Filosofia

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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXVI

Làthe bìosas (vivi nascosto) insegna Epicuro; dominare le passioni, superarle al fine di ricongiungersi con il sé autentico e profondo, onde raggiungere la conoscenza, al di là della barriera delle apparenze.
Questo insegnamento del grande filosofo, ha portato alcuni cristiani a decidere per la solitudine (mònos) e per l'isolamento (éremos). Nel deserto della Tebaide si sperimentarono le prime forme di anachorèsis. Le forme di isolamento sono molteplici, ma esso non garantisce il risultato e chi ritorna dal deserto come si fa a sapere se ha trovato quello che cercava? Banalmente, chi può dire che chi asserisce di aver incontrato l'esperienza di Dio, non abbia avuto soltanto allucinazioni? Questo genere di motivi sono la base del passaggio dall'eremitismo al cenobitismo (comunità religiose).
Il segno distintivo del monachesimo nel pieno medioevo si manifesta, per fare un esempio banale, ma significativo, con la figura dei monaci circatores, che sono incaricati di percorrere i dormitori per svegliare i confratelli che, cedendo al sonno, non si presentino alle celebrazioni liturgiche notturne.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXVII

La scrittura è il fondamento della vita monastica e segna il passaggio da una dimensione, per così dire, "dionisiaca" a una "apollinea", vale a dire ordinata. La scrittura fornisce al monaco le linee della propria esperienza, i modelli cui ispirarsi e soprattutto il monaco deve leggere per essere colto e così poter comprendere la parola di Dio. In Occidente la parola di Dio è quella trasmessa dai padri della Chiesa: un latino di grande efficacia retorica.
Queste linee saranno valorizzate al massimo, dai benedettini.
La regola di San Benedetto da Norcia tratta in particolare dei "dodici gradini dell'umiltà", perché il monaco in primis deve obbedire e ciò che si compie senza il consenso del padre spirituale (che è il tenutario delle scritture) sarà solo presunzione e vanagloria! E non salvano nemmeno le buone intenzioni.
Il monaco delega la salvezza intieramente all'abate, il che aiuta a comprendere come fino a tutto il XII secolo vi sarà un accanimento contro i pensatori che fanno della logica il centro della loro speculazione: la filosofia monastica contro quella dialettica.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXVIII

L'Impero carolingio aveva significato il trionfo dei Benedettini e le grandi abbazie raccolgono i membri delle aristocrazie ai livelli più elevati e ciò accade in particolare per Cluny, che costituisce l'esempio classico più avanzato fra i secoli e XI. Nulla di nuovo è inventato dai Cluniacensi, ma quasi tutto risistemato, secondo un modello coerente ed efficace. Il canto cluniacense, tanto biasimato nel secolo successivo dai Cistercensi, è un'espressione estatica, una manifestazione di gioia, è il canto di Davide che lenisce la malinconia di Saul e disegna grandi liturgie processionali, festose celebrazioni della grandezza dell'abbazia e delle sue preghiere. L'idea della morte deve essere bandita da Cluny, che convoglia invece verso la certezza del riposo e la gioia della vita eterna.
Ma la centralità romana si oppone a Cluny, così come coloro che auspicano un ritorno alle origini e alla purezza della tradizione e si cercherà di mettere in discussione non la regola in sé, ma la vita quotidiana dei monaci e nella prima fila dei critici ci saranno i Cisterncensi di Bernardo da Chiaravalle, autenticati dalla scelta di uno stile di vita rigidissimo e la prima riforma che invocano è quella del canto gregoriano, trasformato da manifestazione di giubilo in attestazione grave e severa della fragilità del mondo.
Bernardo si allea con l'istituzione romana, perché la philosophia con Cluny si sarebbe parcellizzata ed è certo invece che il suo modello di fede cristiana e monastica debba essere l'unico a utorzzato in sé a detenere l'egemonia. Ma poi, se pur con gradulaità, fra i due alleati l'ortodossia romana diventerà la garanzia, costituirà il controllo e valuterà l'efficacia degli strumenti di esercizio.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXIX

Anselmo d'Aosta


È conosciuto nel mondo inglese anche come Anselmo di Canterbury, perché è stato arcivescovo della città. Egli si interessa nel Monològion alla dimostrazione dell'esistenza di Dio con argomenti fondati sull'osservazione della realtà creata (argomenti a posteriori) e ispirandosi a Platone argomenta che tutti gli uomini tendono al bene e, per evitare un regresso, occorre ammettere che, risalendo nella scala dei beni sempre migliori, si deve giungere a un sommo bene, che rende buoni tutti i livelli inferiori. Lo stesso schema vale per la perfezione di tutte le creature: l'essere e quindi dobbiamo ammettere l'esistenza di un essere *sommo*.
Dal momento che è questo sommo a dare esistenza a tutte le cose, lo si pensa come il soggetto della creazione dal nulla e, quindi caratterizzato "in primis" dalla esistenza.
Nel secondo libro, il Pròslogion, è esplicito il mutamento del soggetto che conduce la ricerca, qui si tratta di capire in che cosa si crede, partendo dalla fede e qui Anselmo si propone di trovare un unum argomentum (noto in seguito come argomento ontologico) che possa dimostrare come la ragione debba necessariamente concludere che il Dio della fede esiste. È la fede a insegnare che Dio è "ciò di cui non si può pensare il maggiore". Ergo, che in noi si è formato un concetto che ci definisce l'esistenza (mentale).
Ma quando il risultato intellettuale sembra acquisito, Anselmo pare deluso, perché l'anima (a differenza della mente) non sente quel Dio, come se il cammino dell'intelligenza non fosse sufficiente! (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXX

Il monaco Gaunilone di Marmoutiers critica l'unum argumentum con un esempio che diventerà celebre: se pensiamo a un'isola perfetta, essa esisterà nell'intelletto e dunque, secondo Anselmo, dovrà esistere anche nella realtà. Invece non basta un concetto se non si ricerca anche la mediazione dell'esperienza, ovvero che il concetto sia in qualche modo immagine di una cosa.
Questi due modelli di conoscenza e di ragione che non possono comprendersi.
Anselmo si interessa anche, come seguace di Agostino, al peccato originale e come si sia potuto superarlo solo attraverso l'intervento di un Dio-uomo. Il semplice umano non avrebbe potuto pagare il debito da solo, perché nessuna creatura inferiore sarebbe in grado di offrire a Dio una sodisfazione adeguata. In altre parole, secondo Anselmo, Dio è un ... molto strano, può essere ferito dall'uomo, ma non risanato. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXI

Pietro Abelardo - Un progetto di pace: il dialogo fra le religioni


Nell'opera, decisamente originale, Abelardo mette in scena un dialogo fra un ebreo, un filosofo e un cristiano interessati a discutere i principi fondamentali a cui si ispirano. Una convergenza può essere il Sommo Bene che è tale per un filosofo e che invece può essere declinato con il Dio dell'Antico Testamento o quello del Vangelo per gli altri due.
Il giudeo è invitato da Abelardo ad andare al di là della lettera del Testo Sacro e ad aprirsi a significati più spirituali. Più l'interpretazione religiosa si fa filosofica e più si aprirà alla conciliazione con altri.
Il personaggio del filosofo dichiara fin dall'inizio di ricercare la verità non attraverso una qualunque rivelazione, ma con la ragione, ma quale ragione? La risposta è la ragione che induce al confronto.
Un credente di tale apertura mentale era invece difficile da trovare nel contesto cristiano e infatti il terzo personaggio, pur dichiarando di non voler costringere gli altri, vuol dimostrare che anche la ragione (lògos) dei filosofi greci altro non è che un dono del Dio agli uomini e che poi produrrà le rivelazioni religiose, che si sono succedute nel tempo.
Abelardo sottolinea il pericolo del timore cristiano che ci possano essere altre verità, che spinge a un'autodifesa intollerante e inaridisce la stessa ricerca filosofica!


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXII

Nelle numerose riflessioni medievali sul fondamento della conoscenza, una posizione di rilievo è occupata da Giovanni di Salisbury, discepolo di Abelardo.
Il Nostro dichiara di voler seguire la tradizione accademica, che ha le sue fonti in Cicerone e afferma di stare dalla parte di coloro che accettano conclusioni solo probabili. Per questo nel suo Metalògicon (la difesa della logica) critica le pretese di coloro che fanno coincidere il loro punto di vista con la verità assoluta. Tale atteggiamento conduce a conseguenze dogmatiche e deleterie e in primis a un eccesso di superbia e al disprezzo della verità!
La logica e la dialettica ci servono come strumento critico di indagine del linguaggio, ma ci aiuteranno molto di più se restiamo entro i limiti del probabile e del verosimile, il che è tipico della scienza (di allora, ma soprattutto odierna). Giovanni era in grande anticipo sui tempi.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXIII

Un'immagine ricorrente che ci proviene dal Medioevo è che i pensatori erano tutti (o quasi) ossequienti alle sacre scritture e ai grandi filosofi del passato, per cui ogni trattato di teo/filosofia si proponeva in via principale come commento.
Però l'aforisma, attribuito a Bernardo di Chartres, citato da Giovanni di Salisbury "Coloro che ci hanno preceduti sono dei giganti e noi invece solo nani che stiamo seduti sulle loro spalle" ci fa capire che in questo modo potevano vedere più lontano. :)
La domanda che ci poniamo su tale modo di dire è se esso fosse umile o superbo?
È difficile stabilirlo con esattezza, perché Bernardo, da una parte, usava l'aforisma nell'ambito di un dibattito sulla grammatica, dov'è in gioco il concetto di conoscenza e imitazione dello stile degli antichi, per cui niente nozioni come cumulatività e progresso del sapere; tuttavia sempre lui rimprovera agli allievi di copiare servilmente gli antichi, e quindi un certo appello all'autonomia si può intravedere.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXIV

Nel XIII secolo si ha la riscoperta di Aristotele che si accompagna e anche scontra con il pensiero di Tommaso d'Aquino, ma, dato che la prima è dovuta agli arabi, sarà bene accennare anche alla filosofia dell'islam.
Con Ibn Sina, il cui nome latinizzato è Avicenna (980-1037) la *falsafa* nell'oriente musulmano raggiunge la maturità. Egli distingue l'essenza dall'esistenza, per esempio dire che il cane (essente) è un animale esistente (esistenza) non è tautologico e quindi siamo in presenza di termini diversi.
Pertanto Avicenna ne consegue che tutto ciò che è contingente, o meglio possibile, diviene necessario solo in virtù della causa che lo pone in essere, il primo principio, cioè Dio. Anche la dottrina degli universali dipende dalla distinzione di cui sopra, perché l'universale non è che un attributo, dotato di esistenza puramente intellettuale. :)
Avicenna infine propone un'analisi articolata del processo di attualizzazione dell'intelletto umano: prima "tabula rasa", poi intelletto "in habitu", in possesso cioè degli intelliggibili primi, ossia ad esempio gli assiomi matematici, dipoi intelletto in atto, esso cioè conosce gli intelligibili, ma non li pensa ancora. Solo se l'intelletto umano riuscirà a pensarli raggiungerà il massimo grado di perfezione, come intelletto acquisito. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXV

La filosofia degli ebrei (cenni)


All'inizio la Bibbia era tramandata oralmente, dipoi codificata nel Talmud. Quest'ultimo si compone della Mishnah, ossia la ripetizione della legge (Torah) e della Gemarah, il commento da parte degli studiosi. L'Ebraismo è una religione fondata sulla vita pratica, priva di dogmi metafisici e non fondata su una teologia, solo azione e comportamento.
Le cose mutano dopo l'avvento dell'Islam, perché il dominio arabo comporta anche un'influenza religiosa che i critici definiscono kalam ebraico. Esso significa introdurre una discussione teologica con funzioni apologetiche nei confronti della religione. Per ogni tema è proposta dai rabbini una soluzione basata su una dimostrazione "razionale" che serva di sostegno ai passi biblici.
Il filosofo più significativo è forse Moshè ben Maimon, conosciuto da noi come Maimonide. Egli propone un'interpretazione allegorica, partendo dalla Fisica e Metafisica di Aristotele, ma non dà una soluzione alla tesi intorno all'eternità del mondo, perché sostiene che la tesi aristotelica può fungere da premessa per un ragionamento filosofico che affermi l'esistenza, l'unità e l'incorporeità di Dio, però è la creazione dal nulla a essere oggetto di fede.
Per quanto concerne la conoscenza, all'uomo riconosce quella del mondo sublunare, ma gli è preclusa la conoscenza di Dio, tranne in forma negativa.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXVI

La terra piatta, gli antipodi


Quando si è cominciato a riflettere su quale fosse la forma della terra, era stato abbastanza realistico per gli antichi ritenere che essa fosse quella di un disco. Solo Parmenide pare ne avesse intuito la sfericità, ancorché dubbi sopravvivono in Democrito ed Epicuro, ma poi, per tutta l'antichità posteriore la sfericità non fu più discussa.
Che fosse sferica lo sapeva di sicuro Tolomeo, che l'aveva divisa in 360 gradi di meridiano ed Eratostene che aveva calcolato addirittura la lunghezza dello stesso meridiano.
Malgrado molte leggende, che ancora circolano su internet, tutti gli studiosi del medioevo sapevano che la Terra era una sfera e infatti già nel VI secolo Isidoro di Siviglia calcolava la lunghezza dell'equatore, anche se in maniera approssimativa, ma se parlava di misurare l'equatore ...
Forse la storiella della terra piatta la si deve al fatto che l'autore cristiano del IV secolo, Lattanzio si opponeva alle teorie sulla rotondità, perché erano pagane! :grr: E lo stesso poi non poteva accettare l'idea degli antipodi, dove gli uomini avrebbero, secondo lui, dovuto camminare con la testa all'ingiù!
Al solito il più furbo/ino di tutti gli scrittori antichi è Agostino, per il quale la discussione sulla sfericità della Terra è inutile, perché non serve a salvarsi l'anima e quindi possiamo ignorare la questione. :diavoletto: Anche sugli antipodi costui concordava che non potessero esistere, a causa della testa all'ingiù e poi il fatto che se ci fossero state creature colà, si sarebbe dovuto pensare che non discendessero da Adamo! E che, soprattutto, non avessero in loro il peccato originale, con la conseguente non necessità della redenzione cristica!!


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXVII

Censure e condanne


Nel 1215 il legato pontificio Roberto di Courçon detta i regolamenti dell'Università parigina, precisando il divieto di far lezione sui libri naturali e la Metafisica di Aristotele; nel 1255 simile ostracismo termina, ma subito dopo molti teologi (per lo più francescani) attaccano espressamente quella filosofia, in particolare; l'eternità del mondo, non ci fu mai un primo uomo, unità dell'intelletto, determinismo e in particolare la dottrina che afferma quello più rigido e assoluto (necessitarismo). Questo c.d. sillabo di Tempier ha avuto vastissima circolazione manoscritta e la censura resterà in vigore per tutto il Trecento!
Una voce dissenziente è quella di Alberto Magno che distingue fra filosofia e teologia e sostiene che le tesi di Aristotele sono valide dal punto di vista logico, ma il suo pensiero non coincide con la verità assoluta, perché alcune idee sono false alla luce della fede.
Con il Trattato Sull'eternità del mondo, Boezio di Dacia si pone quale massimo teorico della distinzione fra discorso teologico e filosofico e cerca di delimitare il territorio protetto, entro cui la nuova figura dell'intellettuale "laico" possa muoversi con piena indipendenza. :)


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Alberto Magno


Egli deve la fama all'ampia produzione filosofico-scientifica intorno ai testi aristotelici equel lavoro libera le Facoltà delle Arti dalla sudditanza alle parafrasi di Avicenna e Averroè e costituisce la premessa per l'adozione di Aristotele nel programma degli studi dell'ordine domenicano. La posizione di Alberto è chiara: il metodo del maestro di Egira è l'unico strumento valido per l'investigazione razionale della natura e dell'uomo e nel procedere secondo le deduzioni scientifiche, la filosofia può e deve prescindere totalmente dalla Rivelazione.
Egli, da cristiano, riconosce come ultima istanza di verità, quella del teologo, ma per scoprire in maniera scientifica le leggi di natura bisogna guardare altrove.
Secondo Alberto l'uomo, nell'esercizio della ragione, comprende che l'intelletto ha un'origine divina e in questa scoperta sta la sua felicità. Si tratta però di un tipo di perfezione intellettuale a cui tutti gli uomini possono aspirare in quanto esseri dotati di ragione, ma che non tutti raggiungono a causa di impedimenti fisici o morali, per cui destinatario del messaggio albertino non è l'uomo in quanto tale, bensì lo scienziato e il filosofo. :)


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Tommaso d'Aquino


Mel 1244 decide di entrare a far parte dell'ordine dei Domenicani, nonostante l'opposizione dei famigliari che, per dissuaderlo, gli impongono un periodo di reclusione. Una volta liberato, si trasferisce a Parigi dove frequenta le lezioni del maestro e confratello Alberto Magno.
T. si professa teologo, o, nel linguaggio del tempo, maestro della sacra dottrina, il che significa che tratta di cose conoscibili soltanto al lumen divino. Solo la rivelazione è la luce della conoscenza, un lume totalmente trasparente.
Nel sapere teologico è ben presente la ragione nella valenza filosofica classica e T. accoglie infatti dagli Analitici secondi di Aristotele la portata scientifica dell'argomento sillogistico, che sorregge la natura dimostrativa del sapere. Nella Summa Teologica mostra così di credere nella filosofia in senso ampio, ossia nella capacità della ragione umana di supportare un sapere che ha origine dalla rivelazione, ma che si espande attraverso forme, analisi e percorsi validati dalla ragione. :)
Secondo T. al maestro teologo compete l'impegno di confutare in modo logico le affermazioni contrarie alla rivelazione, non essendo esse dimostrazioni rigorose, bensì argomenti sofistici! (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXX

Esistono, secondo Tommaso, alcune verità (contenute nelle Rivelazione) che sono comprensibili facilmente dalla ragione: l'esistenza di Dio, dei suoi attributi e della natura spirituale dell'anima intellettiva, capace di garantire l'immortalità. :clap:
Egli chiama queste verità "preamboli agli articoli di fede" ed essi dimostrano una volta per tutte la possibilità del connubio fra fede e ragione. :)
L'esistenza di Dio si può provare attraverso cinque considerazioni, non separate fra loro, ma che si propongono come cinque formulazioni di un medesimo procedimento razionale "a posteriori", ossia che parte dall'analisi dei dati dell'esperienza e giunge all'affermazione dell'esistenza di un principio che trascende l'ordine empirico.
La prima via parte dalla constatazione sensibile del movimento o divenire, definito da Aristotele come passaggio dalla potenza all'atto. Se nessuna cosa può passare da se stessa dalla potenza all'atto, è ovvio che occorre un agente che cominci il movimento e senza di esso, appunto, non ci sarebbe movimento alcuno! L'agente, o primo motore non mosso, che è all'origine del divenire è ... Dio. :)
Le altre quattro prove hanno una struttura analoga a questa (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXI

Sul piano delle filosofia della conoscenza, Tommaso ci dice che i concetti universali sono sottoposti a giudizio a opera dell'intelletto, che si avvale del possesso innato dei principi primi: identità, non contraddizione e terzo escluso. La nozione più comprensiva a cui l'intelletto perviene è quella di ente, ossia delle proprietà che ha l'essere: uno, vero, buono, bello. Come Aristotele, sostiene la dottrina dell'unicità dell'anima intellettiva dell'uomo e quindi nessun dualismo di tipo platoniano; resta tuttavia da da risolvere l'enigma dell'immortalità dell'anima siffatta, decisiva per l'antropologia cristiana?
La risposta sarebbe tipica di coloro che lui disprezza (I sofisti), in quanto sostiene che non c'è necessità per l'anima di servirsi del corpo come organo dell'attività intellettiva, perché oltre a essere sostanziale l'anima è anche sussistente, ovvero compie operazioni indipendentemente dal soma!? :diavoletto:


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Tommaso d'Aquino e l'eternità del mondo


L'idea di eternità era considerata un'eresia, perché nel caso non ci sarebbe stato bisogno di un Dio creatore e la Bibbia avrebbe mentito quando: "In principio Dio creò il cielo e la terra".
Pertanto Tommaso compie un'operazione quasi spericolata nel "De aeternitate mundi": una cosa è dire che il mondo dura da sempre nel tempo e un'altra che è eterno per natura.
Tutte le cose del mondo, per esempio un fiore, nascono nella materia preesistente esse sono in potenza, poi sopraggiunge la forma-fiore e sboccia il fiore come sostanza. Questa materia *pre* non esisteva per Dio e infatti Egli ha creato gli angeli senza di essa (l'angelo non ha materia, essendo pura forma), quindi egli può creare dal non preesistente e il mondo è nato dopo il Suo gesto creatore.
Però dire che che lo ha creato ex nihilo non significa che prima non ci fosse Niente e dopo qualcosa, come se il Niente fosse qualcosa che viene prima di qualcos'altro. Creare dal niente vuol dire che ogni cosa creata riceve il suo essere da Altro, senza cui non sarebbe niente. Dio ha creato ex nihilo, ma non post nihil, perché il mondo riceve il suo essere da Dio, sua causa necessaria, ma coeterna, senza che si debba pensare che prima del mondo ci fosse qualcosa di eterno che si chiamava il nulla. Pertanto, dal punto di vista filosofico, non si può negare l'eternità del mondo. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXIII

Ruggero Bacone e la filosofia dei francescani


Il pensiero dei francescani presenta una grande varietà di posizioni, a differenza dei domenicani che hanno una vera e propria imposizione dottrinale: forse l'unico tipo di unitarietà si ha nello scontro con il tomismo difeso per intiero dai seguaci di Domenico.
I maestri seguaci dell'aristotelismo e di Tommaso, hanno fatto della ricerca filosofica un sapere elitario, l'ispirazione del francescano Bacone lo porta invece a esaltare la semplicità di chi, incolto, aspira tuttavia alla conoscenza, contro la superbia dei professionisti del sapere i quali hanno un bel credere che si possa scoprire da soli la verità divina. Egli vorrebbe addirittura bruciare i libri di Aristotele, perché studiarli è solo uno spreco di tempo, mentre la filologia è una disciplina fondamentale, perché consente di comprendere il significato del testo Sacro. In esso è contenuto tutto il sapere e solo l'interpretazione costante e approfondita può indicare la via per il progresso della conoscenza.
Bacone riconosce una grande importanza alla scienza sperimentale, però lungi da lui è intendere la ricerca basata sulla verifica data da esperimenti, no essa deve servire solo a confermare ciò che è stato raggiunto dalla ragione e quindi sempre al centro dell'attenzione deve rimanere la filosofia morale, che aiuta l'uomo a recuperare quella felicità, persa con il peccato originale. Tale scopo si sodisfa solo quando si comprende che l'unica sorgente di verità è la teologia rivelata, realizzazione piena e perfetta della scienza sperimentale, sapientia christiana, che garantisce all'uomo la partecipazione alla beatitudine ultraterrena. ( :diavoletto: )


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXIV

Verso la fine del XIII secolo si sta sempre più incrinando la fiducia nell'aristotelismo come modello in grado di fornire una spiegazione unitaria di ogni sapere e si giunge ad ammettere che gli ambiti di indagine della teologia e filosofia si collocano su piani diversi. Si dubita apertamente che omne verum cum Vero consonat (ogni verità deve essere in accordo con il Vero teologico) e la cultura del XIV secolo si apre alla pluralità delle idee. Secondo Guglielmo di Occam, francescano e professore a Oxford, in odore di eresia, non si devono accettare le tradizionali prove dell’esistenza di Dio, fondate tutte su un tessuto ontologico, che G. ritiene non valide o non conoscibili; neppure il principio di causalità può essere utilizzato nella prova dell’esistenza di Dio, non essendo possibile escludere un regresso all’infinito. Dio è solo oggetto di fede, e gli attributi divini sono nomi che attribuiamo allo stesso essere.
Questa teoria, così come altre si misura sempre più di frequente con posizioni contemporanee che con gli antichi e sempre meno come auctoritates, bensì come fonti su cui discutere e tenendo sempre ben presente il famoso "rasoio di Occam". Questo principio è alla base del pensiero scientifico moderno e, detto in parole semplici, come appunto piacerebbe a Occam, suggerisce che è inutile formulare più ipotesi di quelle necessarie quando ci si trova a cercare una spiegazione per un dato fenomeno. Molto spesso le ipotesi iniziali sono più che sufficienti da vagliare senza troppo starne ad inventare di altre. :clap:
Su questo polifonico sfondo storico si aggira per l'Europa lo spettro della guerra dei Cento anni, che avrebbe segnato l'affermazione degli Stati nazionali e poi, dalla metà del secolo, la peste!


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXV

Giovanni Duns Scoto


Egli insegna, come molti pensatori medievali, che l'uomo è composto di anima e soma e che l'anima razionale costituisce la forma specifica dell'essere umano. Le due non sono sostanze diverse, ma potenze che ineriscono a un'unica sostanza, del tutto intiera, che pensa e desidera. Sostiene altresì che esistono due modalità per conoscere il mondo: l'intuizione e l'astrazione.
La prima è la conoscenza diretta di un oggetto reale che, in quanto tale ne certifica l'esistenza e la presenza di fronte a noi; la seconda è la conoscenza attraverso la mente; ciò che differenzia le due modalità cognitive è il modo di esistere dell'oggetto, perché quando procediamo per via astratta non sappiamo se quell'oggetto ha un'esistenza anche fuori dal nostro pensiero e se è realmente presente nel momento in cui lo pensiamo. D'altra parte l'uomo terreno (viator, perché è in cammino verso la patria celeste) non riesce a esercitare la conoscenza intuitiva in forma piena e completa e molto spesso deve accontentarsi della conoscenza astrattiva, vale a dire dobbiamo limitarci a conoscere il mondo, che è fuori di noi e che rientra nelle possibilità cognitive dell'intelletto solo ciò che in primis viene colto dalle facoltà inferiori, ovvero i nostri sensi. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXVI

Anche Scoto sostiene con molta chiarezza che fede e ragione si collocano su due piani distinti, ciascuna delle due perviene a risultati differenti, perché ha un proprio linguaggio e metodo. Per lui la teologia è una scienza pratica, cioè direttiva dell'azione. Non insegna mai la contemplazione, ma l'agire secondo verità. Per la salvezza la fede e la teologia non sono necessari, perché Dio è libero di salvare chiunque, ma la rivelazione insegna all'uomo a conoscere Dio. La filosofia o metafisica è invece scienza teoretica per eccellenza.
Un aspetto molto importante nel pensiero di Scoto è il distinguere fra contingenza e libertà. Prima della creazione, tutte le cose sono già presenti nella mente di Dio e l'atto iniziale segna il passaggio per alcune idee da un'esistenza puramente intelligibile a un'esistenza reale ed esterna dunque alla mente di Dio. Questo mondo creato è solo uno dei possibili altri che erano nella mente divina, avrebbe ben potuto crearne uno diverso, il che significa che il mondo è contingente, quindi niente di deterministico, ma solo libertà di Dio.
Da ciò deriva anche la libertà, se pur contingente, dell'uomo, perché così lo ha voluto Dio e dunque l'essere ha un'assoluta responsabilità morale per ogni scelta che compie. Perché un atto morale sia buono, occorre che l'oggetto perseguito sia un bene e che l'uomo lo riconosca come tale e lo desideri in quanto bene, perciò non basta che l'uomo sia convinto di fare il bene, perché l'azione sia moralmente buona, se il giudizio è sbagliato, l'azione non è moralmente giusta, allo stesso modo chi agisce onestamente, ma non lo fa nell'amore di Dio, non compie un atto realmente virtuoso, ma solo moralmente neutro.


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Guglielmo di Ockham


Il mondo è un universo contingente, costituito da da sostanze singolari e individui singoli. Gli atti mentali, con i quali tale mondo è conosciuto, sono qualità soggettive dell'anima e concetti intesi come accidenti mentali e termini linguistici. Le prime cose che si conoscono sono gli individui, i quali sono colti dalla mente in modo diretto, cioè attraverso una conoscenza che è indimostrabile, naturale e che non deriva da altre precedenti; tale forma di conoscenza è definita notitia intuitiva. A differenza di Scoto, il Nostro oppone un netto rifiuto nei confronti di ogni natura comune realtà non singolare che giustifichi e permetta di stabilire una somiglianza fra due cose singole. Per lui gli individui (ripetiamo) possono essere riconosciuti solo a partire dalla loro singolarità. :) Neppure con l'astrazione si ricava un concetto universale, perché i concetti sono gli atti mentali stessi, individuali, con i quali l'intelletto ha una conoscenza diretta delle cose e sarebbe un grave errore ritenere che tali concetti universali abbiano una qualche realtà differente da quella dei termini che la esprimono. Dobbiamo sapere che si tratta di strutture linguistiche e non di cose, prendiamo ad es, il caso di somiglianza fra due cose bianche: "Dio non può produrre due cose bianche, senza produrre anche due cose simili, in quanto la somiglianza è le stesse due cose bianche". Tra due cose bianche simili non si può porre l'esistenza di una *bianchezza* comune e, solo le due singole cose bianche esistono e sono conoscibili, così come se non vi fossero servi, non vi sarebbe la servitù. :crazy: (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXVIII

Non si può parlare del filosofo inglese, senza rammentare il famoso "rasoio di Ockham" che è diventato una specie di etichetta dello stesso e che si può riassumere nel "inutile fare con più quel che può essere fatto con meno" . Pur non essendo il solo nel medioevo a usarlo, l'accostamento al suo nome deriva dal fatto che le conclusioni metafisiche del Nostro sono coerenti con una filosofia che usa tale principio come proprio fondamento.
Egli pone al centro del creato, l'azione volontaria ed estremamente semplice di un Dio onnipotente, che ha affidato ai singoli uomini credenti
in un cammino di salvezza (viatores) tale possibilità, ovvero la beatitudine celeste attraverso la responsabilità delle proprie scelte. Tali azioni si attuano in un mondo nel quale il carattere contingente degli eventi non solo non determina l'abbandono delle creature all'onnipotenza divina, bensì consente loro di orientare le singole scelte. (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXIX

Gli assunti ockamisti valgono anche per Giovanni Buridano, per il quale gli oggetti individuali sono conosciuti grazie ad atti di apprensione diretta (notitia intuitiva), con i quali si apprendela realtà. Conoscere vuol dire formarsi, senza il ricorso a inutili enti mediani, i concetti delle singole cose.
All'interno del modello del Nostro, si dirama poi una moltitudine di posizioni, fra cui da segnalare Gregorio da Rimini, per il quale il significato delle proposizioni, sia di quelle scientifiche, che degli articoli di fede, è un'entità sui generis, che si dà nei modi attraverso cui si parla delle cose, ma che non si identifica né con la sola proposizione, né con le cose esistenti, di cui tali proposizioni parlano.
Oppure Nicola di Autrecourt, per il quale l'evidenza e la certezza di quanto appare, unito al principio logico di non contraddizione, ci fa approssimare con maggior probabilità verso il vero/simile. Nel carattere probabile della conoscenza risiede la ricchezza e la garanzia per l'uomo di poter fare esperienza della realtà, in un processo di continuo accrescimento del sapere.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo.XC

Il potere e la politica fra il XIII e il XIV secolo

Soltanto a partire dal XIII secolo nel mondo cristiano si avverte la politica come qualcosa di positivo, perché prima si era vista solo come uno degli effetti della Caduta. Ora invece questa disciplina, come la filosofia, si affranca dalla teologia e le esigenze (terrene) di una comunità prescindono dal credo religioso di chi governa. Una spinta a ciò si è avuta dalla comparsa delle traduzioni in latino dell'Aristotele politico (Politica e Etica a Nicomaco), che mette a disposizione della comunità culturale gli strumenti linguistici e concettuali, senza i quali risultava quasi impossibile formulare questioni di natura politica e dare loro risposte convincenti. Per citare un solo esempio, è la lettura del terzo libro della Politica, ove Aristotele definisce le differenti costituzioni legittime (monarchia, aristocrazia, politia) e ne valùta pregi e difetti, a indurre i tanti maestri universitari a domandarsi quale sia la forma di governo migliore, mettendo così per la prima volta in discussione quello che fino allora era dato per scontato, vale a dire la superiorità assoluta del regime monarchico, in ossequio alla formula di Costantino: "Un solo dio in cielo e un imperatore unico in terra!". (continua)


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Il risultato è un progressivo diffondersi di una teoria "ascendente" del potere, secondo cui trae origine e legittimazione dall'investitura e dal consenso popolare. Questa tesi sottopone chi comanda al controllo dei governati, in base al presupposto che la relazione fra principans e cives sia di natura pattizia e che, contestando l'idea che l'autorità politica discenda dal Cielo, essa sottrae i prìncipi terreni dall'abbraccio asfissiante della Chiesa.
Siamo in presenza di una svolta epocale, grazie alla quale le massime autorità religiose dell'Europa latina si vedono privare di quella posizione suprema che avevano conquistato dopo Costantino e che era divenuta pressoché indiscussa nell'età carolingia e addirittura teorizzata da papa Gregorio VII nel suo celebre Dictatus papae (1075), composto per affermare, senza mezzi termini, che quello papale era l'unico potere davvero universale!
Per qualcuno lo stesso Tommaso d'Aquino sarebbe un assertore di simile tesi, ma il pensiero del dottore angelico in politica era piuttosto oscuro, tant'è che un suo allievo (Tolomeo da Lucca) gli attribuisce una rigida subordinazione del potere temporale a quello spirituale! :x


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Per la maggioranza il Trecento è dominato da teorici politici che mirano a contestare la plenitudo potestatis del papa. L'opposizione a Gregorio VII prima e Bonfacio VIII dopo (bolla Unam sanctam), dottrine denominate teocratiche è molteplice: emblematico è il caso del domenicano Giovanni da Parigi, o Jean Quidort, il cui trattato De potestate regia et papali (1302 ca.) risale alla fase più aspra della disputa che vede contrapporsi il papa a Filippo il bello. Per sostenere la causa del sovrano contro le anacronistiche mire di Bonifazio, Jean si richiama all'idea di Tommaso, secondo cui una comunità politica trae origine dalla naturale socievolezza degli uomini e non ha alcun bisogno di essere legittimata dalla Chiesa! Quest'ultima ha tutt'altra funzione: la salvezza delle anime, che è unica per tutti, mentre le profonde diversità naturali, geografiche, di lingua e costumi giustificano la compresenza di una pluralità di regimi politici, rendendo del tutto irrealistico qualunque sogno di impero universale; ciascuna comunità può e deve scegliere la forma costituzionale più consona alle peculiarità.
L'ideale universalistico è ancora al centro delle riflessioni politiche di Dante Alighieri, ma solo come organo di coordinamento supremo fra tutte le comunità civili indipendenti.
Guglielmo di Ockham contesta le pretese assolutistiche papali, appellandosi alla convinzione che il potere provenga sì da Dio, ma attraverso l'elezione popolare e quindi ogni governo va valutato in base alla capacità di rendersi utile allo specifico gruppo di individui sui quali esso si esercita. Egli, se pur come eccezione, prevede il caso che re o imperatori possano deporre il papa, per eresia (e viceversa). :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo XCIII

Eckhart magister e predicatore


Egli propone un ideale di povertà e semplicità; la vera rinuncia è un atto di liberazione da tutte le proprietà o determinazioni su cui l'uomo fonda erroneamente la propria identità e solo così potrà ritrovare l'essenza divina che è in lui.
Quest'atto di liberazione necessita di esercizio, dedizione, ma soprattutto di una grande presa di coscienza delle proprie possibilità; fino a quando l'uomo si considera solo ente fra enti, non può scoprire il divino. Egli deve riconoscersi invece uno con Dio; Eckhart riprende l'idea di un intelletto indeterminato, ma non gli contrappone un oggetto che deve essere conosciuto, bensì lo fa essere il polo contrario e necessario di un altro intelletto assolutamente indeterminato, ovvero Dio. Si deve contrapporre l'universo dell'essere a quello del pensare, intendendo il primo come mondo fisico nel quale vive l'esperienza quotidiana del senso comune. In questa esperienza l'essere si presenta sempre e soltanto come essere creato, oggetto passivo del conoscere. Di fronte all'essere, l'intelletto invece rivela una condizione affatto diversa: l'intelletto in quanto tale è un *non ente*, perché indeterminato (come Dio). :)


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La filosofia dei laici

La distinzione fra chierici e laici nasce per identificare due tipi di cristiani nel Decretum di Graziano: il chierico, ossia l'eletto, deve servire l'ufficio divino, è votato alla contemplazione e alla preghiera e si tiene fuori dai tumulti temporali. L'altro genere è quello dei laici, che possono possedere beni materiali, sposarsi, coltivare la terra e intraprendere un'azione giuridica.
Il cristianesimo è una religione del "Libro" e quindi i chierici dovevano essere eruditi nei vari campi del sapere, ovvero litterati e di solito parlavano sia latino che francese, oltre che la lingua madre. Il basso clero, però, molto spesso alla fine del medioevo aveva una cultura rudimentale e d'altra parte esistevano invece laici litterati e quindi, dal XII secolo in poi, anche al di fuori del sapere gestito e dominato dai chierici, cresce il bisogno di filosofia. Federico II, il sovrano/filosofo (lo stupor mundi) ospita nella corte sapienti come Michele Scoto, astronomo e traduttore, Teodoro di Antiochia e Giacobbe Anatoli, fisici. In Germania, nei primi decenni del XIV secolo si comincia ad usare in litteratura il volgare tedesco e in filosofia, fra i laici che usano il volgare possiamo ricordare il notaio Brunetto Latini e naturalmente Dante Alighieri, il quale spiega che la Commedia è stata concepita non per la speculazione teologica, ma per l'operare umano.
Temi legati alla comprensione delle felicità mentale occupano anche la riflessione di Boccacio che si chiede come poter tradurre l'ideale contemplativo della virtù, descritto da Aristotele nel mondo laico.
Altra corte dove s'incontrano studiosi laici è quella di Ludovico il Bavaro, come Marsilio da Padova e Giovanni di Jandum, condannato per eresia nel 1327! E, in Francia, Carlo V fece tradurre molti libri, volendo donare le scienze utili ai sudditi per avviarli alla virtù.


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Ramòn Llull

Italianizzato in Raimondo Lullo, è un catalano vissuto al crocevia di tre culture: cristiana, ebraica e islamica che lui, dopo una vita dissipata, ora, da francescano, vorrebbe unificare attorno a un nucleo di verità condivise. Vuole addirittura inventare una lingua universale che possa convincere chiunque delle verità cristiane sulla base di un calcolo rigorosamente matematico. Egli possiamo dire che sia l'inventore del calcolo combinatorio, Per es, se ci sono quattro persone: A,B,C,D, ci sono sei modi di combinarli a due a due, ma se vogliamo intendere tali combinazioni intese alla procreazione e i quattro sono divisi a metà in maschi e femmine, allora le combinazioni possibili si riducono a quattro, se poi due fossero fratello e sorella, le possibilità si ridurrebbero a tre, tenuto conto del tabù dell'incesto.
Trasferisce questa ars combinatoria ai principii assoluti (dignità divine) e li combina che tutta una serie di predicati e da ciò deriva 1680 proposizioni che sono, secondo lui, all'origine delle verità cristiane. Una di queste, però è che esiste la bontà nel mondo e non si dovrebbe avere alcun male, ma l'esperienza ci dice il contrario e quindi si scopre che, in definitiva le 1680 sue proposizioni non servono a generare questioni e risposte inedite, ma provvedono solo la prova di argomentazioni già collaudate, ovvero un buon metodo per argomentare in favore di una tesi precostituita (come i sofisti).
P.S. Rileggere oggi Lullo, come se avesse pensato al computer significherebbe tradirne le intenzioni, ma egli è stato il precursore degli ardimenti successivi, che ha ispirato. :)


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Per finire il primo volume di queste storie filosofiche, è interessante la discussione avuta nei secoli di cui discutiamo sul moto di Aristotele. Una delle più logiche ci sembra quella della rotazione giornaliera della terra intorno al proprio asse da parte della "nuova fisica" parigina.
Buridano e Oresme, che dànno le trattazioni più complete dalla questione, si sbarazzano facilmente degli argomenti osservativi a favore dell'immobilità delle Terra, sottolineando l'incertezza della percezione del movimento. Ad es, l'uomo che non sa che la nave su cui si trova è in moto, considera reale il moto apparente di un'altra nava, che invece è ferma all'ancora. :)
I due sostengono che l'ipotesi della rotazione terrestre presenta numerosi vantaggi di ordine filosofico, prima fra tutte quelle di presentare un'immagine più semplice e armoniosa dell'universo; con simile ipotesi si possono eliminare alcune delle maggiori complicazioni del sistema geostatico (evviva Ockam ;) )
Per quanto riguarda le Sacre scritture, Oresme, che è anche teologo e vescovo, sostiene che esse si conformano alla mentalità del tempo e non vanno prese alla lettera, ma poi conclude che le sue sono osservazioni di probabilità e quindi che vuol credere altrimenti, può farlo. :cincin: FINE P.S. Prima di passare al tomo successivo della Filosofia e le sue storie, mi concentrerò su un altro libro del periodo antico, ovvero " Piergiorgio Odifreddi - Come stanno le cose : il mio Lucrezio, la mia Venere / Piergiorgio Odifreddi. - [Milano] : Rizzoli, 2013."


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In attesa del libro su Lucrezio, voglio riferire un commento di Stefano Bartezzaghi sul vezzo di molti nel: "Denunciare e magari dileggiare "il gusto/parere degli altri". Non è difficile e anzi viene sempre molto spontaneo agli "intellettuali". Ha però l'inconveniente di richiedere una "hybris" che è essa stessa in forte sospetto di cattivo gusto/errore!
Della tracotanza umana, che le divinità dell'Olimpo punivano sempre con grande severità, direi addirittura in maniera feroce...
Oggi la più grande hybris è quella di chi fa dichiarazioni dall'alto della torre d'avorio, con un misto di schifo e pietà accondiscendente. Pensano di essere migliori di chi, magari, non ha avuto le stesse opportunità. Questi e gli altri potrebbero essere "migliori" se solo ricordassero ciò che diceva Antonio Gramsci, ovvero che non c'è cultura senza relazione. Laddove prevale la hybris e non il colloquio, la divulgazione e anche il contrasto, al massimo c'è il nozionismo, che non è cultura, bensì il rigetto del ruolo stesso, sociale, di chi può veramente essere definito intellettuale. :x


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere I

"Se avessi letto Lucrezio al liceo me ne sarei innamorato, ma Lucrezio non si legge volentieri nel licei: ufficialmente perché è troppo difficile, di fatto perché dai suoi versi ha sempre emanato odore di empietà. Perciò fin dall'antichità gli si è costruito intorno un involucro di silenzio, e oggi di quest'uomo straordinario non si sa nulla.
Coscientemente o no, per lungo tempo è stato considerato pericoloso, perché cercava un'interpretazione puramente razionale della Natura, aveva fiducia nei propri sensi, voleva liberare l'uomo dalla sofferenza e dalla paura, si ribellava contro ogni superstizione (religiosa) e descriveva con lucida poesia l'amore terrestre.
La sua fiducia a oltranza nella esplicabilità dell'universo è la stessa degli atomisti moderni. Il suo materialismo, anzi meccanicismo, è candido e ci fa sorridere, ma affiorano qua e là intuizioni sorprendenti."

Primo Levi, La ricerca delle radici. Antologia personale, 1981


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere II

Il de rerum natura non è un'opera letteraria come le altre, benché sia un poema in versi; esso parla di argomenti come il mondo fisico e le scienze che lo studiano a vari livelli, dal micro al macro, passando per l'intermedia dimensione umana. Lucrezio è stato altresì un precursore del flusso di coscienza ed è particolarmente difficile da tradurre in prosa; io comunque ci provo, in una forse disperata ricerca, con qualche accortezza, tipo quella di un piccolo apparato di note che ne evidenzino le formidabili intuizioni scientifiche oppure identificare Venere con la spinoziana Dea, sive natura, o l'anima o l'animo con le funzioni del cervello e del sistema nervoso. Tutto ciò per illuminare di luce nuova questi versi antichi che, in una lettura troppo letterale, rischierebbero di apparire antiquati, offuscandone la visionaria attualità!


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere III

I profondi sentimenti, che avevano permeato il pensiero occidentale attraverso l'osservazione della natura, sono molterplici: i pitagorici orchestrarono una visione del cosmo, sintetizzata in espressioni quali "la musica delle sfere" o "l'armonia del mondo". Gli ionici e gli eleatici composero svariati poemi sulla Natura. dai cui frammenti emergono alcuni princìpi fondamentali della successiva speculazione filosofica, come l'apeiron (il principio primo) di Anassimandro, il logos (ragione) di Eraclito e l'alatheia (verità) di Parmenide; poi ci furono i fisici posteriori, come Empedocle, Anassagora, Democrito ed Epicuro, le cui visioni cosmo-bio-logiche del mondo confluirono nel De rerum natura, la sinfonia di Tito Lucrezio caro, pubblicata postuma da Cicerone, che costituisce il più elevato canto mai intonato dall'uomo alla scienza e alla religione.
Gli scrittori cristiani, per cercare di screditare il poema, misero in giro notizie false sulla di lui pazzia (nota mia, ma esser bugiardi è sempre stato il denominatore comune di tali credenti, vedi anche l'esternazione dell'ultimo papa!). Fra l'altro anche il mezzo attraverso il quale Lucrezio era stato ridotto in tale stato: un filtro d'amore è risibile! :grr: Ma poi i pensieri esposti sono di una lucidità tale che, purtroppo per loro, gli ottusi detrattori non erano in grado ci comprendere, figuriamoci giudicare! :dubbio: :diavoletto:


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere IV

Nell'inno a Venere, che apre il De rerum natura, Lucrezio chiede aiuto alla dea, ma non per cantare intorno ai sentimenti umani, bensì per descrivere quella natura delle cose e più in particolare la visione del mondo di Epicuro, il primo uomo che osò guardare in faccia quella religione, che sporgeva il suo orribile volto dal cielo, incombendo sui mortali!
Da questa conoscenza può derivare il dissiparsi delle tenebre e le paure per l'uomo. :) Non solo il terrore della morte e dell'aldilà su cui approfittano sacerdoti e similia, ma anche l'incomprensione dei fenomeni celesti, che la superstizione e l'ignoranza attribuiscono ingenuamente al capriccio degli dèi!
Bisogna invece comprendere che la Natura non è sottomessa a padroni superbi: fa tutto da sé e quindi senza interventi ... dall'alto! :diavoletto:
In definitiva agli dèi si può credere, ma non c'entrano nulla col mondo e meno che mai con l'uomo, che non è stato calato dal cielo con una corda d'oro, come quella che nell'Iliade pende dalla vetta dell'Olimpo, ma è un prodotto della Natura stessa. :clap:


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere V

Qual è allora la vera natura delle cose, che illumina l'animo dell'uomo e lo libera dalle false credenze? Quali sono, ad es. le vere cause delle catastrofi naturali o della grande peste ad Atene?
Per il contenuto materialistico e antireligioso, il poema di Lucrezio rimane un unicum nella storia e le condizioni che lo resero possibile, come spiegò G. Flaubert, fu la momentanea apertura di un'opportunità intellettuale, che si richiuse quasi immediatamente. Per scrivere quel poema bisognava essere "solo uomini" senza grilli e dèi per la testa, come lo fu, più di un millennio dopo, Cecco d'Ascoli, un altro poeta maledetto, contemporaneo di Dante, ma di lui molto più erudito sulle cose del mondo e che naturalmente fu giudicato dalla santissima Inquisizione e la sua opera interrotta dal rogo appiccato a Firenze il 16 settembre 1327, di fronte a Santa Croce! :grr:


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere VI

Il De rerum natura aveva esercitato (privatamente però, perché in pubblico era vietato parlarne) una grande influenza sulla letteratura latina; Virgilio ad es, non cita mai Lucrezio, ma attinge al poema non solo parole isolate (Lui è stato anche un inventore di verba), ma parecchi versi quasi per intiero. Ovidio invece, è un caso a parte e dichiara apertis verbis che le strofe del sublime autore sono destinate a perire soltanto il giorno della fine del mondo. :)
Persino gli scrittori cristiani, che si attennero alla "damnatio memoriae" non rimasero del tutto insensibili al fascino dello stile e trasformarono l'inno a Venere e i successivi elogi a Epicuro in preghiere alla Madonna e a Cristo! :champion:
I cristiani erano i soli copisti (amanuensi) nei c.d. secoli bui e dopo il VII secolo smisero di produrre altri esemplari, per cui l'opera non si trovò più fino al gennaio del 1417, allorché Poggio Bracciolini lo rinvenne in una imprecisata località delle Germania centrale e, in seguito, ne sono state localizzate altre due complete e una parziale.
La riscoperta del poema e quindi della visione naturalistica del mondo arrivò in un momento propizio, vale a dire il Rinascimento e in parte lo stimolò, come dimostra, ad es, la Primavera di Botticelli, che nel 1482 vi si ispirò. :)


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere VII

Dopo la riscoperta è stato riverito da coloro che onorano la ragione, ad es, N. Machiavelli lo ricopiò in un manoscritto che è oggi alla biblioteca vaticana. Montaigne coprì di note la propria copia e inserì circa cinquecento citazioni nei suoi memorabili Saggi. Molière tradusse in versi francesi il poema e nel Settecento fu il testo di riferimento dell'Illuminismo; nell'Ottocento G. Leopardi lo lesse a 15 anni, con il permesso formale dell'Inquisitore, per diventare in seguito, secondo la definizione di G. Carducci: "Il Lucrezio del pensiero italiano."
Naturalmente è stato denigrato da coloro che santificano le Favole! Ad es, in vari anni ne è stata proibita la lettura nelle scuole, posta all'indice la traduzione di Alessandro marchetti, uscita postuma a Londra, dopo che la pubblicazione era stata impedita per 50 anni in Italia.
Voltaire e B. Russel furono invece detrattori laici del Nostro e fa specie il secondo che lo accusò di provare sentimenti per Epicuro che assomigliavano a quelli verso un redentore e di aver usato, quindi, un linguaggio di intensità religiosa!


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere VIII

Nel Novecento almeno due opere si sono avvicinate al De rerum natura, una è il Trattato logico-filosofico di L. Wittgestein, i cui versi cantano un triplice atomismo: del mondo, del pensiero e del linguaggio. L'altra opera è la Piccola cosmogonia portatile di R. Queneau, che descrive l'origine dell'universo, la formazione degli elementi, la nascita della vita e l'evoluzione. La traduzione italiana riporta in appendice una piccola guida di I. Calvino che si richiama proprio a Lucrezio, il che non sorprende, visto che i racconti scientifici di quest'ultimo costituiscono una vera e propria summa dei maggiori eventi fisici, chimici e biologici della storia del cosmo. Anche i valori letterari, proposti nelle Lezioni americane, sembrano ispirati direttamente da Lucrezio (leggerezza, rapidità, esattezza). ;)
Naturalmente non bisogna esagerare a cercare nelle parole del poeta anticipazioni scientifiche e ci sembra che il più equanime su di Lui sia stato A. Einstein: "Vediamo come immagina il mondo un uomo dotato di autonomia di giudizio, portato per la speculazione scientifica, provvisto di immaginazione e intelligenza fervide, ma che non ha la minima idea delle nozioni di fisica che si insegnano ai bambini."
Ma il valore scientifico dell'opera del Nostro non risiede negli specifici dettagli, bensì nella generale visione, nell'aver capito che gli argomenti scientifici sono fonti pure a cui abbeverarsi, per sciogliere ciò che è stato annodato dalla religione/superstizione! :clap:


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere IX

Oh umano lettore, libera il cuore dagli affanni, allerta la mente e porgi l'orecchio alla vera dottrina. Non giudicare le parole che ti offro, prima di averle comprese e meditate.
Ci fu un tempo in cui, per nostra vergogna, la vita umana giaceva atterrata e soffriva oppressa dal peso della religione. Essa sporgeva l'orribile volto dal cielo e incombeva dall'alto sui mortali.
E venne un uomo chiamato Epicuro, un greco, che per primo osò guardare in faccia la religione con i suoi occhi mortali ed ergersi contro; non temette la fama degli dèi, né i fulmini e i tuoni celesti, anzi ne ricavò la forza d'animo necessaria a spezzare per primo le spranghe poste dalla religione alle porte della Natura!
Una volta sondate, varcò le mura fiammeggianti della Sfera del fuoco, che separa il cielo dalla Terra. Percorse con la mente e il cuore le immensità del tutto. E ne tornò vittorioso, riportando notizie su ciò che può o non può nascere, su quali siano i caratteri e le caratteristiche delle cose.
Con la sua vittoria ha sottomesso la religione ai nostri piedi, elevando noi al rango del cielo. :clap:


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere X

A prima vista può sembrare ci sia contraddizione fra l'Inno a Venere e la condanna della religione, in realtà né Lucrezio, né Epicuro erano atei, potremmo oggi definirli deisti anticlericali, alla maniera di Voltaire. Professavano una fede in dèi astratti, impermeabili all'umanità, ma se poi si mettevano a considerare come era applicata la fede corrente, ecco che ritorna il concetto di empietà e scelleratezza! Ad es, nella città di Aulide il fior fiore degli eroi achei deturpò con il sangue di Ifigenia l'altare della vergine Diana! Quando, prima del sacrificio, alla ragazza fu tolta la benda dagli occhi, vide il padre col volto mesto, i sacerdoti che vicino a lui nascondevano le lame e i cittadini che piangevano, si rese conto forse di tutto e cadde in ginocchio terrorizzata!
A quale male aveva condotto la religione: la primogenita del re di Micene e grande capo della spedizione a Ilio, immolata dallo stesso padre affinché la flotta potesse salpare per Troia! :grr:


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere XI

Forse, o lettore, non riuscirai a seguirmi, vittima di discorsi intimidatori di chi sa inventare, in modo da sovvertire tuti i princìpi della vita e deturpare col timore ogni certezza! Se gli uomini sapessero che gli affanni dell'esistenza finiranno con la morte, saprebbero ben resistere alle superstizioni e alle minacce dei sacerdoti, ma non c'è modo di opporsi fino a quando si temono tormenti esterni dopo la morte.
Se vogliamo fondare su "sensate esperienze e necessarie dimostrazioni" le cose supreme come il moto del sole e della luna e gli avvenimenti sulla Terra, a maggior ragione dovremmo indagare la vera essenza dell'anima.
So bene quanto sarà difficile illustrare nella nostra lingua le oscure scoperte dei Greci e talvolta dovrò coniare parole nuove, ma lo farò volentieri, perché alfine tu sappia che non sono i raggi del sole o la luce del giorno a dover dissipare il terrore e le tenebre dell'animo, ma la ragione e la visione scientifiche. :clap:


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere XII

Il principio da cui esordiremo è che tutti i fenomeni, apparentemente inspiegabili e che crediamo avvengano per volere divino, possiamo spiegarli senza dover scomodare gli dèi. :old:
Ogni cosa esistente ha il proprio seme, una propria specificità genetica e quindi può vedere la luce solo in un luogo in cui sta quel tipo di seme. Perché in primavera sbocciano le rose, d'estate matura il grano e d'autunno si vendemmia? Se le cose fossero create dal nulla, nascerebbero all'improvviso in qualunque tempo e luogo, i bambini potrebbero di colpo ritrovarsi adulti e gli alberi spuntare dalla terra, già con le foglie e i frutti. :champion:
Infine, alcune terre sono più fertili di altre e, se coltivate, dànno frutti migliori e il perché è chiaro: contengono elementi più produttivi che noi mettiamo a frutto dissodando, vangando e arando. :)
Quando le cose prodotte si dissolvono, la Natura le riduce agli elementi primi, non le distrugge (nulla si distrugge), altrimenti esse sparirebbero di colpo dalla nostra vita. Invece esse sono costituite da atomi indistruttibili, fino a quando non intervenga una forza tale da disgregarla, penetrando nei vuoti fra gli atomi per separarli.
Nell'infinità del tempo passato se ... tutta la materia si sarebbe ormai consumata, invece le cose esistono tuttora perché gli atomi sono indistruttibili e non svaniscono nel nulla, invece si trasformano. :)


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere XIII

Penso di aver dimostrato che nulla si crea e nulla si distrugge, bensì ogni cosa si trasforma, ma tu potresti non crederci, perché non puoi vederlo con i tuoi occhi. Pensa però di quant'altro sei costretto ad ammettere l'esistenza, pur senza poter vedere? Il vento, gli odori e, sempre con gli occhi non sentiamo né il caldo, né il freddo, così come i suoni; eppure crediamo a tutto ciò che percepiamo, anche se non lo vediamo. Oppure, i panni stesi al sole si asciugano, ma l'umidità che esce non si vede proprio. Analogamente le rocce sono scavate dalle gocce di acqua e le lame degli aratri si usurano, le lastre del selciato si consumano e le statue di bronzo si levigano a forza di toccarle.
A occhio nudo ci accorgiamo che le cose si dissolvono poco a poco, ma l'invidiosa vista ci impedisce di percepire le singole particelle che se ne vanno e quindi possiamo concludere che La Natura agisce mediante corpi invisibili, ma reali. ;)


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere XIV

Nella Natura c'è anche il vuoto e saperlo ci potrà essere utile. Se non ci fosse, le cose non potrebbero muoversi, perché i corpi oppongono ostacolo e resistenza e in mancanza, non sarebbero venute al mondo, perché non ci sarebbe stato spazio per contenerle. Le cose stesse, benché ci appaiano compatte e piene, sono porose e quindi contengono parti di vuoto dentro di sé. E poi, perché alcuni corpi pesano più di altri, benché abbiano lo stesso volume? Se un gomitolo di lana contenesse tanta materia quanto una palla di piombo, avrebbero lo stesso peso. :)
Le proprietà essenziali delle cose sono quelle che non possono essere disgiunte da esse: non si può staccare il peso dal masso, il calore dal fuoco e l'intangibilità dal vuoto etc.
LIbertà e schiavitù, guerra e pace, possono esserci o no, ma con o senza di loro, l'essenza delle cose rimane qual è.


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere XIV

Il tempo non esiste di per sé, sono i corpi e le loro posizioni nello spazio a dar senso a quanto è successo in passato, accade nel presente e avverrà in futuro. Quando si dice che Elena è stata rapita e che si è combattuto a Troia, non s'intende che sono esistite cose chiamate "il rapimento di Elena" e "la guerra di Troia", bensì che quelli erano accidenti di una persona e di una città, ormai irrevocabilmente spazzate via dal tempo passato. Infatti gli eventi si riferiscono sempre a corpi materiali, come quello di Elena, o a luoghi spaziali, ubicazione di Troia. Se non ci fosse stato il corpo di Elena, Paride non si sarebbe infiammato di amore e senza lo spazio in cui si trovava Troia, non si sarebbe ivi introdotto nessun cavallo di legno!
Tra i corpi, alcuni sono semplici e altri composti, i primi si chiamano atomi e sono indivisibili (appunto), anche se a prima vista è difficile per l'uomo credere all'esistenza di cose indivisibili. Sembra che non ci sia niente di semplice, ma la ragione e la natura delle cose ci diranno altrimenti e. con questa opera, cercherò di dimostrare l'esistenza degli atomi, le loro proprietà e il modo in cui essi costituiscono tutte le cose del mondo. :)


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere XV

Se non ci fosse il vuoto, tutto sarebbe materia e viceversa, ma poiché non esiste né il pieno, né il vuoto assoluto, devono esserci atomi capaci di aggregarsi per delimitare il vuoto. Abbiamo già "dimostrato" che nulla si crea e nulla si distrugge, per cui certi atomi devono essere immortali onde permettere il farsi e il disfarsi delle cose e, poiché sono stati usati e riusati incessantemente per aggregare le cose più diverse, questi atomi devo essere del tutto semplici.
Se la Natura non avesse posto un limite minimo alla disgregazione delle cose, nel corso quasi infinito del tempo la disgregazione avrebbe finito con il prevalere, perché essa è più facile dell'altra (principio di entropia).
Da quanto abbiamo detto discende che si sbagliavano di grosso coloro che credevano che il fuoco fosse l'elemento primordiale e in particolare Eraclito, che si guadagnò fama imperitura soprattutto per il suo pensiero oscuro! D'altra parte gli stupidi ammirano e amano tutto ciò che si nasconde dietro parole enigmatiche e prendono per vero tutto ciò che accarezza le loro orecchie, vale a dire: suona bene! :x
Basti dire che il fuoco non è un elemento semplice.
Comunque, lontani dal vero non sono soltanto coloro che pensano al fuoco, ma anche chi sostiene che tutto è aria, acqua o terra o combinazioni dei quattro elementi.


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Piergiorgio Odifreddi "Come stanno le cose, il mio Lucrezio, la mia Venere XVI

Nell'Amleto, riferendosi al mondo mentale, il Principe di Danimarca dice: "Potrei essere confinato in un guscio di noce e considerarmi re di uno spazio infinito, se non facessi brutti sogni!"
Lucrezio invece ne fa di ottimi e quello dei versi I,951-1007 gli permise di immaginare uno spazio infinito e di fornire vari argomenti di plausibilità al proposito.
Nel 1584 Giordano Bruno prese spunto dal sogno per il titolo del suo "De l'infinito universo et mundi" e Newton, in una lettera commentò in questo modo: "La forza delle argomentazioni consiste nel fatto che, se la natura delle cose fosse finita, i corpi più remoti non rimarrebbero in equilibrio e, a causa della gravità, tenderebbero verso l'interno e dovrebbero ormai trovarsi al centro del tutto."
L'idea di Lucrezio fu riformulata nel 1883 da Ernst Mach: "L'inerzia di un corpo è determinata dalle masse dell'intiero universo." Trent'anni dopo Einstein chiamò questa formulazione "principio di Mach" e l'assunse come guida per lo sviluppo della relatività generale. ;)


Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì :bll:

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.

"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono." :)
Gimbatbu
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Re: Filosofia

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