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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XXXV

D'annunzio vuole di nuovo marciare su Roma e, a fine settembre, ha inviato a Mussolini un altro piano per l'organizzazione di un movimento rivoluzionario in Italia sulla base della Costituzione di Fiume. Ma il direttore del Popolo prende tempo, perché sa dal ministro Sforza che Giolitti sta ammassando truppe ai confini di Fiume e, allo stesso tempo, tratta con la Jugoslavia un accordo diplomatico.
Il Comandante ignorava tutto ciò e si era invece esaltato perché, tramite il "telefono senza fili" di Marconi, aveva potuto inviare al mondo una di quelle sue magnifiche, incomprensibili e inutili orazioni. ;)
Fino a pochi mesi prima i fascisti erano disprezzati, ma ora, in disparte anche nelle elezioni amministrative, si sono incontrati con il prefetto di Milano Lusignoli per riferire di essere a disposizione per frenare con ogni mezzo la rovina dell'Italia voluta dai bolscevichi.
Le elezioni vedono il successo dei socialisti, ma dalle province più rosse giungevano notizie sulla fondazione di nuovi Fasci con gente mai vista prima; esponenti soprattutto dei ceti medi, ma emozionalmente sempre gli stessi: rancorosi, inpauriti, antisocialisti viscerali, scontenti di tutto!
Insomma per il Duce sembra che la situazione sia propizia e non ha certo tempo per le romanticherie di D'Annunzio, meglio i cannoni di Giolitti!


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XXXVI

Il 3 novembre 1920 sulla torre di San Paolo, costruita sull'angolo sudovest del castello Estense, in pieno centro di Ferrara, sventola la bandiera rossa. Alle elezioni il partito socialista ha ottenuto 10.185 voti contro 1 2.921 di tuti gli altri partiti sommati. Il prefetto però scrive a Roma che la situazione gli appare incendiaria e G Gucino, segretario del partito sta "soffiando sul fuoco", affermando di aver partecipato alla lotta elettorale al solo scopo di impadronirsi dei congegni statali per fare la rivoluzione! L'onorevole Ercole Bucco, segretario della camera del lavoro a Bologna boicotta ogni accordo, anche vantaggioso, alzando la posta: scommette sul disastro per "tanto peggio tanto meglio!"
Il 4 novembre, secondo anniversario della Vittoria è giunto per i nazionalisti il momento di passare all'attacco e Leandro Arpinati ha guidato un tentativo di piantare la bandiera tricolore sul palazzo del municipio a Bologna. L'assalto è stato respinto e allora si è cercato lo scontro aperto, facendo fuoco contro l'edicola-libreria del partito socialista, addossata al comune e un colono, in città per il mercato, è stato colpito a morte.
Nel giro di una settimana il Fascio bolognese ha superato il migliaio di iscritti, la massa degli squadristi lievita e tutti guardano ad Arpinati come portavoce del loro rancore e solo lui può condurli all'assalto.
La Camera del lavoro è un fortilizio: tutta Bologna sa che vi si sono asserragliate un centinaio di "guardie rosse", con fiucil e pistole, al comendo del deputato Francesco Quarantini e i fascisti la fuori capiscono che non ci sarà nessuna possibilità di entrare.
Arriva però un plotone di carbinieri a fucili spianati e li riceve sul portone Ercole Bucco. Il grande rivoluzionario è terrorizzato e apettava con evidente sollievo. Gira voce che sia stato proprio lui a chiamarli. Dopo pochi minuti le "guardie rosse" escono in fila, scortate dai carabinieri, con il deputato in manette e con Bucco che si dichiara innocente di tutto.
Il portone della Camera del lavoro rimane spalancato e i fascisti, invitati dalla viltà di Bucco, si dànno al saccheggio. È mezzanotte e la campana della torre suona la morte simbolica del socialismo rivoluzionario di Bologna.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XXXVII

Il Trattato di Rapallo fra Italia e Croazia fu annunciato il 12 novembre con la rinuncia alla Dalmazia e il mantenimentodella sola di Zara, ma senza né un retroterra né le isole circostanti. A Fiume è stato riconosciuta la piena indipendenza, ma il porto è croato; La "città di vita" non è né italiana, né croata ed è stata tagliata fuori dai commerci marittimi. I sogni di D'Annunzio si sonono infranti!
Mussolini invece si dice sodisfatto e l'articolo del Popolo appare per quel che è: una mazzata diritta alla nunca dei fascisti fiumani e ormai la parola "tradimento" comicia a girare anche a destra.
Sull'altro fronte (la pianura padana) le cose per lui vanno meglio, perché i socialisti, trionfatori nelle urne, accumulano sconfitte nelle piazze e lui sa che la tattica migliore è sempre quella di inseguire chi arretra, per portare l'esercito nemico verso la rotta. Per farlo al meglio bisogna allearsi con tutte le forze della reazione e il Comandante s'impicchi pure al chiodo dell'adriatico, ma i fascisti di Milano non muoveranno un dito.
Con Giolitti si entra nel grande gioco e ciò richiede eclettismo e lui è pronto, ma intanto deve occuparsi della opposizione interna. Pietro Marsich, il più fervente dannunziano fra i dirigenti fascisti, lo attacca a viso aperto e poi ci sono i dalmati ed entra in gioco la commozione. Benito è costretto a fare marcia indietro e sconfessa l'approvazione del Trattato. Cesare Rossi è frastornato dalla giravolta e voterà contro al nuovo ordine del giorno! La sera stessa il Duce scrive a D'Annunzio: Mio caro Comandante .., ma lui al (comunque) traditore non risponde e l'unico con cui si confessa sarà Toscanani, in occasione del concerto a Fiume il 20 novembre: "Eccoci di nuovo soli, soli contro tutti, col nostro solitario coraggio!"


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XXXVIII

Leandro Arpinati ha fatto esporre il suo ultimatum in tutte le vie di Bologna: "Domenica le donne e i bambini reastino a casa! Dovranno esserci solo Fascisti e Bolscevìchi e ci sarà la grande prova in nome d'Italia!"
L'urto appare inevitabile e il 18 novembre in Parlamento l'onorevole socialista Niccolai ha denunciato il diffondersi della violenze fasciste e la connivenza del governo. Il Corriere della sera ha, però, replicato, scrivendo di "santa reazione dell'opinione pubblica ai soprusi dei socialisti!"
E il 23 novembre quel che è preannunciato, accade e ci saranno 10 morti e 50 feriti; il Consiglio comunale si dimette in blocco; BoOlogna sarà governata da un commissario prefettizio, una nuova stagione è cominciata!

Dichi è la colpa? Chi, se non che il Partito socialista, aspira in Italia alla guerra civile? Corriere della sera

È tempo che tutti ci si decida a disarmare e a smolbilitare gli animi. In alto le mani tutti! Filippo Turati

Contro la truce vigliaccheria degli uomini rossi ... occhio per occhio, dente per dente ... Fuori i barbari L'Avvenire d'Italia (quotidiano cattolico)


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XXXIX

D'Annunzio ha inviato da Mussolini Alceste De Ambris a fare un ultimo tentativo per smuovere i fascisti a difesa dei legionari fiumani, dopo che Giolitti il 1° dicembre ha dato inizio a l'assedio della "città di vita". :x
Ma il capo del fascismo sbotta: "Tu devi convincere il Comandante ad accettare il Trattato di Rapallo, condiviso ormai da "tutto" il popolo italiano."
De Ambris prova a ribattere, ma Mussolini non sembra nemmeno ascoltarlo e prega anzi Foscanelli di strappare il verbale del colloquio. È l'unico punto sul quale sono d'accordo i due e i fogli lacerati finiscono nella stufa!
A Milano le cose stanno migliorando per il fascismo e il giornale sarà fra poco trasferito in via Lovanio, una strada molto elegante, non troppo distante dall'Accademia di Brera e da via Solferino, dove ha sede il Corriere della Sera. E tutto ciò perché avevano vinto nella piazze con le armi in pugno. I socialisti, poveracci, avevano gridato invece "in alto le mani".
Leggendo il discorso di Turati, Mussolini aveva scosso la testa divertito, non c'era niente da fare la violenza non era per i socialisti, quella gente la brutalità proprio non la capiva. :crazy: I capi blateravano di organizzare la rivoluzione attraverso un esercito di militanti armati, ma in verità non c'era nessuna organizzazione, lui quella gente la conosceva e sarebbero rimasti sempre degli avventizi. :D


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XL

Nelle elezioni del '19 e del '20 Ferrara è risultata la provincia più "rossa" d'Italia, ma il 22 dicembre di quest'ultimo anno ai funerali dei tre fascisti uccisi negli scontri con i socialisti sono presenti 14.000 persone; i rapporti di forze si stanno capovolgendo. Nonostante che a causare lo scontro sia stata l'aggressione degli squadristi venuti da Bologna al seguito di Arpinati, le bombe rinvenute nel castello Estense, introdotte dai socialisti per approntare la difesa, hanno consentito agli aggressori di ribaltare la responsabilità. I morti in campo socialista sono ignorati, mentre i caduti fascisti sono onorati come martiri della libertà. La cerimonia funebre si svolge solenne, memorabile, grandiosa, eppure non serve a seppellire i morti, perché essi nell'immaginario devono restare insepolti. :x
Ad assistere, anonimo, ai funerali c'è anche un capitano degli alpini, acceso mazziniano, foscoliano che già a sedici annio era fuggito di casa per unirsi al nipote di Garibaldi in una spedizione a sostegno del popolo albanese e che si è fatto onore nella Grande guerra e quel giorno è rientrato, ma solo di passaggio, nella città di origine, il suo nome è Italo Balbo.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLI

Il 24 dicembre a Mussolini arriva una missiva disperata di D'Annunzio, scritta a mano, dove si chiede ai fascisti di mantenere la promessa di insorgere nel caso di un attacco "fratricida"!
La risposta sarà ambivalente, come si potrà vedere dagli atti, più che dalle parole; per quest'ultime il Duce arriva a confidare ai suoi che la questione di Fiume è di secondaria importanza, come tutta la politica estera; il fascismo deve essere intransigente solo in politica interna.
Quando alle 17 scatta su Fiume l'attacco delle truppe regolari italiane, la riunione del Comitato centrale dei Fasci è già stata tolta e i suoi membri si affrettano verso casa per la celebrazione del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo. :diavoletto: :champion: :diavoletto:


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLII

Il Comandante si proclama pronto a morire per la causa, perché proprio la morte gli appare ormai come "ultima dea". Un prima assalto assalto è stato respinto e la linea di resistenza intorno a Fiume è ricostituita. Il generale Ferrario, comandante del Corpo d'armata, ordina l'impiego massiccio di tutte le artiglierie, ma il generale Caviglia, a capo delle operazioni, impone una tregua fino all'alba (sperando in un ravvedimento dei dannunziani).
Il poeta si rivolge al mondo intiero con un proclama: "Il delitto è consumato. La terra di Fiume insanguinata di sangue fraterno ... E l'Italia, disonorata per sempre, non leverà un grido? Non alzerà una mano?"
Ma l'Italia è a tavola per il pranzo di Natale! E alle 6 e 50 del 26 dicembre le truppe regolari riprendono l'attacco; a mezzogiorno cominciano i bombardamenti e due granate sono esplose contro la facciata del Palazzo del governo e si diffonde la notizia della morte del Comandante.
Ma lui è vivo e diffonde il secondo proclama: "O vigliacchi d'Italia ... "
La mattina del 28 dicembre D'Annunzio cede i poteri e dice: "Non posso imporre alla città eroica la rovina e la morte totale".


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLIII

Il 27 dicembre il Popolo ha pubblicato un articolo di fuoco in difesa di D'Annunzio con il titolo "Il delitto!" Ma già il 31 Fiume è acqua passata e il poeta ormai non può proseguire la recita di fronte a un teatro vuoto.
Il teatro dei Fasci invece si sta riempiendo con velocità sorprendente e per la prima volta Umberto Pasella non è costretto a mentire sui dati del tesseramento: ormai si contano 20.000 iscritti e ogni volta che una squadra fascista brucia in piazza una bandiera rossa, centinaia di piccolo-borghesi si mettono in fila alle sedi del Partito. Cesare Rossi spiega bene il motivo del successo: "... noi trasformiamo la paura in odio!"
Dai piccolo-borghesi odiatori sarà formato l'esercito fascista; tutte brave persone timorate di dio presa dal panico e caduta in ansietà e quindi con il desiderio incontenibile di un un uomo forte, a cui tutti sono pronti a baciare le scarpe, purché dia anche a loro qualcosa da calpestare. Di questo passo la rivoluzione non la faranno i comunisti, ma i proprietari di due camere e cucina in un condominio di periferia. :champion: :grr:


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLIV

Il XVII congresso del Partito Socialista si apre alle ore 14 del 5 gennaio 1921 con un commosso ricordo dell'insurrezione spartachista di due anni prima.
Nel congresso del luglio precedente l'Internazionale comunista ha fatto la sua scelta, scandita in 21 tesi perentorie, come chiodi conficcati sulla bara dell'unità proletaria: "... per poter rimanere, gli italiani devono cambiare nome al partito e ripudiare tutti i "compagni" che credono nel socialismo, ma non nella rivoluzione!"
Ma i russi non sanno che in Italia, dopo il fallimento dell'occupazione delle fabbriche, a credere nella rivoluzione è rimasto solo Bombacci e qualche suo amico. Non la pensano auspicabile nemmeno i massimalisti del segretario Serrati.
Il 16 interviene il delegato dell'Internazionale (un bulgaro) e annuncia il dicktat! E chi non si adegua sarà considerato un traditore!
Il 17 prende la parola Vincenzo Vacirca, un sindacalista siciliano, che a sedici anni ha organizzato la lega contadina di Ragusa ed è già scampato più volte a numerosi attentati. È lì per perorare la causa dei braccianti, ma termina attaccando le direttive di Mosca; per il nemico del latifondo siciliano comunismo e socialismo sono una cosa sola. La colpa della reazione che sta investendo il movimento operaio e contadino è dei parolai che predicano a vuoto la violenza, evocando così la repressione borghese, la colpa è dei rivoluzionari del temperino!
Il riferimento sarcastico è a Bombacci, (il cristo degli operai e Lenin della Romagna), che, pur adepto della violenza, ha dichiarato più volte di non saper usare nemmeno un temperino.
Nicola Bombacci trema di rabbia e qualcuno gli porge una pistola e allora si sporge dal palco e la punta contro Vacirca, che ha ancora l'indice teso nel gesto beffardo, accusatorio.
La mano che regge l'arma, paffuta, rosea, delicata, però vacilla sotto il peso del grosso revolver a tamburo; Bombacci si accascia nella penombra del palchetto e la tragedia scade a farsa.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLV

Giacomo Matteotti ha dovuto lasciare il Congresso senza nemmeno parlare, per assumere la direzione della Camera del lavoro; il segretario è stato arrestato, insieme al sindaco.
Il treno arriva a Ferrara a mezzogiorno e una folla di maganelli fascisti attende il deputato socialista. che rifiuta di valersi di un'auto e si dirige alla Camera del lavoro, scortato da una pattuglia di poliziotti. Una bastonata supera il cordone e colpisce Matteotti alla tempia; lui risponde urlando a più riprese: Canaglie!"
Il giorno dopo il fornaio socialista Ettore Borghetti è ucciso da un colpo di rivoltella, mentre esce dalla Camera del lavoro.
La mattina del 22 gennaio sui giornali compare la notizia che a Livorno i massimalisti si sono rifiutati di espellere i riformisti e allora i comunisti hanno proclamato la scissione
. Amedeo Bordiga era salito alla tribuna e ordinato ai delegati della sua fazione di abbandonare la sala!
Si sono dati appuntamento a pochi metri di distanza, al Teatro San Marco, per fondare il Partito Comunista d'Italia.

A Livorno cominciò la tragedia del proletariato italiano. Pietro Nenni, Storia di quattro anni 1926

Fummo, bisogna dirlo, travolti dagli avvenimenti, fummo, senza volerlo, un aspetto della disooluzione generale della società italiana ... Antonio Gramsci (a proposito della scissione) L'Ordine nuovo, 1924


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLVI

La spedizione punitiva in partenza il 23 gennaio 1921 da Ferrara, diretta ai sobborghi rurali, è la prima concepita con metodi militari: occorre distruggere le leghe contadine e devono essere in tanti per non lasciare nessun margine all'incertezza nello scontro.
Fra questi molti manca uno importante: Olao Gaggioli, che si è dimesso il 17 dicembre da segretario del fascio cittadino per protesta contro lo smarcamento di Mussolini da D'Annunzio e ha scritto una lettera in cui denunciava apertamente che il Fascio di Ferrara è finanziato dall'Agraria!
Mussolini cerca di rispondere e il nuovo organo del Fascio locale "Il Balilla", che comincia le pubblicazioni proprio quel giorno, si smarca dagli Agrari, precisando che "il fascismo ferrarese nasce nelle piazze e non nelle sale dei ricchi".
A dirigere il giornale è stato messo Italo balbo, il giovane mazziniano, eroe di guerra e ora in cerca di un destino e di un impiego. (Pare che gli siano state offerte ben 1500 lire mensili).
I camion pieni arrivano ad Agusciello e una delegazione di Agrari accoglie i fascisti, scortandoli fra le poche strade del paese. La resistenza dei socialisti è blanda e i locali della lega contadina sono invasi facilmente; i carabinieri arrestano i pochi socialisti che si sono difesi con il fucile a pallini. :x
A Donore invece i socialisti sono più numerosi e pronti alla difesa. La colluttazione è furibonda e due contadini sono feriti gravemente, mentre Balbo, Breviglieri e Cozzi riportano ferite leggere.
Sulla via del ritorno si canta e ci si commuove al ricordo di un'impresa già antica, anche se compiuta mezzora prima! Poi si passa a ridere e scherzare e a pensare che li attende la meritata lussuria al bordello della Rina.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLVII

Parlamento del Regno, 31 gennaio 1921; prende la parola il deputato Giacomo Matteotti: "Siamo un partito che vuole arrivare a una grandiosa trasformazione sociale e sappiamo che avremo delle reazioni più o meno violente, perciò non ci lagniamo della violenza fascista. Ma oggi esiste un'organizzazione pubblicamente riconosciuta che dichiara apertamente di finanziare lo squadrismo! Il governo presume di essere al di fuori e al di sopra dselle classi, tutore dell'ordine pubblico ... noi invece affermiamo che esso è còmplice di tutti questi atti diu violenza! Noi non vi chiediamo nulla, perché non ci fidiamo di un servitore come voi, che sarebbe sempre infedele e quindi non vi chiediamo, né mendichiamo nulla!"
Quel nulla riecheggia nell'aula come una parola definitiva.
Quando Matteotti torna a sedersi, l'aria nell'aula è diventata irrespirabile, la parola "violenza", come una fuga di gas, di nuovo la impregna. La porta è chiusa.
la seduta prosegue ancora a lungo, ma è finita da un pezzo.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) XLVIII

Nonostante Matteotti, l'aula di Montecitorio ha riconfermato la fiducia a Giolitti, il che significa che i moderati guardano alla violenza fascista come a un agente patogeno, ma necessario alle supreme ragioni della sopravvivenza della borghesia.
Dopo la scissione "bulgara" la crisi socialista è irreparabile e Mussolini sa che bisogna approfittarne prima di Giolitti, che potrebbe indire nuove elezioni e dipoi associare Turati e i riformisti nel governo. Occorre quindi continuare gli atti violenti quel tanto che basta a far capire agli imbecilli che non possono fare a meno delle camice nere.

Gli squadristi ferraresi in primis avevano capito e cantavano:

Ce ne fregammo un dì della galera,
ce ne fregammo della triste sorte
per preparare questa gente forte
che se ne frega adesso di morir.
Il mondo sa che la camicia nera
s'indossa per combattere e morir.

Duce!
Per il Duce e per l'Impero
eja eja alalà! Alalà! Alalà!

Poi c'è D'Annunzio, ritiratosi sul lago di garda; bisogna trovare un accordo per impedire che si metta di traverso.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) IL

Il 27 febbraio a Firenze, in piazza Antinori è esplosa una bomba contro un corteo patriottico; il lanciatore non l'à visto nessuno. La città è in preda a convulsioni e terrore. È domenica e i fascisti stanno battendo, come per ogni festa, i paesi dei dintorni e la riunione richiesta in tutta fretta non conta che un centinaio di partecipanti.
Nei mesi scorsi, a Firenze, il Fascio si era spaccato in due: gli ammanicati coi signori e i disperati pronti a tutto, ma una cosa li legava saldamente: l'odio! La vendetta, però, non si sa dove andarla a cercare, poi a qualcuno viene un'idea: c'è il giornale "Azione comunista" in via Taddea. Ivi, Spartaco Lavagnini sta correggendo le bozze e quando alza gli occhi vede l'assassino davanti a sé, è un vecchio cacciatore, ottimo tiratore, ma ha bisogno di più di un colpo, nonostante gli spari a bruciapelo!
In città, la mattina dopo, a vita si spegne. I ferrovieri hanno bloccato i treni nelle stazioni di Rifredi, Campo di Marte e San Donnino e, subito dopo si sono associati allo sciopero tutte le altre categorie di lavoratori.
I fascisti si fanno vedere solo dopo pranzo, quando escono in colonna per Attaccare San Frediano, ma in piazza Tasso, Dùmini e i suoi si sono trovati accerchiati da una pioggia di proiettili di ogni genere: tegole, soglie murate, marmi di comodino. Gli assalitori riescono amettersi in salvo per l'intervento della polizia.
Su Firenze cade una seconda notte di tenebre.
La battaglia di Firenze si conclude il primo marzo e i bersaglieri intonanono l'inno di Mameli e brandiscono bandiere rosse strappate al nemico e i fascisti, facendosi scudo di polizia ed esercito, devastano le sedi delle associazioni del nemico!


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) L

Dalla Toscana arrivano ogni giorno notizie di scene selvagge. il primo marzo, a Empoli il popolino bolscevìco, temendo una spedizione punitiva fascista ha teso un agguato a dei fuochisti di marina, trasferiti a Firenze per far viaggiare i treni fermi per sciopero. Cinque morti e decine di feriti! Naturalmente i fascisti sono decisi a non cedere di una virgola: dopo ogni "delitto" socialista, la rappresaglia colpirà inesorabile, saranno loro a terminare ogni fase della guerra civile!
È attraverso questa crisi interna che la nazione ritroverà l'equilibrio e i fascisti si tengono serrati e pronti a tutti gli eventi. Il popolo d'Italia 1° Marzo 1921.
Il 10 marzo a Montecitorio prende la parola Giacomo Matteotti per denunciare che nel cuore della notte, mentre i galantuomin dormono, arrivano i camion dei fascisti nei paeselli di campagna, sempre accompagnati dagli Agrari, che soli conoscono i nomi dei capilega. Se uno di costoro non uscisse di casa, gliela brucerebbero e quindi il capolega deve obbedire e loro lo legano e sul camion gli fanno passare le torture più inenarrabili. Questo è il sistema del Polesine! :grr: E Matteotti procede con un elenco minuzioso dei fatti e alla fine arriva alla responsabilità del governo.
L'unica replica non viene da un fascista, ma dal cattolico Umberto Merlin, il quale dichiara: "... prima ancora che i socialisti piangessero i loro morti, i fascisti erano in gramaglie per i propri!"
L'aula applaude e anche la seconda denuncia della violenza fascista affoga nel calderone della guerra civile! Due giorni dopo il deputato socialista viene sequestrato, sottoposto a torture, insulti, minacce di morte e poi abbandonato a notte inoltrata, nei pressi di Lendinara, ma prima è stato ammonito che, se voleva vivere, doveva lasciare la provincia e non farci più ritorno. Ormai Matteotti è diventato un personaggio dei suoi racconti! :grr:


Fanno festa i musulmani il venerdì
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jerrydrake
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Se la lotta per la successione di Lenin contrappose, quasi 100 anni fa Stalin e Trockij (ma ancor oggi contrappone Lemond a Jerry Drake), non meno interessante fu la successione successiva aperta nel '53 alla morte del "becchino della Rivoluzione".
65 anni fa uno degli eventi cardine del XX secolo: il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, il primo dopo la morte di Stalin, nel corso del quale Nikita Sergeevič Chruščëv tenne il celeberrimo discorso "Sul culto della personalità e le sue conseguenze" nel quale il futuro Primo Segretario del PCUS denunciò i crimini del baffone georgiano. Dopo di allora il mondo non sarebbe più stato lo stesso.
Nel corso del programma radiofonico della Rai "Alle otto della sera" il grande giornalista Demetrio Volcic, storico corrispondente da Mosca, presenta il suo resoconto degli eventi. Qui potete scaricarlo (insieme a tante altre cosine interessanti):
https://www.mediafire.com/folder/yq8o87 ... della_sera
Perché non si vive di solo Barbero...


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jerrydrake ha scritto: lunedì 15 marzo 2021, 23:16 Se la lotta per la successione di Lenin contrappose, quasi 100 anni fa Stalin e Trockij (ma ancor oggi contrappone Lemond a Jerry Drake), non meno interessante fu la successione successiva aperta nel '53 alla morte del "becchino della Rivoluzione".
65 anni fa uno degli eventi cardine del XX secolo: il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, il primo dopo la morte di Stalin, nel corso del quale Nikita Sergeevič Chruščëv tenne il celeberrimo discorso "Sul culto della personalità e le sue conseguenze" nel quale il futuro Primo Segretario del PCUS denunciò i crimini del baffone georgiano. Dopo di allora il mondo non sarebbe più stato lo stesso.
Nel corso del programma radiofonico della Rai "Alle otto della sera" il grande giornalista Demetrio Volcic, storico corrispondente da Mosca, presenta il suo resoconto degli eventi. Qui potete scaricarlo (insieme a tante altre cosine interessanti):
https://www.mediafire.com/folder/yq8o87 ... della_sera
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Grazie, lo comincerò prima possibile, penso stasera, e poi ti dirò alla fine. Quanto a Barbero, non credo che sia il miglior storico, ma il più divertente senzaltro. A parlare, perché nello scritto è un altro discorso, vedi ad es, il suo premio strega, un romanzo che non sono riuscito nemmeno a finire. :)


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LI

Leandro Arpinati entra ed esce dal carcere; e il 12 marzo è arrestato di nuovo, perché Giolitti pare si sia messo in testa di disarmare i fascisti e ha proibito la circolazione dei camion intorno alla zona di Pieve di Cento, dove opera ed è stato arrestato l'ultima volta l'Arpinati. Colà è stata uccisa un'operaia, colpita in piena faccia mentre richiudeva le imposte di casa! Ma quella volta l'Arpinati non c'era e la reazione del Fascio bolognese all'arresto è stata impetuosa; molti partiti fiancheggiatori hanno espresso la loro solidarietà e la Confederazione del Commercio e dell'Industria ha minacciato la serrata dei negozi per solidarietà! :x
Leandro è scarcerato per la quinta volta il 17 marzo e "Il resto del Carlino" scrive che una marea di popolo lo ha accolto come un eroe.
Una settimana dopo a Milano esplode una bomba al teatro Kursaal Diana, che doveva essere stata posizionata nei pressi dell'ingresso degli artisti, perché sotto le macerie si intravedono i cadaveri mutilati degli orchestrali.
Gli anarchici! Non c'è dubbio, questa è opera loro!
Mussolini si calca in cappello sulla testa, mentre sta andando a osservare la tragedia e pensa che questa bomba cambia tutto, segna la fine di un periodo della vita. Questa bomba provvidenziale segna un nuovo inizio. :) Una cosa deve apparire chiara e lui lo scrive a chiare lettere: "I fascisti si battono a viso aperto e non metterebbero mai bombe nei teatri!"
All'articolo ne seguiranno altri, giorno dopo giorno, e per Pasqua ci si candida a governare la nazione.
Il lunedì santo l'arcivescovo Ratti è schierato con tutto il clero milanese nei paramenti solenni e impartisce benedizioni alle salme, di fronte a lui Mussolini è tutto osso e mascelle; è ovviamente in piedi, ma Marghera Sarfatti, che osserva fra la folla, lo vede a cavallo, come fosse una statua equestre.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LII

Bologna acclama Mussolini nel giorno del suo 37° compleanno, ma la città non è sua, bensì di Arpinati, Dino Grandi e altri "capi", che il duce nemmeno conosce. L'Emilia Romagna in questo momento è la forza prominente del fascismo e la violenza degli squadristi nelle campagne non tollera freni. La testa politica del movimento bolognese è il già citato Dino Grandi, un pensatore disposto a ogni esperienza, purché gli torni utile, un cervello da anfibio.
Mussolini è venuto a Bologna con lo scopo di moderare la violenza e far accettare l'alleanza elettorale con Giolitti e sarà un compito improbo convincere questi ragazzi feroci. Deve convincere la giovinezza che per salvare la forza bisogna andare a letto con la puttana vecchia! :)
L'ex dannunziano Dino Grandi lo accoglie con un autentico peana, terminando con "Duce trionfatore".
Nella parte di tribuno/attore Benito è bravissimo e sciorina tutta una serie di frasi fatte, ma poi tocca parlare di elezioni e allora si rifugia nella poesia e cala l'asso di D'Annunzio: "Non sentite voi che il timone passa per un trapasso spontaneo da Giolitti, il vecchio neutralista, a Gabriele, l'uomo nuovo?"
L'assemblea grida viva D'Annunzio e ... il gioco è fatto. :dunce: :dunce: :dunce:
IL giorno dopo a Ferrara, se possibile, va ancora meglio. :x


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LII

Dalle colonne del Corriere della Sera, Luigi Albertini invita gli elettori a "turarsi il naso" di fronte alla maleodorante alleanza fra liberali e fascisti; è una virata completa nello spazio di due giorni. Solo la Stampa rimane contro l'alleanza, ma Frassati (che la dirige) non conta più, ormai!
Giolitti pensa di imbrigliare l'illegalità fascista, ritenendola un fenomeno passeggero, impastoiandola nell'arco costituzionale; Mussolini sa che deve apparire come l'unico che può ripristinare l'ordine, visto che il disordine è una sua creazione. :grr: Ormai l'unica politica possibile è quella del "doppio binario": mentre il fondatore dei Fasci esalta le rappresaglie violente contro la barbarie socialista, il direttore del Popolo d'Italia prende posizione contro la violenza. Essa, peraltro, ha questo di bello: è veleno e allo stesso tempo antitodo, secondo la dose somministrata! :) :x
Già l'otto aprile, appena sciolte le camere, la violenza fascista imperversa con Italo Balbo nel polesine e un centinaio di camice nere tengono sotto essedio, per due giorni, Ferrara e nella zona in poco tempo sono state distrutte 9 Camere del lavoro. Il crollo socialista è verticale, in diversi luoghi ormai le masse contadine stracciano le bandiere rosse e passano ai sindacati fascisti, le rese umilianti di fronte alla violenza, non si contano più. :grr:
Avviluppati in questa temperie, si va al voto, mentre Balbo (l'inventore dell'olio di ricino) ride! Il socialista, dopo che si è fatto bere, si lega al cofano dell'auto e lo si porta in giro per il paese, mentre si caca addosso! Il che impedisce alla vittima di diventare un martire, perché la vergogna scaccia il cordoglio!!! La merda, più del sangue, si stende sul futuro di una nazione. :grr: :grr: :grr:


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LIII

Mussolini, notoriamente superstizioso, è contento perché l'oroscopo gli è favorevole.
La campagna elettorale si è conclusa proseguendo il turbine di violenza, tra il sangue delle vittime e i bagliori degli incendi, e i dati del ministero degli interni sono incoraggianti. I socialisti perdono però meno di quel che si prevedeva e rimangono il primo partito con il 25% dei voti. A sinistra, i comunisti hanno il 3 e i repubblicani il 2. I partiti del blocco nazionale arriveranno forse al 47.
Per i fascisti, Cesarino Rossi aveva ottenuto ottanta candidature e 40 andranno in Parlamento, non sono tanti, ma sono giovani, comandanti di squadre armate fino ai denti, una forza dirompente e che rappresenta il fallimento completo delle vecchie astuzie di Giolitti. Costui voleva addomesticarli e invece li ha legalizzati, voleva usarli e invece avrà l'ingovernabilità e la crisi della democrazia entrerà nella fase più acuta! Tanto più che a Milano e Bologna c'è il trionfo personale del duce: 197.000 e 173.000 voti (da confrontare con i miseri 4.000 avuti nel '19)
L'onorevole Mussolini sente che la sua ora si avvicina: ha vinto con i soldi degli agrari e con l'aiuto di Giolitti, a fianco dei nemici della giovinezza, ma che importa!? Bisogna essere uomini, dice Matgherita Sarfatti: "La giovinezza semina, la virilità raccoglie." E che importa se oggi è diventato l'uomo che odiava da ragazzo.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LIV

L'onorevole Mussolini ha preso posto nell'ultimo scranno di destra, dove nessuno aveva mai osato sedere e il 21 giugno parla per la prima volata: "Vi dichiaro subito che nel mio discorso sosterrò tesi reazionarie, antidemocratiche e antisocialiste e quando dico antisocialiste, intendo antigiolittiane. Ilarità generale.
Ormai era chiaro che il patto di alleanza e di addomesticamento previsto da Giolitti era fallito e Mussolini dedica tutta la prima parte dell'intervento a una dura requisitoria contro la politica estera di Giolitti, con un crescendo di furore nazionalistico; il governo è appena nato ma, lo sanno tutti, ha pochi giorni di vita.
Ora che è arrivato in Parlamento il fascismo, però, deve far pulizia in casa, perché la violenza può essere vista come un argine all'inizio, ma poi stanca. Il piccolo borghese ha bisogno di conforto e di pace e per creare un nuovo partito di massa, occorre dargliele entrambe. La spada va riposta e alla guida del fascismo siederanno i politici, non i guerrieri e lui si appresta a ritirare la muta latrante dei cani della guerra.
Ma appena un mese dopo avviene il "disastro di Sarzana" Dùmini aveva organizzato una spedizione per liberare il capo fascista Renato Ricci e operare anche una rappresaglia contro i comunisti, ma le cose erano andate diversamente e la banda di vendicatori era stata quasi distrutta. Gruppi di contadini, armati per difendere le case da chi le voleva incendiarle, erano passati all'attacco e la mattina si trovarono alcuni corpi lasciati al sole e altri impiccati. Quelli rimasti, insieme a Dùmini, erano stati scortati dai carabinieri a un treno speciale che li avrebbe riportati do dove eran venuti.
Il duce è preoccupatissimo e confessa a Cesare Rossi: "Abbiamo costruito le nostre fortune sui catafalchi. Bisogna stare attenti che adesso quella fortuna non tocchi ai nostri nemici!" Tanto più che il nuovo governo di Ivanoe Bonomi è pericoloso. Se non ci si vuole suicidare, bisogna smetterla con con lo "sterminismo", altrimenti Bonomi si sarebbe alleato con i socialisti moderati e gli avrebbe riservato "il calcio dell'asino!"
I membri del Comitato centrale ascoltano in silenzio le direttive per attuare una precipitosa marcia indietro anche se sono quasi tutti contrari, ma al termine della riunione lui tuona di avviare una pacificazione completa con i rossi! "Siamo un esercito, non uno sciame, e questo esercito lo comando io!"


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LV

Il patto di pacificazione che dovrebbe decretare la fine del conflitto fra "rossi" e "neri" è stato firmato il 2 agosto nell'ufficio del presidente della Camera, De Nicola (la prima firma è quella dell'onorevole Mussolini). Il patto è stato subito *denunciato* dai fasci toscani, veneti ed emiliani e il duce li ha definiti "ras", come i selvaggi etiopi! Gli ha replicato Grandi, sempre sul Popolo, con un articolo in cui affermava che il "padre" non era Mussolini, ma D'Annunzio e che il fascismo era nato a Bologna, con l'eccidio di palazzo D'accursio e non a Milano. Poi è toccato a Balbo attaccare il "capo": "fantasie infantili, sentimentalismi da femminetta".
Balbo e Grandi sono andati a Gardone il 16 agosto per offrire al Vate la guida del movimento, ma la risposta si fa attendere e alla fine, se ne devono tornare da dove sono venuti, perché hanno compreso che "gli astri non sono propizi". Però il 18 agosto gli strilloni urlano una notizia clamorosa: Mussolini si è dimesso dal Comitato centrale del Fascio!
Il 27 agosto a Firenze il Consiglio nazionale dei Fasci ha respinto le dimissioni, perché nessuno dei "ras" si è sognato di prendere il suo posto, però Mussolini ha dovuto accettare l'esclusione dalla segreteria di due suoi fedelissimi: Cesare Rossi e Leandro Arpinati.
Si dicederà tutto a novembre al congresso nazionale dei Fasci di combattimento.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LVI

Teatro Augusteo, Roma 7-9 novembre 1921 - Congresso nazionale dei Fasci di combattimento.

Le fazioni "sterministe", che hanno rigettato la "pace" del fondatore, sembrano in maggioranza e su tutte spicca la Disperata di Firenze con "il gran bastonatore (Tullio Tamburini) a capo. "Me ne frego" è il loro motto. L'ambiente è elettrico, colmo di violenza in nuce, da resa dei conti ed è in questo clima che Mussolini prende posto.
Ma gli squadristi non sanno che il giorno precedente i due contendenti (lui e Grandi) hanno avuto un incontro segreto, ove il duce ha rinunciato al patto di pacificazione, ottenendo in cambio che il movimento si trasformi in partito organizzato.
E quando il "ras" di Bologna (ormai fra virgolette) prende la parola, dichiara che quelle tifoserie contrapposte gli ispirano un profondo senso di tristezza e malinconia! :x
Dopo che Grandi gli ha preparato la scena, anche Mussolini è accolto bene e dice che la questione è semplice: se il congresso non vuole il patto di pacificazione, lui non insiste.
Il patto è già alle spalle, non c'è più materia di contendere e, se gli squadristi lo concedono, possiamo procedere in modo unitario alla creazione del partito. :) Grandi gli butta le braccia al collo e tutti si accodano per stringere e baciare Mussolini. Un uomo gigantesco lo issa sul tavolo della Presidenza, è Italo Capanni, colui che sparò in faccia a Spartaco Lavagnini e poi gli infilò fra i denti distrutti la propria sigaretta. È nato il Partito naziuonale fascista!


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LVII

Il 2 dicembre alla Camera dei deputati Giacomo Matteotti esordisce dichiarando che avrebbe preferito non esternare il grido di dolore che purtroppo si leva dalle sue terre! :x Ma ormai si è capito che il patto di pacificazione per gli squadristi è sempre stato un foglio di carta e se le "grandi azioni punitive" sono cessate, è solo perché si erano ritorte contro gli assalitori. Ma le piccole sono continuate e, come dice Mussolini, ci sono dei morti fascisti, è vero, ma essi sono caduti assaltando le case, mentre i socialisti hanno perso la vita difendendole da quei delinquenti, criminali, assassini! :grr:
Il giorno seguente gli risponde Aldo Finzi, il demoniaco pilota dell'auto di Mussolini, che ha volato su Vienna con D'Annunzio e che, come Giacomo, proviene dal Polesine (figli entrambi di grandi agrari). Ma le sue parole non sono degne di nota! :x


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Due contributi a una parziale storia del comunismo, a cura di Angelo D'Orsi e Demetrio Volcic. A me è piaciuta più la prima, anche perché è più sintetica, ma è molto interessante anche la seconda. Ringrazio l'ex cronista rai da Mosca di avermi insegnato a pronunciare bene l'ungherese Nagy e l'albanese Oxa. :) e Jerry per avermi consigliato l'ascolto. :clap:





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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LVIII

Il Presidente del Consiglio Bonomi si sta accorgendo che i propositi di imbrigliare le squadre armate di manganello non valgono nulla: i carabinieri fascistizzano e la magistratura assolve. E il segretario generale del PNF (Michele Bianchi) afferma che le sezioni del partito e le squadre di combattimento formano uin insieme incindibile! E questa dichiarazione è stata pubblicata sul Popolo d'Italia!
L'anno che sta arrivare per Mussolini sembra apportatore di buoni auspici, perché tanto peggio tanto meglio e la politica non potrà tardare a seguire l'economia; le masse stanno già pensando ... che ci vorrebbe un dittatore.
Benito l'otto gennaio 1922 è alla Conferenza per la ricostruzione dell'Europa, organizzata a Cannes dal p.d.C. francese ed è presente anche Pietro Nenni. Sono compaesani e anche compagni di cella ai tempi della lotta contro la guerra imperialista. Pietro ha tenuto in braccio la piccola Edda e l'altro lo ha assunto come caporedattore del suo giornale e lo ha avuto al suo fianco fino al 1919. Nel marzo del 1921 però è accorso in difesa dell'Avanti! durante l'assalto fascista e quel giorno, da simpatizzante repubblicano, è diventato socialista e ora si trova lì come corrispondente del giornale del partito.
Il movimento fascista intanto sta facendo passi da gigante per trasformarsi in un partito conservatore, monarchico, armato e alleato della classe dirigente che i due vecchi compagni di lotta hanno cobattuto da giovani!
Il fantasma del patto dipacificazione aleggia fra i due sulla Croisette come l'anima abortita di una creatura nata morta, perché entrambi sanno che il "generale" per rimanere in sella ha dovuto seguire gli umori della truppa, ma ciò nonostante Nenni non dà tregua al vecchio compagno: "Ti manca ogni sentimento di giustizia!"
Mussolini tace, teme e disprezza i propri squadristi, ma ormai è tardi, si deve obbedire alla vita bassa di una classe plebea ebbra di vendetta e risale da solo il lungomare, nella postura del boxeur che si prepara a incassare i colpi e il capo chino sulle sue ghette bianche da pezzente rivestito.


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LIX

A febbraio il governo Bonomi è già caduto, anche se già da novembre si era capito che i tentativi di disarmare i fascisti sarebbero falliti e solo per i calcoli di Mussolini era riuscito a superare gennaio. Ad affossarlo poi, per paradosso, erano stati i socialisti, indisponibili a entrare in una coalizione di governo. Si era preferito denunciare, piuttosto che rafforzare, anche se con un compromesso! Dopo di ciò all'interno del Partito si sta per consumare la rottura fra riformisti e massimalisti: un'altra scissione.
Filippo Turati scrive ad Anna Kulisciov: "Immagino che tutti voi sarete rimasti delusi da Bonomi .... è rimasto sempre il socialista che si contenta, ma la negazione più assoluta di un uomo di Stato. Come ragionatore intelligente, come individuo delle vie medie, come uomo onesto, che dice quel che pensa, come uomo scevro di vanità personali o di interessi di parte. Bonomi è questo, e non si può domandargli di più ... ma si è limitato ai soli mezzi morali e spirituali per sanare la psicologia manicomiale del fascismo e del comunismo."
E la Kulisciof risponde:" ... Tutto sommato è una situazione terribile, il Paese di giorno in giorno si avvicina al precipizio."


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lemond ha scritto: martedì 23 marzo 2021, 14:45 Due contributi a una parziale storia del comunismo, a cura di Angelo D'Orsi e Demetrio Volcic. A me è piaciuta più la prima, anche perché è più sintetica, ma è molto interessante anche la seconda. Ringrazio l'ex cronista rai da Mosca di avermi insegnato a pronunciare bene l'ungherese Nagy e l'albanese Oxa. :) e Jerry per avermi consigliato l'ascolto. :clap:
A me il superapprofondimento di Volcic è piaciuto. Mi ha sconvolto la pronuncia di Nagy, anche perché di Nagy magiari ne conosco (penso sia come Rossi da noi) e mai nessuno mi aveva spiegato che la corretta pronuncia fosse Nosg (detto morsicandosi la lingua) :diavoletto:


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LX

La crisi ministeriale di febbraio è stata devastante per il Paese e il re ha impiegato quasi un mese per trovare qualcuno disposto ad assumersi la responsabilità del governo e alla fine si era nominato Facta, una semplice ombra di Giolitti, perché don Sturzo non voleva in nessun modo il ritorno al potere dello statista più autorevole (al momento) in Italia.
Mussolini vede con chiarezza che lo Stato è avviato allo sfascio più completo e per lui i baffoni di Facta vanno benissimo, però lo preoccupano i suoi più violenti e fra costoro (i ras) si è aggregato anche Cesarino Rossi: da mediatore accorto e politico esperto, è diventato capo dello squadrismo lombardo! Ora si fa spalleggiare da Amerigo Dùmini, il picchiatore fiorentino rifugiatosi a Milano.
Purtroppo di quella gente non si può fare a meno, perché la gente ama la forza e fra rispettabilità e sterminismo non c'è più molta differenza. Si tratta di arroccarsi ancora una volta e di attendere il peggio.
Nelle sue terre Italo balbo ha la situazione sotto controllo e centinaia di migliaia di braccianti socialisti sono diventati fascisti nel giro di un anno: un miracolo "eucaristico" di trasmutazione dal rosso al nero. (vedi Nino che non c'è poi tanta differenza nelle masse fra i due totalitarismi, anzi tre, perché il cattolicesimo è anche peggio! :( ) Il 25 aprile Italo è a Milano per esporre a Mussolini una sua idea: occupare Ferrara con una mobilitazione di massa, che costringa il governo a procurare lavoro ai braccianti fascisti a spese dello Stato e così non si toccherebbero gli interessi degli agrari, che finanziano i Fasci! Il Duce l'autorizza, la realizzazione del piano comincia il giorno seguente e la mobilitazione scatta l'undici maggio.
Cinquantamila braccianti, emaciati dalla fame, sfilano in colonna lungo corso della Giovecca sotto gli occhi sbarrati dei borghesi. La polizia è richiamata nelle caserme, l'ordine pubblico lo garantiscono i fascisti.
All'alba del 14 maggio arriva la notizia che il ministro Riccio ha concesso tutto e Italo balbo sa che da ora in poi Ferrara è sua.
Da Milano Mussolini esulta, però in lui c'è anche una fibra nascosta di presentimento: trema di fronte alla rapidità del capovolgimento nella fedeltà dei popoli.


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Angelo D'Orsi,, Guido Carpi: "Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LXI

D'annunzio nel maggio 1922 parla di "schiavismo agrario". Lui, il Vate, il poeta, l'uomo della grandi imprese bolla con quel marchio d'infamia quello che è per lui la chiavica fascista!
Nelle campagne emiliane, abbandonati a loro stessi dalla distruzione delle leghe socialiste, i contadini si arrendono per fame e gli agrari stanno conducendo una spietata guerra di rivincita che annienta decenni di riforme sociali e, se qualcuno trova il coraggio di ribellarsi, a spezzare gli scioperi arrivano, come sciami di cavallette, scortati dagli squadristi armati, crumiri dalle altre province, ancora più disperate!
Mussolini ha provato a fornire una giustificazione teorica e a incivilire il fascismo, ma non è servito a niente: il P.N.F. continua ad aumentare la massa degli iscritti, ma nessuno lo vuole al governo e gli abboccamenti sottobanco con Facta avrebbero prodotto, al massimo, qualche sottosegretario!
Il 19 luglio l'onorevole Mussolini ha preso la parola in parlamento per condividere a cuore aperto il suo tormento fra partito di governo o partito di insurrezione, poi ha votato contro Facta insieme ai cattolici e ai socialisti, che lo sfiduciavano proprio per l'incapacità a difenderli dagli squadristi!
La verità è che c'è il tormento, ma nessun dilemma, la tattica è sempre la stessa: dosare, diluire, dilatare, per poi trattare da posizioni di forza. La sola vera differenza fra il Duce e i suoi squadristi è che per lui la violenza è un semplice utensile, mentre per gli altri è "desiderio di luce!"
Estratto del discorso del 19 luglio: "Se, per avventura da questa crisi dovesse uscire un governo di reazione antifascista ... noi risponderemo insorgendo!"


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LXII

Il 29 luglio i fascisti di e con Italo Balbo partono da Ravenna, passano per Rimini, Santarcangelo, Savignano, Cesena, Bertinoro, per tutti i centri e le ville delle province di Forlì e di Ravenna. Il loro passaggio è segnato da una colonna di fuoco. Tutta la pianura di Romagna, fino ai colli, brucia. Si torna a Ravenna all'alba del 30 luglio. La notizia giunge a Roma insieme a quella che anche il tentativo diu Turati di entrare nel governo è andato in fumo. I socialisti proclamano uno sciopero generale.
Il primo agosto, allo scoccare dell'agitazione, Michele Bianchi e Cesare Rossi, esaltati per quell'opportunità imperdibile offerta dai socialisti, hanno emesso un "ultimatum" :"Diamo 48 ore allo Stato perché dia prova dell'autorità nei confronti degli scioperanti, dopo di che il fascismo rivendicherà la propria libertà di sostituirsi a questo governo impotente!" E Mussolini. dalle colonne del Popolo, tuona "E trionferemo!"
E sul Corriere della Sera del 6 agosto si legge: "Oggi l'Italia è assai più propensa ai fascisti" Dissimularlo non giova ... Lo sciopero generale è stato lo specchio in cui la nazione ha visto riflessa di nuovo la faccia bolscevica degli anni tristissimi, dopo la vittoria.


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Felice
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Re: Storia

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lemond ha scritto: sabato 27 marzo 2021, 15:01
Felice ha scritto: sabato 27 marzo 2021, 14:24
lemond ha scritto: sabato 27 marzo 2021, 7:51 Infatti, mi riferivo all'Unione Sovietica e, in particolare alla loro colonia: l'Ucriana, dove ... E per il resto, non penserai mica che non conosca quello che hanno fatto i nazionalismi e prima di loro, i cristiani nel mondo, :grr: però si parlava dei sedicenti comunisti. Sono d'accordo con Lenin quando sostiene che l'imperialismo è la fase suprema del capitalismo, però posso soggiungere che il c.d. comunismo ha fatto lo stesso con gli stati-satelliti? Insomma, girala come ti pare, non vedo nessuna speranza di un mondo improntato alla "liberté, égalité, fraternité" e molto di più, da qualunque parte si guardi, al "mors tua vita mea" o se vuoi in initaliano "nessuna buona azione resta impunita". :cincin:
A dire il vero quello di cui si parlava era la natura del sistema economico cinese oggi. Spero che converrai con me che bisogna saper andare al di là dei nomi e guardare ai fatti. Come ho fatto notare, la Cina è superata solo dagli Stati Uniti quanto a numero di miliardari e, sempre in Cina, ci sono centinaia di milioni di persone che cercano di campare con un paio di dollari al giorno. Per me questa è la massima espressione di un capitalismo compiuto. Come il nostro maestro al riguardo, castelli, ci insegna, il capitalismo tende alla massimizzazione del profitto. Il profitto lo si massimizza facendo lavorare torme di schiavi, dando loro giusto il necessario perchè non tirino le cuoia. Non per niente le multinazionali sono ben felici di delocalizzare la loro produzione in posti come la Cina e il Bangladesh e del fatto che chi governa laggiù si faccia chiamare "comunista" o in un altro modo se ne strafregano altamente.

Quanto al discorso storico, che andrebbe però affrontato in altro thread, non ho gran voglia di addentrarmici anche perchè il rischio di scadere in luoghi comuni è grande. Eviterei però di impietosirmi per posti come l'Ucraina. Sai di Banderas? Sai che quello che oggi è considerato laggiù un eroe nazionale fu alleato dei nazisti e con la sua armata nazionalista ha sterminato 100000 polacchi in Galizia per "liberare il futuro stato ucraino da tutti i non-ucraini"?

https://en.wikipedia.org/wiki/Massacres ... rn_Galicia
Ti concedo tutto il male che vuoi sul capitalismo, sui cinesi e sugli eroi nazionali, ma dubito che i sei milioni morti per fame in Ucraina siano gli stessi che hanno partecipato allo sterminio dei polacchi, mentre proprio colà, le fosse di Katyn (s.s.s.c.) erano piene di morti, che Stalin aveva addebitato ai nazisti. E quanto a impietosirsi o lo si fa con tutti o con nessuno, ma per me la cartina di tornasole è un'altra: Hitler sterminava i nemici, mentre Stalin e Mao lo facevano con gli amici. Pertanto, dopo le religioni, la cosa peggiore che sia capitata all'umanità per me sono comunismo reale e nazismo e, purtroppo, nell'rdine! E ripeto, sono a favore del comunismo in teoria e ho sempre tifato per la rivoluzione bolscevica (quella di Mao, no), ma ... :cincin:
Due premesse:

1) Sono completamente ignorante in fatto di storia russa.

2) Ritengo che alleviare la propria ignoranza sulla storia russa post rivoluzione bolscevica sia un compito arduo per chiunque, in quanto si tratta di un tema ad alta valenza politica e come tale difficilmente se ne trovano trattazioni imparziali. Peggio che mai se uno si rifà a film et similia. Bisognerebbe poter risalire direttamente alle fonti o, a difetto, almeno confrontare trattazioni fatte da diversi autori con diverse orientazioni politiche.

Per queste due ragioni ho detto che non ho gran voglia di addentrarmi nell’argomento e ritengo che facendolo si rischi fortemente di appoggiarsi su idee che decenni di propaganda (da ambo i lati se vuoi) ci hanno inculcato.

Il fatto che tu sia al corrente delle fosse di Katyn, e che tu non lo sia dello sterminio dei polacchi da parte dell’esercito nazionalista ucraino di Banderas (alleato dei nazisti) dimostra che solo certe informazioni vengono fatte passare, mentre su altre si preferisce sorvolare. Nel link che ti avevo postato:

https://en.wikipedia.org/wiki/Massacres ... rn_Galicia

sta scritto:

In 2008, the massacres which were committed by the Ukrainian nationalists against the Poles in Volhynia and Galicia were described by Poland's Institute of National Remembrance as bearing the distinct characteristics of a genocide,[13][14] and on 22 July 2016, the Parliament of Poland passed a resolution recognizing the massacres as genocide.

Ovvero i Polacchi considerano quello effettuato dagli Ucraini un genocidio a tutti gli effetti e in tale senso si sono pronunciati in Parlamento nel 2016.

Ma veniamo ad un altro punto da te sollevato: “ma dubito che i sei milioni morti per fame in Ucraina…” Ovvero dai per certo che le vittime di quella carestia siano in realtà il frutto di un progetto di sterminio. Ne siamo proprio sicuri? O non è piuttosto un abbracciare il messaggio che si vuole far passare?

Gli storici non sono affatto unanimi. Leggi ad esempio la sezione “Analyses et débats” qui:

https://fr.wikipedia.org/wiki/Famines_s ... _1931-1933

In particolare storici anglosassoni non concordano affatto con la tesi “complottista”.

Si può poi andare a vedere quale fosse la situazione alimentare del tempo e, in particolare, quale fosse la frequenza delle carestie in Russia. Si legge allora qui:

https://it.wikipedia.org/wiki/Carestie_ ... _Sovietica

“Si sa che siccità e carestie nella Russia imperiale e nell'Unione Sovietica hanno avuto luogo ogni 10-13 anni, con i periodi di siccità che accadevano con una media di 5-7 anni.”

Per esempio, nel 1891-1892 una carestia che ha toccato in particolare le regioni del Volga, degli Urali e del Mar Nero ha fatto 2 milioni di morti:

https://fr.wikipedia.org/wiki/Famine_russe_de_1891-1892

A quel tempo c’era lo zar, Stalin non c’era, quindi non poteva essere colpa sua.

Un’altra grande carestia si è verificata nel 1921-1923:

https://it.wikipedia.org/wiki/Carestia_ ... _1921-1923

carestia aggravata dal fatto che imperversava la guerra civile e che pure ha fatto circa 2 milioni di morti.

Quanto alla carestia del 31-33, non ha toccato soltanto l’Ucraina, ma anche il Caucaso, il Kazakistan, la Bielorussia, la Siberia Occidentale e una parte della Russia europea:

https://it.rbth.com/storia/84449-quando ... A9-in-urss

I 6 milioni di morti non si riferiscono alla sola Ucraina, ma piuttosto al bilancio globale di quella carestia.

Insomma, mi sembra che ce ne sia abbastanza per dire che affermare che tutti quei morti furono il risultato di un piano deliberato sia un’affermazione azzardata. Ci furono sicuramente dei gravi errori di gestione che resero il bilancio ancora più tragico di quello che avrebbe potuto essere. Questo però nel quadro di un paese che era squassato da sconvolgimenti maggiori, che era uscito da poco da una guerra mondiale dagli esiti disastrosi, da una rivoluzione e dagli anni di guerra civile.


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Re: Storia

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D'accordo sul fatto che le informazioni in certi casi non sono mai sicure e che forse i morti sono in numero minore, però il profilo di Stalin è abbastanza coerente con la possibilità che abbia agito scientemente, così come (m.m.) quello dello Stup.or Mundi Putativo lo è con quanto gli è stato imputato almeno un paio di volte. ;) :cincin:


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LXIII

Il 12 agosto Turati sulla Giustizia ammette che "Lo sciopero generale è stata la nostra Caporetto e ormai i fascisti sono padroni del campo!"
Mussolini legge con entusiamo, ma sa che lo squadrismo da solo non basta e poi c'è il sud, dove il fascismo non ha ancora messo piede, un'incognita totale.
Il 13 agosto a Milano c'è una riunione di tutti i capi per risolvere il dilemma fra insurrezione e presa legale del potere attraverso nuove elezioni. Solo Bianchi, Farinacci e Balbo pensano alla prima soluzione, mentre anche Dino Grandi si schiera dalla parte di Mussolini e la sera si vota la richiesta al Parlamento di nuove elezioni. P.S. Dopo poco arriva una telefonata che annuncia che D'Annunzio è moribondo: è caduto da una finestra della villa!
Il 15 agposto La Stampa di Torino pubblica una specie di risposta: "L'equivoco su cui si gioca è quello di far credere che il fascismo si trovi costretto a porre lui il dilemma fra legalità e rivoluzione, per la propria salvezza. È precisamente il contrario della verità! Nessuno minaccia il fascismo e nessuno gli contesta il suo posto al sole; tocca solo a lui scegliere fra scheda e insurrezione.
E pochi giorni prima sull'Avanti si poteva leggere "L'esercito fascista si prepara all'ultima ripresa, a conquistare la capitale ... essa è la meta!"


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LXIV

Il 3 ottobre a Roma, durante i lavori del XIX congresso del Partito socialista si assiste a un'altra scissione, o meglio un'espulsione: Filippo Turati e Giacomo Matteotti sono cacciati dal partito a cui hanno dedicato la vita e dopo siffatta mutilazione i massimalisti bolscevichi (nel senso di maggioritari) hanno deliberato l'adesione all'Internaziona comunista e l'invio di una nuova delegazione a Mosca. P.S. Gli espulsi fondano un nuovo partito (P.S.U.) con G. Matteotti eletto segretario.
Intanto Mussolini, mentre presiede una riunione nella sede del Fascio primigenio a Milano, sta pensando alla frase che avrebbe pronunciato Badoglio: "Al primo fuoco tutto il fascismo crollerà!" In cuor suo sa che ha ragione, così come gli altri partecipanti, fra cui quattro generali dell'esercito. L'unico a ignorare la cosa pare essere Italo balbo, che gli ha assicurato che la militarizzazione delle squadre procede spedita. :) Balbo non capisce che i picchiatori non sono soldati e che il coraggio della rissa è diverso da quello della battaglia; la differenza è che in quest'ultima non si hanno di fronte uomini inermi e impreparati e quindi ... ha ragione Badoglio!
Ciò nonostante il 16 ottobre a Milano, nel saloncino del direttorio del Fascio, ci si riunisce per organizzare la marcia sulla Capitale. De Vecchi prende la parola per avvertire che, senza un organismo militare che sia in grado di manovrare le forze fasciste, il piano è destinato al fallimento e chiede di avere almeno un altro mese di tempo. Anche il generale Fara è per la dilazione.
Mussolini è incerto, ma ha nella mente lo spettro di un ritorno di Giolitti e con lui di nuovo al potere, sarebbe meglio pensare ad altro, per cui l'atto rivoluzionario della marcia su Roma o si compie subito o non si farà più.
La decisione è presa e il Duce tira fuori di tasca un foglio e legge il proclama da lanciare ai fascisti allo scoppio dell'insurrezione (lo teneva già pronto da giorni): "Fascisti! Italiani! L'ora della battaglia decisiva è suonata ..."


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In realtà non sono neanche d'accordo con questa tua frase:
lemond ha scritto: sabato 27 marzo 2021, 7:51
Infatti, mi riferivo all'Unione Sovietica e, in particolare alla loro colonia: l'Ucriana, dove ...
a meno che tu non sostenga anche che la Corsica è una colonia francese o l'Alto Adige una colonia italiana.

Le "colonie" le si vanno a cercare lontano dai propri confini, perchè i confini dei vari stati sono fluidi e mal definiti persino quando ci sono barriere naturali come le Alpi, figuriamoci nelle grandi pianure. L'Alsazia e la Lorena sono Francia o sono una colonia francese? E la Savoia? E quando Fiume e l'Istria facevano parte dell'Italia, erano Italia o erano una colonia?

Il primo stato russo della storia aveva come capitale... Kiev! La sua fondazione la si fa risalire all'882 e la sua definitiva caduta (sotto i colpi dei Mongoli dell'Orda d'Oro) è del 1240, quando Kiev fu presa e distrutta. Lo stato che i Rus' (si chiamavano così) avevano costruito abbracciava la grande pianura e si estendeva fino ai bordi dell'attuale Finlandia. Per esso passava l'importante asse commerciale che legava la Scandinavia a Bisanzio.
Successivamente ci fu l'Orda d'Oro e successivamente ancora uno stato Russo-Lituano che, intorno al '300, si estendeva dal Baltico al Mar Nero. Le popolazioni di quelle contrade si mescolarono, gli stati si formarono e si frammentarono in miriadi di ducati, le frontiere cambiarono continuamente. Quella che oggi è la parte orientale dell'Ucraina (non solo il Donbass, ma anche la regione di Karkov ad esempio, faceva già parte della Russia nel 1600.


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Felice ha scritto: martedì 30 marzo 2021, 17:02 In realtà non sono neanche d'accordo con questa tua frase:
lemond ha scritto: sabato 27 marzo 2021, 7:51
Infatti, mi riferivo all'Unione Sovietica e, in particolare alla loro colonia: l'Ucriana, dove ...
a meno che tu non sostenga anche che la Corsica è una colonia francese o l'Alto Adige una colonia italiana.

Le "colonie" le si vanno a cercare lontano dai propri confini, perchè i confini dei vari stati sono fluidi e mal definiti persino quando ci sono barriere naturali come le Alpi, figuriamoci nelle grandi pianure. L'Alsazia e la Lorena sono Francia o sono una colonia francese? E la Savoia? E quando Fiume e l'Istria facevano parte dell'Italia, erano Italia o erano una colonia?

Il primo stato russo della storia aveva come capitale... Kiev! La sua fondazione la si fa risalire all'882 e la sua definitiva caduta (sotto i colpi dei Mongoli dell'Orda d'Oro) è del 1240, quando Kiev fu presa e distrutta. Lo stato che i Rus' (si chiamavano così) avevano costruito abbracciava la grande pianura e si estendeva fino ai bordi dell'attuale Finlandia. Per esso passava l'importante asse commerciale che legava la Scandinavia a Bisanzio.
Successivamente ci fu l'Orda d'Oro e successivamente ancora uno stato Russo-Lituano che, intorno al '300, si estendeva dal Baltico al Mar Nero. Le popolazioni di quelle contrade si mescolarono, gli stati si formarono e si frammentarono in miriadi di ducati, le frontiere cambiarono continuamente. Quella che oggi è la parte orientale dell'Ucraina (non solo il Donbass, ma anche la regione di Karkov ad esempio, faceva già parte della Russia nel 1600.
No scusa, ho usato un termine sbagliato. Invece sul fatto della Corsica e del Sud Tirolo il discorso sarebbe diverso, perché entrambi c'entravano poco o punto con Francia e Italia al momento dell'inserimento in quegli Stati.


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Felice ha scritto: domenica 28 marzo 2021, 20:32
Quanto al discorso storico, che andrebbe però affrontato in altro thread, non ho gran voglia di addentrarmici anche perchè il rischio di scadere in luoghi comuni è grande. Eviterei però di impietosirmi per posti come l'Ucraina. Sai di Banderas? Sai che quello che oggi è considerato laggiù un eroe nazionale fu alleato dei nazisti e con la sua armata nazionalista ha sterminato 100000 polacchi in Galizia per "liberare il futuro stato ucraino da tutti i non-ucraini"?

https://en.wikipedia.org/wiki/Massacres ... rn_Galicia
Per un attimo ho temuto che Antonio Banderas tra un film e una pubblicità del Mulino Bianco si fosse dedicato al genocidio :o
E' Bandera, Stepan Bandera il criminale di guerra!


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lemond ha scritto: sabato 27 marzo 2021, 15:01


Ti concedo tutto il male che vuoi sul capitalismo, sui cinesi e sugli eroi nazionali, ma dubito che i sei milioni morti per fame in Ucraina siano gli stessi che hanno partecipato allo sterminio dei polacchi, mentre proprio colà, le fosse di Katyn (s.s.s.c.) erano piene di morti, che Stalin aveva addebitato ai nazisti. E quanto a impietosirsi o lo si fa con tutti o con nessuno, ma per me la cartina di tornasole è un'altra: Hitler sterminava i nemici, mentre Stalin e Mao lo facevano con gli amici. Pertanto, dopo le religioni, la cosa peggiore che sia capitata all'umanità per me sono comunismo reale e nazismo e, purtroppo, nell'rdine! E ripeto, sono a favore del comunismo in teoria e ho sempre tifato per la rivoluzione bolscevica (quella di Mao, no), ma ... :cincin:
Socialismo reale. Stalin è sempre stato fortemente contrario al passaggio al comunismo e mai e poi mai si è sognato di proporre l'abolizione dello Stato (cosa che invece fece il nostro amico Nikita e proprio per questo fu esautorato).


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Re: Storia

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jerrydrake ha scritto: martedì 30 marzo 2021, 18:42
Felice ha scritto: domenica 28 marzo 2021, 20:32
Quanto al discorso storico, che andrebbe però affrontato in altro thread, non ho gran voglia di addentrarmici anche perchè il rischio di scadere in luoghi comuni è grande. Eviterei però di impietosirmi per posti come l'Ucraina. Sai di Banderas? Sai che quello che oggi è considerato laggiù un eroe nazionale fu alleato dei nazisti e con la sua armata nazionalista ha sterminato 100000 polacchi in Galizia per "liberare il futuro stato ucraino da tutti i non-ucraini"?

https://en.wikipedia.org/wiki/Massacres ... rn_Galicia
Per un attimo ho temuto che Antonio Banderas tra un film e una pubblicità del Mulino Bianco si fosse dedicato al genocidio :o
E' Bandera, Stepan Bandera il criminale di guerra!
:D :D :D

Mi ricordavo approssimativamente la grafia del suo nome :oops: :oops: , in compenso mi ricordavo perfettamente le sue prodezze...


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jerrydrake ha scritto: martedì 30 marzo 2021, 18:47
lemond ha scritto: sabato 27 marzo 2021, 15:01


Ti concedo tutto il male che vuoi sul capitalismo, sui cinesi e sugli eroi nazionali, ma dubito che i sei milioni morti per fame in Ucraina siano gli stessi che hanno partecipato allo sterminio dei polacchi, mentre proprio colà, le fosse di Katyn (s.s.s.c.) erano piene di morti, che Stalin aveva addebitato ai nazisti. E quanto a impietosirsi o lo si fa con tutti o con nessuno, ma per me la cartina di tornasole è un'altra: Hitler sterminava i nemici, mentre Stalin e Mao lo facevano con gli amici. Pertanto, dopo le religioni, la cosa peggiore che sia capitata all'umanità per me sono comunismo reale e nazismo e, purtroppo, nell'rdine! E ripeto, sono a favore del comunismo in teoria e ho sempre tifato per la rivoluzione bolscevica (quella di Mao, no), ma ... :cincin:
Socialismo reale. Stalin è sempre stato fortemente contrario al passaggio al comunismo e mai e poi mai si è sognato di proporre l'abolizione dello Stato (cosa che invece fece il nostro amico Nikita e proprio per questo fu esautorato).
Devo stare più attento alle parole! :hammer:


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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LXV

Mussolini sta camminando avanti e indietro, e "Se Giolitti torna al potere, siamo fottuti!" gli sembra un mantra angosciante! E quindi dobbiamo accelerare, entro questo mese bisogna che i preparativi siano ultimati, perché il governo Facta non sparerà contro di noi (come Giolitti a Fiume) e perfino Luigi Einaudi sul Corriere ci manifesta simpatia. Quelli che dànno più pensiero sono i fascisti; come materiale umano per un'azione di grande respiro sono roba scadente, mentre il sovrano non mi preoccupa; ci sono leve intorno al trono che faremo funzionare. :) (L'allusione è alla regina madre e al duca d'Aosta). Ora o mai più gli ha scritto il grande economista Pareto da Ginevra. Però bisogna anche evitare di mettere tutto in gioco, una barbarie temperata ci vuole, ecco questo occorre per la conquista del potere e nel comizio del 24 settembre (a Cremona) tuona: "Lo scontro è fra l'Italia di politicanti imbelli e l'Italia sana, forte, vigorosa, che si prepara a dare il colpo di scopa definitivo a tutti gli insufficienti, a tutti i mestieranti, a tutta la schiuma infetta della società italiana... Insomma noi vogliamo che l'Italia diventi fascista!"

Nicolino Bombacci intanto è partito per Mosca, dove lo attende il IV congresso dell'Internazionale comunista e appoggia Trockij, che vorrebbe un fronte unico delle sinistre italiane e quindi contro il purismo dei bordighiani, preoccupati solo di evitare ogni contaminazione con i socialisti! In quei giorni in Russia il comunismo è al culmine del proprio trionfo, grazie all'Armata rossa di Lev Trockij, l'uomo a cui Bordiga non vuole dare ascolto.
Antonio Gramsci, che fa parte della delegazione insieme a Bombacci, è in pessime condizioni di salute e anche Lenin è malato, quando riceve i compagni italiani. Bordiga accenna alla questione dei rapporti con il Partito socialista, ma Lenin lo cassa! Non ha tempo per simili diatribe, vuole sapere che cosa pensino operai e contadini degli avvenimenti che stanno accadendo in Italia. Bordiga rimane interdetto, come uno studente colto di sorpresa da una domanda fuori programma.
In Italia, intanto, nelle stesse ore decine di migliaia di camice nere urlano "a Roma! A Roma!"


Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì :bll:

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.

"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono." :)
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lemond
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Re: Storia

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Il treno di Lenin

(prima parte)

(second parte)

e, come epilogo la postfazione di Ritanna Armeni nel libro "Sulle tracce di Inessa"



Ho incontrato Inessa Armand per caso. Volevo scrivere un saggio sugli «amori a sinistra», una storia sul modo di amare di chi ha pensato di voler cambiare il mondo, dai padri fondatori alla rivoluzione sessuale, fino ai giorni nostri. Avevo iniziato le mie letture e le mie ricerche. C’era molto da indagare: Marx, la moglie Jenny e la governante Helene Demuth, Togliatti, Nilde Iotti e Rita Montagnana, Antonio Gramsci e le sorelle Schucht…

L’ho trovata proprio all’inizio del mio lavoro a fianco di Lenin e non sono riuscita a lasciarla. La sua figura misteriosa – quasi un’apparizione – disegnata in modo poco preciso mi ha incuriosito. Ho cercato di saperne di più, ma non è stato facile. Quasi nessuno di quelli che conoscevano la storia della rivoluzione bolscevica e della nascita dello Stato Sovietico avevano sentito parlare di lei. Alcuni sapevano il suo nome, ma niente di più. Ho trovato solo notizie sparse, qualche articolo che la citava, una sua lettera negli articoli dei giornali dopo l’apertura degli archivi dell’Unione Sovietica nel 1992. Era una bolscevica, era stata ai vertici del partito, ed era forse – «forse» si ripeteva con prudenza – una delle due donne che Lenin aveva amato.

Ho esteso la ricerca in altri Paesi e ho scoperto che, se in Italia nessuno si era occupato di lei, in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Russia c’erano studi storici e biografie. Non molti, ma c’erano. Inessa aveva fatto parte del gruppo di donne bolsceviche che avevano avuto un ruolo nella costruzione dell’Urss; la sua figura politica era quindi citata di frequente anche se non analizzata in profondità; il suo rapporto con Lenin era raccontato con sfumature e toni diversi.

Ho deciso di procurarmi quei libri, di trovare le sue lettere, i suoi discorsi, i libri dove appariva anche solo in una breve citazione. Il lavoro per delineare in modo più chiaro i contorni della sagoma di Inessa non era facile, ma neppure impossibile, anche se non avevo fonti italiane e su di lei era stato scritto in tempi non recentissimi. Poi, proprio lo stesso giorno in cui ho abbandonato il progetto degli «amori a sinistra» e ho deciso di cambiare e di indagare sulla sua figura, la fortuna mi aiutato. Navigando su Internet, la prima scoperta. Su Ebay, un certo «Petruccio» vendeva usata la biografia di Inessa Armand di George Bardawil, ormai quasi introvabile. Ho chiamato immediatamente. Pensavo a una telefonata breve e formale, ma Petruccio aveva una voce simpatica ed era molto curioso. Non si è limitato a prendere accordi per l’invio del libro, ha voluto sapere perché ero interessata alla figura di Inessa. «Non lo so esattamente», gli ho risposto, «faccio la giornalista e forse scriverò qualcosa su di lei, quasi nessuno la conosce e mi sembra un personaggio interessante». Il mio interlocutore è sembrato positivamente sorpreso, quasi contento. «Anch’io volevo scrivere qualcosa molti anni fa quando gli archivi dell’Urss non erano ancora stati aperti, volevo capire chi fosse davvero Inessa, poi ci ho rinunciato. Era un lavoro troppo difficile. Sarei felice se ci riuscisse lei». Era davvero contento. «Non ho solo la biografia di Bardawil», mi ha detto, «ne ho delle altre: Elwood, Pearson, persino quella di Fréville, il segretario di Thorez, che mi hanno mandato in fotocopia dalla Francia. Sono un mio regalo».

La telefonata mi ha emozionato. Mi è sembrata un segnale, ha confortato quella spinta di curiosità del tutto irrazionale che avevo provato. Di segnali ne avevo avuti già altri in quei giorni. Avevo deciso di scrivere su Inessa, il 9 ottobre e di cominciare con il racconto del suo funerale quando avevo realizzato che si era svolto lo stesso giorno del 1920, proprio il 9 di ottobre. Subito dopo ero andata a fare una passeggiata per schiarirmi le idee: era giusto abbandonare il progetto di un libro sull’amore a sinistra per affrontare l’avventura di scrivere su una donna la cui vita era rimasta così sconosciuta? «A chi vuoi che gliene freghi di un amore di Lenin?» mi aveva detto mio marito Sergio, che non è esattamente un ottimista, ma qualche volta ci azzecca. Per strada avevo trovato due chiavi. Per me erano un altro segnale. Mi capita di frequente di trovarne e le raccolgo perché, secondo una mia privata e stupida superstizione, significa che posso risolvere il problema che in quel momento mi si pone. In quel caso le chiavi dicevano che dovevo scrivere su Inessa. Così, almeno, mi piaceva pensare. Poi l’incontro con Petruccio, la simpatia provata nei suoi confronti, la sua generosità erano stati un’altra indicazione.

Pur colpita da quel colloquio telefonico e da quelle coincidenze, non potevo lasciare tutto al Caso. Quando il mio interlocutore ha cominciato a elencarmi i modi in cui poteva inviarmi i suoi preziosi volumi, ho temuto il peggio: le poste, i corrieri, qualche sua mancanza, un cambiamento d’idea. «Dove abita?» gli ho chiesto. «A Piadena, fra Mantova e Cremona», mi ha risposto, e allora gli ho raccontato una bugia: qualche giorno dopo mi sarei recata a Verona per lavoro e potevo fare una piccola deviazione per passare da lui a prendere personalmente il prezioso materiale.

Ho trovato Petruccio in una piccola casa zeppa di libri alla periferia di Piadena. Un uomo coltissimo, informato, gentile, che aveva dedicato alla lettura e allo studio tutto il tempo che gli restava dopo il suo lavoro d’impiegato. Si faceva vanto di non avere la televisione, era stato comunista e di quella storia conosceva moltissimo. Ne parlava con ironia e con affetto come di un sogno al quale non credeva più, ma che lo soccorreva ancora per decifrare il presente, gli forniva quegli occhiali dell’ironia che tanto aiutano a non accettare supinamente quel che accade. Mi ha dato notizie utilissime: mi ha consigliato di andare alla Mediateca Rai dove avrei potuto vedere qualche minuto dei funerali di Inessa. E di informarmi sugli orari di un museo dedicato a lei a Puškino, una cittadina a pochi chilometri da Mosca dove Inessa aveva abitato molti anni. Ho capito mentre parlavamo che mi stava affidando la storia che non aveva scritto e che, con una sorta di rude malinconia, mi passava il testimone. L’ho preso. Gli ho detto che gli avrei fatto sapere se il lavoro fosse andato avanti.

Ero impaziente di tornare a casa, e di guardare subito le foto di Inessa. L’ho trovata intensa, di una bellezza non convenzionale. Ho anche letto che nella realtà era ancora più bella.

Ho cominciato a sfogliare i libri con una curiosità avida che non mi ha mai abbandonato man mano che la ricerca si è fatta più precisa, che le testimonianze, i libri, le fotocopie si accumulavano sul mio tavolo. Ai libri che mi aveva dato Petruccio se ne sono aggiunti man mano altri che mi arrivavano dalla Germania, dell’Uzbekistan, dalla biblioteca di qualche amico, che di colpo si era ricordato di lei. Partivo da un indizio, da una frase per scavare e confrontare. Volevo avere tutto quello che era stato scritto anche in lingue che non conoscevo. Pensavo che con il tempo avrei trovato un traduttore.

Da quel momento è cominciata un’avventura. La mia – ho scoperto alle tre di una notte in cui ancora sfogliavo volumi e prendevo appunti – non era solo la curiosità della giornalista. C’era il desiderio di dare conto di una grande avventura, di risarcire una donna che la storia non aveva trattato bene; c’era la presunzione – c’era anche la presunzione – di capire ciò che altri avevano messo da parte: i suoi sentimenti, il suo amore per Lenin e quello del capo della rivoluzione per lei. Ero sicura che l’avrei compresa più di quanto avessero fatto altri. O meglio, pensavo che la vita di Inessa mi avrebbe svelato ciò che lei stessa non aveva voluto o non aveva fatto in tempo a raccontare.

Scoprire la storia di Inessa e dell’amore fra lei e Vladimir Il’ič è stato un viaggio mosso dalla passione. Ogni lettura, ogni ricerca sono diventate una sorta di appuntamento e le biografie, gli articoli, la lettura dei libri che parlavano di lei assomigliavano a incontri con amici o conoscenti che mi potevano svelare qualcosa. Ho scoperto subito che se si vogliono avere notizie ufficiali se ne possono trovare moltissime, anche dopo la fine dell’Urss. Archivi, istituti storici, biblioteche soprattutto in Russia hanno conservato molto su di lei. C’è la raccolta degli scritti di Inessa, c’è un’opera collettiva pubblicata nel 1926 in sua memoria, ci sono tanti filmati ufficiali, le lettere di Lenin e le memorie di Nadja Krupskaja. E poi le biografie quelle ufficiali e quelle indipendenti. E gli storici, anche chi ha scritto la storia con la maiuscola, non ha potuto fare a meno di citarla, sia pure en passant, quando hanno parlato della vita di Vladimir Il’ič. O quando hanno affrontato il tema delle riforme che riguardavano le donne e la famiglia nei primi anni dopo la rivoluzione. Anche fra quelle righe così avare di approfondimenti e di particolari, si poteva scorgere il profilo di una vita.

La storia ufficiale, dettata dalla nomenclatura Sovietica, descrive Inessa come una rivoluzionaria di professione, colta e disciplinata, la cui vita era stata dedicata al partito, pronta a tutto per l’edificazione dello stato Sovietico. La sua intimità con Lenin derivava proprio dalla sua straordinaria abnegazione. Tanto eccezionale che il diffidente Lenin aveva avuto assoluta fiducia in lei prima e dopo la rivoluzione e aveva fatto sì che diventasse presidente dello Zhenodtel, cioè della sezione femminile del Comitato centrale del partito bolscevico. In poche parole, per una fase sia pur breve, la donna più potente di Russia. Era stata sicuramente fra i pochi che avevano libertà di frequentare il capo della rivoluzione e aveva avuto l’onore di essere sepolta – unica straniera insieme a John Reed – nel «cimitero rosso», davanti alle mura del Cremlino, con i grandi uomini della rivoluzione.

Ma nel ritratto ufficiale, stereotipato, sicuramente incompleto, forse non del tutto veritiero, la figura di Inessa risultava opaca. Anche la lettura delle biografie che con il regime non avevano nulla a che fare, che anzi a esso erano avverse, la chiariva solo in parte. Erano scritte tutte da uomini, che, per quanto attenti, professionali, ricercatori e professori d’indubbio rigore, mi pareva si fossero lasciati sfuggire qualcosa. Quel che si diceva sul suo conto pareva documentato e la sua figura era apprezzata, ma qualcosa strideva o non quadrava. Inessa sfuggiva, non si riusciva ad afferrarla nella sua completezza.

Soprattutto era difficile capire il suo rapporto con Lenin. E quindi – questione non da poco – i suoi sentimenti, il modo in cui aveva vissuto un’amicizia, un amore o entrambi. Era stata solo una devota compagna, amica di famiglia e dirigente del partito? Una figura importante per il capo della rivoluzione ma solo come confidente, una donna di fiducia come la storiografia di regime affermava? Oppure era stata anche qualcos’altro? La sua «amante», come, con un cedimento maschilista e conservatore, era definita da alcuni testimoni e storici? Era lei la donna per cui il capo della rivoluzione russa aveva nutrito una passione segreta? C’era stato davvero fra i due, come molti sospettavano, un amore durato undici anni fino alla morte di Inessa nel Caucaso? E che amore era stato il loro? Come lo avevano vissuto?

Per molto tempo, per molti anni, ho scoperto nelle mie letture, non era stato possibile dare una risposta certa neppure sulla effettiva esistenza di un amore. Fino al 1992, sulla relazione fra i due c’erano solo illazioni, mezze frasi, allusioni. Oggi avremmo detto gossip.

C’era una frase allusiva al loro rapporto che Aleksandra Kollontaj aveva detto a Marcel Body, comunista francese diplomatico come lei in Norvegia, dopo aver notato la disperazione di Lenin ai funerali di Inessa. Body aveva riportato quella frase nella sua biografia della Kollontaj.

C’erano le parole di Angelica Balabanoff, anch’essa stupita della reazione di Vladimir Il’ič alla morte di Inessa. Angelica ne aveva parlato con Bertram Wolfe, intellettuale comunista americano e gli aveva detto senza girarci attorno: «Lenin amava Inessa. E in questo non vi era nulla d’immorale giacché aveva raccontato tutto alla Krupskaja».

C’era un’osservazione di Charles Rappaport, comunista russo francese, fondatore dei circoli operai israeliti, che aveva notato l’interesse del capo della rivoluzione per Inessa fin dal primo momento in cui l’aveva conosciuta in un café di Parigi. «Con i suoi occhi da mongolo lui non smetteva di fissare quella piccola francese», aveva acutamente osservato.

C’erano gli articoli di Bertram Wolfe sulla Slavic Rewue nei quali si raccontava della loro possibile relazione e come i due fossero vissuti probabilmente per qualche settimana da soli a Parigi nel 1914. Quegli stessi articoli in cui Wolfe parlava di Inessa e della probabile relazione amorosa con Lenin, citati dal Time, cioè da un giornale ad ampia diffusione, aveva provocato nel 1964 la chiusura dell’ufficio di corrispondenza a Mosca e l’espulsione del corrispondente.

C’era la notizia che il duro e distaccato leader rivoluzionario, fatto davvero inconsueto, le si rivolgesse con il “tu” invece che con il “lei”. Si potevano contare davvero sulle dita della mano le persone con cui Lenin aveva questa familiarità: sua madre, le sue sorelle, sua moglie. E poi aveva usato il «tu» in una lettera a Martov prima della rottura politica e nelle lettere a Kržižanovskij, un compagno di esilio in Siberia con cui aveva diviso la stessa cella.

C’era stato il suggerimento che Louis Aragon, segretario del partito comunista francese, aveva dato a Georges Bardawil, poi biografo di Inessa, di indagare su quella donna perché per Lenin non era stata solo una compagna. E Aragon aveva, senza dubbio, informazioni verificate.

C’era la voce di Solženicyn che, in contrapposizione con il ritratto ufficiale, che l’ha sempre mostrato duro e non influenzabile dai sentimenti, dipingeva un Lenin innamorato di Inessa fino alla dipendenza. Solo fantasie di un grande scrittore?

C’erano le voci degli avversari politici del leader che, all’immagine del rivoluzionario puro e assoluto, contrapponevano quella di un soggetto debole e contradditorio, vittima dei suoi desideri e dei suoi amori, delle sue donne, fra cui, appunto, Inessa. C’era qualcosa di vero in quella sia pur esplicita e, qualche volta, volgare volontà di denigrazione?

C’erano i rapporti dell’Ochrana, la polizia segreta della Russia zarista, che definiva – senza mezzi termini – Inessa come «l’amante di Lenin».

C’era il fatto, davvero importante, che durante i periodi di separazione Lenin aveva scritto a Inessa molte, moltissime lettere, più che a chiunque altro. Lettere politiche, a dire il vero, ma anche personali, che riguardavano loro due, la loro salute, i loro rapporti. Lettere sottoposte a censura, tagliate visibilmente. In cui tuttavia traspariva qualcosa che andava oltre la politica: tenerezza, familiarità, preoccupazione. E anche rabbia, malinconia, insicurezza, ansia. Comunque emozione e intimità.

Tutto questo forniva indizi, ma non prove. Diceva che c’era qualcosa di sconosciuto nella storia della compagna Armand e del suo rapporto con Vladimir Il’ič. Certo si poteva anche supporre che fra loro ci fosse solo una solida amicizia, una profonda solidarietà, una familiarità nata negli anni dell’esilio e cresciuta nel lavoro comune. Si poteva pensare che le voci di una loro particolare vicinanza nascessero dal fatto che a Parigi e in Svizzera fossero vicini di casa, che passassero le vacanze insieme e che Inessa si fosse resa necessaria per il lavoro del partito. Lenin, negli anni difficili prima della rivoluzione, aveva fatto affidamento su quella donna colta e intelligente che parlava fluentemente quattro lingue. Nadja Krupskaja, moglie devota, non bastava per la gran mole di lavoro da svolgere. Compagni come Kamenev o Zinov’ev, non erano in grado o non volevano fare quello che Inessa, che era una Girlfriday, come la definisce il suo biografo R.C. Elwood, aveva fatto. Un’amicizia fuori dagli schemi poteva essere scambiata per un rapporto sentimentale.

Il mistero è rimasto tale per molti anni. E nel mistero si sono contrapposti per molti anni due «partiti» con due opinioni molto diverse. Il primo che potremmo definire «romantico» era sicuro che fra i due ci fosse stato un rapporto d’amore lungo e coinvolgente e tendeva a ridimensionare il ruolo dirigente, il valore storico e politico della figura di Inessa. Il secondo, all’opposto, valorizzava la femminista e la rivoluzionaria, ma negava la possibilità di un rapporto amoroso ritenendolo puro gossip.

Già questa divisione m’insospettiva. Non riuscivo a capire perché entrambe le parti non prendessero in considerazione la tesi che Inessa fosse una femminista, rivoluzionaria, innamorata di Lenin e che Vladimir Il’ič fosse tutto quello che gli storici favorevoli o contrari hanno detto – duro, determinato, capace di fare la rivoluzione e anche di annientare in suo nome gli oppositori – e, tuttavia, potesse amarla. Mi chiedevo perché non riflettessero sul fatto – a dire il vero banale – che una relazione durata undici anni potesse conoscere varie fasi, alti e bassi. Che potesse interrompersi e riprendere. E che in un lungo rapporto i sentimenti e le persone potessero cambiare. Non capivo perché si preferisse semplificare invece che osservare la complessità della loro vita e del loro amore.

La situazione è cambiata con l’apertura degli archivi dopo la caduta dell’Urss. L’amore fra i due, fino allora negato o nascosto o ammesso, ma solo come voce, è emerso finalmente in una lunga lettera scritta da Inessa a Parigi e ritrovata in fondo a una scatola perché mai spedita. Un documento fondamentale che ha tolto ogni dubbio e ha consentito di partire da un dato di certezza. Fra Inessa e Lenin c’era stata una storia d’amore.

Da questo dato si poteva partire per rispondere a molte domande. In che modo avevano vissuto questo sentimento prima nell’esilio e poi nella Russia dei primi anni della rivoluzione? Come si era intrecciato con il loro impegno per la causa? Quali conseguenze aveva avuto sulla vita di entrambi e su quella di Nadja Krupskaja? Era riuscito Lenin, il rivoluzionario, a fare posto nella sua vita per Inessa? E la compagna Armand come aveva vissuto quell’amore segreto e impossibile? A queste domande, nonostante la scoperta della lettera, nessuno negli anni seguenti alla fine dell’Urss aveva provato a dare una risposta. Certo era difficile, occorreva interpretare dei segnali, captare delle sfumature, rileggere la storia, anche quella ufficiale, con altri occhi. Ma si poteva tentare.

Dopo molti giorni passati a leggere ho avuto bisogno di un contatto più concreto di quello che potevano darmi i libri. Volevo visitare i luoghi in cui Inessa aveva vissuto, in cui lei e Lenin si erano incontrati. Non pensavo di scoprire fatti ed episodi ancora sconosciuti, ma volevo vedere ciò che loro avevano visto, anche se erano passati cento anni, capire da segnali, che magari ad altri erano sembrati insignificanti, qualcosa di più della loro storia. Davvero, come si raccontava, a Parigi le loro case erano tanto vicine da favorire un rapporto quotidiano e intimo? E poi a Mosca, nella Mosca di Putin e degli oligarchi, c’era un ricordo anche piccolo di Inessa? E com’era quella Cracovia dov’era esploso l’amore e dove c’era stata la prima dolorosa rottura?

Sono andata a Parigi e ho contatto i passi che separano il numero di rue Marie Rose dove abitava Inessa dal 4 dove aveva il suo appartamento Lenin, ho visto che a Porte d’Orléans, dove c’era probabilmente il Café des Manilleurs, c’è ancora un café, grande e rumoroso come doveva essere quello in cui si sono incontrati per la prima volta. Ho capito, ripercorrendo le passeggiate di Lenin e Inessa a Cracovia, perché amassero tanto quella città nella quale si sente l’odore della Russia. Infine sono andata a Mosca e a San Pietroburgo. Volevo constatare di persona se qualcosa di quella storia d’amore era rimasto nella memoria di qualcuno. Se ancora c’era chi accostava il nome di Lenin a quello di Inessa.

La Mosca del capitalismo trionfante è diversa da quella che avevo conosciuto alla fine degli anni Ottanta, quando era la capitale dell’Urss, ma possiede ancora una bellezza speciale forse perché resta casuale e confusa, “scombiccherata”. In questa città dove la grandiosità del passato va a braccetto con l’ostentazione dirompente di un presente che comunque si vuole «grande», l’immagine di Lenin è dovunque. Nelle piazze, nella metropolitana, nei giardini, nelle stazioni ferroviarie il capo della rivoluzione è sempre lì con il dito alzato e lo sguardo severo. Insieme a lui i contadini, gli operai, le donne, i marinai, tutta l’iconografia dell’ottobre, della rivoluzione, della grande Unione Sovietica. Trovo una lapide in via Mochovaja che segnala dove Inessa ha abitato dopo la rivoluzione. Mi basta per capire. Di fronte dall’altra parte della strada c’è il Cremlino. Non doveva davvero percorrere molta strada per raggiungere l’abitazione e lo studio di Lenin.

Vado anche a Puškino dove ha vissuto per tanti anni, prima con la zia e la nonna e poi come moglie di Alexander Armand. Petruccio mi aveva detto che avrei trovato qualcosa su di lei: un museo, la sua casa, non avevo capito bene. Ho comunque un indirizzo.

Per andare a Puskino si prende un treno alla stazione Jaroslavskij, uno dei nove terminal ferroviari della capitale russa, lo stessa da cui parte il treno della Transiberiana. Si arriva dopo circa un’ora. Inessa l’ha fatto tante volte quel percorso e la campagna non deve essere cambiata molto. Nella piazza della stazione un transit mi conduce all’indirizzo che Petruccio ha scritto su un foglietto: Prospekt Inessa Armand 13, una traversa dell’omonima via, una delle strade principali del paese. Almeno nella toponomastica è presente. A quell’indirizzo dove avrei dovuto trovare una casa-museo, non c’è nulla. Ci abita, invece, Ruslan Hairullin, un professore universitario che sa chi è Inessa Armand ma che mi dà una delusione. L’appartamento non ha nulla a che fare con lei. Ci sono tuttavia molte cose in quel paese vicino a Mosca che ricordano Inessa e che posso rivedere grazie a Ruslan Hairullin e a sua moglie che si rivelano ospiti gentili, colti e disponibili come sanno esserlo i russi: le strade a lei intitolate, le case che erano state abitate dagli operai e dagli impiegati degli Armand, le vecchie aziende tessili, ormai abbandonate che si raggiungono attraversando boschi e sterpaglia, e soprattutto, le splendide cupole blu di San Nikolaj, la chiesa in cui Inessa ha sposato Aleksandr Armand, che ancora oggi dominano il paese. Se voglio – aggiunge Ruslan Hairullin – può accompagnarmi nel piccolo museo del paese dove si conservano i ricordi della famiglia Armand e dove sicuramente troverò qualcosa sulla donna di cui voglio scrivere. Ancora due chilometri a piedi, sotto il sole e ci siamo. Il museo è una piccola casa di legno composta di tre stanze che mi sembrano piene di cimeli e cianfrusaglie. Il direttore m’indirizza verso una teca di vetro che contiene alcuni oggetti di Inessa: gli occhiali, il calamaio, una tazza, una sua sedia. È lusingato dalla presenza di una giornalista straniera, ma, è evidente, ignora o fa finta di ignorare il suo legame particolare con Lenin, non è interessato alla vita di Inessa, quanto piuttosto alla grandezza della famiglia Armand che per decenni ha dato lavoro e lustro a Puškino. Mi racconta in russo, con la traduzione del gentile professore, gli incroci familiari, i matrimoni dei vari Armand, mi mostra le foto di gruppo, quelle con i dipendenti della grande azienda tessile, quelle di famiglia.

Nel museo, che è di tre stanze, ci lavorano in quattro (retaggio della piena occupazione dell’era socialista?), fra cui una ragazza bruna con gli occhi verdi che ascolta silenziosa e che, di fronte alla delusione per le mancate risposte alle mie domande, mi lancia – così almeno mi pare –
sguardi complici e comprensivi. A un certo punto si avvicina e mi bisbiglia: «Venga con me». Saliamo su una traballante e cigolante scala di legno che porta in un’altra stanza, la quarta del museo cittadino. Anche lì mi pare che ci siano solo oggetti di poco valore, ma c’è qualcosa che la ragazza vuole mostrarmi e che ha curato personalmente. In un angolo c’è un busto di marmo bianco di Inessa e accanto una piccola statua di Lenin; dietro di loro una bandiera rossa cosparsa di distintivi. Lei – mi dice – ha curato personalmente quell’angolo, che appare come un piccolo altare. Ha voluto metterli insieme – Vladimir Il’ič e Inessa – perché il loro rapporto d’amore fosse almeno segnalato. A dire il vero l’insieme è ingenuo e buffo, ma lo sguardo della mia accompagnatrice è così partecipe, l’intenzione così evidentemente romantica, che mostro comprensione ed entusiasmo. Incoraggiata mi sussurra con gli occhi commossi, approfittando del fatto che siamo sole: «Si amavano, si sono amati fino alla fine e hanno avuto due figli». Non voglio deluderla, ma ho letto abbastanza sulla vita di Inessa per sapere che questa è una diceria. C’era stata, è vero, la voce di un figlio, ma due addirittura! «Forse in Russia si sarebbe saputo», le rispondo mostrandomi per gentilezza più incerta di quello che effettivamente sono. Mi dice sicura: «Li hanno avuti in Francia». Non parlo più, lei guarda le due statue con occhi inteneriti ed è evidentemente soddisfatta: finalmente ha potuto mostrare e spiegare a qualcuno la sua piccola iniziativa. Anch’io sono contenta: ho trovato una piccola traccia di quel che cercavo. La giovane donna che me ne ha parlato ha vissuto gran parte della sua vita dopo la fine dell’Unione Sovietica. Quel piccolo angolo nella soffitta di un museo di paese significa che decenni dopo la rivoluzione qualcosa di quell’amore è sopravvissuto. Lo stalinismo, il regime l’hanno tenuto nascosto, ma non l’hanno cancellato.

Per avere un’ulteriore conferma, sia pure di segno opposto, devo andare in un altro luogo, ancora una volta a qualche decina di chilometri dal centro di Mosca. Ho già detto che la capitale russa colpisce per la quantità di statue e ritratti di Lenin. I russi – è evidente – della loro storia non rinnegano niente e la memoria della rivoluzione del 1917 convive con il lusso dei negozi, la frenesia dello shopping, l’ammirazione per la ricchezza. A San Pietroburgo il grande spazio antistante il palazzo Smol’nyj, l’edificio scelto da Lenin nel 1917 come quartier generale dei bolscevichi durante rivoluzione d’ottobre, si chiama ancora Piazza della dittatura del proletariato. Nessuno ha pensato di cambiargli nome.

Nonostante tutto, i russi sono orgogliosi della rivoluzione e tuttavia non vogliono che intralci il presente e che sia in qualche modo d’ingombro. Lo erano evidentemente lo studio e gli appartamenti privati di Lenin al Cremlino che avevo già visitato una volta nel 1986, in piena era gorbacioviana. Infatti non sono più nel palazzo rosso e sono stati trasportati altrove. In quello studio, di cui ricordavo la lampada verde, i libri, il ritratto di Marx, Inessa e Lenin si erano incontrati molte volte, per questo volevo rivederlo. Ho verificato su Internet e – benedette tecnologie – ho appreso che dal palazzo del Senato all’interno del Cremlino, sede del governo russo, erano stati portati in un paese poco lontano da Mosca chiamato Gor’kij Leninskie.

Allora prendo la metropolitana e scendo a Domodedovo. Anche qui un transit mi porta a un incrocio con un cartello che indica Gor’kij Leninskie. Attraverso a piedi un quartiere popolare, palazzoni colorati, parchi per i bambini e mi inoltro nella campagna russa perché – mi hanno assicurato – quel che cerco è vicino, basta seguire i piccoli cartelli di legno. Ho modo di ammirare le betulle, le dacie, perfino i cavalli, ma non posso fare a meno di chiedermi perché quel pezzo di storia che è l’appartamento di Lenin sia stato confinato in un luogo così lontano da Mosca. La camminata è lunga, tiro un sospiro di sollievo quando vedo di fronte a me all’improvviso un’enorme costruzione, moderna, razionalista, monumentale di marmo e vetro un po’ cupa e tuttavia rassicurante dopo tanto verde. Entro, sicura di essere arrivata alla meta, mentre i campi sono invasi dal suono di una sinfonia che viene da quell’edificio e che rende quel luogo ancora più severo e solenne. È davvero suggestivo, penso. Dietro le vetrate non c’è nessuno. Dopo un po’ arriva una ragazza in minigonna e pistola nella fondina, che mi chiede con cortesia che cosa voglio. Rispondo che vorrei vedere l’appartamento di Lenin. «Ha sbagliato», mi dice, «deve proseguire, ancora qualche minuto sempre diritto e lo troverà». L’edificio nel quale mi trovo è il centro nel quale si raccolgono gli audiovisivi, i filmati della rivoluzione, ma per quello che cerco devo andare più lontano. Riprendo la camminata ed ecco finalmente una grande villa. Mi pare di riconoscerla, quelle colonne, quei portici li ho già visti da qualche parte. Me ne ricordo all’improvviso: nei tanti documentari sulla morte di Lenin, di recente nel film Taunus che racconta le ultime settimane del capo dei bolscevichi. È la villa di Gor’kij, dove Lenin ha vissuto per qualche anno dopo essere stato colpito da un ictus e dove è morto. Ecco, qui hanno probabilmente trasportato e ricostruito il suo appartamento. Ci sono due donne in una stanza a pianterreno intente a cucire una tenda a fiori che mi salutano senza alzare la testa dal loro lavoro. «È qui che devo fare il biglietto di ingresso?» chiedo, sicura di essere arrivata. Ma le due non hanno intenzione di interrompersi. Mi dicono che devo andare oltre. Oltre quanto? Qualche minuto, mi rassicurano. Se voglio – mi dicono sempre continuando a fare l’orlo alla tenda – il biglietto lo rilasciano loro, ma posso farlo direttamente nella dacia in cui mi sto recando. Visto che devo andarci… Tolgo il disturbo, riprendo il cammino e, finalmente, vedo un cancello, un giardino e una grande statua del capo dei bolscevichi. Ci sono, ho camminato in aperta campagna per più di un’ora ma sono arrivata.

L’appartamento di Lenin è ricostruito con cura, ordine e meticolosità. Una signora che deve guidarci e che parla inglese arriva in tutta fretta non appena il custode le comunica per telefono che ci sono dei turisti che vogliono visitarlo. Di mezza età, ha i capelli corti, biondi, decolorati, un atteggiamento – mi pare – decisamente sovietico. Racconta e descrive con orgoglio, controlla le nostre reazioni, cerca di capire perché siamo arrivati fin là – devono essere davvero pochi i turisti curiosi di conoscere la quotidianità della vita di Lenin – ma è molto professionale. Quando apprende che siamo italiani ci fa vedere che, fra i suoi libri, Lenin aveva anche la Divina Commedia, e poi ci mostra il suo studio, la sala dove si riunivano i commissari del popolo, un salottino, la cucina, disadorna con le pentole rappezzate e le tazze sbeccate, le tre stanze da letto, quella della sorella Marija, quella della moglie Nadja e la sua. Ci fa notare che quella del capo della rivoluzione è la più piccola. Ci mostra, nel salottino antistante le stanze da letto, un grande pianoforte a coda. Penso all’amore di Lenin per la musica e a Inessa che suonava per lui la Patetica, ma qualcosa nell’atteggiamento di quella pur gentile signora mi dice che non posso affrontare l’argomento Inessa in modo diretto e quindi la prendo da lontano. «Lenin suonava il pianoforte?» le chiedo. «Ma no! Lenin non sapeva suonare», mi risponde con l’aria di chi pensa che l’interlocutrice deve essere un po’ scema se pensa che il capo della rivoluzione avesse tempo da sprecare con la musica. Mio marito Sergio, che mi ha accompagnato pazientemente in quel viaggio e nella ricerca della casa di Lenin nella campagna russa, non capisce la mia prudenza e con assoluta tranquillità domanda: «Forse lo suonava Inessa Armand?» L’ho fulminato con lo sguardo, ma era ormai troppo tardi. La signora è arrossita per la rabbia e ci ha guardato con disprezzo. «Sono tutte stupidaggini», ha sibilato. Non ha aggiunto: «Di voi corrotti occidentali», ma ho avuto la netta sensazione che l’abbia pensato. Poi mi ha preso per il braccio e mi ha detto: venga con me. Mi ha riportato nella stanza di Nadja Krupskaja che avevamo già visto, e questa volta ha aperto l’armadio. I vestiti della moglie di Lenin erano sulle grucce, lei ne ha tirato fuori uno e mi ha mostrato la manica. Era rattoppata non una ma più volte. «Ecco», mi ha detto, «questo è il vestito, della prima donna di Russia». Poche parole aspre, e ancora una volta molte altre, più aspre, sottintese: «Non ci sono amanti, non ci sono scandali. Voi occidentali vi interessate di stupidi pettegolezzi. Io vi mostro con questo vestito chi era la donna, l’unica donna amata da Lenin. Vi mostro la realtà di un amore socialista e proletario, altro che Inessa». Era veramente arrabbiata. Quando l’ho ringraziata con calore per averci guidato nella visita mi ha risposto con un sorriso formale. Ho capito allora che, in coloro che – e ce ne sono nella Russia di Putin – si sentono ancora legati all’Urss, Inessa va cancellata, parlarne ancora oggi significa infangare la reputazione del capo della rivoluzione. C’è ancora chi pensa che mantenere il silenzio sia un dovere nei confronti dello Stato sovietico.

In quella dacia a trenta chilometri da Mosca che ospita quel che è rimasto della vita quotidiana di Lenin mi sono stati confermati i motivi del silenzio che per anni ha avvolto la figura di Inessa. Vladimir Il’ič, il padre della patria Sovietica, anche dopo la sua morte, che avvenne quattro anni dopo quella di Inessa, doveva rimanere su un piedistallo. La storiografia Sovietica e stalinista non poteva ammettere e tanto meno rivelare che avesse avuto un amore fuori dal matrimonio e non fosse il fedele marito di Nadja Krupskaja. Non poteva permettere che l’immagine di chi aveva come unico pensiero le sorti del proletariato fosse macchiata da una storia d’amore. Parlare del rapporto fra Inessa e Vladimir Il’ič avrebbe significato rivelare molti fatti e molte circostanze che non era opportuno portare alla luce: che Lenin, anche Lenin, era stato trascinato dai sentimenti e aveva sentito la mancanza della donna che amava, che aveva sofferto per qualcos’altro, non solo per la difficoltà di mettere in pratica il socialismo, e che in qualche momento senza di lei si era sentito perduto.

Inoltre la Russia stalinista non poteva accettare che il capo della rivoluzione proletaria fosse stato legato a una donna dell’alta borghesia, con un’autonomia culturale, e la cui famiglia di industriali progressisti era stata una delle fonti di finanziamento dei bolscevichi. Quando lo aveva incontrato per la prima volta a Parigi, Inessa aveva trentacinque anni e una personalità formata. Aveva avuto quattro figli, si era separata dal marito (con il quale peraltro aveva mantenuto ottimi rapporti) per unirsi a suo cognato dal quale aveva avuto un altro figlio. Era una militante bolscevica, una rivoluzionaria convinta e audace che era stata disponibile a tutto per la causa. Anche lei, come Lenin, voleva la rivoluzione del proletariato e un nuovo avvenire per il suo paese. Anche lei aveva partecipato alla grande illusione della costruzione del paese dei Soviet. Era morta prima di vivere a pieno la delusione, ma la sospettò e capì prima di altri quello che non funzionava. Era socialmente, culturalmente ed economicamente autonoma, poteva anche aiutare le casse del partito, aveva mostrato una certa indipendenza di giudizio e, quando era stato necessario, un’aperta opposizione alle idee del leader supremo. Inessa era favorevole al libero amore, contraria alla pace di Brest-Litovsk, aveva simpatizzato per il gruppo di Baugy, critico con Lenin. Aveva, insomma, una sua biografia di militante politica e femminista che si distingueva a volte polemicamente da quella del suo leader.

Se questi sono i motivi dell’oscuramento della figura di Inessa nella storiografia Sovietica, meno chiari sono i motivi della difficile comprensione della figura di Inessa da parte di quella occidentale. Certo era in grande misura dipendente da fonti sovietiche e ne era, suo malgrado, influenzata. Ma probabilmente c’è anche un’altra ragione. Inessa non è facile da inquadrare negli stereotipi femminili di cui anche la migliore cultura occidentale abbonda. È difficile per uno storico o un accademico, inevitabilmente soggetto a schemi maschili, farne il ritratto e orientarsi nella storia e nella psicologia di una donna che riuniva in sé e nella sua vita tante passioni e tante inclinazioni. Inessa era una rivoluzionaria convinta che conosceva il carcere e il confino, ma era anche madre affettuosissima e presente di cinque figli. Era devota a Lenin, ma teneva alla sua libertà. Era una «bolscevica», ma consapevole dei limiti del suo partito sulla «questione femminile». Aveva vissuto l’inizio del tragico degrado dei progetti rivoluzionari, ma era rimasta legata a essi. Era ricca, ma non aveva temuto la povertà ed era morta povera. Era stata una buona moglie, ma aveva praticato e teorizzato il libero amore. Il suo legame con Vladimir Il’ič, forte sino alla fine, non le aveva impedito di essere amica di Nadja Krupskaja. Aveva relazioni in tutto il mondo, ma quando poteva si rifugiava nella solitudine. Era un’idealista e aveva abbracciato l’utopia del mondo nuovo, ma anche una dirigente realista e mediatrice. Il suo modo di essere, complesso, a volte contradditorio, soggetto a tutte le umane debolezze, agli entusiasmi e alla depressione, all’abnegazione e alla ribellione, la sua capacità di amare la politica, i figli, l’amore e l’amicizia e di vivere tutto con passione, ne facevano una figura eccentrica, non catalogabile. Nella vita di Inessa tutti gli schemi cadono e gli stereotipi si sgretolano. Per questo mi è piaciuto raccontarla.


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Re: Storia

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Antonio Scurati "Il figlio del secolo" (Romanzo) LXVI

Napoli, 24 ottobre al Teatro San Carlo di Napoli ci sono 7000 persone assiepate in un luogo che ne potrebbe contenere 1000, quando Mussolini entra e la fanfara intona "Giovinezza".
Il discordo è misurato, l'ideale repubblicano è accantonato e le regole del gioco rimangono quelle del re; l'esercito è addirittura venerato, però il fascismo non può andare al potere per la porta di servizio, non si accontetrà di qualche ministero. Benedetto Croce si spella le mani! :(
Il filosofo napoletano è forse la più alta autorità intellettuale della nazione, è senatore da 12 anni ed è stato ministro della pubblica istruzione nell'ultimo governo Giolitti, disprezza Mussolini il rozzo autodidatta e accattone di idee; eppure applaude! :x
Accanto a Croce, il meridionalista Giustino Fortunato rabbrividisce: "C'è troppa violenza in questa gente". Ma Croce lo rassicura, citando Marx: "La violenza è la levatrice della storia".
Nel pomeriggio in piazza San Ferdinando sono stati fatti arrivare non meno di 20.000 fascisti, che hanno viaggiato su treni speciali messi a disposizione dalle Ferrovie dello Stato, proprio di quello Stato che loro dichiarono volersi impadronire! :grr:
Il duce declama: "Camicie nere di Napoli e di tutta Italia, oggi abbiamo conquistato l'anima vibrante di Napoli, l'anima ardente di tutto il mezzogiorno d'Italia e io vi dico, con tutta la solennità che il momento impone: o ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma!"
E dalla piazza salgono grida di "Viva l'esercito e viva il re!" De Vecchi, monachico fervente, lo spinge ad unirsi a loro, ma il duce risponde che: "Basta e avanza che gridino loro!"
Nella notte Mussolini comunica il piano e l'unico a obiettare, come sempre, è De Vecchi. Piagnucola che il piano militare non è a punto, l'armamento insufficiente, però si dice fiducioso che non si verificherà nessun urto con le forze armate e se si mette il sovrano di fronte a una crisi parlamentare, penserà lui a tutto il resto.
Mussolini e Bianchi pensano all'unisono che un vigliacco si trova sempre, però si concede comunque a De Vecchi di trattare tutto ciò che vuole.
P.S. Il piano è infantile, lo capirebbe anche un analfabeta militare, ma ...


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Gimbatbu
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Re: Storia

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:clap: :clap: :clap: Bellissima la postfazione di Ritanna Armeni mentre i filmati li guarderò con calma. Su Scurati, sto seguendo con estremo interesse tutte le puntate :worthy:


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Re: Storia

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Gimbatbu ha scritto: giovedì 1 aprile 2021, 11:37 :clap: :clap: :clap: Bellissima la postfazione di Ritanna Armeni mentre i filmati li guarderò con calma. Su Scurati, sto seguendo con estremo interesse tutte le puntate.
Grazie, perché così capisco che il mio divertimento può anche essere utile e, a proposito di filmati, sto vedendo "il processo di Verona" con la Mangano che mi sta facendo scoprire una Edda Mussolini Ciano, che non conoscevo per niente. Non so se quella pellicola ha valore cinefilo (magari ce lo potrà dire il nostro amico fiorentino col nome che non riesco a rammentere Chtul o similia), però ... :)


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Re: Storia

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lemond ha scritto: giovedì 11 febbraio 2021, 8:46
(nota mia e poi c'è qualcuno che ancora non crede che, come dice Gaber: "Non c’è popolo più stupido degli americani". :crazy: )

Leggo solo ora:

Ti posso dire che viaggiando per il mondo una delle cose che ho imparato e che non si leggono sui libri è che ritenersi più furbi e più intelligenti dei ricchi o dei padroni è la ( magra ) consolazione dei servi e dei poveracci.


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