Una settimana in Francia

Per raccontare le proprie avventure in bici, le uscite, gli allenamenti, le gare amatoriali e le gran fondo
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Plata
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Una settimana in Francia

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**Mi prendo la briga di aprire un topic apposito sulle mie ferie. Quello per i foto reportage lo lascio per le girate occasionali.**

Il racconto è suddiviso in 8 parti, che pubblicherò una alla volta mano a mano che li ho terminati.



1) Il viaggio, l'arrivo, il furto

In bianco e nero, l’autostrada è solo un’istantanea che dimenticheremo in fretta. Parole e filosofie fra i viadotti e i tunnel della Liguria. Quanta noia.
Ecco, un posto dove non abiterei mai. Ci sono i monti, certo. C’è il mare, bellissimo. Ma l’abbraccio morbido delle mie terre che corrono ordinate verso il blu del tirreno non lo cambierei mai. Pianure mai troppo infinite, colline sempre curiose oltre la porta della foschia, montagne sul limite fra il vicino e il lontano, e mare di scogli e sassi da scegliere in base alla voglia.
La Toscana mi è dentro, nel cuore. Non ne uscirà mai.
Posso soltanto io, come adesso, uscire. Prima dalla mia terra, poi dalla mia nazione. Per ogni metro di suolo identico al successivo e diversissimo da quello un po’ più lontano, sono solo cartelli diversi a indicarmi che siamo in Francia.

Mario guida tranquillo, al comando dell’ultimo vagone del piccolo trenino partito da Prato alle 6 del mattino. In testa c’è il Taglia, Oscar 2011 per il rispetto del codice della strada. Nemmeno la totale assenza di autovelox sulle strade francesi lo spinge a spingere. Regolare.

Il pranzo è un’iniziazione al rito che ripeteremo per i prossimi giorni: zaini che si vuotano e stomaci che si riempiono. “O di paglia o di fieno, il corpo l’è pieno”, dice il Landini. Un caffé espresso che ha poco di Italiano scende giù nel corpo, con poco piacere e molta ustione, e non si può far altro che ripartire.

Lunga, lunghissima la strada verso Carpentras, o forse è solo la noia di arrivare. Do il cambio alla giuda a Mario, e nella cittadina poco lontana da Avignone compio una manovra da ritiro della patente sotto un semaforo. Qui non hanno nemmeno le telecamere, la mia tessera rosa può dirsi salva.
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La temperatura esterna è un colpo che ricade forte sul sistema immunitario, vista la frescura intensa all’interno dell’abitacolo. Un po’ di traduzioni alla reception e le valige in camera. Poi la spesa e la piscina. Il gigante può aspettare fino a domattina.
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Con la cena raffinata ancora sullo stomaco, e l’aria condizionata inarrestabile che arriva sul collo, il risveglio non può certo definirsi idilliaco. Ci ricorderemo a lungo di quanto le nostre membra stanno tentando di digerire. E pure le tasche, visto quanto costa una sola bottiglia di vino della casa. Ladri dalla parlata romantica.


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Plata
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Re: Una settimana in Francia

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2)Dove le pietre galleggiano nel cielo

Menomale che la colazione si avvicina di più ai nostri gusti e alle nostre abitudini. Piccoli lussi di fragranti sfogliatine, forse anche congelate, ma buone.
Gonfiaggio delle ruote, ma non per me, lo farò i prossimi giorni. C’è anche un po’ di emozione che vaga dispersa da un angolo all’altro: stiamo cominciando. Le strade ci accolgono con semafori rossi al punto giusto, tanto da frazionare il plotoncino. Ci separiamo e quasi perdiamo.
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Solo all’uscita di Carpentras ci ritroviamo. Il Landa si piazza davanti e lo farà fino a Bedoin, dove inizia la scalata. Passo regolare e tranquillo fra vigne basse, terre rosse e sole che fa capire quanto caldo possa fare quando lo vuole.
Un po’ d’indecisione a un’altra rotonda, ma dopo un’inversione ad u riprendiamo la strada giusta. Senza bisogno di cartelli, per capirlo basta vedere quanta gente c’è. Una processione.

I “Where are you from?” si sprecherebbero, e saltiamo da un gruppo all’altro salutando in modo differente. Non sappiamo che lingua usare, e forse il motivo è semplicemente che parliamo tutti la stessa. Variano soltanto gli accenti, si riuniscono in dialetti. C’è pace e tranquillità, e le pendenze sono veramente rilassanti. Solo un riscaldamento però, perché dopo un tornante si inizia a far sul serio.
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C’è molto più bosco di quanto immaginassi, e rettilinei più lunghi di quanto credessi. È dura. Ovviamente sono a regime lentissimo, inutile staccare i miei amici. Me la godo. Mi piace.
La luce inizia a giocare meno a nascondino, e si decide a uscire dagli alberi con più intensità. Si aprono visuali e appare pure lui, il gigante, fra le conifere spennacchiate.
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Ancora su, e ancora una processione colorata verso il proprio santuario. Si vede di tutto. In molti non prenderanno la bici più di 5 volte l’anno, penso. Ragazze soprappeso, bimbi strappati allo schermo di un pc, mamme private della confusione di un mercato. Vicini a scoppiare, ma felici e sorridenti. La ricetta per conquistare la vetta passa anche da soste più o meno lunghe. L’importante è arrivare.

Sono affascinato. Sono, su un santuario, ed è Mario che me lo suggerisce.
E poi il rispetto del ciclista, incredibile. Cartelli che indicano alle auto a quanta distanza tenersi dalle bici durante il sorpasso. Una corsia riservata alle bici per la scalata. Nessun clacson che suona, poche moto che tuonano.
Un santuario o un paradiso?

Così, quando arriva Le Chalet Reynard, sembra tutto iniziato da poco. Anche i lunghi tratti al 9% sono come un fastidio dimenticato per una gioia più forte.
Ultimi 6 km, ed iniziano i sassi. Prima in compagnia di qualche pioniero vegetale, poi nella solitudine di una infinita distesa. Sembra un deserto, eppure quanta vita passa per questo nastro d’asfalto?
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Pietre che galleggiano nel cielo, e noi come in un mare di silenzio. Sono le emozioni a parlare. Fra fotografi che rincorrono per il loro biglietto, facce viola per lo sforzo, una brezza dolce che si inizia a levare, la vetta è sempre più vicina. Quando arriva, l’accoglienza è degna della Grand Boucle, con un nutrito gruppo di inglesi a far baccano quanto solo i mediterranei, da reputazione, ne sarebbero in grado.
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Foto che non mancano e soddisfazioni incalcolabili. Io e Mario abbiamo già capito che in questi giorni ci sarà da divertirsi.
La temperatura non più di tanto frasca, il cielo sgombro da nubi e un vento più che accettabile, ci fanno vestire molto poco per la discesa. Nei pressi di Bedoin ci fermiamo per il pic-nic, all’ombra di una lecceta. Come sempre mangiamo più del dovuto,e i km restanti per Carpentras sono più una lotta con l’apparato digerente che contro il vento contrario.
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Doccia velocissima, che c’è da liberare le stanze. E poi via verso Briançon, passando su strade interne. Viaggio lunghissimo ed infinito, più stancante del Ventoux, che rimane lì negli occhi, galleggiando fra paragoni che tento di fare inutilmente. Soltanto una salita e una storia a se. Si può anche voltare pagina, domani ne scriveremo un’altra.


-->Carpentras-Bedoin-Mont Ventoux-Carpentras, 81 km


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robby
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Re: Una settimana in Francia

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e no cacchio Fabio! :D

Anziché fare andata e ritorno potevate scendere verso Malaucene (discesa bellissima!!!!) e poi rientrare a Carpentras, non avreste nemmeno allungato e avreste fatto anche una strada diversa, personalmente preferisco sempre i “giri” piuttosto che le andate e ritorno per la stessa strada..


Esempio e così anticipo una delle tue prossime puntate….il giorno del galibier…io mi sarei trasferito in auto fino al Lautaret, da lì sarei partito, sceso verso bourg d’oisans, avrei scalato l’Alpe (e qui ovviamente ridisceso dalla stessa strada) poi avrei fatto Croix de fer e infine Galibier…un giro con le controp…e e dal punto di vista panoramico meraviglioso!!! La croix de fer come panorama forse è ancora meglio del Galbier


"Vai Marco, o salti tu, o salta lui...è saltato lui"
Marco Pantani, Montecampione 1998

Monsieur Kobram
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Re: Una settimana in Francia

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Anche io preferisco nettamente i giri Robby, solo che dal momento che faccio parte di un gruppo le decisioni non posso prenderle tutte io... A dir la verità questo è l'unico giro sul quale non c'è la mia firma sull'ideazione :D Gli altri li ho tutti studiati in funzione dei miei obbiettivi e sulle possibilità degli altri...
Il "problema" è proprio quello, ovvero conciliare le esigenze di tutti... Io e il mio compare Mario siamo gente che le distanze non ci spaventano... ma gli altri due che erano con noi hanno qualche anno in più e è già assai se hanno accettato di fare quei giri, quindi... :P


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robby
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Re: Una settimana in Francia

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Allora dici che il mi babbo che a 72 anni si è fatto il giro del Ventoso scendendo anche verso Malaucene (sfoderando una gran discesa tra le altre cose!!) unn’ è mica tant’apposto éh??!! :D


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Monsieur Kobram
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Re: Una settimana in Francia

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Il problema è che per le 14 dovevamo liberare la camera... E prima di arrivare alla'bergo ci siamo fermati a mangiare in un bel posticino che avevamo visto prima... Quindi abbiamo puntato sulla sicurezza, sia del posto che di essere in orario all'albergo per le docce...

In realtà il programma originario era fare la salita da Bedoin e poi scendere un pezzo verso Malaucene e risalire... Un Ventoux e mezzo diciamo, però è saltato per numerosi inconvenienti nella mattinata... :(


PS: il tuo babbo, se l'ha fatto a 72 anni, è proprio un pazzo. Un grandissimo pazzo.... tanto che firmerei seduta stante per fare anchio quel giro a quell'età! Stica... complimenti davvero!!


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Plata
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Re: Una settimana in Francia

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Per farsi un’idea di quel che sia il Lautaret basta vedere l’altimetria. Per immaginarsi il resto basta aver visto qualche volta il Tour. Un’autostrada immensa, lievemente pendente, che attraversa una valle più o meno verde a seconda dei capricci delle nuvole. Di certo oggi le nuvole andrebbero cercate a lungo, ma il verde è piuttosto vivo di un fieno ancora lontano dall’essere messo in cascina.

La giornata è splendida e per essere il mattino in una cittadina di montagna è fin troppo caldo. Attraversiamo le strade urbane di Briancon e le splende rotonde tutte curate nei minimi dettagli. Tanti riferimenti ciclistici, ma anche dello sci. Mi troverei bene, sportivamente parlando, in queste terre.

Con le brioches ancora nello stomaco, la lentezza dei primi km è senza dubbio ben accetta. La lunga autostrada del Lautaret è già iniziata, ed il pedaggio si paga in natura con la noia. Sarà infinito. Anche se, a dirla tutta, le montagne qui attorno sono proprio meravigliose... e questa immensa strada è un po’ meno immensa di quanto pensassi. Chiariamo: è si immensa, ma non c’è quel caos che involontariamente, da buon italiano, mi ero immaginato. Non ci sono clacson a scandire come un tango la scalata, ne motociclisti appena usciti da Misano. È tutto così tranquillo...

Così, fra uno sguardo lanciato intorno, due chiacchere e un paio di pensieri, la strada passa più velocemente di quanto pensassi. La pendenza è così dolce da non stancare, le gambe girano che è un piacere e metro dopo metro mi accorgo di non annoiarmi. Mi godo il lento avvicinarsi di quote più ambite, la meravigliosa cornice delle alpi che sembrano tutte lì per me. E poi ecco anche arrivare quella leggera brezza di mattino e di alti prati, con quel suo profumo che soltanto chi l’ha sentito, almeno per una volta, può capire.

Mario, il capitano, ha praticamente scandito il passo per tutto questo primo tratto. Cerco di ricambiare con un paio di foto. Vengono male.
Le larghissime curve che precedono il Col de Lautaret arrivano quasi a sorpresa, ed allora inutile fare troppo foto: ci sbizzarriamo sul colle! Infatti ne facciamo diverse, chiamando ad unirsi anche un amico di Pistoia trovato durante la scalata.
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Con altri 8 km si guadagna il Galibier, e non siamo certo qui per risparmiarsi. Il sole bacia i prati e la pelle appena lucida di sudore, mentre il vento d’alta quota si sveglia per acconpagnarci sino in vetta. La montagna, aspra ma benevola, ci protegge riparandoci un po’. E poi le scritte sull’asfalto parlano di una storia e di ruote impresse nella leggenda. Nell’aria ancora quel profumo e nel vento le voci parlano di mezza Europa che si ritrova e si unisce scalando un gigante buono.
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È come magia, e nella magia mi lascio trasportare. Fianco a fianco col capitano, maestro di bici e di emozioni da imparare a cogliere pedalando, raggiungiamo il minuscolo spazio in vetta. Non c’è niente, ma c’è tutto per chi sa leggere istanti e sensazioni svincolate dal tempo e dallo spazio.
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Ancora io e il capitano, mai stanchi di salite, decidiamo allora di scendere dalla parte opposta, di arrivare fino al Telegraphe e poi di ritornare indietro scalando così pure l’altro versante di questo dolcissimo gigante buono.
In discesa mi diverto parecchio nonostante il traffico, ma senza mai andare troppo oltre. In fondo alla discesa, a Valloire, riponiamo gli smanicati nell’ammiraglia personale a nostro seguito, guidata da Maurizio e Mariolino. E iniziamo il Telegraphe, per marcare visita ad un altro colle. Per non aver rimpianti.
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Con ancora negli occhi il Galibier, ci sembra tutto monotono e terribilmente breve. In un attimo siamo in cima e pronti a ridiscendere verso Valliore.
E poi via, di nuovo in marcia verso gli over 2600 metri.
I primi km sono un lunghissimo, assolato, caldissimo e impegnativo rettilineo. Si susseguono case e casette, e sullo sfondo c’è la nostra vetta ad attenderci. Mario è un po’ in crisi, mi dice “vai!”, ma dove vado? Lo aspetto, non è una gara e la compagnia fa sempre bene per superare alcuni momenti. I rettilinei del resto finiranno prima o poi, e quando lo faranno non sarà altro che un piacere.
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Inizio a star male anche io a dir la verità: una strana nausea. Chiedo un po’ di coca all’ammiraglia e tutto passa. Passa anche quel maledetto rettilineo e siamo nel cuore della salita. Ritorna il profumo di prati, la quiete della montagna e i suoi occhi invsibili su di noi, e la bellissima sensazione di essere niente in quel mare di rocce, erba, neve e cielo. Soltanto viaggiatori fortunati.
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È pure caldo, ed a queste quote è un piacere. Ci godiamo tutto, e le foto a valanghe sono il tentativo di colmare i buchi della memoria che il tempo scaverà. Ma non nelle emozioni. Una salita magnifica, spettacolare e imperdibile. Esigente ed accogliente, non deve assolutamente mancare nel palmares di chiunque sappia amare questo sport.

Nella stretta di mani, poi alzate verso il cielo negli ultimi metri di una scalata memorabile, c’è tutto di quanto il ciclismo possa insegnare. E far vivere.
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Il cielo è ancora perfetto, il profumo ancora intenso e il vento ancora vivo. Si può chiedere altro?
Di certo sappiamo che che quell’autostrada di montagna ci aspetta con i favori della gravità e con le noie di un assicurato vento contrario. Sarà bello anche quello però. Oggi sono in grado di non odiare il vento contro. Oggi è una favola, il resto non conta. Vorrei solo continuare a guardare tutto da quassù...
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