Mmmmm... perché questi richiami ad un rapido e facile cambiamento della Costituzione Italiana mi puzzano tanto di bruciato?
Chiariamo subito che tutto è migliorabile, perfettibile e giustamente da adattare all'evolversi dei tempi. Ma nel giudizio sulla nostra carta costituzionale mi pare che non si possa derogare ad alcuni elementi di analisi storico/politica.
Se vogliamo, la Costituzione del 1948 è il primo vero atto fondativo dell'Italia unita. Forse non tutti ricordano che il precedente (lo Statuto Albertino) risaliva al 1848, quindi al Regno sabaudo. Non a caso, le legislature continuarono con le numerazioni precedenti, come pure, altro dato forse astratto ma sintomatico, i numeri ordinali dei re. Se quindi qualcuno volesse vedere il processo di unificazione in un'ottica annessoria, o meglio quasi colonialista, aldilà degli errori/orrori compiuti in campo politico-economico, non avrebbe migliore appiglio formale di questi aspetti "psicologici".
In ogni caso, lo Statuto era una Costituzione flessibile, facilmente modificabile attraverso le normali prassi legislative, intrinsecamente fragile e potenzialmente foriera di disastri, cose che puntualmente... avvennero. Non credo di dover spiegare a quale fase della nostra storia si sta facendo riferimento, e nemmeno di star teorizzando una ipotetica superiorità delle Costituzioni rigide rispetto alle flessibili; dato più importante al riguardo è forse la "sfortuna" di essere capitati in mano ad una delle dinastie più deboli, incapaci e meschine della storia dell'umanità.
Volendo andare ancora più indietro, c'erano e ci sono ancora da sanare vizi forse millenari del comune sentire politico italico: la tendenza ad affidare a terzi il proprio destino, la delega del proprio stato di cittadinanza, una chiara deriva populista che porta ad infatuarsi di presunti capopoli di estrazione piccolo-borghese che tanto promettono e niente mantengono, a cui implicitamente e a volte esplicitamente i poteri più forti consentono di fare il "lavoro sporco" (almeno come inteso in quel momento), salvo poi rinnegarli per arrivare puntualmente a fasi di sospensione della rappresentanza e di messa in secondo piano della "politica" intesa come tentativo di dare risposta equilibrata al bene comune.
Niente di strano quindi se, per creare una soluzione di continuità alla storia di uno Stato nato male, nel dopoguerra fosse stata scelta una forma costituzionale di impianto meno "deformabile", che garantisse per alcuni decenni una certa stabilità, intorno a idee a volte pure divergenti ma armonizzabili, quali dirigismo-stato liberale-socialdemocrazia-antifascismo. Un'idea di Stato costruita primariamente su principi di rappresentatività proporzionale e di equilibrio dei poteri, con qualche stortura, forse dovuta a cautela (il bicameralismo perfetto la prima di tutte). A ben vedere però la prima che nei 150 anni di unità sia riuscita a costruire un barlume di classe dirigente, e, grazie anche ad un certo sviluppo tecnologico ed economico, finalmente ad intravedere un accenno di unità nazionale, a livello linguistico/culturale ma pure politico/organizzativo. Forse piccoli successi, ottenuti comunque nonostante un evidente blocco delle opzioni di governo dovuto in massima parte alla congiuntura internazionale, della quale comunque l'avventurismo di cui sopra era stato causa primaria.
Logico che, visto il prodotto bacato preesistente, il lavoro fosse lungo e difficile da compiere: guarda caso però, proprio mentre si allentava la congiuntura che impediva nella sostanza una reale alternanza, sono riemersi antichi vizi e solite derive. Forse un'occasione mancata è rappresentata dalla crisi di inizo anni '90, quando alcuni sintomi ormai oggigiorno endemici erano ancora contrastabili; grossa responsabilità a mio modo di vedere la detiene il maggior partito della sinistra, che perse l'occasione di farsi guida di un nuovo patto costituzionale, e si accodò invece ad istanze maggioritarie surrettizie e ad un'idea di federalismo che a ben vedere poteva essere già contemplata attraverso un miglioramento della Costituzione ancora vigente, e comunque in quel momento portata avanti da forze che non ci voleva molto a riconoscere come poco credibili e pure parecchio in linea coi "difetti" di cui sopra.
Qualche storico comincia a dare la responsabilità di questo pastrocchio proprio alla Costituzione del 1948: a mio avviso invece andrebbe maggiormente considerato il mancato e tempestivo suo compimento (basta dare un occhio all'art. 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”...
).
In definitiva, i sostenitori di una messa in pensione della Costituzione repubblicana hanno il sacrosanto dovere di chiarire, se ne sono capaci, a quali principi e quali strumenti un nuovo testo dovrebbe essere ispirato...