Filosofia

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lemond
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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CII

Il progetto era sostenuto dall'idea che la sfera della razionalità umana si risolvesse solo nella scienza e quindi andava esclusa la metafisica, perché manca in modo assoluto di precisione; tratta nello stesso modo realtà differenti, come concetti, eventi, qualità, cose, dicendo ad es, che bene, conoscenza, duttilità e dell'albero, tutti allo stesso modo ... *sono*!
A ciò si aggiunge un secondo errore, che consiste nel credere che i processi cognitivi possano fare a meno dei contenuti empirici e che il pensiero sia in grado di produrre nuova conoscenza, mediante inferenze puramente logiche. I saperi metafisici e religiosi sono costruiti su proposizioni i cui termini (essere, assoluto, Dio) sono privi di un contenuto concreto riscontrabile e verificabile nell'esperienza e non invece come quelli che rispettano le seguenti regole:
a) l'oggetto empirico a cui un termine si riferisce, deve essere noto;
b) la proposizione deve essere chiaramente dedotta da proposizioni che fanno riferimento a dati elementari;
c) devono essere note le condizioni di verità, cioè di verificabilità empirica;
d) egualmente noto deve essere il metodo per verificare la correttezza delle proposizioni.
I metafisici che sostengono "L'essere è il principio del mondo" non sanno che tale proposizione è priva di significato, allo stesso modo di quella che "Cesare è un numero primo" o similia! (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CIII

Il Circolo di Vienna sostiene una concezione nota come "neopositivismo logico", che intende congiungere la nuova logica matematica con l'epistemologia di tradizione empirista e che individua il proprio obiettivo polemico nella metafisica, intesa come quella pseudo-scienza che non sodisfa il requisito minimo di una teoria del significato, cioè la verificabilità concreta, almeno in linea di principio, dei suoi enunciati! (nota mia, un po' come il marxismo :) )
Una teoria può essere considerata scientifica solo quando gli enunciati teorici, cioè riferiti a proprietà non verificabili, possono almeno tradursi in enunciati osservativi, riferibili a oggetti o proprietà che possono essere direttamente verificati.
Schlick fornisce l'esempio: "Se un amico mi dicesse di condurlo in un Paese dove il cielo fosse tre volte più azzurro che in Inghilterra. io non potrei sodisfare quel desiderio e la frase sarebbe addirittura senza senso, perché la parola *azzurro* è usata in maniera che non è prevista dalla regole della nostra lingua!" In questo caso non si potrebbe nemmeno parlare di filosofia, perché essa, secondo il Nostro, è quell'attività mediante la quale si chiarisce e si determina il senso degli enunciati e di questo si occuperà anche Wittgenstein nel Tractatus. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CIV

Karl Popper


Cruciale per C.P. fu l'incontro nel 1919 con la fisica di Einstein, che lo condusse a individuare una essenziale differenza con le altre grandi teorie contemporanee: la psicoanalidi di Freud, la psicologia individuale di Adler e la teoria della storia di Marx.
Ai suoi occhi questi tre sono solo sistemi metafisici, capaci di spiegare qualsiasi fatto e immuni da ogni possibilità di errore e questo è il loro limite maggiore! Fatti di segno opposto possono essere egualmente addotti per giustificarli o per confermarli, per cui assomigliano più alle religioni, che alla scienza!
Di tutt'altro tenore è la teoria della relatività, Einstein cercava sempre conferme che, esse sole, potevano dimostrare la veridicità di quel che sosteneva e questo è il vero atteggiamento scientifico. :)
Popper si contrappose anche alla teoria del Circolo di Vienna: il processo induttivo non ha fondamento logico, perché è esposto a essere confutato da ogni singolo fatto: l'affermazione "Tutti i cigni sono bianchi" non acquista maggiore verità dall'accumulo di enunciati singolari come "Questo cigno è bianco", ma può essere smentita anche da un solo "Questo cigno è nero"! Popper, lapidariamente ne conclude che l'induzione non esiste e deve essere sostituito dal criterio di falsificabilità. La scienza non ricerca tutti i fatti, bensì formula una teoria per esclusione e come diceva S.H. quando hai tolto ogni concetto dimostratosi falso, quel che resta si avvicina al vero. :) (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CV

Le idee guida della sua filosofia della scienza muovono anche la riflessione storica e politica, il che si vede soprattutto nella Miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici.
Con storicismo intende una forma di interpretazione della realtà segnata da residui metafisici come l'essenzialismo, vale a dire la tendenza a spiegare ogni fenomeno tramite il rimando a un fondamento immutabile della realtà; e l'olismo, l'abitudine a considerare la società come una totalità irriducibile alle sue parti. Per questo lo storicismo rifiuta di confrontarsi con un progetto di riforme, parziali, ma attuabili, per inseguire ideali utopistici di rivoluzione sociale.
Popper distingue il mondo in tre parti:
a) gli oggetti materiali, come i sassi, corpi e cervelli
b) l'insieme dei pensieri prodotti da menti umane, ma non considera i processi biologici delle cellule celebrali, che sono semplici supporti
c) le realtà oggettive, prodotte dal pensiero, custodite e tramandate attraverso la storia in oggetti del mondo, come i libri.
Sono le realtà *c* a far sì che le idee abbiano una storia e un'evoluzione, senza alcun bisogno di ipotesi storiciste.
Nell'altra opera, afferma che non esistono società perfette e la società aperta procederà dunque con ipotesi politiche ad hoc, parziali e temporanee, che potranno essere falsificate. Affinché la democrazia possa tener sotto controllo il potere politico si deve stare molto attenti a che non ci sia nessun tipo di monopolio, tipo quello della TV, che invece ha sempre avuto maggior peso politico! (nota, fino a d arrivare al parossismo del belusKa!)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CVI

Sigmund Freud


Con lui nasce la psicoanalisi e dobbiamo ringraziarlo per le geniali intuizioni. :) Come sintetizza T. Mann in un saggio in cui celebra gli ottant'anni del medico viennese: "... le vedute della psicoanalisi trasformano il mondo".
Dopo di lui sarà impossibile considerare la psiche senza tener conto della nuova prospettiva e addirittura anche l'uomo della strada, dopo Freud, sa di avere un inconscio.
Il Nostro struttura la psiche in tre settori: conscio, pre-conscio (qualcosa di latente che può essere facilmente riportato in superficie) e inconscio (impulsi irrazionali e selvaggi, desideri rimossi, pulsioni inconsapevoli).
Per lui non è vero che ci sia coincidenza fra mente e consapevolezza, anzi, la dimensione nascosta è il vero motore e interferisce di continuo con la vita cosciente. Ciò avviene, in primo luogo, nei sogni, ma anche nei lapsus, nello smarrimento do oggetti e infine nei gesti involontari.
Sta all'analista riuscire a individuarli e decifrarli, per far emergere ad es, i sintomi delle psiconevrosi. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CVII

Freud afferma che la pulsione vitale dell'uomo è di natura sessuale (libido) e indirizzata alla ricerca del piacere, il che gli permette di rompere le consuete barriere intellettuali, come quella che pone un divario netto fra normalità e devianza, oppure l'altra che non riconosce la sessualità infantile.
Il bambino impara presto a riconoscere le zone erogene e a compiere atti volti alla ricerca del piacere e addirittura sviluppa un sentimento di amore per il genitore di sesso opposto e di rivalità per l'altro (complesso di Edipo). Tale dinamica condiziona sensibilmente l'articolarsi della personalità adulta.
Le tre province psiche del Nostro sono spiegate in maniera dettagliata, a partire dalla più antica, l'Es, che esprime l'istinto dell'inconscio, ovvero le richieste del corpo alla vita psichica. L'Es è mosso dalla ricerca del piacere e cerca in tutti i modi di sottrarsi al controllo dell'Io, la coscienza che intrattiene i rapporti con il mondo esterno. L'Io è costretto a trovare continui compromessi, cercando la sodisfazione dei desideri, ma al contempo deve tener conto dei pericoli e delle costrizioni che il mondo impone.
La terza istanza (provincia) ipotizzata da Freud è il Super Io, che rappresenta l'interiorizzazione dei divieti sociali, il che lo porta a pensare che troppo spesso l'Io cede alla tentazione di essere servile, opportunista e bugiardo, un po' come un uomo politico (nota, meglio se cattolico e Francesco I del nome, ne è un esempio preclaro!), che, pur essendo consapevole di come stanno le cose, intende comunque dire altro, per conservarsi il favore della pubblica opinione.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CVIII

La psicoanalisi dopo Freud

Contro Freud ci fu un'aperta ostilità da parte dell'intellighènzia dominante; d'altra parte come poteva essere altrimenti rispetto alle teoria di un medico che osava smontare la morale e la religione, riconducendole a dinamiche nevrotiche?! ;)
Anche fra i suoi allievi nacquero presto contrasti: la scissione di maggior rilievo fu quella che coinvolse lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, designato all'inizio dallo stesso Freud come delfino.
Jung ridimensione la sessualità dei bambini e, con essa, il complesso di Edipo, ma più in generale non accetta che le perversioni psichiche derivino essenzialmente da pulsioni sessuali. Inoltre introduce un sostrato psicologico collettivo, costituito da tendenze innate (archetipi) che sono rintracciabili nei miti, nelle leggende e nelle tradizioni religiose dell'umanità.
L'inconscio collettivo, a differenza di quello individuale, non è né represso, né dimenticato e costituisce invece l'orizzonte di fondo di tutto ciò che l'uomo ha pensato. L'arte, secondo Jung, fa da tramite fra la coscienza individuale e gli archetipi ed ha la capacità di schiudere, attraverso i suoi simboli, *l'accesso alle fonti più profonde della vita*.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CIX


Anche Wilhelm Reich si distaccherà dal maestro alla luce di intuizioni derivate dalla filosofia marxista, che lo portarono a interpretare l'istinto di morte come derivato della repressione sociale della civiltà capitalistica. Anche Marcuse legge le categorie di Freud in chiave socio-politica e ci vede una utopistica trasformazione della realtà.
Poi ce ne sono stati anche molti altri che hanno creato scuole e indirizzi molteplici e ciò che viene oggi chiamata psicoanalisi è la coesistenza, a volte pacifica, a volte bellicosa, di differenti teorie. La disciplina parla un gran numero di lingue. :)


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angelo custode Karmelo

il sanbitter

MUBUAHAHAA....mannaggiaacr.....



Poco più di vent’anni fa, ho pubblicato il mio secondo romanzo, che si intitola Bassotuba non c’è, il cui protagonista, che si chiamava Learco Ferrari, era uno che aveva poco più di trent’anni e non riusciva a entrare nel mondo dei grandi (a lui sarebbe piaciuto che lo prendessero dentro come scrittore, cioè di mestiere voleva far lo scrittore), e siccome aveva avuto a che fare, nel suo percorso universitario, con un congruo numero di allievi del filosofo Gianni Vattimo, si era convinto che la resistenza del mondo al suo ingresso dipendesse da una congiura degli allievi di Vattimo, e, non conoscendo Vattimo, era andato in biblioteca per provare a capire che tipo era.
Da una foto pubblicata nel retro di un libro di Vattimo, gli era sembrato che a Vattimo piacesse bere, e la cosa gli era in un certo senso stata confermata dalla definizione che Vattimo dava di «Pensiero debole». Il pensiero debole (cito): «ha con dialettica e differenza una relazione che non è principalmente o soltanto di “superamento” ma piuttosto si definisce attraverso il temine heideggeriano di Verwindung, termine esso stesso comprensibile solo entro una visione “debole” di cosa significhi pensare».
A Learco Ferrari, questa definizione di Vattimo era sembrato il delirio di un alcolizzato; ma non aveva dato un giudizio definitivo, aveva detto forse.
«Forse (cito) bisogna indagare il Verwindung heideggeriano. Forse, se uno capisce il Verwindung heideggeriano, dopo gli si chiarisce tutto. Come bere un bottiglione di Amaro Averna. Chissà».
Comunque poi lui, Ferrari, dopo aver sfogliato questi libri redige una biografia di Vattimo, che, su richiesta dell’angelo custode (ha un angelo custode che si chiama Karmelo) riassume così: «Vattimo Giovanni, nato a Torino nel 1936, segno zodiacale: Cancro. A ventotto anni diventa professore di estetica all’università di Torino. Come abbia fatto, non si capisce: questo periodo della vita del Vattimo è avvolto nelle nebbie della creazione. Comunque egli, il Vattimo, fin dai primi tempi del suo insegnamento manifesta una insolita e smodata passione per le bevande alcoliche. E, in preda ai fumi dell’alcol, scrive cose incomprensibili. Dopo va a lezione e le legge ai suoi studenti. Gli studenti gli dicono Maestro, non abbiamo capito. Lui gli dice Dovete bere! Bere, dovete! Con lui, se non bevi, sei finito. Non c’è via di scampo. Agli esami, la prima domanda che ti fa è Cos’hai bevuto, stamattina? Quattro Campari, devi rispondere. Fammi sentire il fiato, dice. Non si fida. Qui sento del Sanbittèr, dice, altro che Campari. Torna quando avrai imparato a bere! Maestro, gli dice lo studente, non posso bere, ho dei problemi al fegato. Vergogna! Fuori da questa università! E così ha tirato su tutta una generazione di alcolizzati». Ecco.
Quando ho scritto queste cose, era la fine del 1998, non avevo mai incontrato di persona Gianni Vattimo e non avevo idea delle sue abitudini, non sapevo se bevesse o no, era un modo che mi piaceva di significare la paranoia del protagonista che credeva di essere vittima di una fantomatica associazione di allievi di Vattimo, e che ne pativa la presenza quotidiana (la sua fidanzata, la Bassotuba del titolo, l’aveva lasciato per un allievo di Vattimo).
Ma quando poi il libro è uscito per Einaudi Stile Libero, nel 2000, e quando l’ufficio stampa di Einaudi mi ha chiesto di fare una presentazione a Torino con Vattimo, io ho detto che l’avrei fatta volentieri, solo che poi, non ho sentito più niente, dopo qualche settimana ho chiesto «Ma la presentazione con Vattimo la facciamo?», e dall’ufficio stampa mi han detto «È meglio di no». Allora ho capito che a Vattimo il mio libro non era tanto piaciuto. E ho sperato, devo confessarlo, che Vattimo mi querelasse. Che una querela, devo dire, per un libro, soprattutto una querela immotivata, può essere una buona cosa, pensavo (e lo penso ancora). Non son mai riuscito, a farmi querelare, con i miei libri.


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nemecsek. ha scritto: martedì 19 settembre 2023, 23:39 angelo custode Karmelo

il sanbitter

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Poco più di vent’anni fa, ho pubblicato il mio secondo romanzo, che si intitola Bassotuba non c’è, il cui protagonista, che si chiamava Learco Ferrari, era uno che aveva poco più di trent’anni e non riusciva a entrare nel mondo dei grandi (a lui sarebbe piaciuto che lo prendessero dentro come scrittore, cioè di mestiere voleva far lo scrittore), e siccome aveva avuto a che fare, nel suo percorso universitario, con un congruo numero di allievi del filosofo Gianni Vattimo, si era convinto che la resistenza del mondo al suo ingresso dipendesse da una congiura degli allievi di Vattimo, e, non conoscendo Vattimo, era andato in biblioteca per provare a capire che tipo era.
Da una foto pubblicata nel retro di un libro di Vattimo, gli era sembrato che a Vattimo piacesse bere, e la cosa gli era in un certo senso stata confermata dalla definizione che Vattimo dava di «Pensiero debole». Il pensiero debole (cito): «ha con dialettica e differenza una relazione che non è principalmente o soltanto di “superamento” ma piuttosto si definisce attraverso il temine heideggeriano di Verwindung, termine esso stesso comprensibile solo entro una visione “debole” di cosa significhi pensare».
A Learco Ferrari, questa definizione di Vattimo era sembrato il delirio di un alcolizzato; ma non aveva dato un giudizio definitivo, aveva detto forse.
«Forse (cito) bisogna indagare il Verwindung heideggeriano. Forse, se uno capisce il Verwindung heideggeriano, dopo gli si chiarisce tutto. Come bere un bottiglione di Amaro Averna. Chissà».
Comunque poi lui, Ferrari, dopo aver sfogliato questi libri redige una biografia di Vattimo, che, su richiesta dell’angelo custode (ha un angelo custode che si chiama Karmelo) riassume così: «Vattimo Giovanni, nato a Torino nel 1936, segno zodiacale: Cancro. A ventotto anni diventa professore di estetica all’università di Torino. Come abbia fatto, non si capisce: questo periodo della vita del Vattimo è avvolto nelle nebbie della creazione. Comunque egli, il Vattimo, fin dai primi tempi del suo insegnamento manifesta una insolita e smodata passione per le bevande alcoliche. E, in preda ai fumi dell’alcol, scrive cose incomprensibili. Dopo va a lezione e le legge ai suoi studenti. Gli studenti gli dicono Maestro, non abbiamo capito. Lui gli dice Dovete bere! Bere, dovete! Con lui, se non bevi, sei finito. Non c’è via di scampo. Agli esami, la prima domanda che ti fa è Cos’hai bevuto, stamattina? Quattro Campari, devi rispondere. Fammi sentire il fiato, dice. Non si fida. Qui sento del Sanbittèr, dice, altro che Campari. Torna quando avrai imparato a bere! Maestro, gli dice lo studente, non posso bere, ho dei problemi al fegato. Vergogna! Fuori da questa università! E così ha tirato su tutta una generazione di alcolizzati». Ecco.
Quando ho scritto queste cose, era la fine del 1998, non avevo mai incontrato di persona Gianni Vattimo e non avevo idea delle sue abitudini, non sapevo se bevesse o no, era un modo che mi piaceva di significare la paranoia del protagonista che credeva di essere vittima di una fantomatica associazione di allievi di Vattimo, e che ne pativa la presenza quotidiana (la sua fidanzata, la Bassotuba del titolo, l’aveva lasciato per un allievo di Vattimo).
Ma quando poi il libro è uscito per Einaudi Stile Libero, nel 2000, e quando l’ufficio stampa di Einaudi mi ha chiesto di fare una presentazione a Torino con Vattimo, io ho detto che l’avrei fatta volentieri, solo che poi, non ho sentito più niente, dopo qualche settimana ho chiesto «Ma la presentazione con Vattimo la facciamo?», e dall’ufficio stampa mi han detto «È meglio di no». Allora ho capito che a Vattimo il mio libro non era tanto piaciuto. E ho sperato, devo confessarlo, che Vattimo mi querelasse. Che una querela, devo dire, per un libro, soprattutto una querela immotivata, può essere una buona cosa, pensavo (e lo penso ancora). Non son mai riuscito, a farmi querelare, con i miei libri.
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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CX

Martin Heidegger


Principiando con il giovane M.H, possiamo individuare tre strade:
a) un attraversamento critico della fenomenologia di Husserl, intesa come l'unico metodo adeguato per sviluppare la ricerca filosofica, a patto però di non intenderla più come un'analisi dei vissuti di coscienza, ma come il modo in cui la vita comprende se stessa.
b) la riscoperta del cristianesimo primitivo (soprattutto attraverso la lettere di Paolo) come una modalità originaria di fare esperienza della finitezza dell'essere umano, cioè della sua temporalità e storicità, a patto di intendere il cristianesimo non come farebbe un fedele, ma come un ateo.
c) l'appropriazione del pensiero di Aristotele, come una descrizione di quel movimento che costituisce l'essere della vita umana, a patto però di non seguire l'interpretazione neo-scolastica come preparazione alla teologia rivelata.
In ciascuna di queste tre direzioni possiamo trovare le due domande che impregnano ogni corso da lui tenuto negli anni venti e cioè: che cosa è la Filosofia e qual è il modo di essere della vita. (continua)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXI


La coappartenenza di queste due domande è contrassegnata da Heidegger con un concetto originale, ovvero "vita fattuale". Per il Nostro il livello ontologico più proprio dell'uomo è quello fenomenologico (niente metafisica, né psicologia!) Egli però va al di là di Husserl, perché non ci deve interessare la coscienza, cosa che invece rimaneva al maestro, dopo che aveva operato l'epochè del mondo.
Occorre essere più radicali nel vedere il fenomeno: la vita non va ingabbiata all'interno di strutture concettuali elaborate dalla mente, la vita fattuale vive tutte le cose, non le idealizza.
Heidegger pone al centro dell'attenzione il concetto di tempo nel modo in cui è vissuto dalle comunità proto-cristiane e cioè che la vita è originariamente un rapporto con se stessa, vale a dire non un qualcosa di dato o di presente che poi entra in rapporto con ciò che è altro (il mondo, gli altri, Dio). No, consiste temporalmente nel movimento mai concluso di pervenire a se stessa. :)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXII

Nell'esperienza della vita fattuale emerge un modo diverso di concepire il tempo e, interpretando Paolo, Heidegger mostra come la seconda venuta di Cristo (o parusia) sia vissuta non come un evento futuro, bensì come una dimensione specifica con cui il cristiano vive il presente. Paolo non dice mai *quando* ci sarà la seconda venuta, egli invece individua in questa attesa proprio il *come* della vita.
A questo proposito M.H. risponde alla domanda di Agostino su "Che cosa è il tempo?" - Io misuro il sentirmi nell'esistenza presente, non le cose che passano affinché esso sorga. - E ripete che è il suo sentirsi che misura, per cui il tempo appartiene alla struttura originaria della vita, come esperienza della propria fatticità.
Questa scoperta, una volta diventata oggetto di teologia e metafisica, ha perso però novità e radicalità e per capirla di nuovo, occorre abbandonare Paolo e Agostino e ritornare ad Aristotele.


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Adriano Palma: E che dissero alcuni presocratici?



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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXIII

La più decisiva auto-interpretazione della vita in termini di movimento, secondo M.H, si ritrova nel filosofo greco. La vita si muove prendendosi cura di qualcosa, riferendosi cioè a oggetti, situazioni, dati presenti nel mondo (in quello che il Nostro chiama un "avere a che fare con le cose"), ma tendendo anche sempre a identificarsi con queste cose e quindi a perdersi in esse, non avendo più la propria specificità. Heidegger ne parla come di una tendenza a "cadere in rovina", peraltro non una situazione occasionale, né accidentale, ma appartenente alla vita come una specie di forza di gravità, che è nient'altro se non *il come* dell'esistenza. Da questo "cadere dell'esistenza" emerge, come contrapposto, una sorta di spinta della vita a non perdere se stessa ed è qui che la vita si temporalizza ed evidenzia il carattere storico del suo essere. :dubbio:


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXIV

Essere e tempo


In quest'opera il Nostro pone la questione esplicita sul senso dell'essere. Egli si confronta con tutti gli autori che, ai suoi occhi, attestano la differenza fra l'esserci (ossia l'esistenza dell'uomo) e l'essere di tutti gli altri enti.
Secondo lui occorre sgombrare il campo da una serie di pregiudizi:
a) credere che il concetto di "essere" sia il più generale possibile e quindi anche il più indeterminato, mentre secondo Heidegger è solo il più oscuro.
b) essere sarebbe un concetto indefinibile, proprio perché generale, mentre proprio per questo, secondo lui, deve e può essere definito.
c) si pensa che sia un concetto ovvio, perché continuamente usato in ogni nostro rapporto con gli enti, ma così non è e sarà appunto scoprire che cosa sia veramente l'essere, il tema fondamentale del suo lavoro. :)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXV

Dipoi Heidegger si dedica a una differenziazione piuttosto personale fra essere, esserci, esistenza, ontologia, sulle quali non ci addentriamo, basti dire che con l'analisi esistenziale M.H. non vuole semplicemente descrive una struttura determinata una volta per tutte, bensì il suo accadere e quindi anche, alla fine, il suo perdersi. Egli ha descritto questo decadimento attraverso analisi divenute famose su alcuni fenomeni tipici della quotidianità media, come la "chiacchiera (modo di parlare tipico di chi lo fa per passare il tempo) o la "curiosità" (come un voler vedere per il solo gusto di vedere, senza minimamente cercare di comprendere quel che si è visto). Cerca quindi un'esperienza fondamentale, in cui possa emergere un'unità oggettiva e la trova nell'angoscia, che è diversa dalla paura, perché non ha bisogno di motivi, essa rappresenta una fuga dall'esserci nel mondo come tale e lo fa sentire spaesato in mezzo a tutti gli enti intramondani e del tutto isolato in se stesso.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXVI

Se la verità dell'essere è ciò che fonda ogni epoca storica, determinandone il tratto essenziale e il destino necessario, qual è il tratto della nostra epoca e quale il suo destino?
M.H. risponde che l'essenza della nostra epoca consiste nel carattere metafisico e il destino è nella tecnica, intesa come compimento della metafisica e come nichilismo. La tecnica appartiene all'essenza stessa della metafisica o meglio il suo compimento e quindi dobbiamo chiederci come si dà l'essere nell'epoca della tecnica e quale appello esso rivolge all'uomo.
La tecnica è un modo del disvelamento della verità dell'essere e provoca l'uomo a rapportarsi con gli enti, identificando il disvelamento con l'uso che se ne può fare. L'insieme di di tutti i modi in cui l'uomo può disporre, produrre, usare etc è chiamato da Heidegger il Ge-stell, che potremmo tradurre con imposizione. Ciò significa che tutte le attività, i progetti e le macchinazioni sono un appello dell'essere, che si rivelerà pericoloso, perché porta con sé l'essenza del nichilismo, un'essenza che non nasce dalla dissoluzione dei grandi sistemi metafisici, ma al contrario è presente sin dall'inizio della storia della metafisica, che si è sempre occupata dell'essere dell'ente.
C'è solo da apportare una precisazione: se finora la metafisica è stata intesa come "onto-teo-logia", ora va pensata come la storia dell'essenza, cioè mancanza dell'essere stesso e si arriva così a dover custodire la chiamata silenziosa del ... nulla.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXVII

L'esistenzialismo, un concetto di difficile definizione


Si può dire che sia una forma culturale che esprime lo sbandamento sociopolitico dell'Europa fra le due guerre mondiali. È caratterizzato da un sostanziale pessimismo e dalla sfiducia di poter cogliere il senso della realtà e di dominarla con la ragione. Questa diffidenza si estende a tutte quelle prospettive storicistiche (l'idealismo, il marxismo) che pretendono, al contrario, di conoscere il significato della storia.
Il protagonista della riflessione filosofica non è più la società, ma l'individuo limitato e finito, scaraventato in un contesto assurdo e indecifrabile.
Fra i filosofi del passato, soprattutto Soren Kierkegaard va tenuto presente per comprendere la storia del movimento, di cui si fa interprete in particolare il teologo svizzero Karl Barth, anche la sua opera non può essere considerata esistenzialista in senso stretto, perché caratterizzata da preoccupazioni religiose e dall'ansia addirittura di ritornare al testo biblico! I lavori di un altro svizzero, Karl Theodor Jaspers e del francese Jean Wahl, che pubblicano importanti studi kierkegaardiani, sono più rappresentativi dell'esistenzialismo. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXVIII

Karl Jaspers, psichiatra di formazione, si avvicina alla filosofia e a Martin Heidegger, ma, dopo l'adesione al nazismo dell'altro, entrerà in aperto conflitto personale. Anche per lui la ricerca è intorno all'essere. Perché esiste qualcosa e non il nulla? Chi sono io? Che cosa propriamente voglio?
L'impulso a questa comprensione conduce però allo scacco: "... se voglio afferrare l'essere in quanto tale non ci riesco, perché l'assoluto è sempre al di là delle possibilità conoscitive dell'uomo, per cui occorre riferirsi alle situazioni limite (la morte, il caso, la colpa, il dolore), tutte quelle cioè che mettono in risalto la nostra impotenza."
L'uomo non può che subirle e rendersi conto che l'unico sbocco sarà lo sbriciolamento dei modi di vivere rigidi e preconcetti!


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXIX

Sartre e l'esistenzialismo in Francia


Fra i transalpini l'esistenzialismo conosce una stagione di vasta popolarità proprio grazie alla notorietà di J.P.S. e in particolare il romanzo "La nausea", il cui titolo già esprime la particolare emozione che coglie il protagonista di fronte all'assurdità dell'esistenza: il mondo si presenta all'uomo come un infinito numero di possibilità esistenziali equivalenti e dunque gratuite, prive di senso.
L'opera filosofica più importante di Sartre è "L'essere e il nulla" e centrale in essa è la coppia concettuale "essere in sé" ed "essere per sé". La prima definisce il dato oggettivo della realtà, mentre la seconda altro non è che la coscienza.
L'essere per sé è l'unico modo di essere distante da sé, anche se la distanza, talvolta, è solo il nulla. Ciò significa che l'uomo è l'unico essere che può compiere una distruzione, mentre la natura può solo trasformarsi, mai autodistruggersi, la coscienza invece può avvertire il senso del non-più.
Importante per il Nostro è il rapporto con l'altro uomo, che può essere solo all'insegna del paradosso e della violenza. Quando un altro mi guarda, osserva Sartre, il sentimento che provo è di vergogna, perché il suo sguardo su di me mi ha fatto diventare oggetto (un insieme dei vari essere in sé) e quindi anch'io farò altrettanto, cioè il rifiuto di considerarlo essere per sé. L'io e l'altro si costituiscono come due poli a un tempo complementari e simmetrici! :x


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXX

Nel gennaio 1943 Nicola Abbagnano ed Enzo Paci aprono sulla rivista "Primato" un'inchiesta intorno all'esistenzialismo. Seppure con sfumature diverse, i due filosofi avanzano la proposta di una forma di tale filosofia che rigetti gli esiti del tutto negativi, raggiunti da Heidegger e Jaspers in particolare, per evidenziare invece gli aspetti in qualche modo positivi, perché, secondo i due, l'esistenza è anche possibilità e libertà.
In un altro esponente dell'esistenzialismo italiano, Luigi Pareyson, queste istanza sono recepite e sviluppate in modo da rifondare il concetto di persona in una prospettiva cristiana.
(Nota mia, diceva Marx che la storia si presenta sempre in due modi, con l'esistenzialismo di Pareyson, siamo in pieno secondo aspetto :diavoletto: )


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXI

Marxismi contemporanei


Una visione non meccanicistica del marxismo è quella di Antonio Gramsci; egli sviluppa una serie di riflessioni sulle dinamiche sovrastrutturali che caratterizzano lo scontro di classe e su come si realizza l'egemonia di una di esse: non solo attraverso la forza e il dominio diretto dello Stato e dei suoi apparati repressivi, bensì anche e soprattutto mediante la costruzione del consenso all'interno della società civile, quale realtà intermedia fra la struttura economica e lo Stato.
La società si compone di varie istituzioni, quali la scuola e altri luoghi di formazione dell'opinione pubblica: i giornali, le parrocchie, le libere associazioni, tipo circoli. La lotta di classe deve essere incentrata all'interno di questi vari spazi, formando le coscienze, che l'unico modo preparatorio per un'eventuale successiva presa del potere, consapevole. Questo compito è svolto in gran misura dagli intellettuali.
Una visione diversa sarà quelle di Herbert Marcuse, che incentrerà il pensiero sulla critica proprio della cultura, che secondo lui è solo manipolazione delle coscienze e crea falsi bisogni e recupera in chiave più positiva la psicoanalisi. Nelle dinamiche del desiderio, che essa analizza, vede una base per riaffermare valori estetici ed edonistici offuscati dalle logiche repressive imposte dalla cultura del rendimento e del lavoro! (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXII

La scuola di Francoforte


Max Horkheimer, Theodor Adorno ed Erich Fromm dànno un'interpretazione molto pessimistica sulle possibilità, all'interno del capitalismo avanzato, di un'autentica rivoluzione democratica. La logica di dominio dell'uomo sull'uomo, non è un incidente di percorso, bensì la compiuta realizzazione del progetto di controllo sulla natura, di cui lo sviluppo scientifico e tecnologico sono il prodotto. A questa logica di dominio neppure una società "socialista" può sottrarsi, come l'esperienza sovietica dimostra. (Nota mia, un tentativo di socialismo in Russia ci sarà stato, per qualche mese, fino a che Lenin è stato in salute, poi, con Stalin è ripreso lo zarismo!)
La società borghese porta all'omologazione assoluta, alla quale si può opporre solo il pensiero critico individuale, in particolare nella sua forma filosofica e soprattutto Horkheimer, invita a proteggere il singolo contro le utopie che lo sacrificano in nome di presunti ideali di giustizia globale.
La scuola intiera recupera le categorie psicoanalitiche, con particolare attenzione ai meccanismi di introiezione e di proiezione, allo scopo di comprendere le dinamiche profonde che conducono all'accettazione dell'autorità.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXIII

Antonio Gramsci


All'indomani della grande guerra, Ordine Nuovo, il gruppo da lui diretto, è uno dei protagonisti. Il settimanale omonimo guida l'esperienza dei consigli di fabbrica, ispirati al modello dei soviet e concepiti come embrioni di un nuovo Stato operaio. Egli è convinto che l'eventuale sconfitta della classe operaia dipenderebbe dalla carenza di direzione politica, per cui apre la contesa per il rinnovamento del Partito Socialista, ottenendo il sostegno dello stesso Lenin.
Il PSI appare a Gramsci un conglomerato di partiti, incapace di assumersi la responsabilità delle azioni rivoluzionarie, che gli avvenimenti incalzanti incessantemente pongono. È l'avvio della scissione che si consuma a Livorno, sotto la guida di Amedeo Bordiga, nel gennaio 1921, durante il XVII congresso. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXIV

Nel primo numero del 12 febbraio 1924 sull'organo di partito da lui fondato, Gramsci riassume il cuore della sua politica: unità fra la classe operaia del nord e le masse rurali del sud e costruzione di un partito di massa. Centrale è l'analisi del ruolo dei grandi intellettuali nella centralizzazione ideologica di un mostruoso blocco agrario, alleato del capitalismo settentrionale e delle grandi banche.
La grande responsabilità di benedetto Croce risalta, specie se paragonata a Piero Gobetti, esempio di intellettuale borghese non comunista, ma capace di rompere con la propria classe e di interpretare un ruolo coerente con i principi, grazie al riconoscimento della posizione sociale e storica del proletariato e della conseguente impossibilità di pensare astraendo da questo elemento.
Nota mia, però, riguardo alle masse rurali mi sembra poco marxista, perché quella classe non ha nulla da spartire con quella operaia: è la proprietà della terra la cosa a cui guardano e in Unione sovietica ci vorranno di Stalin e l'Holodomor per ..!


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXV

Foucault e l'archeologia del potere


Egli definisce i proprio metodo di indagine come genealogico e individua una forma di storia chiamata a render conto della costituzione dei saperi, dei discorsi e dei campi di oggetti. Si tratta, in altri termini, di sostituire alla storia delle scoperte e delle invenzioni teoriche, la storia della trasformazione della comprensione, a prescindere da ogni principio trascendente.
Il primo esempio del suo metodo si ha nel "La storia della follia in età classica" dove il Nostro studia la trasformazione della percezione sociale dell'alienato mentale nel periodo che va dal XV al XVIII secolo, allorché il folle diventerà oggetto di un trattamento specifico, ovvero rinchiuso all'Hospital general di Parigi e in un solo anno si assisterà alla reclusione di circa 5000 persone.
Se in pieno rinascimento il folle circola liberamente, così non sarà più nell'età, definita da Foucault, classica e, a complemento di ciò ci sarà la successiva opera: Sorvegliare e punire", dedicato alla nascita della prigione. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXVI

Michel Foucault sottolinea come nel XVIII secolo si assista a un mutamento del dispositivo della pena, articolato su due passaggi.
Il primo è la sostituzione progressiva della somministrazione del dolore: la tortura lascia il posto a una pena, per così dire "incorporea", che agisce più sull'anima e quindi si provvederà con una sorta di diritto sospesi e non ci stupisce che un esercito di tecnici abbia sostituito il boia, fra questi spiccano ovviamente psichiatri, ma anche cappellani.
La seconda tappa sta nella naturalizzazione del potere legale di punire e il sistema carcerario diventa interno all'intiero apparato del sistema educativo e assistenziale, che accompagna l'individuo indigente dalla culla alla tomba, ovvero dagli asili nido, fino agli ospizi.
L'introduzione della "penalità della detenzione", unitamente al consolidamento dell'istituzione manicomiale, porta a una nuova strategia di costruzione dei saperi, incentrata su rapporto fra il potere e il suddito.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXVII

Jacques Derrida


Probabilmente il senso del lavoro di J.D. va ricercato in quella che si potrebbe chiamare una "psicoanalisi della filosofia". Il proposito di *decostruzione* consiste nel "mettere sul lettino" una tradizione più che bimillenaria. La filosofia si concepisce come un amore disinteressato per la verità e si chiede quali siano le condizioni che stanno alla base di simile amore? Manca davvero un secondo fine?
Messa alle strette, la filosofia cercherà di difendersi, ma dei lapsus nascosti fra le righe dei testi, ne sveleranno le resistenze e la verità, almeno un po' , verrà a galla.
A questo punto la ritorsione è scontata: anche la decostruzione cerca la verità e quindi non è immune da vizi o dalle ipocrisie della metafisica! Tuttavia, rispetto alla filosofia classica, Derrida sembra più interessato all'alternativa giusto/ingiusto, che non a quella vero/falso: se siamo perversi, egoisti, razzisti, maschilisti, religiosi etc, è perché tendiamo a rimuovere troppe cose, animati da un sogno di identità morale, sociale e sessuale!
La storia delle filosofia appare come la battaglia fra il bene e il male, di cui si tratta appunto di smascherare i presupposti e il filosofo, in tutto questo, apparirà come una specie di rivoluzionario. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXVIII

In questo lavoro di smontaggio si mette in discussione addirittura l'identità delle filosofia, che non può essere una "scienza" separata dalla storia e da qualunque vicissitudine umana vera o presunta (mito). Non sorprende quindi che Derrida sia stato molto seguito da tutta una serie di studiosi di diverso tipo, dai letterati ai giuristi e che, d'altra parte sia stato detto da molti che la sua non era vera filosofia.
Nella sua opera prima "Il problema della genesi nella filosofia di Husserl" J.D. usa la fenomenologia come grimaldello per superare l'alternativa fra lo strutturalismo idealistico e lo storicismo materialistico, di cui molto si dibatteva negli anni Cinquanta e il Nostro suggerisce la soluzione: fra storia e struttura c'è complementarietà, non opposizione: le strutture ideali non sono cadute dal cielo, hanno una origine a cui tuttavia non possono venir ridotte, non più di quanto si possa ridurre la logica nella psicologia.
In geometria (scienza pura), l'idealismo pare obbligato e la verità geometrica sembra completamente indipendente da qualsiasi accadimento: il teorema di Pitagora sarebbe vero anche se il cittadino di Samo non fosse esistito e nessun altro l'avesse scoperto. Però Derrida sostiene che, se anche il teorema non si identifica con lo scopritore, però se ciò non fosse stato o addirittura non ci fosse stata la scrittura a renderlo noto ai posteri, sarebbe rimasto confinato nel perimetro isolano/ato della comunità originaria e non sarebbe servito a molto!


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXIX

Paradossalmente, continua Derrida, senza la scrittura, senza tracce di memoria, non ci sarebbe non solo la storia, ma neppure la struttura e l'idea, anche perché, in buona sostanza, ciò che si chiama struttura o kantianamente "trascendentale" (condizione delle possibilità di conoscenza) è in ultima istanza scrittura.
Attraverso questa analisi il Nostro giunge a quella che potremmo chiamare una "critica della ragione impura". La sua decostruzione della storia della metafisica consiste nel mobilitare concetti ereditati e diventati inerti, per restituirli al loro significato, perché per lui decostruire significa non cancellare, ma sostituire con qualcosa di simile, ma diverso e ciò è possibile, perché la sfera di riferimento e pratica, più che teorica. Non si può criticare una forma di vita, senza proporne, almeno in nuce, un'altra.
L'idea di fondo è che i valori sono sempre in relazione: non c'è bianco, senza nero e giusto senza ingiusto, così come padrone senza lo schiavo o infine l'identità senza *differenza*.
La differenza è dunque implicazione, Intreccio nascosto e sarà il tempo a mostrare la complicità che sta al di sotto dell'opposizione. Certo non si può concludere che tutto è relativo, ma solo che niente è definitivo e che, diversamente dalla dialettica hegeliana, non si arriverà mai al sapere assoluto e all'ultima parola.


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Re: Filosofia

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.....

A STRONZO!!!

MUBUAHAHAHAHA....


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXX

Gilles Deleuze


La pratica filosofica si realizza come una sorta di originale costruttivismo.
La filosofia nasce dalla necessità di pensare, più che dal desiderio di farlo, e ciò da un qualcosa che subito non capisci e che quindi va interpretato, per cui la filosofia si configura come "creazione di concetti".
L'immagine del pensiero che appartiene a Deleuze è incentrata sul *molteplice*, un sostantivo che esclude ogni unità e/o totalità. Buon esempio è la frase "Pietro è più piccolo di Paolo", non essendoci né grandezza, né piccolezza in sé, il significato della frase emerge solo dalla loro relazione. Ma si consideri anche quest'altro enunciato "Alice cresce", che equivale a dire che Alice si trova ad un tempo più grande e più piccola, rispetto all'evento del crescere. :)
In conclusione l'essere, di cui Deleuze costruisce il concetto è un rapporto di rapporti, le cui unità più semplici, le singolarità sono a loro volta relazioni di fattori indeterminati, i cui valori si definiscono e ridefiniscono in base alle metamorfosi cui sono continuamente sottoposti.
In altre parole l'essere si risolve intieramente nel divenire.


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La Filosofia analitica


G. Frege, G. E. Moore, L. Wittgenstein, ma soprattutto Bertrand Russel, sono i fondatori della filosofia analitica. Il saggio "Sulla denotazione" di B.R. rappresenta questa filosofia nel modo migliore, soprattutto per le descrizioni definite, che portano alla dissoluzione del problema del non essere, che è stata definita "un paradigma per la filosofia". È stato dissolto un problema millenario attraverso l'analisi logica del linguaggio.
L'analisi non fa riferimento a un sapere solo filosofico, paragonabile a quello del fisico o dello storico; mostra piuttosto che la questione posta dai filosofi era poco comprensibile per il solo fatto che non si conosceva il linguaggio giusto. Wittgenstein ne concluderà che l'analisi è una sorta di terapia. Ovviamente lo stile degli argomenti deve molto all'esempio dei logico-matematici e del loro modo di argomentare,
Va detto che ormai la filosofia analitica non si lascia più caratterizzare in base ai contenuti; esiste una comunità intellettuale analitica che rispettano uno standard di rigore e di chiarezza insolitamente alto nella storia della filosofia e questo standard è stato fissato dal saggio del 1905 di Bertrand Russel e dai lavori dei filosofi che si sono definiti suoi continuatori.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXII

Orman Quine


Il suo "I due dogmi dell'empirismo" rappresenta una pietra migliare nello sviluppo della filosofia analitica. Il saggio critica quelli che sono considerati i due presupposti fondamentali dell'empirismo neopositivista: la distinzione fra verità analitiche e sintetiche.
Gli enunciati sintetici sono quelli basati sull'esperienza, che Leibniz chiamava "verità di fatto" e Kant "giudizi sintetici a posteriori". Ad es, l'aqua è formata da ossigeno e idrogeno.
Il concetto di analiticità, nella tradizione filosofica è stato interpretato in diversi modi:
a) per Kant era un rapporto di particolare importanza fra soggetto e oggetto, come ad es, tutti i corpi sono estesi
b) Wittgestein lo riporta a verità logica e designa le verità logiche come tautologie: "piove o non piove"
c) riportandolo al concetto di sinonimia, che però si scompone in due parti e la prima riguarda la matematica e la geometria, ad es, come si definisce una superficie piana: una parte di piano limitata da una linea chiusa, che ne costituisce il contorno; la seconda invece riguarda l'interscambiabilità dei termini. Due termini hanno lo stesso significato se uno può sostituire l'altro in qualsiasi contesto. In questo caso l'enunciato è definibile analitico, se può essere ridotto a verità logica, cioè un'affermazione vera o falsa in qualunque condizione, attraverso la sostituzione di sinonimi con sinonimi.
Quine critica questa seconda possibilità. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXIII

L'obiezione di Quine è che questo tipo di ragionamento dà per scontato ciò che invece dovrebbe dimostrare, cioè l'eguaglianza di significato (ad es.) fra scapolo e uomo non sposato. Quine si domanda su che cosa si basa l'eguaglianza fra i due? Da chi e quando scapolo è stato definito in tal modo? Ricorrere a un dizionario non serve, perché il lessicografo svolge il lavoro in maniera empirica, registrando i fatti linguistici osservabili e tramandati; quindi a questa sinonimia non possiamo attribuire nessuna necessità logica, siamo in presenza di concetti empirici e non analitici!
Dipoi Quine attacca il secondo dei presupposti fondamentali: il riduzionismo. Secondo questo presupposto un enunciato sensato è traducibile in un insieme di termini osservativi, dai quali dipende la verificabilità dello stesso, cioè se è vero o falso.
Quine cerca di dimostrare che simile posizione è insostenibile e che anzi è vero il contrario: ogni enunciato di una teoria scientifica si confronta con *tutti* gli enunciati che compongono la teoria stessa. È quel che accadde alla teoria di Newton, quando si constatò che l'orbita di Plutone non era perfettamente ellittica come previsto dalla teoria. Essa non venne abbandonata, ma si interpretò il fatto come un'anomalia che spinse a nuove ricerche, che portarono alla scoperta del pianeta Nettuno e quindi la teoria in questo caso fu perfezionata. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXIV

Ludwig Wittgenstein


Non sarebbe stato lui se non fosse vissuto nella più facoltosa, ma soprattutto dedita alla cultura, famiglia dell'Austria anteguerra. La casa sarà frequentata anche da Sigmund Freud, oltre che da tutti i musicisti principali dell'epoca, perché per tutti i Wittgenstein la musica sovrasta tutte le arti e a maggior ragione, perché ad essa è comune la struttura logica. Era quasi coetaneo di A. Hitler e qualcuno ha sostenuto che fosse stato Ludwig all'origine dell'antisemitismo dell'altro. A questa tesi risponde Groucho Marx: "Sembra assurdo, ma non fatevi ingannare, è assurdo." :crazy:
La prima opera è il Trattato logico-filosofico, che echeggia nel titolo quello di Spinoza.
In esso un'idea centrale è la teoria dell'immagine. Come la notazione musicale è un'immagine della realtà musicale, analogamente il linguaggio è l'immagine logica della realtà, nel senso di identità di struttura: gli elementi del linguaggio sono in relazione tra di loro come quelli della realtà.
L.W. considera i nomi, a differenza di Frege, come parti di linguaggio che si riferiscono direttamente a oggetti, alla stregua della teoria del riferimento diretto, che sarà sviluppata da Kripkew negli anni Settanta del Novecento. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXV

La filosofia, secondo il Nostro, è soprattutto un'analisi del linguaggio, volta a chiarirne i limiti, come Kant cercava di chiarire i limiti del pensiero.
Kant però era concentrato su come si costruisse l'oggetto, mente L.W. è interessato a come, nel linguaggio, si possono descrivere i fatti, perché il mondo non è un insieme di cose, ma di accadimenti e questa sarà considerata da molti la principale differenza fra la filosofia analitica e quella continentale.
Nel Tractatus, Wittgestein spiega che il punto principale è la differenza fra ciò che può essere espresso o detto da proposizioni (ovvero ciò che si può pensare) e quello che invece può essere solo mostrato. Le frasi contenenti la parola oggetto, funzione etc. sono, da un punto di vista logico un non senso, che però aiuta a chiarire come funziona la struttura logica del linguaggio, nasce così la famosa immagine del Tractatus come una scala che dovrà essere gettata via non appena ci ha aiutato a salire o l'altra "su ciò di cui non si può parlare, non si può che tacere". In altre parole in filosofia si dovrebbe dir poco e limitarsi alle scienze naturali, se non si vuol rischiare il fallimento più completo, come nel caso di M. Heidegger. :x
Parlando, a un convegno, dell'etica, L.W. riprende l'idea di Moore: nessuna asserzione sui fatti può implicare un giudizio di valore e dato che ciò che si può dire può essere solo descrizione di stati di cose, l'etica appartiene all'indicibile.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXVI

Il Circolo di Vienna e Einstein


Una delle idee centrale di Albert Einstein esposte al Circolo è che non esiste un tempo assoluto unico nell'universo, quindi non si può parlare di simultaneità di due eventi, se non si dànno specificazioni sui metodi di verifica. Nulla poteva interessare maggiormente i membri del Circolo che il parlare di proposizioni senza significato come quella prospettata da A.E. ovvero la simultaneità e dall'intreccio fra le idee di Wittgenstein e Einstein nacque una visione "verificazionista" del significato, per cui capire una proposizione in effetti vuol dire comprendere il metodo con cui si può verificare. Ad es, tempo ha due significati: a) il tempo della memoria b) il tempo della fisica, che hanno verificazioni diverse e dove c'è diversità di metodo, ci sono ovviamente significati diversi. Se non specifichiamo il modo in cui usiamo una parola, nel contesto in cui essa è usata, rischiamo confusioni filosofiche.
Da ciò L.W. si rende conto che il Tractatus non basta e occorre un'analisi logica più profonda ad es, la proposizione (che lui ha chiamato atomica) del tipo "a è rosso" non è, a pensarci meglio, davvero atomica, perché implica al contempo che non sia verde o blu. Ogni proposizione c.d. atomica è sempre legata a un'insieme di altre che hanno una loro logica e grammatica, il metro da usare, se si vuole misurare la realtà, sarà quello di un sistema di proposizioni.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXVII

L'ermeneutica (dal dio Ermes, messaggero e quindi anche interprete della volontà degli altri dèi)


Interpretare è un'attività che ci capita tutti i giorni da "sempre". Poi, a un certo momento in una data cultura, ha acquistato un valore filosofico e quindi occorre distinguere i due sensi di questa attività.
Per quanto riguarda quello di senso comune, se ne possono percepire diversi aspetti, per es, quello dell'interpretazione come espressione, ovvero come portare all'esterno qualcosa che abbiamo dentro, tutte le volte che esprimiamo pensieri e intenzioni. Gli uomini, ma anche gli animali hanno idee che sono espresse attraverso parole o suoni. Una seconda accezione è quella dell'interpretazione, come esecuzione musicale, in cui l'interprete esprime in suoni i simboli che sono scritti non nell'animo, ma sullo spartito. Di qui si viene al senso dell'interpretazione come traduzione da una lingua all'altra e per questo esiste addirittura una professione. Infine, fra gli usi normali, c'è essa come chiarimento, solo ad es, per una particolarità di un brano, perché come si sosteneva ancora nel Settecento: le cose chiare non hanno bisogno di essere interpretate. :D (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXVIII

L'altra faccia della medaglia (interpretazione in senso filosofico) è proposta da I. Kant nella Critica della ragion pura: l'idea è che noi non abbiamo un accesso diretto agli oggetti di esperienza, bensì attraverso la mediazione degli schemi concettuali, ne deriva che in ogni attività conoscitiva c'è un elemento interpretativo.
Questo principio è enunciato con chiarezza nella tesi "le intuizioni senza concetto sono cieche"
La rivoluzione kantiana fa emergere gli altri significati dell'interpretazione.
Il primo è quello dell'ermeneutica come comunicazione: poiché l'individuo non ha un immediato accesso agli altri, né alle cose del mondo, allora ogni atto di comunicazione è esso stesso un atto di interpretazione.
Il secondo è l'ermeneutica come comprensione, in riferimento alla conoscenza storica, che è un po' più complicato del primo, stante il fatto che per comprendere fatti storici occorre immedesimarsi anche nella mentalità di un tempo diverso.
Il terzo è l'e. come smascheramento: non solo gli altri sono un mistero per noi, ma potrebbero deliberatamente nasconderci le loro intenzioni. :x


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXXXIX

L'ermeneutica si offre quindi come una decostruzione delle pretese di oggettività e di realtà di altre filosofie, delle scienze, ma soprattutto delle religioni. La versione massimalistica dell'ermeneutica si ha in una controversa affermazione di Nietzsche "Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni" e che sta al centro della prospettiva di un filosofo italiano, Gianni Vattimo, che ha apertamente concepito l'interpretazione non come accertamento della verità, ma come trasformazione della realtà!
L'ermeneutica è passata attraverso diverse fasi, ma ora abbiamo un atteggiamento duplice nei confronti della canonicità dei testi: da una parte si assiste al primato ontologico, d'accordo con il detto di J. Derrida "nulla esiste al di fuori del testo". Tuttavia, a ciò fa da contrappeso l'idea dell'infinita interpretabilità di ogni testo, pertanto nessun canone veramente è possibile e neppure l'autore, una volta che lo ha pubblicato, non ha più il controllo dello stesso: diventa un apparato di cui ognuno può servirsi a suo modo.
Quest'ultimo aspetto è stato sottolineato, in tutta la sua opera, da Derrida, per il quale non vi è possibile interpretazione di un testo, se non si conosce tutto il contesto e questo può anche non avvenire mai. In fondo Freud ha fatto una lettura psicoanalitica di un registro contabile di Leonardo da vinci. :diavoletto:
Altro aneddoto divertente e che ci fa riflettere sull'ermeneutica riguarda James Cook il quale, quando vide per la prima volta un canguro, chiese ai nativi come si chiamava l'animale e questi gli risposero "non lo so", che, nella loro lingua si diceva *kangaroo*. :crazy:


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXL

Il circolo ermeneutico


M. Heidegger e H.G. Gadames cercano di dare il loro contributo partendo dall'assunto radicale che se non abbiamo nulla in comune con il testo, non possiamo capirlo. Deve esistere una precomprensione almeno in forma minimale; ad es, dobbiamo esser certi che quel che vogliamo interpretare sia un discorso e non un arabesco, che accidentalmente può ricordare una scrittura. Generalizzando, Heidegger sostiene che l'intiero rapporto con il mondo è basato sulla stessa precomprensione: se non sapessimo a che cosa servono i cacciavite, potremmo usarli per pulirci le orecchie e un cane non ha un'idea chiara di che cosa possa essere un museo, anche se, per ipotesi, ce lo conducessero spesso. :)
Il circolo ermeneutico in qualche modo riprende le idee di Kant, sostenendo che la vera domanda della teoria della conoscenza è come devono essere fatte le cose per venir conosciute da noi, anche se poi Kant era ben consapevole che porre al centro del processo conoscitivo il soggetto e non l'oggetto solleva difficoltà di vario genere. Vediamone due.
Dal momento che non è possibile un rapporto immediato con l'esterno, ogni teoria va bene, purché risponda alle esigenze della comunità e quindi non esiste differenza fra un medico e uno sciamano, né fra un astronomo e un astrologo! :x
Dipoi, anche a limitarci agli oggetti sociali, il fatto di non condividere lo stesso linguaggio può essere sufficiente per discriminare un essere umano? E gli animali, allora saranno privi di qualsivoglia diritto? :dubbio:


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXLI

Oltre il costruttivismo visto in precedenza, si è affermato con il tempo anche una prospettiva realistica, che tende a rivendicare l'esistenza di spazi reali immuni dall'interpretazione.
D. Davidson sostiene che le nostre interpretazioni devono partire dal principio che il nostro interlocutore sappia quel che dice e non voglia ingannarci, il che è quanto accade il più delle volte. I vantaggi del dare fiducia sono almeno due: di solito sembra aderire alla normale esperienza e, in più ci semplifica la vita. Non è né bello, né utile leggere il giornale pensando che le notizie in realtà siano messaggi segreti che si scambiano gli extra terrestri e, peraltro, questo atteggiamento così sospettoso ci rende indecifrabili anche le notizie più normali. P. Ricoeur aggiunge che in sede ermeneutica la priorità deve andare a ciò che è, rispetto al linguaggio, richiamandosi ad Aristotele e contrapponendosi alla tesi che nulla esiste al di fuori del testo.
Richiamandosi ai due, Umberto Eco argomenta che indubbiamente il senso di un testo non si può ridurre all'intenzione dell'autore, ma neppure solo a quelle del lettore, ne segue che, mentre non si potrà mai avere la certezza di aver colto il vero senso, si può però avere la sicurezza in negativo, vale a dire ciò che non è. Per esempio i Promessi sposi non sono un libro di cucina. :)
L'idea che esista uno "zoccolo duro" del reale, che resiste all'interpretazione e dice *no*, significa che esistono parti del mondo indipendenti dal pensiero e altresì che l'attività interpretativo-conoscitiva ha un senso dal momento che abbiamo l'esperienza sicura di significati inammissibili. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXLII

Il nuovo realismo


Esso è principalmente italiano e, insieme al realismo speculativo franco-americano, argomenta che la scienza non è sistematicamente la misura ultima della verità; il che non comporta però che si debba dare addio alla realtà, come aveva concluso molta filosofia del secolo scorso (es, il pensiero debole). Significa invece che anche l'amore per la conoscenza, così come la linguistica, la storia etc, ha qualcosa di importante e di vero da dirci a proposito del mondo.
In questo quadro il nuovo realismo si presenta anzitutto nell'aspetto negativo, ovvero tratta della resistenza che il mondo esterno oppone ai nostri schemi concettuali, il che non va considerato uno scacco, bensì una risorsa, come una prova dell'esistenza di un mondo solido e indipendente.
Rebus sic stantibus, il realismo negativo si trasforma in positivo: nella sua resistenza la realtà non costituisce soltanto un limite, ma spiega come nel mondo naturale forme di vita intelligenti possono interagire nello stesso ambiente, senza condividere alcuno schema concettuale e come, nel mondo sociale, le intenzioni e i comportamenti umani siano resi possibili da una realtà che è anzitutto *data* e che, solo in un secondo tempo, potrà essere interpretata e, se necessario, trasformata. :)
Esauritasi la stagione del postmoderno, il nuovo realismo ha intercettato un diffuso bisogno di rinnovamento in altri ambiti, come l'architettura, la letteratura, la pedagogia e la medicina. :cincin:


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Postmoderno e pensiero debole


Il libro che apre il dibattito è "La condizione postmoderna" di J.F. Lyotard, che è uno studio sull'incidenza che i nuovi media telematici avrebbero avuto sul sapere. Secondo lui ogni conoscenza che non usa questa via è destinata a scomparire. Si tratta comunque di un sapere narrativo, più formativo che veritativo, nel senso che non ha lo scopo di descrivere uno stato di cose, ma di tramandare dei contenuti non suscettibili di prova sperimentale, che coinvolgono vari settori del vivere sociale. I miti e le leggende sono un esempio di questi racconti, nei quali troviamo descrizioni del mondo, storie, prescrizioni su ciò che è giusto o no che contribuiscono alla formazione di un'identità culturale; es, la discussione famosa sulle radici dell'Europa.
Il postmoderno comincia laddove tutte le meta-narrazioni hanno fallito, ovvero dalla seconda guerra mondiale e da Auschwitz e denuncia la pretesa totalizzante della modernità. Con la telematica si ha libero accesso alle informazioni e alle banche dati e le nuove tecnologie possono contribuire alla costituzione di una società più differenziata. (continua)


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Nella discussione del post-moderno interviene Derrida con la rivalutazione della "differance", che diventerà una delle parole d'ordine del movimento e che consiste nella decostruzione dell'universalismo, essenzialismo, comunitarismo, fondamentalismo; tutte forme di riduzione all'identico!
In letteratura questa differance si può constatare nella metafora di Orfeo, il quale, dopo aver subito la frammentazione, si accorse che solo attraverso di essa, e la trasmigrazione da una forma all'altra, sperimenta la vera libertà, ovvero la mancanza di una forma definita e definitiva.
Anche il romanzo di Umberto Eco "Il nome della rosa" mette esplicitamente in campo una serie di strategie narrative tipicamente post-moderne: la biblioteca, dove si conserva tutto lo scibile umano, è costruita come un labirinto, ma c'è di più; in seguito a un incendio si assiste alla fine di questo sapere totale e restano solo frammenti e libri incompleti. Nel libro ci sono poi tutta una serie di rimandi che ci fanno vedere il passato non in modo diretto, ingenuo e immediato, ma al contrario, disincantato e sarcastico. Dal passato non ci si potrà mai liberare e nessun gesto rivoluzionario potrà servire allo scopo, resta solo la possibilità di rielaborarlo con distanza e ironia. :)


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J. Habermas si contrappone a Lyotard: il progetto moderno non è stato liquidato, è solo rimasto incompiuto e deve essere ripreso. L'istanza di emancipazione di cui è portatore esprime gli interessi vitali, quel "mondo della vita" di cui parlava Husserl.
Ad Habermas, nella critica al post-moderno si aggiunge F. Jameson: nell'ideologia post-moderna si registrano le conseguenze, sul piano culturale, sociale e politico, della ormai riduzione capitalistica di ogni prodotto a merce in ogni aspetto della vita, come si può vedere addirittura nell'arte avanguardista di Andy Warhol, che assume sempre più i caratteri della rappresentazione pubblicitaria. Con la mercificazione dell'arte, che aveva invece una funzione di contestazione, si apre la strada alla mercificazione della cultura nel suo complesso e quindi alla scomparsa della possibilità di distanza critica!
G. Vattimo si inserisce nel dibattito con il suo "Pensiero debole". Il post-moderno è la presa di congedo dalla metafisica e dalla sua forma storica: la modernità, in una forma che, però, non nega né l'una, né l'altra, ma le distorce, riconoscendole come ciò da cui si proviene. Il pensiero debole quindi non vuole essere uno smascheramento, volto a ritrovare l'essere autentico, bensì pensare un essere nuovo, anche se indebolito, nelle tracce che sono state lasciate attraverso le pratiche discorsive, simboliche, nelle formazioni linguistiche e storiche e cioè, in ultima analisi dalle sue interpretazioni.


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Scienza e religione: la questione dell'autorità


Una ristretta maggioranza (ristretta, ma pur sempre maggioranza) negli S.U.A. ritiene ancor oggi che la narrazione biblica della creazione sia fondata scientificamente, :diavoletto: e una certa percentuale di scienziati dichiara di avere profonde convinzioni religiose. Per fortuna in altri paesi "protestanti" come Inghilterra, Germania etc, il fondamentalismo è quasi sconosciuto, e in Cina e India la piena autonomia della ricerca scientifica è bel lungi dall'essere messa in discussione. :)
Se Galileo visitasse oggi la Specola Vaticana constaterebbe con sodisfazione di aver vinto. Però il cristianesimo non si è dato per vinto e, ad es, alcuni sostengono che il principio di indeterminazione di Heisemberg dimostrerebbe la validità del libero arbitrio e qualcuno addirittura pretende che la fisica contemporanea è in grado di provare l'immortalità dell'anima. Solo l'evoluzionismo crea ansie e suscita un protervo revanscismo di altri tempi.
L'aspetto più preoccupante di questa protervia è, per i laicisti, l'insistere sul diritto della Chiesa non tanto di esprimere opinioni, quanto quello di legiferare su ciò che si possa leggere, insegnare, sperimentare e su chi abbia competenze a esprimersi circa questioni scientifiche complesse. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea CXLVII

Abbiamo avuto negli S.U.A nel secolo scorso un esempio classico di come posizioni all'apparenza puramente dottrinali di un'autorità religiosa abbiano rivelato caratteristiche squisitamente politiche e tali da condizionare il livello culturale del paese.
A partire dagli Sessanta il variegato mondo protestante (nessuno potrebbe contare il numero effettivo delle sette) dà il via a una campagna sistematica e agguerrita contro l'evoluzionismo. (Che ogni scenziato sa che non è una teoria, ma un fatto.)
Gli studiosi del fenomeno non hanno dubbi sul carattere esclusivamente politico, che si esprime con i soliti accenti populisti e con un linguaggio sempliciotto e diretto, che individua nel ceto intellettuale liberale, scientista e ateo, la ragione di tutti i mali del Paese!
Intorno al 1970, il capo di un'organizzazione fiancheggiatrice del creazionismo è un texano H.M. Morris e costui in qualche anno riesce a trovare imitatori e fiancheggiatori e a mano a mano si assiste al fiorire di musei della creazione, di siti internet e di case editrici che alimentano un forte mercato di pubblicità intorno al tema, fino ad arrivare ad assumere il controllo dei consigli di amministrazione del sistema scolastico di diverse città e anche qualche Stato, pur avendo il creazionismo la stessa valenza scientifica del terra-piattismo e delle scie chimiche! :grr:


Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì :bll:

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.

"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono." :)
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