Da cycling pro un post lunghetto che però inquadra lo stato dell'arte dopo le nuove regole dell'anno scorso:
FUNZIONA IL NUOVO “CODICE ETICO”
DELLE GRAN FONDO?
La rivoluzione «etica» nelle gran fondo e nelle gare
amatoriali italiane è debuttata poco più di un mese fa,
all’inizio della stagione agonistica. La norma, condivisa
più o meno di buon grado da tutti gli enti e dalla
Federciclismo, ormai la conosciamo a memoria:
chiunque abbia staccato un cartellino di cicloamatore
per la stagione 2014 ha dovuto consegnare al proprio
presidente di società un modulo firmato in cui attestava
di NON trovarsi in nessuna delle sette condizioni che, in
base al nuovo regolamento, impediscono il rilascio del
cartellino stesso. Una vera autocertificazione con valore
legale. Ogni presidente di società, poi, ha dovuto inviare
alla federazione di appartenenza un modulo in cui
certificava di aver chiesto e ricevuto da tutti i suoi
tesserati questo modulo.
Con questa normativa il mondo del ciclismo amatoriale
(primo e unico in Italia) dovrebbe aver escluso dalle
competizioni non solo tutti gli atleti condannati a pene
superiori ai sei mesi (tecnicamente da sei mesi e un
giorno in su, in pratica da nove mesi o un anno che è
sono gli step successivi di sanzione) ma anche chi è in
attesa o in corso di giudizio penale per doping o ha
ricevuto comunicazione di positività o alterazioni dei
valori del passaporto biologico ma anche chi
semplicemente «ha adottato pratiche mediche non
giustificate da condizioni patologiche o terapeutiche
documentate, finalizzate ovvero idonee a modificare i
risultati dei controlli antidoping sull’uso di farmaci non
consentiti». In questo disciplinare sono inseriti anche – a
dire il vero in modo non esattamente elegante, visto il
contesto “dopante” – pure ex professionisti, Elite e
under 23 per un determinato periodo dopo la fine del
loro tesseramento.
In che modo è partita l’applicazione della norma?
Davvero difficile valutarlo in maniera oggettiva. Diciamo
che su cinque presidenti di società da noi interpellati, tre
ci hanno assicurato di aver raccolto il cento per cento
delle dichiarazioni dei loro corridori, uno di doverne
ancora ricevere alcune (ma da atleti al… di sotto di ogni
sospetto, sostiene) mentre un terzo è letteralmente
caduto dalle nuvole sull’esistenza della normativa.
Una verifica online ci ha permesso di capire che la
maggior parte degli enti ha inserito (più o meno bene…)
sia la spiegazione della normativa che la modulistica
web sul sito. Certo, non sempre la collocazione di
questo materiale sui siti è appropriata e la sua visibilità
ottimale, ma sulle carenze dei portali istituzionali del
ciclismo ci siamo soffermati più volte.
Il problema adesso è soprattutto verificare che non ci
sia qualcuno che fa il furbo , ovvero che gareggi pur non
avendo i requisiti per farlo quando, in alternativa,
dovrebbe accontentarsi della tessera di cicloturista e
partecipare solo alle prove senza pretendere una
classifica. Le verifiche, come avevamo subito ipotizzato,
avvengono dal basso (organizzatori e soprattutto
concorrenti) sotto forma di segnalazione via mail e quasi
sempre anonima o ai vari enti o alla casella di posta
“comune”
[email protected]
E i forum specializzati si sono riempiti con centinaia e
centinaia di pagine di segnalazioni e denunce che hanno
da un lato evidenziato anomalie ma dall’altro creato un
clima da caccia alle streghe davvero pesante. Ecco i casi
più comuni.
1) Atleti che hanno scontato squalifiche in passato e che
comunque hanno gareggiato tra febbraio e marzo. Ce ne
sono già stati ed è evidente che a loro o ai loro
presidenti di società la norma è “sfuggita”. Resta il fatto
che ci sono enti che tesserano senza passare per le
società di base, che di solito sono un buon filtro, e senza
conoscere gli atleti e la loro storia, società piccolissime
dove l’atleta è anche il presidente o un dirigente oppure
tesseramenti giornalieri fatti alla vigilia della corsa con
obbiettive difficoltà di verifica specie se – è successo –
l’atleta viene da una squalifica vecchia di anni e difficile
da rintracciare in archivio oppure da federazioni come
quella paralimpica (caso accaduto in Toscana) i cui
elenchi di ex sanzionati sono tenuti separatamente ma
soprattutto, per i quali pare che non esista l’obbligo di
certificazione etica, fatto che sarebbe naturalmente
gravissimo. Urgono quindi precisazioni.
2) Atleti «falsi positivi”. Molti tra corridori e organizzatori
hanno scritto per citare il caso di Francesco Casagrande,
l’ex pro toscano che ancora oggi corre e vince nella
mountain bike. Ma Casagrande venne squalificato
dall’Uci per sei mesi e quindi, come tutti quelli nelle sue
condizioni, PUO’ legittimamente gareggiare. L’inibizione,
ricordiamolo, parte da squalifiche di lunghezza superiore
a sei mesi e un giorno! Il problema è che dieci/quindici
anni si davano sei mesi anche per fatti che oggi
verrebbero sanzionati con uno o due anni, ma la norma
è rigida e così va applicata.
3) Ci sono casi davvero border line, che danno l’idea di
cosa non si faccia pur di avere una tessera. Ad esempio
quello di Martina Mormorunni che, sotto squalifica per
doping (era tesserata Fci) è riuscita a farsi tesserare dal
Csi e gareggiare nel running e nelle prove di duathlon
(bici più corsa). La Procura del Coni (caso davvero raro)
l’ha risqualificata per due anni a partire dalla data
dell’ultima gara, il 4 gennaio scorso. Il Csi si è scusato
via Twitter, controllare tutto e tutti è difficile ma è
evidente che a questi fatti bisognerà prestare attenzione,
4) Ma il caso secondo noi più “disturbante” riguarda i
cicloturisti. Perché, ricordiamolo, gli atleti che hanno una
sanzione nel loro “curriculum” e gli ex pro possono
tesserarsi solo come cicloturisti e partecipare (oltre alle
prove a loro riservate) anche alle gran fondo ma senza
concorrere alla classifica. Cosa succede? Succede che
squadre di gran nome si presentano al via delle gran
fondo con esponenti di entrambe le categorie, tesserati
ovviamente come “turisti”. E succede che gli alcuni
organizzatori non distinguano (né con pettorali, né con
gabbie di partenza separate) i cicloamatori dai
cicloturisti. In questo modo questi atleti “fanno” la gara,
contribuiscono alle vittorie dei compagni e inquinano
evidentemente tutta la manifestazione. Questo quando il
regolamento Fci precisa chiaramente che gli ex «sono
esclusi da qualsiasi classifica individuale e di società e
dovranno evitare in ogni modo di alterare lo svolgimento
della gara». Come rimediare? Secondo noi separando
nettamente la parte agonistica da quella cicloturistica.
Resta una domanda a cui rispondere. Cosa rischia chi
bara? Chi lo deve giudicare? Risposta alla seconda
domanda: giudica la Procura Federale della
Federciclismo o l’organo competente omologo (se
esiste) dell’ente di tesseramento. La pena per la slealtà
sportiva varia dall’ammonizione alla radiazione, con in
mezzo pene sospensive che vanno da sette giorni a due
anni. Vedremo dopo i primi giudizi quali verranno
applicate, al momento non abbiamo notizia ufficiale di
deferimenti.
Adesso ci piacerebbe avere il vostro parere su quello
che sta succedendo.