Mi permetto di linkare un intervento illuminante di Silvio Martinello del 27 agosto 2011
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Come funzionassero le cose era di dominio pubblico nell’ambiente, della necessità d'individuare soluzioni condivise, coerenti e soprattutto che contribuissero a ridare credibilità al mondo del ciclismo tutti ne sentivano l’esigenza, soprattutto dall’interno. Il ciclismo è uno sport che vive di sponsorizzazioni, l’efficacia del ciclismo come veicolo promozionale e pubblicitario è facilmente riscontrabile da ricerche di ogni genere, ed in quegli anni si iniziò a comprendere che sperperare questo patrimonio era da irresponsabili. Chi avrebbe continuato ad investire in uno sport di dopati, di corrotti, senza nessuna credibilità? Naturalmente tutti gli attori in campo non furono esenti da errori, le idee che uscirono non furono tutte lungimiranti, ma qualche cosa bisognava fare, ed i corridori furono chiamati a fare la loro parte. In quegli anni ricoprivo la carica di Vicepresidente dell’ACCPI, non partecipai al Giro del 1999 ma ero quotidianamente in contatto per il ruolo che ricoprivo, evidentemente i colleghi, eleggendomi, ritenevano avessi la capacità di rappresentarli al meglio. La linea dell’ACCPI, alla cui guida c’era il compianto Avv. Enrico Ingrillì, lui si costantemente al seguito della corsa, era quella di sposare la campagna del Coni “Io non rischio la salute”, ritenemmo non fosse il caso di fare barricate, i segnali avrebbero potuto essere interpretati nel modo scorretto, proprio per i motivi sopra citati. Marco era di altra idea, dimostrò più volte la sua personale titubanza, la linea che si decise di assumere non gli piacque certamente, riteneva i controlli dell’UCI sufficienti. Tutti noi su questo punto fummo d’accordo, ma l’ambiente e le istituzioni chiedevano anche questo passaggio, ed il clima non ci sembrò tale da iniziare un braccio di ferro, che ritenemmo inopportuno per la credibilità che con fatica si cercava di riconquistare. Giova ricordare a tutti coloro che sono appassionati delle vicende di allora, che l’anno prima, 1998, ci fu lo scandalo Festina al Tour, corridori, e non solo, trattenuti in carcere e costretti a confessare come funzionava il sistema Festina. A quel Tour invece c'ero, almeno fino al momento del ritiro per la frattura del bacino a causa di una caduta in volata, ottava tappa mi sembra, ed il clima di nauseante sospetto lo ricordo. Si era giunti ad un momento storico che definire clima da processo sommario ad un intero movimento, ritengo non sia esagerato.
Non dubito che ci fosse qualche collega che chiamasse Marco per sollecitarlo ad assumere una posizione diversa, ma ripeto, non era quella ufficiale.
Le dichiarazioni di Andrea Noè si possono condividere, solo un ipovedente può sostenere che Marco non sia stato un grande, ma se lui avesse assunto un atteggiamento diverso dopo Campiglio, io non sarei così sicuro, caro Enzo, che sarebbe rimasto solo. Riconosco che non sarebbe stata una scelta semplice, ma coraggiosa e soprattutto che gli avrebbe impedito di scivolare in fondo al baratro come purtroppo accadde. Quella era una scelta complicata, d’accordo, ma quella che ha fatto dove lo ha portato? Ma queste, come molte altre, sono valutazioni a posteriori, che servono solo ad alimentare le discussioni, faccio notare che quel passo coraggioso io lo chiesi a Marco allora, non adesso, a 15 anni di distanza.
Gli esempi che porti, sono a mio avviso sostanzialmente diversi, Basso ha confessato, ha fatto 2 anni di squalifica ed è tornato, Pellizotti ha sempre sostenuto la sua buona fede di fronte alle contestazioni che gli sono state rivolte, il Tas ha chiuso il caso dandogli torto, ma non mi risulta che si siano levate barricate a difenderli.
Marco non è mai stato trovato positivo, e questo non devi certamente ricordarlo a me, lo so bene ed ho sempre cercato di far capire l’enorme differenza che anche dal punto di vista normativo esiste, nelle occasioni in cui sono stato chiamato per parlare di ciclismo, spesso di fronte a gruppi di studenti con cui vengono organizzati incontri nelle loro scuole,
ma tra di noi vogliamo continuare a raccontarci che si può avere l’ematocrito a 48, 49, 50 o 51 al termine di una grande corsa a tappe? Se vogliamo continuare a girarci intorno, liberi di continuare a farlo, non credo aiuterà comunque a capire meglio.
Con Marco, e non solo con lui, iniziarono a parlare di doping perché il clima di allora, come quello di adesso purtroppo, era di grande sospetto nei confronti del ciclismo e dei ciclisti. Ecco perché era ed è quanto mai prioritario adottare tutte le politiche utili a far ritrovare credibilità al nostro ambiente.
Enzo, io non conosco nulla delle vicende giudiziarie che videro coinvolto Marco, convengo con te che non hanno avuto nei suoi confronti la mano leggera, la magistratura fa il proprio lavoro, converrai comunque con me che tante disgrazie giudiziarie se le è cercate, probabilmente anche a causa di scelte infelici su chi dovesse tutelarlo, ma sempre scelte furono, e per quel poco che l’ho conosciuto, era uno che amava fare di testa propria, e soprattutto circondarsi di gente che lo assecondasse, senza contraddirlo.
Ognuno di noi, anche se non custodiamo ricordi particolari, preferirebbe che Marco fosse ancora qui, a dividerci su questioni di natura tecnica o tattica, commentando le gesta dei campioni di oggi, pensa come sarebbero autorevoli i suoi commenti, o tornare a dividerci sulle scelte di allora, ma il destino gli ha riservato altro.
Constatare che ora, provocatoriamente, con l'onorevole e legittimo scopo di cercare la verità,
ci sia chi trova soddisfazione ad indicare in alcuni che non la pensavano come lui, i responsabili della sua tragica e triste fine, oltre che inutile allo scopo, lo trovo demenziale, di cattivissimo gusto e soprattutto poco rispettoso della sua memoria.
A volte il dito indica proprio il dito, non la luna.
Dopo Campiglio qualcuno ha abbandonato il ciclismo, qualcun altro ha ripreso a seguirlo.
I veri campioni erano quelli che dicevano no [Winter]