaìna, ma la spiegazione è semplice: quelle *g* in origine erano *v* - vadum e vagina – e la *v* è stata trattata come fosse una *w*. dando l’esito *gu*, come solito in tedesco.

P.S.
La prossima volta metterò l’accento solo quando o e e suonano aperte ò e è, mentre lascerò senza accento le vocali chiuse.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Italiano e logica

Quando si dice che queste due parole difficilmente vanno assieme, non si sbaglia poi molto. Ad es. la parola veruno, che ognuno capisce voglia dire “in vero uno” (e uno soltanto), di solito viene usato per nessuno, es, non un motivo veruno di rallegrarmi e quindi ha finito di assumere tale significato!


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Plurali dei nomi in –cia e –gia.

La nòrma proposta dal cèlebre linguista Migliorini e approvata da quasi tutti gli altri è che si debba mantenere la *i* nelle parole il cui –cia e
–gia sono preceduti da vocale, mentre la *i* scompare negli altri casi. Si avrà quindi province, arance, guance, tracce, gocce; così come acacie, ciliegie, camicie, valigie. Per alcune parole si possono accettare entrambe le forme, come ad es. quando Oriana Fallaci usò come titolo del suo romanzo “Un cappello pieno di ciliege”, ma mai potremmo scrivere camice, perché esiste già la parola singolare il camice, così come audace e feroce non si devono confondere con audacie e ferocie (atti di crudeltà), ma queste due ultime paròle sono usate pochissimo. E’ òvvio che se invece di –cia e –gia si tratta di –cìa e –gìa, la *ì* tonica rimane anche al plurale, qualunque sia la lèttera precedente, es. farmacia, darà senz’altro farmacie.

La d eufonica

Sempre il Migliorini ha consigliato di di usare ed – ad –od solo davanti a vocale identica, quindi ad andare, ma a Empoli. (pronuncia rigorosa è Empoli e non, come dicono in tanti fuor di città: èmpoli!). La tendenza è addirittura a eliminare comunque questo inserimento che suona piuttosto burocratico.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto:Italiano e logica

Quando si dice che queste due parole difficilmente vanno assieme, non si sbaglia poi molto. Ad es. la parola veruno, che ognuno capisce voglia dire “in vero uno” (e uno soltanto), di solito viene usato per nessuno, es, non un motivo veruno di rallegrarmi e quindi ha finito di assumere tale significato!
Carlo (a proposito, auguri per ieri, giorno del tuo Santo Protettore... :diavoletto: ), in questo caso dimentichi il ‘non’... :boh: (non veruno = neanche uno; quindi la logica è salva).
È lo stesso caso di ‘niente affatto’; qualcuno crede che quest’ultimo sia negativo, e a volte lo si sente utilizzato erroneamente da solo, per dire ‘no’.

Casomai, la logica nell’italiano soprattutto parlato va a farsi benedire (sempre facendo riferimento ad argomenti religiosi a te tanto cari... :hammer: ) nei casi di doppia negazione: quante volte sentiamo ‘non ho fatto niente’, invece del più logico ‘non ho fatto alcunché’?

Diciamo che è un altro caso in cui l’uso ormai ha vinto, in barba alla logica, e comunque non si creano malintesi. :old:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Bitossi e Lemond,ma che razza di persone incontrate di solito? :diavoletto: Io in 55 anni non ho mai sentito nessuno usare la parola "veruno",anzi per precisione aggiungo che ho spesso sentito "Inveruno" ma per indicare una cittadina in provincia di Milano,della quale ricordo la Fiera di San Martino che vi si tiene ogni anno attorno all'11 novembre. :bll: :cincin:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Perché sei provinciale, e non esci mai dal tuo territorio: http://www.comune.veruno.no.it/ :diavoletto:

PS: mi sorprende che tu non abbia capito che qui si fa pura accademia. Useresti mai una congiunzione come ‘imperciocché’? Ciò non toglie che in italiano esiste, e che se si vuole capire i nessi sottili della nostra lingua, forse non fa male parlarne... :cincin:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Bitossi ha scritto:Perché sei provinciale, e non esci mai dal tuo territorio: http://www.comune.veruno.no.it/ :diavoletto:

PS: mi sorprende che tu non abbia capito che qui si fa pura accademia. Useresti mai una congiunzione come ‘imperciocché’? Ciò non toglie che in italiano esiste, e che se si vuole capire i nessi sottili della nostra lingua, forse non fa male parlarne... :cincin:
E chi ti ha detto che io non abbia capito che qui si fa pura accademia? :uhm:
La mia era solo una battuta,come avrei fatto se vi avessi incontrati in giro.
Vabbè ho capito,per questo quadrimestre,caro il mio magnifico rettore,mi metterai un quattro in pagella. :cincin:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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UribeZubia ha scritto:
Bitossi ha scritto:Perché sei provinciale, e non esci mai dal tuo territorio: http://www.comune.veruno.no.it/ :diavoletto:

PS: mi sorprende che tu non abbia capito che qui si fa pura accademia. Useresti mai una congiunzione come ‘imperciocché’? Ciò non toglie che in italiano esiste, e che se si vuole capire i nessi sottili della nostra lingua, forse non fa male parlarne... :cincin:
E chi ti ha detto che io non abbia capito che qui si fa pura accademia? :uhm:
La mia era solo una battuta,come avrei fatto se vi avessi incontrati in giro.
Vabbè ho capito,per questo quadrimestre,caro il mio magnifico rettore,mi metterai un quattro in pagella. :cincin:
E chi ti ha detto che il mio ‘mi sorprende che tu non abbia capito’ non fosse a sua volta una battuta? :diavoletto:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Voi due siete i più ironici del gruppo: Lorenzo forse un po' più sottile e Gianfranco invece più essoterico; ecco una parola che io uso spesso. :diavoletto:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Nanni Moretti e l'italiano

Le parole più importanti le ha dette proprio alla fine: “Ci vorrebbe meno pigrizia nell’utilizzo della lingua”.

http://www.lavocedinewyork.com/arts/lin ... suoi-film/


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Quando la *l* si mangia la *n*

Nella formazione di parole con prefisso in- la elle, che segue, assimila a sé la enne e quindi si dice/scrive illegittimo; nel passato, non troppo remoto, ciò si faceva anche con le preposizioni articolate colla e collo.

La *q* è araba o latina?


Questa lettera è sempre seguita da *u* e da un'altra vocale e ha lo stesso suono della c velare (dura). Le parole italiane che contengono la sequenza *qua* continuano basi latine identiche o quasi: quale, quando, quattro. Quando si vuole rafforarzare, si usa la *c* : acqua, acquistare, tranne che in soqquadro e beqquadro.
Ci sono alcune parole, come scuola e cuore, che usano la *c* per ragioni etimologiche: provengono da basi latine, dove non era presente il dittongo *uo*, necessario per la grafia con la *q*, ma solo la vocale *o* scola e cor. Il dittono *uo* è stata un'evoluzione medievale toscana, mentre le parole in cui la *q* non è seguita da *u* sono prestiti dall'arabo: alqaedista, burqa, qasba, qibla (direzione verso la quale il fedele dell'Unico Vero Dio deve volgersi durante la preghiera.

P.S. Mi sembra di usare sempre le stesse parole e quindi, se qualcuno non conoscesse l'accentazione delle *o/e* me di una nuova, della quale non mi sono accorto, me lo segnali, grazie.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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La zeta si pronuncia quasi sempre doppia, anche se alcune volte si dève scrivere singola:
a) quando c'è la sequenza *zio* e anche zia/zie, con l'eccezione però di pazzia e razzia e di tutte quelle paròle derivanti da una base con doppia zeta, ad es. corazziere, tappezziere etc.
b) Z è l'elemento iniziale della seconda parte di un composto: rizappare, prozio, protozòo.
c) vocaboli di origine esotica, come azimut, bazar, bizantino, ozono.

È possibile avere incertezza nella scelta fra *s* e *z* nei sostantivi femminili, terminanti in -sione, -zione. Secondo il linguista Giuseppe Malagoli, si usa *z* quando al nome corrisponde un participio o una parola delle stessa famiglia in cui ci sia la *t*. Es. azione (atto), intenzione (intento), estinzione (estinto), impazienza (paziente); si usa invece la *s* se nel participio o parola di famiglia c'è la *s*, es. pretensione (preteso), perversione (perverso), tensione (teso). Fanno eccezione astensione (astenuto) e i composti di torcere, contorsione ed estorsione, pur avendo *t* come participi.
Caratteristico dell'ortografia della lingua sarda è *TZ*, che si trova anche in molti cognomi di origine insulare: Atzori, Pitzalis, Putzolo etc.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Il suono c.d. palatale è quel che deriva da *ci, gi, sci, gli, gn*. In latino non esisteva e, ad es. il nostro gi- iniziale di parola è l'evoluzione della *I* latina seguita da vocale: iocum->gioco, iuventus->gioventù. La palatale *gli* invece deriva dal li (atona) seguita da vocale: filiùm->figlio.
In alcune parole c'è oggi oscillazione grafica tra forma con e senza palatale. Non c'è dubbio nello scrivere *famiglia*, ma il derivato è familiare o famigliare? La dottrina attuale prevede che si usi la *gli* per i famigliari, mentre una cosa conosciuta da tutti è familiare.
Altro dubbio per gli scriventi, riguarda la resa de nesso *gn* presente nella radice di verbi come accompagnare, assegnare, guadagnare, segnare, vergognare. Accompagnamo o accompagniamo? In teoria la *i* dovrebbe esserci, però, poiché la *i* della desinenza è assorbita nella pronuncia della palatale *gn* si è diffusa anche la grafia semplificata, :cincin:


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Le consonanti doppie del latino si sono conservate anche in italiano; naturalmente alcuni nessi, difficili da pronunciare, la seconda consonante ha reso eguale a sé la prima; *ct* e *pt* sono diventati, ad es. *tt*. I linguisti chiamano questo fenomeno assimilazione (regressiva, perché procede all'indietro). I dialetti settentrionali invece non conservano le doppie (così si fa in francese e mi pare anche in portoghese) e per loro è difficile scrivere: soprattutto, caffellatte, cosiddetto. I parlanti dell'area romana, al contrario, tendono a raddoppiare alcune consonanti come la *b* e la *g* e a degeminare la *r*, per cui dicono robba, aggire la ggente, ma anche tera. :)
Le consonanti doppie possono essere anche frutto dell'unione di due parole :
a) la prima è un monosillabo: chissà, seppure, tressette etc.
b) una parola tronca: giammai, caffellatte, etc.
c) forma prefissale sopra- contra- : soprattutto, contraffare etc.
d) il none di una lettera dell'alfabeto: tivvù, picci (sia per personal computer che per partito comunista), etc.
Casi spesciali: Treccani, ma non Tre(m)monti, Castellammare, Tressanti.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Il nome della lettera *j* è illunga e non *jay* (quello è inglese! :grr: È una lettera che non esisteva nel latino classico , solo in quello medievale per sostituire la *i*, quando dopo c'era una vocale e anche per il plurale dei nomi uscenti in -io. Oggi sopravvive solo in nomi e cognomi di persona (anche una squadra) e geografici. Esiste anche junior, per indicare il più giovane della famiglia con lo stesso nome e gli anglofoni, naturalmente, dicono giunior, noi no! :grr:
Nelle parole inglesi, entrate in italiano, il discorso è diverso: è giusto pronunciare la i lunga *gi* e gli articoli delle parole come "jolly" sarà *il* e non *lo* jedi, come nel celebre film, dove ritornava. ;)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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La lettera *k* era presente alle origini delle lingua italiana (il famoso placito capuano del X secolo: sao ke kelle terre, per kelle fini che ki contene .., ma è ormai scomparsa ed è ritornata soltanto da poco nei telefonini. Gli studiosi ritengono che l'innovazione della grafia *ch* sia di origine toscana e che si sia diffusa nel XIII secolo. Negli anni settanta si era diffuso l'uso spregiativo di *k* in sostituzione della *c*. Per far riferimento alla parola inglese "killer", si scriveva amerikano (dal film di Costa Gavras), kapitalismo etc. Ormai il kappa politico si ritrova solo in Berluska, perché, anzi, di solito assume un valore positivo, come ad es. per Bankitalia.
La lettera *W* appare solo in forestierismi moderni ed è uno dei rari casi in cui, in italiano, a una stessa lettera corrispondono due pronunce, secondo che la parola sia di origine tedesca o inglese; caso tipico di ambiguità è Walter, se non se ne conosce la nazionalità. :D
Caso singolare è la lettera *X*, che si scrive come la *chi* greca, ma è sempre stata pronunciata come un'altra lettera greca: la *csi*, che però si scriveva ξ, Ξ. Con quest'ultima pronuncia i Romani la accolsero. Oggi compare, in italiano, in parole di origine straniere, di solito di origine latina. Una singolarità è data dal *fax* che altro non è che l'abbreviazione del latino *fac simile* (fai in modo simile), in esso si incontrano, se pur distanziate, le due consonanti (c,s) che dànno origine all'altra. :)
Le principali locuzioni latine entrate nella nostra lingua sono: ex abrupto, ex aequo, deus ex machina, vox populi. Xenofobia è una parola entrata invece dal greco nell'uso italiano, non solo colto, e quel prefisso xeno- significa straniero.
La *y* infine dovrebbe pronunciarsi *u*, perché la i greca o ipsilon aveva questo valore. La presenza più consistente di questa lettera è oggi negli anglismi: "un party sullo yacht". :)


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Cos'è il sessismo linguistico?

Si tratta di un'espressione che si è diffusa negli anni Settanta, come calco dall'inglese e definisce gli usi linguistici che risultano discriminanti in base al sesso (anche inconsapevolmente). Si pensi agli stereotipi del tipo "donna al volante, pericolo costante!", oppure la battute (non tali) del buon Berluska, riferite alla allora ministra Bindi, o il leghista Mario Borghezio che definì un altra ministra (Cécile Kyenge) "ministro del bonga bonga". Infine, per fermarci, qui si possono citare conduttori radiofonici e televisivi che definiscono le donne gallinelle e puttane!
Lo sconcerto che queste parole hanno suscitato, ha risvegliato l'attenzione sul modo in cui si parla delle donne, su come si descrivono etc. e allora cominciamo il nostro argomento grammaticale: perché non si usa quasi mai il termine femminile per professioni tipo architetto, chirurgo, primario, sindaco, deputato, ministro. (Ultimamente però qualcosa è stato fatto in tal senso).
Anche l'Accademia della Crusca ha difeso più volte l'uso di questi termini al femminile, ineccepibili dal punto di vista linguistico. ;)


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La scuola non è rimasta insensibile sulle discussioni del sessismo grammaticale, soprattutto dopo che l'U.E. ha dato precise indicazioni. La c.d. Buona scuola promuove in ogni ordine e grado l'educazione alla parità dei sessi e quindi presta molta attenzione anche al linguaggio. Un'analisi un po' approfondita rivela che la riflessione sulla possibile discriminazione linguistica non si ferma al piano delle scelte lessicali, ai suffissi che indicano le uscite femminili, ma investe, per es, la concordanza di aggettivi, pronomi, sostantivi. Se i nomi sono più di uno e di diverso genere, possiamo scegliere indifferentemente l'accordo al maschile o al femminile? Attualmente, no, ma come ricorda Luca Serianni, accademico della Crusca,siamo davanti ad ampi margini di cambiamento. :)


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Qualcuno dirà che il sessismo è insito nella lingua, ma la risposta è che invece l'italiano ci dà la possibilità di esprimerci in modo affatto rispettoso della differenza di genere, sta solo a noi scegliere, tanto più che, come dice "China", l'uso della lingua non è qualcosa di immutabile, ma anzi è destinato comunque a cambiare nel tempo. Un po' meno l'italiano dell'inglese, ma anche noi non siamo stati fermi.
In molti casi le donne sono definite con il solo nome proprio, anziché con nome e cognome, [questo è un retaggio dei Romani i quali, quando nasceva loro un figlio maschio gli davano il prenome ad esempio Gaio, Quinto, Lucio, Marco e pochissimi altri, seguito dal nome, ovvero quello della Gens di appartenenza (che da noi è il cognome) Iulio, Tullio, Sergio, Mario, Cornelio etc. e infine il "cognomen" che sarebbe da noi il soprannome, come per esempio Cesare (che significava taglio di capelli in un certo modo) Cicerone (che aveva il naso a cece) Enobarbo (che aveva la barba rossa), Silla (che probabilmente voleva dire piccolo ramo) etc. Quindi un romano aristocratico aveva tre nomi Gaius Iulius Kaesar, mentre alla sorella era imposto un nome solo: quello della Gens, per cui la prima sorella di Cesare si sarebbe chiamata Iulia e la seconda Iulia II o Iulilla e via :x ] oppure come "moglie di ... o, in certi luoghi, gli si mette l'articolo davanti: la Carla, la Franca etc. mentre all'uomo non si dice quasi ma il Carlo o il Franco!


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Il lessico secondo Alma Sabatini

Già nell'introduzione, l'autrice mostra la presenza di molte disparità (definite dissimmetrie) nell'uso della lingua, in riferimento a uomini e donne, sia di tipo semantico (significato delle parole) che grammaticale. Le prime riguardano l'uso di aggettivi come deboli, fragili, sentimentali, che rimandano a immagini stereotipate di inadeguatezza e incapacità, come, per es. le donne sono per natura romantiche, sognatrici: oppure il riferimento all'aspetto fisico, anche quando ciò non è pertinente al discorso, es. cinque belle studentesse che trascorrono il loro tempo libero in ... La presenza di alterati, soprattutto diminutivi e vezzeggiativi, es. mammina, mogliettina, donnina; il tono del discorso talvolta sarcastico con il quale sono descritte certe situazioni a loro legate e infine la donna è spesso definita come moglie di, invece che come soggetto.
Le dissimmetrie grammaticali riguardano il genere maschile come somma dei due sessi, es. i diritti dell'uomo e del cittadino, oltre alla già citata concordanza al maschile quando i generi sono due e, come già scritto per il fiorentini, con l'articolo di fronte al nome, per le persone famose di sesso femminile si ha questo modo di dire: lo sdegno della Thatcher, ma non del Berlusconi ad es. (solo quando agli uomini si dà il soprannome si usa l'articolo, es. del Berluska. :) )


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Alma Sabatini propone delle raccomandazioni per evitare l'uso non sessista della lingua, evitando:
a) il maschile non marcato
b) l'uso dissimmetrico di nomi, cognomi e aggettivi
c) l'uso del genere maschile per titoli professionali e istituzionali, riferiti a donne.

Con il primo si fa riferimento al genere neutro del latino: uomini, colleghi, attori, che è diventato in italiano un ampliamento delle funzioni del genere maschile. Di questo modo ci sono tanti esempi negli apoftegmi/aforismi, ad es. "La grandezza di un "uomo" risiede per noi nel fatto che egli porta il suo destino, come Atlante portava sulle spalle la volta celeste" Milan Kundera.
La forma rimane di genere maschile, anche se la sua funzione è ampliata in senso inclusivo, di conseguenza rimanda prima a esseri maschili e solo in seconda battuta alle donne. Pertanto l'uso del genere maschile con funzione inclusiva finisce per enfatizzare il ruolo degli uomini nella società, il che equivale a una discriminazione sessista! :x Basta mettere specie umana, ad es. al posto di uomini.


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Evitare l'uso dissimmetrico di nomi, cognomi, aggettivi.

Talvolta ci si riferisce alla donna, precedendo il suo nome/cognome addirittura da signorina, il che significa dare informazioni di tipo "fisiologico" sulla persona, diversamente da quanto avviene per i maschi; avete mai sentito chiamare qualcuno: signorino?
Se la donna è citata per cognome, questo è preceduto dall'articolo e, se è insieme a un uomo, si mette lui per primo, es. Brandt e la Thatcher.
Sostantivi e aggettivi rivelano atteggiamento confidenziali, se non paternalistici o peggio (si lascia capire che la donna dipende necessariamente dall'uomo)! Si hanno casi di polarizzazione semantica, in cui la forma maschile e femminile hanno significati molto diversi e lasciamo immaginare quale sia quello più prestigioso: i governanti e le governanti. :D
Infine, per quanto riguarda il nome femminile di professioni nuove per le donne, si suggerisce il paradigma seguente:
i termini -o, -aio/-ario, -iere mutano in -a; avvocata, architetta, primaria, pioniera
-tore diventa -trice, ma ammette anche la variante -tora; ad es. meglio pretora di pretrice, che è quasi uno scioglilingua
-sore -> sora, come assessora
poi, secondo lei, sono da rinnegare le terminazioni in -essa ed è preferibile dottora e professora (ma questa credo sia una battaglia persa in partenza).
In certi casi non si ha adeguamento morfofonetico al femminile, ma solo l'anteposizione dell'articolo: il/la presidente, il/la capostazione.


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Le proposte di Alma Sabatini suscitarono una serie di interrogativi, esitazioni e perplessità, oltre a reazioni sarcastiche che, a quasi trent'anni di distanza, non sono del tutto svanite. Oggi comunque sembra abbastanza diffusa la consapevolezza che la lingua può essere usata con funzione discriminante. Si è discusso a lungo ad es. sull'opportunità di sostituire i diritti dell'uomo, con quelli della persona e l'accordo del participio passato dovrebbe avvenire con il genere maggioritario o con l'ultimo sostantivo della serie, per cui Carla, Maria, Francesco e Gianna sono arrivate stamattina, mentre Carla e Mario sono arrivati. Ma non tutti sono d'accordo e quindi il predominio maschile, per ora, rimane! E la ragione principale è che le nuove norme possono sembrare strane e di solito la persona non troppo colta rifugge da nomi e forme con le quali non ha familiarità, perché ha paura che siano sbagliate.


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Che cosa c'è dentro a un nome?

Per quanto riguarda la loro formazione, non sono tutti uguali: alcuni hanno una "base" di partenza a cui si unisce solo la desinenza, come ragazzo che, al femminile, diventa ragazza, o vigile, che non cambia; altri prendono un suffisso, come pasticc-iere/a. I suffissi possono essere diversi per i due generi, es. lavora-tore/trice. Alcuni nomi hanno un prefisso, come vice-direttore/trice. Forme come vigile, pasticciere e redattore, pur terminando tutti in *e* hanno una struttura interna diversa e da essa dipende il tipo di forma femminile, per es, pasticciere si scompone in pasticc-(base)-ier(suffisso invariato)-e(desinenza) che diventa-a, come femminile.
I nomi formati col prefisso vice-, mutano al femminile, singolare e plurale, ma in alcuni casi possono essere ambigui, per esempio *vicesindaca* può essere sia un uomo che sostituisce (in certi casi) la sindaca, oppure una donna con tale funzione, a prescindere dal genere del primo cittadino.
I nomi composti sono la somma di due parole, ad es. capo della stazione, ovvero capostazione (mentre vice- non è propriamente una parola a sé stante, ma solo un prefisso), caporedattore. In questo caso la regola è semplice: stante che la prima parole è invariabile, la seconda dipende se il soggetto è a capo di qualcosa, tutto resta eguale, mentre se è il capo di qualcuno, allora si cambia e redattore, diventata caporedattrice/i


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Per le forme in -essa, Alma Sabatini è netta: hanno una connotazione spregiativa e ridicolizzante, ereditata dal suffisso greco. Ad es. da coltello viene coltellessa, che dà l'idea di grosso, rozzo. Tuttavia alcuni nomi di professione (professoressa, dottoressa) sono ormai entrati nell'uso e, di conseguenza, è scomparso il connotato di cui sopra. Però a vigile e presidente, l'aggiunta di -essa risulta foneticamente pesante e allora, secondo i linguisti, è preferibile lasciare invariato il sostantivo, diversificando con l'articolo.
La forma *deputata* era già in uso come participio passato, ma fino al 2 giugno del 1946 le donne in Italia non avevano diritto di voto, per cui non era necessario il sostantivo per indicare gli appartenenti a una delle due camere. Alla fine del secolo scorso La Repubblica ha fatto una ricerca sull'uso e deputata prevaleva di gran lunga su deputatessa. Il termine *ministra*, invece, esiste fin da Trecento per designare un incarico importante, mentre ministressa è stato usato solo per indicare, scherzosamente, la moglie del ministro. Da lavoratore è molto meglio la variante femminile lavoratrice, perché lavoratora si sente come molto *popolaresco*. D'altra parte le forme in -trice sono moltissime, quando il maschile termina in -e. Le forme in -ente di solito restano invariate e un caso si è già visto.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Si dice genericamente che l'italiano deriva dal latino ed è vero, ma non sufficiente, perché nei vasti territori dell'Impero non era parlato nello stesso modo, perché la lingua si inseriva sopra quella già parlata dalle popolazioni conquistate. Queste lingue si chiamano *di sostrato* e da esse alcuni fenomeni si sono trasferiti nel latino e poi alle varietà romanze, creando una specie di "koinè" linguistica.
per esempio, le lingue galliche, presenti nell'Italia nord-occidentale, così come nella Francia pre-latina avrebbero determinato fenomeni fonetici, come il passaggio da *a* a *e*, riscontrabili oggi in parolo come *canter* da cantare o la particolare pronuncia di *u* alla francese mür per muro. All'etrusco andrebbe attribuita l'origine della c.d. gorgia toscana, per es. la hasa, mentre pronuce del tipo quannu e gamma, invece di quando e gamba sarebbero un retaggio delle lingue italiche centro-meridionali.
Le invasioni (che sarebbe molto meglio chiamare migrazioni), che segnarono il passaggio dall'antichità al medioevo, determinarono nuovi contatti con lingue di "superstrato", cioè che si sovrapponevano o di "adstrato" (lingue di contatto), si pensi all'influsso arabo in Sicilia e alle lingue germaniche nell'Italia settentrionale. Ad es l'antico strumento per filare la lana era la *conucula* al quale si è sostituito il germanismo *rocca* nel settentrione, mentre nel centro-meridione ha resistito l'antica forma cunòcchia.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto:Per le forme in -essa, Alma Sabatini è netta: hanno una connotazione spregiativa e ridicolizzante, ereditata dal suffisso greco. Ad es. da coltello viene coltellessa, che dà l'idea di grosso, rozzo. Tuttavia alcuni nomi di professione (professoressa, dottoressa) sono ormai entrati nell'uso e, di conseguenza, è scomparso il connotato di cui sopra. Però a vigile e presidente, l'aggiunta di -essa risulta foneticamente pesante e allora, secondo i linguisti, è preferibile lasciare invariato il sostantivo, diversificando con l'articolo.
La forma *deputata* era già in uso come participio passato, ma fino al 2 giugno del 1946 le donne in Italia non avevano diritto di voto, per cui non era necessario il sostantivo per indicare gli appartenenti a una delle due camere. Alla fine del secolo scorso La Repubblica ha fatto una ricerca sull'uso e deputata prevaleva di gran lunga su deputatessa. Il termine *ministra*, invece, esiste fin da Trecento per designare un incarico importante, mentre ministressa è stato usato solo per indicare, scherzosamente, la moglie del ministro. Da lavoratore è molto meglio la variante femminile lavoratrice, perché lavoratora si sente come molto *popolaresco*. D'altra parte le forme in -trice sono moltissime, quando il maschile termina in -e. Le forme in -ente di solito restano invariate e un caso si è già visto.
Quello che davvero non si può digerire è quando si fa un femminile in "a" laddove vi sia un maschile in "e" (derivante dalla terza declinazione latina).
Assessora come femminile di assessore è inascoltabile.
Penso che per tutti i nomi maschili derivanti dalla terza declinazione del latino il femminile vada creato semplicemente utilizzando l'articolo del femminile.
Laddove i nomi inizino per vocale il nome proprio della persona determina il genere.


Von Rock ? Nein, danke.
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Parole in gara

È interessante il caso di vedere (lat. videre) al quale si affianca il germanismo *guardare* (da wardom), mentre in Sicilia l'arabismo *taliari*. Gli esiti sono stati diversi, perché, mentre l'ultimo è rimasto dialettale, il secondo è diventato sinonimo di vedere.
Interessante è anche la dicotomia testa/capo. La prima in latino significava *coccio* e corazza (della tartaruga) e infatti si usa spesso testa dura o peggio! Nella lingua popolare testa cominciò a sostituire *caput* in certe aree geografiche, dove l'italiano è meno raffinato. :diavoletto:
Nel XIII secolo ebbe inizio in Sicilia, alla corte di Federico II, una vicenda politico culturale che è stata denominata Scuola poetica siciliana e alla quale anche Dante si riferirà. Il sommo poeta ha una visione chiara della presenza dei volgari in Italia, tanto che ne individua ben quattordici, cogliendone quelli che, a suo parere, sono pregi e difetti e, quando si trattò di stabilire quale di questi potesse assumere un ruolo dominante, espresse l'idea che si dovesse addivenire alla confluenza di alcuni di essi. Ma quando, pian piano, il toscano di base fiorentina, finì con l'affermarsi come la componente fondamentale della lingua italiana, tutti gli altri retrocessero di fatto alla condizione di *dialetti*.
Però solo dopo la seconda guerra mondiale si registra un rapido declino di questi modi di parlare, relegati ai rapporti interfamigliari, più dagli anziani che dai giovani e maggiore nei piccoli centri rispetto alle città.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Il termine dialetto deriva dal greco e significava conversazione e poi lingua di un determinato popolo. Fu usato nel significato attuale nel 1724 da Anton Maria Salvini, il quale scrisse: "Il dialetto toscano appreso, ricevuto, abbracciato, vi fa cittadini d'Italia".
Al di là di tali reminiscenze, non è facile definire il significato e sul grande dizionario diretto da Tullio De Mauro troviamo: "Sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in ambito socialmente e culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante e non utilizzato in ambito ufficiale o tecnico-scientifico".
Se si segue questa definizione si può rispondere in maniera ironica alla seguente domanda: il catalano è una lingua o un dialetto? Dipende se ottengono o no l'indipendenza (mentre ci siamo, possiamo osservare l'inconsistenza logica di chi, per fare il ... avrebbe detto *se l'ottengono o meno*, perché una certa minor indipendenza (rispetto al contesto statale) i catalani ce l'ànno già) :crazy:
Ma, ritornando in argomento, si deve dire che non esiste un criterio *qualitativo* per distinguere lingua e dialetto, c'è solo da osservare che di solito i dialetti non hanno delle regole precise scritte dai grammatici e dalle grammatiche, manca cioè di norme prescrittive formali esterne e quindi per il dialetto è impossibile usare i concetti giusto/sbagliato, corretto/scorretto.


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Fra tutti i dialetti esistenti in Italia, se ne possono raggruppare alcuni e il primo (quello settentrionale) ha il confine nella linea La Spezia - Rimini. Le caratteristiche principali sono:
a) sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche, come cavei, da capelli, ava da ape, fradel, cadena, amigo, urtiga, lago.
b) le c.d. vocali turbate lüna, lüm, mür, fök, cör.
c) la scomparsa di vocali non accentate nel corpo della parola: tlèr (telaio) dné (denaro).
d) il passaggio di a accentata a *e* : parlè, cantè, sèl.
e) la tendenza alla *degeminazione consonantica (come il francese e credo anche il portoghese): galina, spala, madona, gato.
f) la pronuncia ciave o gianda.
g) l'uso di mi e ti come soggetti: mi go dito (io ho detto).


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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La linea Roma-Ancona costituisce invece il limite a settentrione dei dialetti centro-meridionali i quali sono caratterizzati:
a) il passaggio del nesso consonantico *nd* a *nn* es. quanno, monno (invece di mondo) e *mb* a *mm*, gamma o iamma (per gamba) e palummu per palombo.
b) collocazione dell'aggettivo possessivo dopo il nome, figliomo, matrima, soreta.
c) presenza di tipi lessicali differenti: frate, invece di tratello, femmina (donna) e tenere per avere.
Questi ultimi esempi suggeriscono (a chi vuole) di approfondire il concetto di *onomasiologia* che è la descrizione di parole diverse nei rispettivi dialetti per esprimere lo steso (o quasi) concetto. es. orbo, borgnu, cacatu, zurpu per cieco.
Compiti per casa: quali sono i termini dialettali per indicare: culla, fabbro, macellaio, grembiule, lavorare?


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Qualcuno confonde i dialetti con le "minoranze linguistiche", che invece sono tutt'altra cosa. Le lingue minoritarie sono quelle parlate da comunità allo-glotte (dal greco, che significa altra-lingua) presenti nel territorio italiano. L'Italia è uno degli Stati europei con il maggior numero di minoranze linguistiche, anche se il totale dei parlanti non raggiunge il 5% della popolazione complessiva. Ciò premesso risulta poco coerente includere le varietà sarde e friulane fra le lingue minoritarie. (Se invece si partisse dall'assioma che i dialetti non sono altro che lingue minoritarie, ovviamente il discorso cambia e 2+2 può anche dare un risultato diverso da 4). :D
Possiamo fare un piccolo schema riassuntivo:
Minoranze neolatine

a) franco-provenzali: valli piemontesi intorno a Torino, valle d'Aosta e, in provincia di Foggia i comuni Faeto e Celle San Vito
b) occitane: piemonte occidentale e val di Susa, provincia di Cosenza, nel comune di Guardia Piemontese
c) francesi: Val d'Aosta, alta val di Susa e nelle valli Valdesi
d) friulane
e) gallo-italiche: in varie località della Sicilia (sembra in parte, anche nei comuni di Segesta e Calatafimi :diavoletto: ), ma soprattutto Nicosia, Piazza Armerina, Novara di Sicilia e nella Basilicata, Picerno e Tito
f) liguri: a Carloforte e Calasetta e, in provincia di Cagliari un ligure particolare, che si chiama tabarchino
g) catalane: ad Alghero e in provincia di Sassari
Minoranze non neolatine
a) allemanniche o walser: alcuni comuni in provincia di Verbania e Vercelli e tre in val d'Aosta
b) sudtirolesi: non c'è bisogno di dire dove
c) pustero-carinziane: a Sappada e, in Friuli, a Sauris e Timau
d) slovene: lungo il confine con lo Stato di Ilicic
e) croate: nei tre comuni molisani di Acquaviva Collecroce, San Felice del Molise e Montemitro
f) albanesi: in numerosi centri siciliani (fra cui Segesta e Calatafimi :D ) ed altri del meridione
g) greche: in una dozzina di comuni in provincia di Lecce e Reggio Calabria


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lemond ha scritto:Qualcuno confonde i dialetti con le "minoranze linguistiche", che invece sono tutt'altra cosa. Le lingue minoritarie sono quelle parlate da comunità allo-glotte (dal greco, che significa altra-lingua) presenti nel territorio italiano. L'Italia è uno degli Stati europei con il maggior numero di minoranze linguistiche, anche se il totale dei parlanti non raggiunge il 5% della popolazione complessiva. Ciò premesso risulta poco coerente includere le varietà sarde e friulane fra le lingue minoritarie. (Se invece si partisse dall'assioma che i dialetti non sono altro che lingue minoritarie, ovviamente il discorso cambia e 2+2 può anche dare un risultato diverso da 4). :D
Possiamo fare un piccolo schema riassuntivo:
Minoranze neolatine

a) franco-provenzali: valli piemontesi intorno a Torino, valle d'Aosta e, in provincia di Foggia i comuni Faeto e Celle San Vito
b) occitane: piemonte occidentale e val di Susa, provincia di Cosenza, nel comune di Guardia Piemontese
c) francesi: Val d'Aosta, alta val di Susa e nelle valli Valdesi
d) friulane
e) gallo-italiche: in varie località della Sicilia (sembra in parte, anche nei comuni di Segesta e Calatafimi :diavoletto: ), ma soprattutto Nicosia, Piazza Armerina, Novara di Sicilia e nella Basilicata, Picerno e Tito
f) liguri: a Carloforte e Calasetta e, in provincia di Cagliari un ligure particolare, che si chiama tabarchino
g) catalane: ad Alghero e in provincia di Sassari
Minoranze non neolatine
a) allemanniche o walser: alcuni comuni in provincia di Verbania e Vercelli e tre in val d'Aosta
b) sudtirolesi: non c'è bisogno di dire dove
c) pustero-carinziane: a Sappada e, in Friuli, a Sauris e Timau
d) slovene: lungo il confine con lo Stato di Ilicic
e) croate: nei tre comuni molisani di Acquaviva Collecroce, San Felice del Molise e Montemitro
f) albanesi: in numerosi centri siciliani (fra cui Segesta e Calatafimi :D ) ed altri del meridione
g) greche: in una dozzina di comuni in provincia di Lecce e Reggio Calabria
Tra i Comuni sardi in cui si parla il ligure mi pare debba essere aggiunto Stintino, di fronte all'Asinara.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Poi, mi sembra, tra le minoranze linguistiche non neolatine vi siano le parlate dei cimbri (anch'essa parlata allemanica) nei territori dell'altopiano di Folgaria, di Asiago e dei Monti Lessini.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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nino58 ha scritto:Poi, mi sembra, tra le minoranze linguistiche non neolatine vi siano le parlate dei cimbri (anch'essa parlata allemanica) nei territori dell'altopiano di Folgaria, di Asiago e dei Monti Lessini.
:clap:


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i barbieri il lunedì :bll:

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Tempo fa il risotto era solo lombardo, ma poi ... la lingua italiana ha accettato innumerevoli "prestiti interni", vediamone alcuni:
dal Piemonte: cicchetto, fonduta, grissino
dalla Liguria: abbaino, lavagna, mugugno
dalla Lombardia: barbone, risotto (appunto), panettone, pirla (però non so se questa parola la conoscono in molti?)
da Venezia: giocattoli, lido, gondola
dall'Emilia: birichino,sballottare, tortellini
da Roma: cocciuto, burino, caciara, pischello
da Napoli: pizza, iettatura, scugnizzo
dalla Sicilia: intrallazzo, omertà, cosca, cannolo
E da le altre regioni/città, chi le conosce le dica. :cincin:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto:Tempo fa il risotto era solo lombardo, ma poi ... la lingua italiana ha accettato innumerevoli "prestiti interni", vediamone alcuni:
dal Piemonte: cicchetto, fonduta, grissino
dalla Liguria: abbaino, lavagna, mugugno
dalla Lombardia: barbone, risotto (appunto), panettone, pirla (però non so se questa parola la conoscono in molti?)
da Venezia: giocattoli, lido, gondola
dall'Emilia: birichino,sballottare, tortellini
da Roma: cocciuto, burino, caciara, pischello
da Napoli: pizza, iettatura, scugnizzo
dalla Sicilia: intrallazzo, omertà, cosca, cannolo
E da le altre regioni/città, chi le conosce le dica. :cincin:
Pirla (però non so se questa parola la conoscono in molti?) : si sconsiglia la verifica sul campo.
da Roma: cocciuto, burino, caciara, pischello; ma pure "sticazzi". :angelo:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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nino58 ha scritto: Pirla (però non so se questa parola la conoscono in molti?) : si sconsiglia la verifica sul campo.
da Roma: cocciuto, burino, caciara, pischello; ma pure "sticazzi". :angelo:
:D


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: dall'Emilia: ... tortellini

Spunto per un simpatico aneddoto.

Parma, anni'90

Un amico si dilettava a cantare in un gruppo, i Ciois (o qualcosa del genere); tale band aveva una certa notorietà locale, sagre di paese, feste universitarie, robe così.
Avevano un discreto seguito di groupies, per lo più compagne di facoltà.
Al termine di un concerto, una di quelle procaci ragazzotte viene invitata sul palco.

Ciao.... da dove vieni?
Son di Boloogna...
Ah...Bologna.. città famosa per due cose... i pom***i e i tortellini....
...mo cosa sono i tortelini...???

:lol: :lol: :lol:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto:
nino58 ha scritto:Poi, mi sembra, tra le minoranze linguistiche non neolatine vi siano le parlate dei cimbri (anch'essa parlata allemanica) nei territori dell'altopiano di Folgaria, di Asiago e dei Monti Lessini.
:clap:
Tra le neolatine invece non stiamo dimenticando il ladino? :dubbio: (val Badia e Marebbe, val Gardena, val di Non, Cadore)

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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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nemecsek. ha scritto: Ciao.... da dove vieni?
Son di Boloogna...
Ah...Bologna.. città famosa per due cose... i pom***i e i tortellini....
...mo cosa sono i tortelini...???
Ricordo un Bologna-Lazio di svariati anni fa dove gli ultras biancocelesti esposero uno striscione recitante "Tutta l'Italia ormai lo sa/ Tortellini e bocchini le vostre specialità": striscione che voleva essere offensivo ma risultò invece estremamente gratificante, come facilmente intuibile.
nino58 ha scritto:Poi, mi sembra, tra le minoranze linguistiche non neolatine vi siano le parlate dei cimbri (anch'essa parlata allemanica) nei territori dell'altopiano di Folgaria, di Asiago e dei Monti Lessini.
Dalle nostre parti, sempre di origine tedesca, c'è anche il (per me bruttissimo) mocheno (o bernstoler, per dirlo in mocheno), parlato per l'appunto in Val dei Mocheni, laterale della Valsugana poco lontana da Trento.
lemond ha scritto: dalla Lombardia: [..] pirla (però non so se questa parola la conoscono in molti?)
Pirla è ormai diffuso da Nord a Sud (anzi, direi che è quasi "l'insulto del Nord" per eccellenza): mi sento di dire che Aldo, Giovanni e Giacomo hanno sicuramente dato un grosso contributo nel renderlo popolare tra gli Under 35. Con la sua consueta cura per i dettagli, l'usò finanche Mourinho nella sua prima conferenza stampa italiana (http://www.fcinter1908.it/in-evidenza/m ... apevo-che/).


http://www.spazidisimpatia.wordpress.com
Spazi di simpatia, nel nome dell'amore che regna nella nostra splendida Terra
Un blog consigliato da Basso, quello giusto.

Aderii alla campagna di garbata moral suasion per cacciare Di Rocco. E infatti...
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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nemecsek. ha scritto:
lemond ha scritto: dall'Emilia: ... tortellini

Spunto per un simpatico aneddoto.

Parma, anni'90

Un amico si dilettava a cantare in un gruppo, i Ciois (o qualcosa del genere); tale band aveva una certa notorietà locale, sagre di paese, feste universitarie, robe così.
Avevano un discreto seguito di groupies, per lo più compagne di facoltà.
Al termine di un concerto, una di quelle procaci ragazzotte viene invitata sul palco.

Ciao.... da dove vieni?
Son di Boloogna...
Ah...Bologna.. città famosa per due cose... i pom***i e i tortellini....
...mo cosa sono i tortelini...???

:lol: :lol: :lol:
:crazy: :D :diavoletto:


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Bitossi ha scritto:
lemond ha scritto:
nino58 ha scritto:Poi, mi sembra, tra le minoranze linguistiche non neolatine vi siano le parlate dei cimbri (anch'essa parlata allemanica) nei territori dell'altopiano di Folgaria, di Asiago e dei Monti Lessini.
:clap:
Tra le neolatine invece non stiamo dimenticando il ladino? :dubbio: (val Badia e Marebbe, val Gardena, val di Non, Cadore)

Solo parente del friulano, in quanto lingua retoromanza, come il romancio svizzero. ;)
Già, dimenticanza molto grave, perché è una, mi pare, delle quattro lingue ufficiali in Svizzera.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Deadnature ha scritto: Pirla è ormai diffuso da Nord a Sud (anzi, direi che è quasi "l'insulto del Nord" per eccellenza): mi sento di dire che Aldo, Giovanni e Giacomo hanno sicuramente dato un grosso contributo nel renderlo popolare tra gli Under 35. Con la sua consueta cura per i dettagli, l'usò finanche Mourinho nella sua prima conferenza stampa italiana (http://www.fcinter1908.it/in-evidenza/m ... apevo-che/).
Io lo sentii la prima volta che andai a Milano a vedere il derby (1° ottobre 1961) e fu per me una brutta parola. :grr:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Ragazzi in cerca di identità

Un caso particolare di dialetto è il giovanilese, un gergo che sta a metà fra lo stesso e l'inglese. Per quanto riguarda il primo ritroviamo forme come *sgamare* (sorprendere), *arrapare* (eccitare sessualmente), che provengono dal romanesco, o romo-meridionali come bono, sfiga, pischello, tosto. Più recenti sono i casi di scialla (tranquillo), di probabile origine genovese e cozza nel senso di ragazza brutta. Per l'inglese c'è solo l'imbarazzo della scelta ... fate voi. :x


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Soprannomi

A me sono sempre piaciuti e ora scopro che sono di importanza "vitale" per conoscere lingua e dialetti. Li potremmo anche chiamare antroponimi popolari e riflettono le condizioni di una società, la sua organizzazione e i suoi modelli culturali. I contesti culturali in cui nascono, di solito, sono dialettali, anche se ciò non ha impedito alla migliore letteratura di assumerli a pieno titolo (si pensi al pirandelliano "Ciàula scopre la luna".
Anche dei soprannomi possiamo fare una ripartizione:
a) prevalenza della motivazione ludica, con riferimento a forme scherzose, irridenti, ingiuriose, o laudative/affettive
b) aspetto funzionale, con riferimento al mestiere, alle caratteristiche fisiche, alla provenienza geografica, ai genitori
Un interessante ricognizione di soprannomi è quella per mestiere, specie quelli comparsi o quasi in Sicilia:
sciccaru per allevatore di asini, nivalaru, venditore di neve, robbavicchiaru, straccivendolo e sagnittaru, venditore di sanguisughe.


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