Lingua italiana, domande e risposte.

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nemecsek.
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Consigli per giovani scrittori di E. Cavazzoni

(il famoso scrittore di Torino fondatore dell' altrettanto famosa scuola di scrittura per fighe secche ce può spicciare casa, zio prete!!!)




Se dovessi dare dei consigli ad uno a cui viene voglia di scrivere, gli direi: parti dalle interiezioni, che forse sono la parte più negletta della lingua scritta: ah, ahimè, porco cane eccetera, sono la parte più trascurata e invisa alla scuola. Gli direi: parti da un bel “oh perbacco”, da cui poi ne consegue qualcosa; non ogni persona dice “oh perbacco”, e lo si dice in situazioni particolari, con addosso una carica di sorpresa e anche di perbenismo, per cui c’è già tutto un abbozzo di personalità del personaggio parlante, che se avesse detto invece “vacca d’un cane”, io lo avrei già classificato come un rozzo e un banale, con tutto quello che ne consegue, anche un po’ di schifo per una tale greve personalità. Preferisco in genere i tipi che dicono perbacco.
In ogni caso si ha non solo un abbozzo di personalità, ma è già partita una storia, perché dal perbacco (o dall’accipicchia, o da per la madosca ecc.) si è già avviata una situazione e un movimento: “Per la madosca”, disse Carlo…, e siamo già nel corso dei fatti, ma non come quei romanzieri che iniziano già in piena vicenda perché lo considerano più spregiudicato e moderno: “Era là, seduto al pianoforte…” (me lo sono inventato questo inizio, perché non avevo voglia d’alzarmi a cercare una citazione; dopo quando mi alzo la vado a cercare). “Era là seduto al pianoforte…”, e mi viene da dire: ma chi è questo lui? Non può uno che scrive precisare fin da subito di chi sta parlando? con nome, cognome, residenza ecc., e mi viene già l’impazienza e l’insofferenza. Adesso mi sono alzato e ho preso un libro che inizia così: “Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva”. Ma chi? dico io. E dov’è che succedeva? E poi quel sempre: ma sempre rispetto a cosa? È un inizio che già mi mette il nervoso, si capisce che è stato ben pensato perché sembri qualcosa di improvvisato, come una visione che appare in mente; invece è evidente che l’autore c’è stato molto a pensare, poi si è detto: entro subito a storia avanzata che ci faccio bella figura. E non capisce, l’autore, che uno di sentimenti normali chiude il libro e ci rinuncia per sempre a proseguire (“guarda qua cosa sono andato a comprare” pensa), perché un inizio così gli ha già guastato il pomeriggio, e infatti la prova è che anche a me adesso mi ha preso un malanimo. “Succedeva sempre che alzava la testa… e la vedeva”. Si noti che dopo che alzava la testa ci son tre puntini, “…e la vedeva”, e questa dev’essere una sottigliezza, che però ormai mi ha reso insopportabile anche solo stare in casa a leggere, e se fossi un depravato cocainomane e pedofilo, adesso andrei a buttarmi nella dissolutezza del vizio, magari ai giardini pubblici a insidiare una babysitter con la bambina. “Alzava la testa (tre puntini), e la vedeva”. Ma chi vedeva? per la miseria! Che qui capisco che è una prosa raffinatissima, con quei tre puntini di sospensione e questo “la” di “la vedeva”, che dovrebbe essere una visione, ancora sfumata, in modo che uno dica: quale intensità! questa sembra la Divina Commedia! No, forse un lettore ben disposto dice: che pulizia di parole! sembra ci sia passata una scopa: “Succedeva sempre, che alzava la testa… e la vedeva”, sembra ci sia passato anche l’olio per mobili, questo lo dico io, perché se invece incominciasse con: “Per la madosca, disse il tal dei tali, residente nel tal posto, vedendo la tal dei tali, nome e cognome, titolo di studio eventualmente, se ha malattie, ad esempio epiteliosi squamosa, perché quel per la madosca può essere nato dall’aver visto l’epiteliosi disseminata in zone come le ascelle o la piega tra braccio e avambraccio. Lo dico perché per la madosca implica già tutto uno stupore interpersonale, e così via.
Quindi, riassumendo, consiglio di iniziare dalle imprecazioni, o comunque dalle interiezioni: “mamma mia!” ad esempio; sentite che vita? Poi uno magari continua, e l’interiezione (quando rilegge) la cancella; può farlo, se gli sembra inutile, però intanto il discorso si è avviato ed è già come ci fosse una certa mentalità che parla, perché nelle interiezioni c’è molta più anima, sono come l’acido deossiribonucleico che costituisce il programma genetico; le idee vengono dopo, anzi le idee le si scopre alla fine, quando si è scritto tutto, le idee sono delle conseguenze. Invece a scuola e in tutta la millenaria retorica, prima c’eran le idee da trovare (l’inventio), poi il piano generale dell’opera e dei discorsi (la dispositio) e poi la messa in parole (elocutio), dove cioè avendo già tutto chiaro uno iniziava a scrivere; ma il più delle volte a questo punto la voglia gli era passata, e quindi la storia della letteratura era fatta di abbandoni, tante idee ben pensate e tutte già ben ordinate, e poi l’abbandono, a uno gli prendeva lo scoramento, o l’ignavia.
Consiglio quindi di prendere le norme retoriche a rovescio, e incominciare dalla fine, dall’elocutio, e all’interno dell’elocutio dalle esclamazioni; anzi l’ultima fase della retorica era l’actio, la recitazione; quando il discorso era tutto scritto uno lo doveva prendere (lo imparava eventualmente a memoria) e poi lo recitava. Io dico che prima di tutto invece viene la recita, non nel senso che uno pronuncia parola per parola, ma nel senso che uno entra in un tono, ad esempio con dei mugugni, inarticolati, non scrivibili, ancora più arcaici delle interiezioni, oppure con dei respiri ad esempio un po’ catarrosi, uno si schiarisce la voce e ha in bocca un cattivo sapore e nella trachea del catarro sedimentato, dopo di che già se gli escono due o tre parole queste sono molto condizionate dalla situazione della bocca, del naso, della gola, delle orecchie, che se per caso uno è anche un po’ sordo per via del catarro che gli è salito alla tromba di Eustachio, come gli ha detto l’otorinolaringoiatra, allora non avrà quella lucidità illuministica, quella elocuzione di prima categoria che raccomandano a scuola. Come ad esempio l’inizio citato: “Succedeva sempre che a un certo punto…”. Qui capite che è una persona sanissima che parla, così sana che è astratta, niente adenoidi, niente leucorrea o labbro pendulo, ma neppure mal di fegato, bile, acidità, e neanche sembra essere uno che è appena stato lasciato dalla morosa e quindi vede nero davanti a sé; questo è uno che a tutti gli esami risulta sano su valori medi; e anche psichiatricamente è un normotipo, sereno, direi laureato, che dorme bene, e fa quei sogni mediocri che implicano un inconscio garbato, che non dà fastidio, e anche un carattere moderatamente gaio, non introverso. Cioè riassumendo: questa è una voce che non ha corpo. “Succedeva sempre che uno a un certo punto alzava la testa… e la vedeva“. Ma che parlare è? io dico. Non c’è un’imperfezione. Dieci! o di più: dieci e lode! Anche un medico gli stringerebbe la mano. Sua mamma è contententissima, perché fa fare bella figura anche a lei; di fronte alle amiche ad esempio, che invece magari hanno un figlio più malriuscito, che sa solo delle interiezioni, magari sa dire “per la madosca” ogni volta che sua madre gli parla. “Giovanni”, dice la madre; “Per la madosca”, dice il figlio. Invece l’altro, quello della citazione, entra in sala dove c’è sua madre, e sono presenti ad esempio anche due o tre sue amiche; guarda verso sua madre, sorride alle signore, una faccia onesta, la bocca lavata, che sa di dentifricio, e lì di punto in bianco dice a tutte: “Succedeva sempre che uno ecc. ecc.”. Che figlio che hai! dicon le altre. E intanto passa per strada la banda degli altri, dei figli riusciti male, che sputano in terra, “per la madosca” si sente dire, hanno già malattie veneree lievi, e in italiano soprattutto son bravi nella bestemmia, e anche quelle però più che dirle… vacca qui… vacca là… zio prete…, le brontolano. Meglio l’altro, direte. Eh, certo, dal punto di vista materno l’altro è un buon investimento, dà soddisfazione; ma dal punto di vista della lingua umana l’altro è come il dizionario delle frasi fatte: “Buongiorno, buonasera, come sta la zia? Non c’è male… sì, sta benino…, oggi non troppo bene… oggi ha una delle sue crisi. Presto la verrò a trovare. Venga che le farà piacere”. La lingua italiana funziona, ma non le si fa nessun onore, nessun brillamento; permane; sterilizzata, decontaminata, tirata a cera. Quindi, riassumo ancora, per aver delle idee ed esporle, consiglio di partire dai propri difetti di fabbricazione e non nasconderli. Su questo l’antica retorica ha sempre un po’ sorvolato. Mentr’invece la cosiddetta letteratura ha i suoi pregi nell’essere sempre un po’ difettosa, guastandosi poi nel ‘900 del tutto. Avevano ragione i nazi-fascisti a parlare di arte degenerata, malata, erano dei bravi critici, se togliamo il fatto che la volevano sopprimere, e così Stalin, che per bocca di Zdanov parlava di degenerazione borghese. Tutto verissimo. Un tempo c’erano la norma, i modelli, la regolamentazione retorica, che indicava l’ideale di sanità; e poi c’era la letteratura concreta che se la cavava per approssimazione, anche se io dico che la letteratura è sempre stata costituzionalmente malata; una cosa era l’ideale, un’altra lo scrivere. Nel ‘900 ci si è liberati dell’ideale, con tutto il suo apparato didattico (che però sopravvive, ed è un bene, nelle classi scolastiche) ed è rimasta solo la malattia, il difetto, che però è la condizione umana, e in ogni caso la condizione umana linguistica, dove ognuno è un caso a se stante, e non c’è cura.


Ermanno Cavazzoni


PIU' MANGANELLI

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lemond
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Oggi ho ascoltato il messaggio di sky sul nuovo abbonamento "intrattenimento plus". Finché è scritto va bene, ma sentirlo pronunciare *plas* fa cascare le braccia, perché secondo loro la formula latina, che indica il punto estremo a cui si può giungere, diventerebbe a voce il "non plas ultra". :crazy: :crazy: :crazy:


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lemond ha scritto: mercoledì 9 ottobre 2019, 13:20 Oggi ho ascoltato il messaggio di sky sul nuovo abbonamento "intrattenimento plus". Finché è scritto va bene, ma sentirlo pronunciare *plas* fa cascare le braccia, perché secondo loro la formula latina, che indica il punto estremo a cui si può giungere, diventerebbe a voce il "non plas ultra". :crazy: :crazy: :crazy:
Sentir inglesizzare il latino è proprio uno spasso. :D


Von Rock ? Nein, danke.
Diritto di correre senza condizioni a chi ha scontato una squalifica !!!
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Totò non lo sapeva, ma sua figlia sì :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Marco Balzano "Le Parole sono importanti"

La domanda è perché l'etimologia, così carica di fascino da destare persino l'attenzione dei più distratti (talvolta), non riceve considerazione né a scuola, né all'università? Alle medie ci insegnano soltanto a scrivere, nemmeno a parlare, perché la più parte degli insegnanti non conosce l'ortofonia e soprattutto non ci dicono mai che le parole hanno un corpo e si possono maneggiare, insomma che senso ha conoscere soltanto il significato statico di una parola, senza invece indagare la storia che essa comunque racconta? Solo in questo secondo modo lo studio dell'italiano, oltre che farci conoscere di più, può diventare un vero e proprio piacere intellettuale (un po' come gli incroci obbligati della settimana enigmistica confronto agli schemi normali). L'etimologia poi non è affatto prerogativa delle materie umanistiche, perché sapere l'origine di chiasmo è utile quanto conoscere quella di algoritmo e di mestolo, perché ogni sapere è fatto di parole e una scuola per tutti deve trasmettere con la stessa cura e passione quelle di ogni disciplina.

Chiasmo incrocio speculare di membri corrispondenti e contigui, specie di un testo
dal latino tardo chiasmus mutuato dal greco khiasmòs ‘arrangiamento a forma di χ’, dal verbo khiàzo ‘faccio una χ’. es. incrocio speculare di membri corrispondenti e contigui, specie di un testo

dal latino tardo chiasmus mutuato dal greco khiasmòs ‘arrangiamento a forma di χ’, dal verbo khiàzo ‘faccio una χ’. Esempio “Più vita ai nostri anni, non più anni alla nostra vita”.

Algoritimo [dal lat. mediev. algorithmus o algorismus, dal nome d’origine, al-Khuwārizmī, del matematico arabo Muḥammad ibn Mūsa del 9° sec. (così chiamato perché nativo di Khwarizm, regione dell’Asia Centrale)]. – 1. Termine che indicò nel medioevo i procedimenti di calcolo numerico fondati sopra l’uso delle cifre arabiche. Nell’uso odierno, anche con riferimento all’uso dei calcolatori, qualunque schema o procedimento matematico di calcolo; più precisamente, un procedimento di calcolo esplicito e descrivibile con un numero finito di regole che conduce al risultato dopo un numero finito di operazioni, cioè di applicazioni delle regole. In partic., a. euclideo, metodo per determinare il massimo comune divisore di due numeri interi a e b, basato su divisioni successive.

Mestolo [der. di mestare]. – 1. Arnese da cucina di legno, metallo, materia plastica, a forma di cucchiaio molto spianato, con manico di varia lunghezza, adoperato per rimestare le vivande nelle casseruole.


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" II

L'etimologia ci spinge a una maggior etica della lingua, immergendoci nella storia delle parole: permette non solo di salvaguardarne la profondità, ma anche di individuare gli usi impropri o addirittura gli errori di cui siamo contornati e spesso vittime. Un esempio fra tutti "media" è il plurale del latino medium (mezzo) e quindi chi lo pronunciasse *midia* dimostrerebbe di essere persona poca erudita e non il contrario, come sembra ai più! :x
La Nostra è una scienza empirica che si basa sulla filologia, la quale studia la corretta ricostruzione di un documento letterario e di una determinata cultura (Leopardi e Nietzsche sono stati due grandi filologi), il che permette allo studioso di non essere lasciato in balìa di significati preconfezionati e di ricostruzioni arbitrarie.
La parola deve in qualche modo essere umanizzata, ma soprattutto storicizzata, il che ci permette di acquisire un parametro di confronto diacronico (nel tempo) e nello spazio, perché si può scoprire con facilità che quasi tutte le lingue, pur lontane fra loro, in realtà camminano insieme. Ad es. *due* in latino si dice duo, così come in greco, in sanscrito dvá, gotico twai, antico irlandese dō. Le parole autoctone sono ben poche e l'etimologia, ricostruendo mappe e viaggi, rivela l'affascinante ampiezza, anche geografica, del cammino.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" III

Cominciamo con le dieci parole che compongono il libro.

Divertente


Aggettivo usato moltissimo, ma anche manipolato assai dai media e troppo sottovalutata dal punto di vista cognitivo. La pubblicità cerca sempre di farci apparire divertente qualsiasi consumo, però al di là dei gusti, dobbiamo notare che indica un interessante atteggiamento mentale.
Divertire deriva dal latino de-verto, con de- in funzione di allontanamento, mentre verto vuol dire io giro, per cui allontanarsi, volgere altrove. In senso figurato indica cambiamento sia di un percorso che della personalità; divorzio ad es. deriva da qui. In altre parole il divertente elabora uno sguardo critico, esplora strade alternative e di solito anticonformista, è insomma un individuo che sa essere di-verso e che ha ingegno per trovare di-versivi. ;)
Non siamo di fronte a un consumatore e nemmeno a un buffone o a un intrattenitore, perché il divertente è portatore di nuove visioni e l'ironia che possiede è altra cosa dalla pura comicità. Per fare un esempio illuminante nella TV (del passato) credo che l'unica persona divertente sia stato Renzo Arbore, perché nelle trasmissioni si trovavano personaggi spiazzanti e dissacranti.
Il divertimento è anche leggerezza: allevia e rincuora, cosa che gli conferisce anche una funzione sociale, come per esempio i volontari in ospedale, che lavorano con pazienti a lunga degenza. Il loro scopo è far volgere altrove lo sguardo di chi sta male, distrarli cioè da una realtà fatta di angoscia e pena.
Il divertimento è strettamente legato alla dis-trazione (tirare altrove), anche se l'accezione che diamo noi al distratto è solo negativa! Mentre chi si sa distrarre riesce a "staccare la spina" ed è in grado di riconoscere i limiti di un pensiero che può diventare sclerotico. (tipico esempio, quello religioso)
Molto diverse dal divertimento, per etimologia, sono la simpatia e l'allegria. La prima è quasi il contrario, perché altro non è che la capacità di creare affinità con l'altro, dal greco συμπάϑεια, comp. di σύν «con» e πάϑος «affezione, sentimento. Quando qualcuno la prova nei nostri confronti ci sentiamo compresi e migliori. ;)
La seconda deriva dal latino alacritas, una parola piena di dinamismo e vivacità, insomma un po' il contrario della tristezza che di solito ci obbliga a restare fermi e non aver voglia di fare.
Il divertimento invece è un'operazione intellettuale, non del sentimento, ma soprattutto ha alla base la distrazione dalla monotonia e quindi giocare per ore con il telefonino non può essere divertente, al limite sarà uno svago. :D
P.S. Dobbiamo stare attenti a non intendere questa parola come strumento di annullamento per fuggire il "mal di vivere" e raggiungere "paradisi artificiali!" :hammer:


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" IV

Confine


L'idea corrente è quella di limite, mutuata dalla destra politica che la intende come una barriera invalicabile! Ma costoro si sbagliano con "limes" che indica il sentiero che separa due terreni, così come il greco "horos" , anche se quest'ultima è piena di altri significati, ad es. designa la differenza fra mortali e divini.
Il Limes (scritto con la maiuscola) separava il mondo romano da quello dei barbari germanici e rappresentava dunque un luogo di difesa da una minaccia, ovvero lo spazio dove poli opposti si scontravano.
Molto diverso dal Limes è il limen, che indica soglia, inizio di un percorso, ingresso e quindi quasi opposto all'altro, perché il sinonimo più vicino è principio, mentre l'altro assomiglia a termine.
L'infinito di Leopardi non sarebbe possibile senza quella siepe, vale a dire il limen che ci permette di intraprendere un'esperienza poetica, perché chiede di essere oltrepassata, il suo velare in realtà è un rivelare. :) Tutto l'opposto del LImes, che è arroccamento sulle posizioni. :x
Il confine ha una radice diversa "cum-finis" e se cum è semplice da decifrare, "finis" è un vocabolo molto antico e non è semplice afferrarne il significato primigenio, anche se possiamo dire che ha inciso profondamente sui concetti di identità e unità della cultura romana. In prima approssimazione possiamo pensare che sia il termine dove qualcuno si incontra e dove ci si può guardare negli occhi per stabilire se farne esperienza più da vicino, superando la soglia, oppure rimanere fermi sui pregiudizi, facendosi cioè bastare una conoscenza statica e "a priori". Nel confine ci si guarda e ci si tocca, perché come ci ha insegnato Alessandro Leogrande la frontiera è sempre un varco che si apre. Sia chiaro che il confine non disconosce identità e alterità, però non le considera limitanti: nega il muro, non la soglia.
A proposito di identità, dobbiamo specificare che non è più, come riteneva Aristotele, un'appartenenza ontologica, ma qualcosa che l'uomo moderno crea e costruisce ogni giorno. Il confine ci serve, come racconta Esiodo a separare il cielo dal mare, gli dèi dagli uomini, la morte dalla vita, ma non dobbiamo mai dimenticare che in esso c'è il *cum*. :clap:


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" V

Felicità

Sembra una parola di cristallo, perché si ha paura di romperla appena si sfiora. ;) È poi molto difficile discuterne, perché chi sa dove si trova, chi può dirlo (al di là dei soliti religiosi, mendaci per professione!) ?
Cerchiamo appiglio in qualche elemento della storia delle idee, per poi arrivare a presentare il senso etimologico, che purtroppo è stato schiacciato da continue nuove accezioni.
Antonio Garin ha mostrato come l’epoca moderna si divida in due stagioni: la prima civile e la seconda individualista ed è da quest’ultima che possiamo far derivare un concetto di appagamento personale, a prescindere dal bene pubblico, che per i greci, ad es, era invece primordiale.
Il passaggio successivo sarà pensare a questo termine in modi estranei anche alla morale, agganciandolo alla sodisfazione personale del desiderio, che non va più platonicamente educato, ma liberato.
Con l’avvento della società del benessere la situazione si complica, perché l’idea di felicità si lega al possesso della merce e per chiunque diventa più difficile conoscere ciò a cui aspira, invece di quello che gli propina la pubblicità!
Ma tutto questo non ha proprio nulla a che vedere con l’origine della parola: l’aggettivo felix ha la stessa radice di fecundus ed è riferito alla capacità di generare, per i romani infatti Felicitas era una dea che portava frutti e sulle monete è raffigurata con una cornucopia.
La radice etimologica va ricercata in fela (mammella) da cui il verbo “felo” (succhio il seno) e il sostantivo “fellatio” (in cui cambia l’oggetto ;) ) e quindi se dovessimo scegliere una sola immagine per restituire il senso primario dovremmo prendere una donna che allatta.
La felicità è donna e madre e infatti femina ha la stessa radice di fecundus, feto e forse anche figlio.
Sembra ormai che questo senso primigenio si sia perso e viene il sospetto che ci sia di mezzo la cultura maschilista che trasforma in merce quello che invece è solo il nutrimento della vita altrui. :x


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" VI

Social


Dall'agorà alla piattaforma internet cambiano molte cose e una di queste è il linguaggio; per esempio occorre conoscere alcuni vocaboli e i quattro principali sono; amicizia, social, condividere e consultare. Prima della "piazza virtuale" ci si faceva degli amici e il concetto di fare, fabbricare, costruire è talmente legato all'altro che, quando un legame finisce, diciamo che si rompe, si distrugge.
I social hanno preso la parola *amicizia* e l'ànno recisa dal fare, infatti essa sul web si dà e non si costruisce, ma si richiede e, a parte la superiorità di chi dà, occorre sottolineare che se non c'è costruzione, non esiste neppure conoscenza dell'altro/a.
La stessa parola "social" del resto richiama riflessioni analoghe, perché deriva dal latino socius, che è colui che accompagna, che cammina insieme, stando al nostro passo. Ma di questo procedere insieme nel "social" non c'è traccia, perché lì siamo quasi sempre da soli: siamo noi che lanciamo messaggi e attendiamo di vedere quanti li approveranno!


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" VII

Social II

La condivisione non riguarda solo i social, ma moltissime attività che si possono fare in rete e rappresenta forse l'apice dello sbandamento rispetto al significato originario. Cum dividere significa (è ovvio) dividere con qualcuno, per cui dobbiamo privarci di qualcosa, per offrirlo. Il compagno (cum-panem) è appunto uno che condivide, perché si toglie il pane di bocca. Invece condividere un "file", un immagine, un testo è proprio il contrario: invece di dividere, moltiplichiamo. ;) Certo, non c'è niente di male, ma va solo rammentato che il significato è affatto cambiato e in questo caso non c'è nessuna azione virtuosa, ma vogliamo solo usare qualcosa a scopo personale.
Per condividere non abbiamo bisogno di nessuno e nemmeno di chiedere il permesso ai destinatari, per cui tanto il cum quanto il dividere sono assolutamente falsi. (Dobbiamo saperlo) ;)


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Maurizio Bettini: etimologia e memoria romana e greca


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" VIII

Memoria

Forse la necessità di chiarire parole come passato, memoria, ricordo è rivolta "in primis" a me stesso e al mestiere di scrittore, ma procediamo.
Passato, dal latino passus inteso come misura di lunghezza e quindi usiamo una metafora per indicare chi avanza sulla linea del tempo e il passato ci dice ciò che ci siamo lasciati alle spalle. Ma per estrapolare da quell'inesauribile (o quasi) contenitore che è il passato quel che ci interessa, abbiamo bisogno di attivare la memoria e questa locuzione è importante, perché nel verbo memini (e nel suo corrispondente greco) c'è il progetto, l'intenzione, la costruzione, insomma molte attività del pensiero. Siamo di fronte a un atto intellettuale, che implica capacità di selezione e infatti le Muse del mito greco sono le figlie della dea Mnemosyne (Memoria). E la memoria sancisce anche la dimensione pubblica: salviamo in genere ciò che per la ricchezza di senso non sarebbe giusto dimenticare (per dirla con Bergson, ciò che desta la nostra attenzione alla vita).
Se dovessimo trasformare passato e memoria in tempi verbali, il primo sarebbe il latino perfecutm, il tempo concluso, finito, ormai distaccato dal presente, mentre la memoria rappresenta il passato prossimo, con tutte le connessioni attuali. Il contrario della memoria è il dimenticare e infatti chi dimentica tutto è il de-mente! :x
I romani avevano istituito appunto per certi casi La "damnatio memoriae". (Nota mia, cerco di farla "versus" due allenatori di calcio).


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" IX

Ricordo


È molto diverso dalla memoria, con quel re- che designa un movimento all'indietro e cor, il cuore dei romani, che per gli stessi indicava il luogo dell'intelligenza, mentre poi (in epoca cristiana) è passato a significare la bontà. L'ambito quindi non è più razionale, ma emotivo e sentimentale, in più i ricordi sono spesso soggettivi, mentre la memoria è generalmente collettiva. Il ricordo non è uno sforzo della mente, esso ri-emerge all'improvviso, senza nemmeno volerlo. Talvolta, questa sorpresa può provocare la nostalgia, ovvero, per etimo, il dolore per la voglia di tornare a casa (Itaca etc.). Secondo Proust addirittura il ricordo ha maggio forza della memoria (ma per altri è il contrario) e può aprirci mondi che avevamo rimossi. È da ri-cordo che nascono il rim-pianto e il ri-morso.
In definitiva comunque va detto che, memoria o ricordo, noi siamo quello che rimembriamo, ciò che sappiamo recuperare dal passato; solo così possiamo mutare il presente e noi stessi. :)
Nell'epoca di internet la memoria è diventata esterna e come la scrittura, contro cui Platone si scaglia perché impoverisce l'uomo, anche l'elettronica può farci correre questo rischio, se non stiamo attenti a mantenere una capacità di sintesi, una sorta di memoria fragile, ma legata a noi, la sola che può salvaguardare il pensiero. ;)


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Grazie Carlo per i tuoi estratti dal libro.


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nemecsek. ha scritto: lunedì 3 febbraio 2020, 0:22 Grazie Carlo per i tuoi estratti dal libro.
È un piacere, oltre che un modo di imparare (l'etimologia è ciò che amo di più ;) )

Marco Balzano "Le Parole sono importanti" X


Scuola

Di essa ne parlano tutti, perché ognuno ne ha esperienza, però la politica italiana da un quarto di secolo sostiene che "in primis" si deve tendere all'inserimento professionale dei giovani.
Ma se andiamo alle origini, vediamo che in greco (σχολή) vuol dire vacanza, riposo, tempo libero (ovviamente dal lavoro). ;) Nell'antica Roma le cose funzionavano allo stesso modo: schola è associata in termini espliciti all'educazione, come cioè il portar fuori (ex-ducere) da una posizione inferiore. Schola è anche associata al ludus e il maestro ad es. è chiamato anche ludi magister, perché in quel luogo si impara, ma ci si diverte. ;)
Per gli antichi il lavoro era quasi il contrario dell'educazione, e i latini contrapponevano appunto l'otium al nec-otium (ovvero l'italiano negozio) e se ci si concede il primo ecco che si può arrivare la paideia, un'educazione totale che conduce al raggiungimento dell'aretè, la virtù.
La visione imprenditoriale odierna è quanto di più lontano possiamo immaginarci dalla scholè e dalla schola. :D Come d'altra parte è finita la vacanza, se non come vuoto prendere il sole, così come il tempo libero non è più otium ma pigrizia!


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" XI

Contento

Vorrei provare a raccontare la parola servendomi solo di Leopardi. Nello Zibaldone si trova spesso la domanda che sta alla base di tutta la sua speculazione: perché l'uomo è infelice? Egli è ben conscio del significato di felicità:" ... non altro che la contentezza del proprio essere, amore perfetto del proprio stato, qualunque esso sia, anche il più spregevole".
In questo modo di pensare era stato anticipato da Agostino di Ippona che vedeva in un mendico ubriaco l'epitome di un tale stato, al quale lui e i suoi correligionari non sarebbero mai arrivati! :D
Per Leopardi il piacere è una condizione appagante "in toto", variabile da persona a persona, ma sempre irrealizzabile, perché il desiderio di uno stato ancora migliore è continuo. :x
Dobbiamo aprire una parentesi e guardare all'etimo di *desiderio*; de- indica mancanza e sidus è la stella, anzi sarebbe una costellazione, più che un singolo astro. Siamo di fronte a un termine augurale/astrologico, perché per gli stupidi di oggi e per quasi tutti gli antichi le stelle erano capaci di influenzare il destino. :crazy:
Dunque il desiderio è la mancanza della stella, l'impossibilità di leggere il nostro futuro; guardiamo il cielo e non troviamo la luce e ci rendiamo conto che abbiamo perso (o non abbiamo mai avuto) qualcosa e siamo in uno stato di inquietudine, simile a quello di chi protende le braccia! :x (segue)


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" XII

Contento (segue)

Leopardi non si è mai rassegnato a subire, si potrebbe dire che il suo è un "pessimismo agonistico" e così l'uomo deve conservare la dignità della ginestra, che resta dritta fino al momento in cui la forza della lava piegherà il suo capo innocente e poi "chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo". E, nello Zibaldone, aggiunge argomenti sulla contentezza, una parola che noi spesso confondiamo con i sinonimi, ma lui no e mette in luce che l'origine è il verbo contineo, composto da cum e teneo (mantenere unito, racchiudere). Se immaginiamo un cerchio, il contento è colui che sa essere appagato di quello che ha e che sa arginare ciò che sta fuori. Per cui contento è colui che sa apprezzare ciò che possiede, ovvero attribuire un prezzo o meglio un valore a ciò che è riuscito a portare dentro al cerchio. ;) Non scambiamo la contentezza con la felicità che è solo un qualcosa di utopico, simile al paradiso delle religioni e che si può accostare alla sodisfazione di ogni desiderio. Invece l'azione del contento è quasi l'esatto opposto: guardare quel che si ha e non quel che ci manca.
Una cosa importante da notare è che il contento non deve scadere in colui che *si accontenta* e che cerca di rendere il territorio un piccolo mondo perfetto impenetrabile e sicuro (da sine cura, senza preoccupazione). In questo modo egli tenderà a porre un limes, che respinge chi si avvicina. Questo accontentarsi è lo stesso che troviamo alla base di ogni *fede* è lo stare contento senza chiedersi il perché, è l'accettazione passiva di ragioni calate dall'alto!
Si può "accontentare" qualcuno e dunque il contento è anche colui che sa dare, condividere ciò che possiede. :cincin:
Infine possiamo dire che la contentezza ci ricorda più di altri sentimenti l'impossibilità di avere tutto e quindi il contegno e la continenza, ma soprattutto ci invita a scacciare l'invidia di chi vuole che, se manca una cosa nel proprio cerchio, pure per gli altri deve essere così!


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" XIII

Fiducia

Fides è il sostantivo di credo, anche se può sembrare che i due nomi abbiano radici diverse. L'avvicinamento si è avuto in epoca cristiana per ragioni storiche e non linguistiche. In tale periodo, quando la frequenza del vocabolo aumenta, accade che il greco "pistis" fede e "pistèuo" credo sono tradotti con fede e credo, fatto che imparenta così le parole.
Ma è da ambiti non religiosi che fides emana il senso che più ci interessa; nel diritto infatti esso indica la fedeltà alla parola data, ma anche lealtà, onore, garanzia, fiducia in quel che l'altro dice.
Aver fede e aver fiducia sono atti molto diversi, perché la prima è assoluta, implica sempre una parte dogmatica, mentre la seconda si associa all'altro e così noi umani non fideisti oscilliamo sempre fra conoscenza e ignoranza e sono proprio i nostri limiti che ci spingono a un'interrotta ricerca di fiducia. ;) Del resto insufficienti a noi stessi lo siamo fin dalla nascita: il pianto del neonato altro non è che una richiesta di fiducia nella madre.
La fiducia ergo non è, ma si conquista sul campo (come l'amicizia non si chiede, ma si fa) e per arrivare là occorre superare la definizione di Hobbes e considerare l'altro un socius e quando ci riusciamo siamo contenti, perché abbiamo allargato il nostro cerchio e pensiamo che tale fiducia duri per ... Se così non è profondo sarà lo smarrimento e il dolore e la parola che designa i nuovi sentimenti è: tradimento (ovvero lo spezzarsi di un patto)! :x
Come abbiamo detto la fiducia è connessa all'altro ed essa rischia di scomparire se qualcuno o qualcosa ci persuade che possiamo bastare a noi stessi e relegare la fiducia a un qualcosa di marginale. In questo caso ciò che sarà proposto è una parola ben diversa dal modello originale, un modello artificioso, tipico della (p)olitica e della pubblicità. :x


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" XIV

Parola

Osservare il modo in cui parliamo può far luce su relazioni sociali molto importanti e vieppiù se del parlare si segue la storia.
I romani per dire parola usavano verbum, analogo del logos greco, un termine affatto generico che può indicare tutto. Anche in italiano è rimasta traccia in verbale, verboso, diverbio etc. Quando è arrivato il cristianesimo questo sostantivo è stato confinato in un contesto religioso, connotandolo come la parola rivelata "Et Verbum caro factum est" ovvero il Verbo che si fa carne.
Lo spazio vuoto è stato occupato da parabola che lentamente è diventata parola, la quale, come l'antecedente, si riferisce all'atto di parlare in tutta l'ampiezza. La parola è sempre una parabola, nel senso che, come in geometria, fa un percorso, nel nostro caso da chi pronuncia a chi ascolta: non si parla mai a sé stessi, nemmeno quando siamo da soli e quindi è un atto che richiede ascolto e comprensione. (nota mia, ascoltare è molto più difficile a differenza di parlare, che riesce un po' a tutti :x ) E proprio da questi poli comunicanti nasce il dialogo. Quest'ultimo è il contrario della "parola calata dall'alto" e richiede un continuo sforzo di attenzione e interazione: pretende che rimettiamo ogni volta molte cose nostre in discussione.
Fra gli atti del dialogo ci sono domanda e risposta. Domandare vuol dire "mandar fuori, mettere in mano ad altri" (in manus dare) e quindi ci aspettiamo fiducia reciproca.
I latini, per chiedere utilizzavano anche quaero, un verbo ricchissimo, ma che soprattutto significa domandare per sapere, così come peto significa chiedere per ottenere (petizione) e rogo, che assume più aspetti giuridici e quindi tutti verbi molto diversi dal disinteresse del de-mandare.
Per accogliere la domanda, che prevede un riconoscimento dei propri limiti, ci voleva una parola solenne, che sapesse contraccambiare la fiducia e repondeo è addirittura un verbo sacro: è la risposta a un patto. La sacralità si ritrova nel responso. Domanda e risposta non hanno nulla a che fare con gli interessi, gli interrogatori, le soluzioni, i rissultati, per dialogare serve solo l'impegno della reciprocità. :)


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Marco Balzano "Le Parole sono importanti" XV e ultima

Resistenza

Possiamo concludere con una parola che è andata molto oltre al significato originale, ma d'altra parte è un pregio dell'etimologia il non rassegnarsi a una lingua appiattita su sensi univoci. :)
Questa è figlia del latino stare, un verbo molto ampio, con una gamma enorme di derivati: stare in piedi, fermarsi, persistere, perseverare e in più è anche un intensivo del verbo essere.
Resistenza è composta da stare, preceduta dalla particella re-, che definisce un movimento all'indietro, ma che qui ha una funzione intensiva, per cui è quasi un ri-stare, che si può intendere come un vocabolo senza dinamismo; in fisica, per esempio quella meccanica è la capacità di reggere una precisa forza d'urto.
Ciò che piacerebbe dimostrare, invece, è come un evento (in questo caso la guerra partigiana) abbai mutato i connotati, dandole un senso che nell'etimologia non c'è. Il partigiano è colui che prende parte, che si schiera, ma la parola non è solo l'opposto di ignavia, perché indica altresì pericolo e clandestinità.
Ma cos'è stata la Resistenza in Italia (09/'43 - 04/'45)? I partigiani vi entrarono per i motivi più vari: caso, interesse, frustrazione, incoscienza e soprattutto odio, ma la domanda è sapevano costoro di far parte del movimento così chiamato? La risposta è che solo negli anni Cinquanta fu introdotta la parola R.
I termini usati da chi l'à fatta: partigiano, ribelle, patriota, non bastano a definire il profilo di tali uomini, perché hanno tutti un'oggettiva parzialità.
Il partigiano non è stato solo un coraggioso, ma di uno che dentro l'idea di cambiare il mondo, basandolo sulla pace, la democrazia, la parità di tutti. (Nota mia, infatti andatelo a dire ai partigiani non comunisti uccisi a varie riprese dagli altri!) Chi ha combattuto è stato più di un ribelle, ma ha dato battaglia ai nazifascisti, perché nella sua azione si faceva strada una prospettiva che andava oltre la guerra. (Nota mia, infatti il loro idolo di allora era spesso Stalin!) E infine, chi ha combattuto per quei venti mesi è stato più di un patriota, perché chi ha ripreso le armi lo ha fatto per fondare un mondo, non una patria e infatti molti di loro erano ad esempio in Jugoslavia con i partigiani di Tito (Nota mia, vedi l'eccidio di Porzûs e le foibe!)
In conclusione Resistenza è una parola che ammonisce e ricorda, è un'arma utile perché può trasformarsi in disciplina militante, in un sapere che, come diceva Focault, non serve solo a conoscere, ma a prendere posizione.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Leggo un titolo sul sito di Repubblica:

Coronavirus, italiano su nave sbarcata in Cambogia in isolamento a Sanremo

Qualcuno può spiegarmi cosa vuol dire? "Leggi il sottotitolo, direte voi. Magari così capisci..." E leggiamolo allora il sottotitolo:

Mille sbarcano in Cambogia senza quarantena, tra loro coppia di americani infetti. I 5 nostri connazionali che erano a bordo sono sotto controllo

Chiarisce qualcosa? Esiste una connessione logica tra questo insieme di parole? Mah...


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Felice ha scritto: martedì 18 febbraio 2020, 21:27 Leggo un titolo sul sito di Repubblica:

Coronavirus, italiano su nave sbarcata in Cambogia in isolamento a Sanremo

Qualcuno può spiegarmi cosa vuol dire? "Leggi il sottotitolo, direte voi. Magari così capisci..." E leggiamolo allora il sottotitolo:

Mille sbarcano in Cambogia senza quarantena, tra loro coppia di americani infetti. I 5 nostri connazionali che erano a bordo sono sotto controllo

Chiarisce qualcosa? Esiste una connessione logica tra questo insieme di parole? Mah...
aho, è n titolo, deve sintetizzà er contenuto, ciai pure dei limiti de spazzio

chi ssene intende dice che il titolo deve mostrare una premessa chiara e un punto d arrivo

vedemo e provamo a fà n esercizzio de deduzione

Coronavirus

se parla der virusse, la premessa me pare chiara

italiano su nave sbarcata in Cambogia in isolamento a Sanremo

e pure l arivo

sulla nave sbarcata in Cambogia ce stava n italiano, presumibilmente residente a Sanremo, dove è stato ricoverato in isolamento sanitario

Mille sbarcano in Cambogia senza quarantena, tra loro coppia di americani infetti. I 5 nostri connazionali che erano a bordo sono sotto controllo

Sta cazzo de nave sarà sbarcata in camboggia, senza controllii sanitari,, due cittadini americani so positivi. cinque italiani sotto controllo,, se presume senza sintomi. ndo cazzo stanno? in camboggia, in italia? te leggi l articolo e c arivi se te interessa

piuttosto gia che stai qua, Felice, la. stampa alternativa non ha ancora confezionato quarche fregnaccia sul coronavirusse?

creato in Israele per fini militari, diffuso da trampe pe distruggr l economia cinese e fare spazzio all espansione coloniale dall impero del male, fabbricato da bigfarma che cia ggià er vaccino pronto da mete sul mercato... ai voja che articoletti ce poi fà sul virusse...


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nemecsek. ha scritto: giovedì 20 febbraio 2020, 19:42 .......
Pensa che io ero convinto che al più potesse essere sbarcata una signora che si trovava sulla nave. Che potesse sbarcare la nave stessa non lo immaginavo proprio. Ora, grazie a te (e ai giornalisti di Repubblica) scopro invece che è possibile.
Pensandoci bene, le cose devono proprio essere andate così: alla nave, che certamente non aveva contratto l'infezione, è stato permesso di sbarcare, mentre i passeggeri sono stati trattenuti a bordo in quarantena per precauzione.

C'è poi quell'Italiano avvistato per l'ultima volta in Cambogia e riapparso poi misteriosamente a Sanremo dove lo hanno messo in isolamento. Lo credo bene: sembra un caso evidente di teleportazione, mica roba comune. Magari ci sono di mezzo gli alieni... Meglio isolarlo, in attesa che si chiariscano le cose.

Sbarcano in mille e non li ca.a nessuno. Tranne i due Americani che sono infetti. Niente di nuovo sotto il sole: si sa che ovunque vadano gli Americani portano morte e distruzione. Ce ne fossero stati 10 di Americani a bordo, sarebbero stati infetti tutti e dieci. Invece c'erano 5 Italiani, i quali sono "sotto osservazione". Chissà chi li osserva... chissà dove... Chissà se quello teleportato a Sanremo era uno dei 5 od era un sesto. Comunque, che li tengano d'occhio si capisce. Visto che uno è già sparito via teleportazione, ora sorvegliano gli altri: non si sa mai, dovessero sparire pure questi, almeno vogliono scoprire come fanno...

Nemecsek, titolo o non titolo, non si mettono insieme delle parole a casaccio. Lo stesso giorno, la stessa notizia era riportata sul sito del Corriere in maniera di gran lunga più chiara e leggibile.
nemecsek. ha scritto: giovedì 20 febbraio 2020, 19:42 piuttosto gia che stai qua, Felice, la. stampa alternativa non ha ancora confezionato quarche fregnaccia sul coronavirusse?

creato in Israele per fini militari, diffuso da trampe pe distruggr l economia cinese e fare spazzio all espansione coloniale dall impero del male, fabbricato da bigfarma che cia ggià er vaccino pronto da mete sul mercato... ai voja che articoletti ce poi fà sul virusse...
No, la stampa alternativa non ha scritto nulla in proposito. Invece i media usuali, ad un certo momento, hanno ventilato l'ipotesi che il virus l'abbiano creato i Cinesi stessi e che poi sia sfuggito al loro controllo. Immagino che apprenderlo ti renderà felice: i buoni sono sempre buoni e possono continuare in santa pace le loro attività di predilezione, del tipo massacrare ragazzi Palestinesi o assassinare alti esponenti di stati non sottomessi alle volontà dell'Impero. Quanto ai cattivi... si sono puniti con le loro stesse mani. Cosa chiedere di pù dalla vita?


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Alberto Nocentini - L'etimologia come enciclopedia della mente



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Luca Serianni - Come cambia la lingua italiana



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Il governo deciderà se accogliere o meno la proposta; non so se telefonargli o meno, Che cosa vuol dire quel meno? Niente, il meno di telefonare non è certo scrivere una lettera!
Ci può essere anche di peggio: "Tutti gli studenti, liceali o meno, sono invitati. Uno può pensare che tale espressione equivalga a "da liceali in giù" e quindi che siano invitati perfino i ragazzi delle elementari, ma che di certo sono esclusi gli universitari. :crazy: E infine, non ha senso scrivere che: "La riunione interessa tutti i lavoratori del settore, iscritti al sindacato o meno. In questo caso ci si può domandare chi siano *i meno iscritti*? Forse coloro che hanno preannunciato la loro iscrizione? :dubbio: :diavoletto: :dubbio:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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A Empoli nessuno fa precedere il nome femminile dall'articolo (la Carla, la Maria etc.), ma a Firenze questo succede spesso, per non dire sempre, come si spiega?
La donna in tempi antichi, in particolare a Roma, rientrava nel numero della cose appartenenti al "pater familias" e quindi non aveva nemmeno diritto a un nome, ma solo a un appellativo, che si forgiava dalla "gens" : la figlia di Marco Tullio, sarebbe stata chiamata Tullia e Giulia quella di Gaio Giulio.
Gli appellativi hanno sempre avuto bisogno di un articolo determinativo, come i cognomi e i soprannomi, il maschile no, perché era veramente un nome proprio: nell'uomo stava la rappresentanza assoluta di sé e dei suoi e non come la donna, dipendente o in relazione ad altri (padre, marito).
L'articolo tende a cadere via via che la donna acquista il riconoscimento della propria emancipazione, del resto, parlando di una donna illustre, nessuno si è mai permesso di dire la Maria Stuarda o la Caterina dei Medici. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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In pochi sanno che *marrone* non è aggettivo (come verde, giallo, rosso etc.) bensì sostantivo e quindi segue le leggi grammaticali come rosa, ciliegia, ciclamino, viola ... quando sono assunti come determinazione di colore. Nessuno direbbe scarpe rose, maglie viole e questo perché si costruisce mentalmente una frase ellittica che suonerebbe, in forma distesa, scarpe color della rosa, maglie color simili alla viola ... E quindi gli eventuali guanti di un color simile alle castagne saranno *guanti marrone*. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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In non so quale altra discussione si è parlato su come debba essere impiegata la negazione *non*? Cercherò qui di essere un po' più esauriente.
Molta gente colta scrive: "Che tu voglia venire o non, la cosa non mi riguarda". È una frase con un errore, bisogna scrivere *o no*, perché la negativa *no* riassume in sé tutto un discorso e infatti si chiama anche *olofrastica* comp. di olo- (ὅλος) tutto e (ϕραστικός) dichiarativo, esplicativo.
In altre parole il monosillabo (come del resto sì) racchiude l'intiera frase sottintesa (vuoi venire o non vuoi venire?). La negativa *non* invece non ha questo valore riassuntivo, è soltanto la premessa negativa di una frase che segue; nessuno alla domanda: "Vuoi venire?" risponderebbe col semplice *non*. :no:
Infine il richiamo a Elio Vittorini e al suo libro più celebre: "Uomini e non" sarebbe stato un titolo strafalcionato! :x


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nemecsek.
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: lunedì 23 marzo 2020, 14:34 A Empoli nessuno fa precedere il nome femminile dall'articolo (la Carla, la Maria etc.), ma a Firenze questo succede spesso, per non dire sempre, come si spiega?
La donna in tempi antichi, in particolare a Roma, rientrava nel numero della cose appartenenti al "pater familias" e quindi non aveva nemmeno diritto a un nome, ma solo a un appellativo, che si forgiava dalla "gens" : la figlia di Marco Tullio, sarebbe stata chiamata Tullia e Giulia quella di Gaio Giulio.
Gli appellativi hanno sempre avuto bisogno di un articolo determinativo, come i cognomi e i soprannomi, il maschile no, perché era veramente un nome proprio: nell'uomo stava la rappresentanza assoluta di sé e dei suoi e non come la donna, dipendente o in relazione ad altri (padre, marito).
L'articolo tende a cadere via via che la donna acquista il riconoscimento della propria emancipazione, del resto, parlando di una donna illustre, nessuno si è mai permesso di dire la Maria Stuarda o la Caterina dei Medici. :)
Da noi si usava legare il nome di battesimo a quello del marito, più raramente, se maschio, a quello del padre (credo per pratiche ragioni identificative, essendo molte le omonimie, probabilmente riferibili a una devozione forte ma locale).
Così vi era Maria d' Ciano (Maria di Luciano), Maria d' Gelo (Maria di Angelo), Maria du Nin cit (Maria di Giovannino), Bertu d'Nucc (Roberto di Nuccio).
Quando a noi bambini veniva chiesto di chi eravamo figli, per identificarci, rispondevamo:
sun er chisin der barba del frel der mani dra pumpa (sono il cugino dello zio del fratello del manico della pompa). :diavoletto: :diavoletto: :diavoletto:


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Bitossi
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da Bitossi »

C’è comunque un’ampia giustificazione in ambito sportivo, e comunque pubblico, quando si usa solo il cognome. Anzi forse sempre, a ben pensarci.
Infatti sono sempre in dubbio se scrivere Wierer o la Wierer; paradossale poi sarebbe stato il caso Moelgg. :D
Il rispetto della persona viene garantito quindi dal fatto che, quando subentra il nome, non si dice “la Lisa Vittozzi”; nel caso del solo cognome invece l’articolo mi pare accettabile.
A questo punto però mi viene il dubbio che Milano e la Lombardia, nel parlare colloquiale, per una volta siano indietro... :diavoletto:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da nino58 »

nemecsek. ha scritto: mercoledì 25 marzo 2020, 12:08
lemond ha scritto: lunedì 23 marzo 2020, 14:34 A Empoli nessuno fa precedere il nome femminile dall'articolo (la Carla, la Maria etc.), ma a Firenze questo succede spesso, per non dire sempre, come si spiega?
La donna in tempi antichi, in particolare a Roma, rientrava nel numero della cose appartenenti al "pater familias" e quindi non aveva nemmeno diritto a un nome, ma solo a un appellativo, che si forgiava dalla "gens" : la figlia di Marco Tullio, sarebbe stata chiamata Tullia e Giulia quella di Gaio Giulio.
Gli appellativi hanno sempre avuto bisogno di un articolo determinativo, come i cognomi e i soprannomi, il maschile no, perché era veramente un nome proprio: nell'uomo stava la rappresentanza assoluta di sé e dei suoi e non come la donna, dipendente o in relazione ad altri (padre, marito).
L'articolo tende a cadere via via che la donna acquista il riconoscimento della propria emancipazione, del resto, parlando di una donna illustre, nessuno si è mai permesso di dire la Maria Stuarda o la Caterina dei Medici. :)
Da noi si usava legare il nome di battesimo a quello del marito, più raramente, se maschio, a quello del padre (credo per pratiche ragioni identificative, essendo molte le omonimie, probabilmente riferibili a una devozione forte ma locale).
Così vi era Maria d' Ciano (Maria di Luciano), Maria d' Gelo (Maria di Angelo), Maria du Nin cit (Maria di Giovannino), Bertu d'Nucc (Roberto di Nuccio).
Quando a noi bambini veniva chiesto di chi eravamo figli, per identificarci, rispondevamo:
sun er chisin der barba del frel der mani dra pumpa (sono il cugino dello zio del fratello del manico della pompa). :diavoletto: :diavoletto: :diavoletto:
Ed era una risposta corretta, perchè sempre, all'origine di tutto, vi è il manico della pompa.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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"A me mi", altra espressione, come il famoso "ma però" che non è tautologica, ma solo uno di quei casi in cui la grammatica concede l'inserzione di elementi sovrabbondanti, al fine di dare alla frase un'efficacia particolare. Il valore rafforzativo di quel mi pleonastico non può sfuggire: a me questo non piace è diverso da a me questo non mi piace! C'è da aggiungere solo che non bisogna abusare di questa libertà stilistica, ma questo vale sempre, perché lingua e moda non vanno mai d'accordo. :x


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Perché l'uso di iniziare intransitivo è sbagliato (almeno fino a poco tempo fa)? Facile: in latino tale verbo fu sempre e soltanto transitivo e in italiano tale consuetudine è rimasta (con pochissime eccezioni) dal Trecento al Novecento. Pertanto lo spettacolo si inizia e non la partita inizia. L'errore che tanti commettono ora si deve all'analogia con il verbo cominciare, che ha, appunto, fin dall'origine i due costrutti.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Prendiamo (non a caso) tredici parole di uso corrente e diamole da leggere a un milanese e a un fiorentino; non ci dovremo stupire, ma il primo le sbaglia tutte. :x C'è una mia amica che sta a Empoli da una cinquantina d'anni credo, ma le sue origini settentrionali si sentono ancora e forse anche lei queste parolette le pronuncia tutte ... male. :)
Pesca (frutto), bene, tempo, motoretta, stella, questo, cielo, corridoio, perché, bellezza, differenza, vergogna e pomice.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Flòrida e Cànada ovvero l'influenza anglofila! :x

C'è addirittura chi pronuncia Waterloo (cittadina belga) all'inglese, ma questo è un caso limite e, per fortuna, raro, mentre nei due Stati citati la pronuncia originale Florìda e Canadà è diventata come sopra.
Nel primo caso J. Ponce de Leon scoprì la penisola il giorno della domenica delle Palme del 1513 e gli spagnoli denominavano quell'evento: Pascua florìda, per la benedizione dei rami fioriti. Rimasto spagnolo per tre secoli, quel territorio fu poi annesso agli S.U.A. nel 1819 e i nuovi padroni non gli cambiarono il nome (come invece avevano fatto con Nuova Amsterdam), però la pronunciarono a modo loro.
Per Canadà, la pronuncia tronca ripete quella francese e infatti tutto il territorio era stato colonizzato da costoro e anche oggi gli abitanti di tale lingua sono milioni e Canadà continuano a pronunziare anche gli spagnoli, ma noi, ormai succubi della moda, diciamo addirittura "midia" quando incontriamo il plurale latino di medium e allora ... :clap: :clap: :clap:


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Davvero stupisce come in tempi ribelli e dissacratori come i nostri, resista (indisturbata e tranquilla)
la lettera *h* ! :dubbio:
La campagna contro di essa, come lettera iniziale, cominciò negli ultima anni del Quattrocento per opera di alcuni scrittori più progressisti, che pensarono di abolirla in tutte le forme del verbo avere, sostituendola, nei doppioni, con l'accento. Questa riforma ebbe, fra i massimi sostenitori, Aldo Manunzio, mentre l'Ariosto fu ferocemente contro, sostenendo che chi leva la H all'huomo, non si riconosce come tale!
Un secolo dopo intervenne la Crusca a titolo di conciliazione, sostenendo che dove si poteva era meglio toglierla, ma chi voleva mantenerla nelle parole ambigue lo poteva fare. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Ho sentito una volta addirittura lo storico medievale Franco Cardini dire "piscina olimpionica"!
Chi conosce un po' di mitologia greca sa che la parola Nike non si riferisce alle scarpe da ginnastica, bensì alla dea greca della vittoria; proprio per questo la fabbrica penso abbia scelto questo marchio, che si dovrebbe pronunciare come si scrive, perché non è mai esistito nessuna Naiche!
Ritornando al discorso iniziale, si può associare olimpionico a Berruti, ma non certo a una piscina o a un semplice partecipante ai giochi. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Qualcuno, anche persone colte, credono che in italiano si possa dire *succube* al maschile singolare, invece che come femminile plurale! I Latini avevano due verbi: succubare (giacere sotto) e incubare (giacere sopra), da cui derivarono i sostantivi succuba (uno spirito maligno in forma di donna) e incubus (stesso folletto, al maschile). Dal femminile succuba si fece il nostro succubo, nel significato di uomo soggetto al dominio altrui. La forma succube si spiega solo con l'influenza del francese, di cui però sarebbe bene non essere ... succubi. :P


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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È facile incontrare frasi come questa: "La commedia, o il film, ha come protagonista principale l'attore tal dei tali".
Frase tautologica, perché *proto-agonista* ha già in sé il primo/principale. :x


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Il verbo suicidarsi è nato sbagliato, ma ormai è entrato talmente nell'uso che è impossibile sradicarlo, anche se per logica suicidare basterebbe. ;)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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Un errore da sottolineare è l'uso di reticenza per riluttanza. È ovvio che il sostantivo si riferisce solo al parlare e non all'agire. ;)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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differenza fra dòtto [dal lat. doctus, part. pass. di docēre "istruire"] agg. [di persona, che ha acquisito molta dottrina, in senso assol. o in determinati campi del sapere] ≈ colto, erudito, preparato, sapiente. ↓ istruito. ↔ ignorante,...

e dótto (ant. dutto) s. m. [dal lat. ductus-us, der. di ducĕre "condurre"]. (anat., biol.) [tubo che consente il passaggio di un liquido organico] ≈ canale, condotto.


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da Admin »

Avete mai fatto caso al poco senso della formula "tanti [o tantissimi] auguri"?

Forse si è mai sentito qualcuno dire "pochi auguri!"? :uhm: :D


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

Messaggio da leggere da eliacodogno »

Admin ha scritto: lunedì 13 aprile 2020, 12:09 Avete mai fatto caso al poco senso della formula "tanti [o tantissimi] auguri"?

Forse si è mai sentito qualcuno dire "pochi auguri!"? :uhm: :D
Sono quelle formule rafforzative un po' stupide, tipo la "sincera verità" oppure "io personalmente".


Se il tuo modo di lavorare è questo qui, compragli un casco a Sgarbozza e fallo fare a lui il Giro, perché io non lo faccio più (P.S.)

'Idea del Forum' per me non vuol dire assolutamente niente. (H.F.)
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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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eliacodogno ha scritto: lunedì 13 aprile 2020, 12:24
Admin ha scritto: lunedì 13 aprile 2020, 12:09 Avete mai fatto caso al poco senso della formula "tanti [o tantissimi] auguri"?

Forse si è mai sentito qualcuno dire "pochi auguri!"? :uhm: :D
Sono quelle formule rafforzative un po' stupide, tipo la "sincera verità" oppure "io personalmente".
Io rifletterei di più, invece, sul "fare gli auguri"! :x Ma voi due penso, la sapevate già. :)


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Re: Lingua italiana, domande e risposte.

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lemond ha scritto: lunedì 13 aprile 2020, 13:17
eliacodogno ha scritto: lunedì 13 aprile 2020, 12:24
Admin ha scritto: lunedì 13 aprile 2020, 12:09 Avete mai fatto caso al poco senso della formula "tanti [o tantissimi] auguri"?

Forse si è mai sentito qualcuno dire "pochi auguri!"? :uhm: :D
Sono quelle formule rafforzative un po' stupide, tipo la "sincera verità" oppure "io personalmente".
Io rifletterei di più, invece, sul "fare gli auguri"! :x Ma voi due penso, la sapevate già. :)
Gli auguri erano dei sacerdoti specializzati nell'interpretare il ruolo degli uccelli giusto?
Ricordo che Cesare impedì di bloccare le sedute del Senato all'ultimo momento togliendo loro potere e importanza.


pietro ha scritto: mercoledì 7 luglio 2021, 13:46 Continuo a non capire WVA. Era meglio se avesse perso altro tempo per potersi inserire nelle fughe dei prossimi giorni. Soprattutto ora che la Ineos li tiene a portata
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