Giorgio Gaber

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Re: Giorgio Gaber

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Per contro, l'apice concettuale è toccato con "Io e le cose". Canzone filosofica come poche altre, riverbero di una grande tradizione sapienziale dell'Oriente. Si staglia nitidamente al centro ideale dell'opera dell'analisi dei Nostri in data 1984. Il modo di chiedere cosa sarebbe delle cose se non ci fossimo, se per caso esistessero per sé stesse ci richiama un po' anche Borges, anche se ci allontana dalla realtà di tutti i giorni e ci avvicina invece al prossimo teatro di evocazione. Quel dubitare, quella professione d'innocente ignoranza, quel chiedersi se tutto ciò che vedo non sia in fondo illusorio, è un'apertura a un mistero dell'essere che può trovare in sé stesso una nuova fondazione ontologica. Pare un quadro di Luporini, tutto attese e solitudini, sul punto però di sciogliersi in abbracci con l'universo. Cominciando da noi.


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Re: Giorgio Gaber

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La delicata questione del percepire e significare è, come già detto, un altro pilastro interno e si ripropone a un livello più discorsivo nel monologo "Il senso" che insiste sul terribile svuotamento d'ogni significato sotteso alle parole più comuni e poi nell'aneddoto dedicato al grande Wittgenstein, sconvolto dal non saper spiegare ...



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Re: Giorgio Gaber

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Il senso introduce la ballata dedicata allo spirito stranamente allegro del paese Italia, che ha già presentato nell'ottobre 1983 a Sanremo, ospite del club Tenco. . Si parla dell'Italia e degli italiani, perché, grazie al nostro individualismo anarcoide, forse è il paese meno massificato. Essendo più abituati alla rappresentazione, soffriamo meno al crollo di tutto. Come dice provocatoriamente il filosofo Baudrillard: "E' il popolo che conosce di più lo spettacolo, pensate a Venezia, al Rinascimento, alle Br." Battute a parte, è un momento toccante. E' grazie a questa canzone e a Blitz che si incontreranno Gaber e Paolo Dal Bon, che pochi mesi dopo diventerà assistente principale e direttore artistico di ogni spettacolo succcessivo di Giorgio e Sandro.


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Re: Giorgio Gaber

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Ma le questioni più urgenti riguardano sempre le intossicazioni derivanti dalla società di massa, sempre più spettacolare ed ipocrita. Sembra di tornare ai tempi di Libertà obbligatoria, però l'angolazione è un po' diversa, perché nell'ottantaquattro quel tipo di ... sembra più evidente e più concreto. Anni prima ci si rendeva conto che gli atteggiamenti presunti antagonistici rientravano in una logica inarrestabile di assuefazione all'ordine delle cose e la possibilità di essere realmente *alternativi* erano inesistenti. Ora il concetto si è un po' spostato: grazie alla mancanza di antagonismi, ci si trova tutti in un sociale non bene identificabile, forse anche talmente gonfiato da non esistere. :-( :hammer:


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Re: Giorgio Gaber

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Tutto forse ruotava intorno alla percezione che il *troppo* di quegli anni avesse finito per distruggere tutto. Era la sovrapproduzione che faceva morire le cose, che toglieva valore alle categorie della realtà. Il sociale rappresenta solo la fotografia di quel che accade, perché la gente (anche se non ne era ancora cosciente) non ne poteva più. In quel momento tutto si stava ingrossando:il mercato, il consumo non avevano più nemici, se non dentro di sé. Assomiglia al cancro di "Libertà obbligatoria", mentre qui è la realtà che si ingigantisce fino ad oltrepassare il proprio scopo. In particolare il mercato è qualcosa senza controllo, che va da sé.

Purtroppo non esiste in audio e allora

Testo della canzone Qualcosa che cresce di Giorgio Gaber dall'album Io se fossi gaber



Qualcosa che cresce Qualcosa che cresce dentro e fuori da soli non si è mai soli ci sono gli altri nei nostri pensieri. La notte io mi addormento e sogno i sogni degli altri sognatori. Qualcosa che cresce che quasi non si riconosce che cresce a dismisura. Un grosso libro, un quadro a olio, un film diventa un grande agglomerato un'escrescenza di cultura. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce fino a sorpassare il proprio scopo fino a non aver più senso fino a non aver più nome fino all'estinzione. Qualcosa che cresce le Fondazioni a fin di bene, le facce serene la psiche, le ricerche, l'assistenza un'estasi di gran contatto e di presenza. La solitudine fa troppo male al cuore è finalmente l'era del gran comunicare. Qualcosa che cresce, diventa più grosso cresce tutto, anche il sesso, onnipresente, esagerato un grosso sesso sempre più asessuato senza pudore, senza il gusto dell'errore qualcosa che va oltre, qualcosa che cresce un sesso ingigantito nel suo rito sono milioni, milioni e milioni di seni, di culi, e di cosce. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce fino a sorpassare il proprio scopo fino a non aver più senso fino a non aver più nome fino all'estinzione. Qualcosa che cresce cresce tutto da morire cresce tutto senza senso, dalla moda alle tastiere. Cresce un grammo di eroina e centuplica se stesso cresce il pollo in gelatina bianco come il gesso. Qualcosa che cresce, cresce, cresce bene come le salse americane senza misura, senza distinzione senza nemmeno più il bisogno dell'organizzazione. Politica del gran coinvolgimento il senso dell'Europa nelle masse recupero del sentimento e "Uccelli di rovo" come se piovesse. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce. Un universo caldo persino in mezzo al mare e cresce anche il ricatto del fungo nucleare e cresce la paura ma senza esser più paura dobbiamo ringraziare le armi son talmente troppe che la guerra non si può più fare. Migliaia di neutroni, trecentomila tipi di missili tremendi Ordigni della fantascienza che bastano a distrugger dieci mondi. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce. Qualcosa che cresce fino a sorpassare il proprio scopo fino a non aver più senso fino a non aver più nome fino all'estinzione. Più reale del reale. Più reale del reale. Più reale del reale. Più reale del reale...

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Re: Giorgio Gaber

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E' cambiata un'epoca, l'edonismo di importazione americana e l'talianissima "Milano da bere" hanno seppellito per sempre gli anni '70, ma il nuovo mondo trova Gaber scettico e i due provano, con le canzoni, a rappresentare la metafora di una realtà vista con una certa lontananza. Può darsi che ci siano dei periodi in cui è necessario un certo distacco. Oppure come dice Montale: "C'è chi si immerge e chi non si immerge. Chissà da quale parte ci si immerda di meno." :-)
L'attesa percepita in "Anni affollati" non si era rivelata anticamera di una svolta, del risveglio delle coscienze, ma al contrario, di un loro sempre più totale intorpidimento. :-(


http://www.musictory.it/musica/Giorgio+Gaber/Il+Deserto


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Re: Giorgio Gaber

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Sono mutate le ragioni del suo fare spettacolo: prima, fra certezze e confusioni, c'era un *noi* cui riferirsi, un terreno comune di analisi, di speranza e dunque di possibile riflessione ed ironia. Negli anni ottanta invece gli autori si sentono molto isolati. La solitudine enunciata e dichiarata come necessità e presa di sistanza con "Polli d'allevamento" è diventata invece una condizione esistenziale, lo specchio dei tempi che cambiano. Si percepiscono due livelli di solitudine: una cosmica, che è quella di sé stessi, di fronte alla propria vita e morte e un'altra, più contingente, legata alla quotidianità. Se la prima può essere considerata una conquista, la seconda invece ... E' sempre più difficile trovare persone curiose, interessanti, affascinanti perché si assiste ad un cambiamento reale nella vita delle persone, delle aspirazioni, dei desideri. Prima c'erano da trovare i soldi per comprare un paio di scarpe, oggi c'è da scegliere fra dieci paia (quasi tutte uguali). Le cose, gonfiandosi giungono alla perdita di senso e di conseguenza, per coloro che si propongono un'azione, gli spazi sono sempre più ridottti e l'azione di Giorgio e Sandro è appunto il tentativo di portare le loro scoperte emotive o teoriche sul palcoscenico; ma come puoi trarre da questo, una possibilità per l'azione?


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Re: Giorgio Gaber

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Nel 1984 il signor G prova ad accettare uan sfida rischiosissima: tornare in TV per brevi comparsate in programmi di notevole ascolto. Un tentativo di contrapporre qualità, la particolarità di un momento diverso all'indiscriminata caccia agli ascolti. Ma il suo è un passo falso e se ne accorge. "Mi sono rivisto e mi sono detto: che schifo", confessa al Resto del carlino. "Non lo devo più fare, non ho il gusto immediato dell'esibizione, la mia carica personale non scatta a comando, anche in teatro impiego tempo a scaldarmi. E nel gennaio 1885 ritorna a Milano, sul palcoscenico più amato: quello del Lirico e lì può con perfetta tranquillità dichiarare quel che pensa dell' Audience. ;)

http://www.musictory.it/musica/Giorgio+ ... 27audience


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Re: Giorgio Gaber

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Il deserto, però, chiude lo spettacolo con un rovesciamento ideale tipico degli autori. Proprio nostra signora televisione, proprio la regina invincibile dell'informazione e dell'inerte massificazione di noi tutti, può essere sconfitta nel nome di una nuova forma di "presenza" individuale. Il medium televisivo non è in grado di prevedere la nostra assenza davanti a Lei: se noi d'un tratto ci alzassimo e lasciassimo scorrera la volgarità delle immagini, abbandonandole a sé stesse, allora quei "format" spettacolari, pensati per noi, svanirebbero in niente. Una volta riappropriati di sé e della propria libertà, rispetto alle logiche massificanti, gli uomini ritroverebbero la vita. Perché forse esistiamo, nonostante Lei, regina dell'Incoscienza.

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Re: Giorgio Gaber

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Parlami d'amore Mariù

Il cinemateatro è esaurito in tutti i suoi 800 posti. C'è gente in piedi che affolla l'atrio, altri che parlano, già seduti in poltrona. Manca più di mezz'ora all'inizio, ma il clima, per chi sa leggere negli sguardi, tradisce una notevole frenesia. Gaber è arrivato al Dogana di San Marino alle 17 in punto, è seduto in camerino e si è chiuso in un silenzio più profondo del solito. Il motivo è semplice: siamo al debutto di un nuovo tipo di spettacolo che Giorgio e Sandro hanno scritto. segnando un'altra tappa nell'evoluzione del loro stile. E' una "full immersion" nel pianeta dei sentimenti e dell'interiorità, quasi a voler portare alle estreme conseguenze il percorso avviato con "Il caso di Alessandro e Maria". E' stato un processo spontaneo con la difficoltà di riuscire ad adattare questa nuova esigenza al loro teatro. L'attore è costretto continuamente ad evocare personaggi e situazioni per renderli reali agli occhi del pubblico. Sul palcoscenico c'è ora un solo strumentista, seduto dietro ad un piano a coda: Carlo Cialdo Cappelli che ha scritto le musiche che accompagnano, come un commento in sottofondo, i lunghi monologhi e in due ore di spettacolo ci sono solo sei canzoni del tutto nuove.


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Re: Giorgio Gaber

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Il titolo del nuovo spettacolo prende il nome dall'omonima canzone, resa celebre da Vittorio De Sica in "Gli uomini che mascalzoni". E' il momento di chiedersi che si prova quando si soffre e si gioisce, è il momento di chiedersi quanto siano gonfiati e quanto veri i nostri sentimenti. Perché è proprio da lì, da questa pulizia del *sentire* che si può anche trovare il coraggio di dare un occhiata al mondo. Per meglio concentrarsi su questa riflessione, il signor G vorrebbe, in un primo tempo, non inserire nuove canzoni ed accompagnare i brani teatrali con canzoni d'antan, appunto quelle che negli anni '30 e '40 ascoltava suo padre. A ripensarci, però, c'era il rischio di un personalismo eccessivo e così, visto che lo spettacolo parla dell'oggi, lo slogan potrebbe essere: "Ieri Giorgio cantava "Chiedo scusa se parlo di Maria, oggi non chiede più scusa, ne parla e basta." :-)


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Re: Giorgio Gaber

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Contrariamente al solito sono partiti non dalla stesura delle canzoni, ma dal testo, dai racconti del personaggio. Il protagonista è un uomo che prova a chiarire quel malessere poco individuabile che accompagna la vita e lo fa attraverso un indagine sui sentimenti. Attraverso lunghi monologhi, di cui Giorgio all'inizio aveva anche un po' di soggezione, e concetti profondi che non avrebbero potuto essere espressi nello spazio di una battuta o poco più.
L'ultimo sforzo, prima del debutto a San Marino, riguarda i tagli da apportare al copione (troppi i pezzi) e quindi scompaiono "La donna al balcone", "Malgrado tutto un cane", "Strategie famigliari" e "Pinto il Greco". La scelta, sofferta, fu dettata dall'aspetto drammaturgico e non da altro.


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Re: Giorgio Gaber

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Nel 1987 il pubblico di Gaber non è più lo stesso: è un fiume ora, ma un fiume composito, riempito di acque molto diverse tra loro. Negli anni Settanta l'interlocutore era molto compatto e preciso, e quindi usciva da teatro solo con qualche dubbio in più sulla propria compattezza, nella fine degli anni Ottanta viene da percorsi differenziati e trova proprio nell'attore-autore-cantante uno dei pochi riferimenti comuni. Forse sono proprio i temi di questo spettacolo, l'universale per eccelenza, a produrre qui ciò che sarà poi una costante, sempre più allargata, anche dei trionfali anni Novanta. Inoltre risulta chiara a tutti l'onestà intellettuale di chi è sul palco e s'interroga da sé: la libertà dalle mode ed anche dalle ideologie è merce rara, e le molte persone sembrano disposte as applaudire innanzitutto questo. :clap:


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Re: Giorgio Gaber

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Si indaga davvero in ogni direzione, senza smettere però la "voce" tipica di Gaber, quella che fonde in maniera incessante la drammaticità di alcuni nostri vissuti e il distacco sarcastico, lo spirito buffo. Cioè si ride anche qui, sempre di noi, ma in un equilibrio con la tensione umana di chi sperimenta. (Fine dell'introduzione)


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Re: Giorgio Gaber

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Re: Giorgio Gaber

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(purtroppo non è completo)

Innamorarsi non è una cosa usuale e questo stato è così particolare che chi lo prova non vive nel reale: il peso non esiste, il corpo sembra quasi che manchi. Si unisce con le nubi se alza un dito e ritrova quel bimbo che ormai, da tanti anni, aveva lasciato. Non è neppure necessario stare insieme, perché basta il pensiero. Però, se proviene un *no* dall'altra parte, ecco che il castello (in aria) si fa di pietra e nulla rimane di quella leggerezza che sembrava trasparente. Sublime ed incorporeo non sono tali e ciò che è, riacquista il suo peso. La delusione, questo sentimento così sincero ed anche tanto vero, ci avvolge dentro e riesce a nutrire in noi il dubbio al posto della certezza. E l'unica sicurezza, in questo piccolo spostamento del cuore, è che il dubbio è il paladino della nostra storia.


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Re: Giorgio Gaber

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Ma l'uomo sa quando un sentimento resiste? Ma l'uomo vuole, in cuor suo, capire oppure gli basta vivere? Forse quel che ci vuole è una maschera, una maschera che si possa comandare e che per noi trasformi il divenire: un'espressione, una smorfia ed un sorriso, talmente aperto che non lasci dubbi alla maggior parte di chi guarda. Quasi nessuno si lascia andare, per scoprire sensazioni, le più vere. No, ciò che appare imperativo è invece lasciare un segno, non importa quale, senza essere neppure consci di quel che facciamo. Quel che resta è la nostra incapacità ad amare, massime chi si conosce da anni, semmai è più facile con gli sconosciuti: quest'ultimi si accontentano di un emblema, mentre i primi vorrebbero che tu parlassi con loro e che l'agire ed il sentire fossero conformi. In conclusione non ci resta che aspettare, finche un piccolo, ma vero, spostamento del cuore ...



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Re: Giorgio Gaber

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La paternità non è un fatto naturale come ... è un sentimento difficile da esprimere e prima ancora da capire. E' un rapporto nascosto, quasi assente, non c'è alcuna commozione che lega il padre al "piccolo animale". Di solito quell'esserino nella culla non dice granché, non esiste nessuna comunicazione, solo fastidi per ora è quel che appare: essere svegliati nel pieno della notte o sopportare l'orda dei parenti, la cosa migliore è imparare le indicazioni che la mamma lascia quando esce. ;)

(I parte)


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Re: Giorgio Gaber

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Ma ecco che all'improvviso il figlio piange, singhiozza ... sempre più forte e la scena cambia: diventa calda, emozionante. Il padre si trasfigura e davanti a lui appare la conoscenza, non dovuta, però, alla ragione, bensì al sentimento. E l'esperienza di quel giorno sarà impressa nella vita dell'uomo, egli ha compreso, senza sapere prima (così come Hitchcock), grazie alla paura.

(seconda parte)


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Re: Giorgio Gaber

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La gente vuo sapere, è alla ricerca di qualsiasi risvolto razionale, in tema di rapporti famigliari. E cerca, indaga in ogni direzione per scoprire ... Infanzia, adolescenza, essere adulti e la vecchiaia che arriva e poi la morte: ecco ciò su cui si indaga. Ma nessuno mai capisce che si potrebbe fare a meno, solo se acoltassimo il cuore, al posto della ragione. E allora sapremmo tutto di ogni generazione e potremmo marciare a fianco con le diversità ... le più diverse. :). L'uomo ha questa enorme forza in più, basta che sappia e voglia usarla e non importa sempre, ma qualche volta sì. ;)




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Re: Giorgio Gaber

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Forse l'addio non è che una ricorrenza molto, troppo, usuale, ma per chi prova quell'esperienza tutto non appare così ovvio. Egli si chiede, è in dubbio, si fa domande del perché della sofferenza. :-( Oppure è soltanto un dolorino? Non si sa mai se si tratta di vera angoscia o se è solo dispetto, orgoglio ferito. Ma soprattutto non si è mai sinceri nel presentarsi davanti ad uno specchio, nudi! Forse di una cosa sola possiamo essere sicuri: prima o poi, la tristezza ci abbandonerà e, se pur dentro di noi resta quell'immagine del treno che parte nella nebbia, pian piano tutto (grazie nebbia) si scolora e il vero si confonde con ...




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Re: Giorgio Gaber

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Dialettica della solitudine

Che cosa sappiamo di chi, per scelta o no, vive da solo? Di sicuro sono tipi strani (ma anche gli accoppiati) ;) . Vivere da soli è più difficile, non è permesso loro alcun errore e l'aggettivo che più compete loro non lo si potrà conoscere, perché molto spesso sol è diverso da solo. Come in principio si diceva, c'è chi agisce per scelta, chi per martirio, chi è allegro e chi triste, qualcuno ha paura di questa condizione, mentre c'è chi è ben contento del mistero che comporta, perché molte volte si scopre che il solo è solo, pur se ha molti altri accanto. ;) Ma infine non conviene disperare, perché può ben essere che la solitudine non sia ... ma palestra indispensabile e sovrana per imparare, partendo da sé stessi, a comunicare con gli altri. ;)



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Re: Giorgio Gaber

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L'amore è una parola che conosciamo tutti, ma il concetto non è altrettanto chiaro e ognuno vive una propria dimensione. Sarebbe più facile definirlo secondo il suo aspetto negativo e se si volesse farne il paradigma, dovremmo dire quello che ci sembra non debba mancare mai ed "in primis" la sintonia. :) Confondere l'altro con sé stesso, non separare mai ciò che ci riguarda; il calcolo, né qualsiasi bilancio ci deve interessare! Giusto così, direbbe un romantico, ma, si può rispondere: "Accade spesso?" Oppure molte volte c'è una nota stonata che si diffonde? Il "falso contatto" è probabilmente la norma e l'idea (di prima) è distante e gli individui agiscono per sé stessi e tutto si snatura: un simulacro, una vita non vissuta dai personaggi, in quel momento ... almeno. :-(



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Re: Giorgio Gaber

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Meglio il sentire che il filosofare

Ma l'amore no ... sosteneva una vecchia canzone, perché anche se si perdesse la speranza di avere un giorno una simile esperienza, resterebbe il sogno a serbarne almeno l'illusione. Ma quando un sera l'ideale si fa vita e la felicità ci viene incontro, l'abbandonarsi è l'unica scelta umana. ed il filofoso deve lasciar spazio ad altre sensazioni. ;) La conoscenza non si congiunge sempre all'esistenza e la scelta non scelta che facciamo non credo debba apparire vile, perché per noi il dubbio e il non sapere è sempre e ancora vita. ;)



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Re: Giorgio Gaber

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Noi e la morte



L'uomo è solo di fronte alla morte, non può contare su nessuno! E la scelta del sig. Augusto non è poi così strana, anzi forse significa che lui di Atropo ha capito il filo ed anche la trama. L'impotenza di chi resta è la sola padrona e stare insieme può servire a loro, non a chi se ne va ... da solo. Vedere gente intorno in quel caso orribile non conta molto, forse un amico più giovane e più distaccato potrebbe aiutare chi muore? Ma anche questa è solo una speranza vana, perché chi entra, non può che restare di pietra! La paura, il gelo sono il diaframma che separa ... tutti! Quando arriva, ogni cosa si ferma e il calore umano si trasforma in rabbia, disperato affanno, per quel che si voleva e non si può. Rimane solo la comprensione d'esser poca cosa, in quel momento in cui avviene! Ma capire non basta, dovremmo essere e non siamo. Augusto è l'archetipo che ci fa guardare allo specchio, perché la morte è poi diversa dall'uomo che si adopra in tutta la sua vita? Non credo, perché il desiderio di capire non è l'essenza, ma solo un aspetto transeunte di un modo d'esser che ha tutt'altri miti. :-( Ed allora l'uomo dovrà pagare a caro prezzo la sua fine, perché la pallida, la trista, la bagascia non nrappresenta una parte della vita, o almeno così, lui non l'à capita! :-(


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Re: Giorgio Gaber

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Capire non basta, senza sentire

Il sentimento della morte (come abbiamo già visto) è estraneo a chi non ha il senso della vita, vale a dire a "l'uomo medio-cre". Peccato, basterebbe così poco per fare l'essere meno piccolo! Ma forse una speranza per chi, ciascuno di noi sta seguendo esiste: l'armatura che ha intorno e che lo copre, fino a ridurlo ciò che è, si può anche spezzare. Forse basterebbe gettare la maschera al sociale e presentarsi al mondo ... a viso aperto. :)


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Re: Giorgio Gaber

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(I parte)

(II parte)


L'amicizia, questa sconosciuta

Lasciarsi così, senza rancore appare difficile in questo mondo, ma ancora più impervia è la strada che ci porta verso un amico vero. Soltanto se esistesse quel legame che ognuno crede di avere nel proprio io, ma non trova altrove, potremmo non sentirci mai da soli. Ma i sentimenti, massime quelli più grandi, sono difficili da mantenere e ci vuole molto impegno per ...


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Re: Giorgio Gaber

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Anche se si deve qui sentire nella rima obbligata la parola *ironia*, data la generale condizione isterica individuale (siamo nell'85/'86, ma da allora la situazione è peggiorata!), proprio ad "Isteria amica mia" viene chiesto di trarre la morale di un racconto teatrale sino allora mai così articolato e impegnativo per l'interprete: di sicuro resta la grande isteria, l'amore chissà? Ma, se ci fosse *un uomo* ... sarebbe certo capace di amare. ;)


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Re: Giorgio Gaber

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Una scatola isolata dal mondo

Gaber gioca in Serie A anche nel teatro di prosa. Ai successi di "Parlami d'amore Mariù" è seguita , nelle stagioni 88-'89-'90 la consacrazione del "Il Grigio": il racconto, più emblematico che mai. di un essere che parte dal più bieco egocentrismo per arrivare ad una sorta di "pietas" laica, nella quale ritroverà la capacità di accettare ciò che è diverso da lui. Contrariamente al solito, la scena non è una struttura astratta, ma una scatola isolata dal mondo, con oggetti assolutamente realistici (chitarra, videoregistratore etc. )


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Re: Giorgio Gaber

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Il signor G è diventato un interprete che si cala nel ruolo del protagonista, seguendolo con la stessa precisione di un attore che ha studiato alla lettera un copione non suo. La storia che porta sul palcoscenico è quella di un uomo che improvvisamente sente il bisogno di allontanarsi da tutto, afflitto forse da disagi più personali che sociali. Sceglie una casa fuori città per concentrarsi meglio sul proprio lavoto. O così sperava, perché in realtà la sua tranquillità è sconvolta da una presenza sempre più invadente e misteriosa, che l'uomo poi finirà per identificare in un normalissimo topo. Tenta di eliminarlo, ma ...


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Re: Giorgio Gaber

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Il successo de "Il Grigio" assicura a Gaber i più alti riconoscimenti del Teatro italiano. Non solo: era diventato una dei volti più seguiti e popolari della prosa ed era riuscito ad inventarne una nuova, molto più moderna nell'immagine e nel linguaggio. Ma proprio in quel periodo appaiono le prime avvisaglie della malattia, costringendo Giorgio ad interrompere le repliche per ricoverarsi a Marsiglia per un intervento che sembra, inizialmente, risolutivo.


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Re: Giorgio Gaber

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Il teatro canzone (1992-'93-'94)

L'esigenza dell'artista è quella di rinfrescare molte atmosfere musicali targate anni Settanta, avvertite come sin troppo tese, forse un po' oscure. Ed in effetti ogni brano scorre qui senza alcuna fatica, permettendo all'ascoltatore di concentrarsi completamente sulla voce che canta. Il risultato, però è ambivalente, perché non tutte le canzoni si adattano bene ai tanti suoni sintetici.
Ma è l'atteggiamento di Gaber che qui è cambiato. Forse il fatto di proporre il suo personalissimo "best of", forse il mettere in scena uno spettacolo molto più vicino al "recital", fatto sta che Giorgio inaugura qui un modo di recitare e cantare, sempre sul filo dell'autoironia, con un distacco emotivo, da ciò che rappresenta, più marcato che in passato.


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Re: Giorgio Gaber

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IL teatro canzone (inizio)



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Re: Giorgio Gaber

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Ancora attratto dal teatro d'evocazione, nell'estate del 1991 Gaber ha pronto un nuovo testo, "Il Dio bambino", nato dall'esigenza di fotografare gli uomini di oggi, che non sanno assumersi la responsabilità di adulti. L'intento sarebbe di portarlo nei teatri da settembre, ma l'incredibile successo del teatro-canzone gli ha imposto di cambiare programma e fu rappresentato soltanto al Piccolo di Milano nell'ottobre del 1993. Giorgio me l'aveva detto e quindi mia moglie ed io non avemmo scelta se non andare a fare i turisti nella città del (forse) uno dei più infami fra i santi. :-)

http://nascoemuoio.splinder.com/post/10 ... io-bambino


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Re: Giorgio Gaber

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Siamo giunti all'autunno del 1994 ed a Gaber e Luporini sembra di aver colto di nuovo quelle tendenze, dominanti nel nostro tempo, da mettere apertamente in discussione, ed hanno ritrovato il gusto del percorso organizzato sul lungo tragitto dei due tempi da un'ora. Giorgio appare quasi "scatenato", molto più che nelle esibizioni antologiche e c'è un passo nuovo nel linguaggio: un'aderenza ancor più diretta alla stringente attualità, il desiderio di prender parte al dibattito corrente, naturalmente riducendolo spesso alla sua miseria: la grande ipocrisia dilagante! D'altra parte c'è il rovescio della medaglia: si grantisce la ricezione pubblica del personaggio-messaggio, ma si può deludere chi aveva amato la densità poetica dei due autori, presente negli ultimi lavori. D'altra parte l'analisi del presente, che qui si compone, non invita certo a voli di alta quota! :-(



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Re: Giorgio Gaber

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Con "Mi fa male il mondo" (cavalcata riassuntiva dello stato d'animo che pervade l'intiero spettacolo) assistiamo ad un rovesciamento di visione interno agli autori nell'arco di un ventennio. Nel monologo "E Giuseppe?", contenuto in "Far finta di essere sani" si prendeva infatti chiaramente posizione contraria a chi, incurante di ciò che accadeva intorno a lui, si concentrava unicamente sulle macrostrutture politiche mondiali, giungendo a dire che, inveve che il mondo, a lui faceva male Giuseppe, la moglie ...
Ora, dopo la caduta dei muri e la fine delle ideologie, si può cantare in coro, però stiamo ben e attenti, perché se mi fanno male i denti ... il mondo mi fa meno male :-)



(Qui si parlava in anteprima, anche della crisi finanziaria prossima futura)


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Re: Giorgio Gaber

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La prima miseria, la prima entità scomparsa è immediatamente individuata nella filosofia e nel pensiero/pensatori capaci di illuminare il senso di un'epoca. Giorgio non lascia scampo ed infatti proprio questa mancanza darà il titolo allo spettacolo.

http://www.musictory.it/musica/Giorgio+ ... l+Pensiero


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Re: Giorgio Gaber

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La filosofia dello spettacolo si può comunque riassumere nelle strofe della "Canzone della non appartenenza". La solidarietà, racconta Gaber è l'isteria del senso collettivo e dato che essa non esiste, se ne parla moltissimo. E' una finzione costante che viene messa in atto dai "cattolici" e dai "comunisti" per ragioni diverse, ma è una grande *ipocrisia*.

http://www.liquida.it/video/a2b6ca787/g ... artenenza/


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Re: Giorgio Gaber

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"Isteria amica mia" è un'altra botta di energia interpretativa e viene riproposta, ma in chiave affatto differente rispetto all'originale (Parlami d'amore Mariù), incentrata com'è sul politico e non più sul sentimentale. Il recuperare vecchie canzoni e dare loro un senso diverso è una caratteristica ereditata dal teatro-canzone e l'operazione riesce qui a meraviglia, non tanto in Isteria, quanto nell'antica "La chiesa si rinnova". :D



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Re: Giorgio Gaber

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Ma nello spettacolo, la grande prevalenza ce l'ànno in verità le composizioni nuove ed in particolare "Io come persona" . Nella prima parte (chiaramente d'attesa) viene svolta un'analisi molto precisa ed articolata della paralisi collettiva in cui ci si ritrova (sia a livello di situazione geopolitica planetaria, che di quella individuale). Infine, però, la musica esplode e si riafferma a tutta voce la propria presenza, anche se non in grande compagnia. :-) In questo brano quel che colpisce è la fiducia comunque (quasi dogmatica) nell'individuo e nelle sue infinite possibilità di riscatto. ;)

(con varie foto di BerlusKoni e dei politici, ma va a strappi)

(un po' più astratto)


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Re: Giorgio Gaber

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Il secondo tempo si apre con come si era concluso il primo, solo che al posto di *Io* ci sono *lui e lei*. Una canzone delicata, cantata magnificamente e che lascia pure il dovuto spazio alla musica. In mezzo ci sta il senso di sgomento e di rifiuto verso una società sempre più spaventosa, ma la nostra coppia ci aiuta a capire che esiste sempre ... la speranza.



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Re: Giorgio Gaber

Messaggio da leggere da lemond »

Nel Sogno in due tempi, la recitazione, ben coadiuvata dagli effetti dei due tastieristi, fa i conti con il tema dell'immigrazione e dell'accettazione dell'estraneo, in una metafora senz'altro riuscita.



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Re: Giorgio Gaber

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La Canzone della non appartenenza rappresenta il punto cruciale dello spettacolo: un isolamento soggettivo sempre più accentuato, nella più completa mancanza di senso collettivo. Invece trionfo la falsa fratellanza, vale a dire il proprio tornaconto mascherato dalla più pura ipocrisia. Ecco come appare l'uomo quando non gli appartiene più nessun pensiero. E i media ci marciano e la finta solidarietà dilaga. :-(

http://www.musictory.it/musica/Giorgio+ ... partenenza

P.S.

Domenica vado in clinica per sottopormi all'operazione alla prostata, quindi non so quando potrò scrivere il prossimo messaggio. Ciao, a tutti, Carlo


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Re: Giorgio Gaber

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La versione '95 del monologo "L'America" è senz'altro godibilissima, oltre che sempre inquietante. Da essa emerge soprattutto la capacità degli autori di mettere a nudo (fra le risate) il vero mito politico di quegli anni, tutto italiano, ma anche tutto di derivazione americana: il liberalesimo, che sconfina spesso nel liberismo sfrenato ["siamo liberaloidi, libertari, libertini, libertinotti ... liberi tutti! :-) ]. Ci siamo arresi a quest'unica visione possibile del mondo, denunciano forte Gaber e Luporini e la specificità dell'Italia, in bilico tra due culture di riferimento, si è ormai sgretolata sotto i colpi del mercato totale, senza che ne sia avvertito il lutto intrinseco da parte di chi sventola la bandiera della libertà [a stelle e strisce] :D



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Re: Giorgio Gaber

Messaggio da leggere da lemond »

E pensare che c'era il pensiero
che riempiva anche nostro malgrado le teste un po’ vuote.
Ora inerti e assopiti aspettiamo un qualsiasi futuro
con quel tenero e vago sapore di cose oramai perdute.

Questo è il ritornello del brano che dà il titolo allo spettacolo e che si permette pure l'ironia di citare il Nabucco di Verdi, subito dopo. Dentro le strofe si descrive la dismissione del vero pensiero, al cui posto rimangono solo giochi d'opinione fintamente contrapposti ["ante litteram" : Belusconi-Di Pietro :-( ], *un mare di parole*. Ma anche il culto dell'azione, che di contro parrebbe trionfare, rivela in controluce tutta la sua illusorietà, non poggiando più su qualcosa di profondo o lungimirante. :-(



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