Filosofia

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lemond
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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXVI

La modernità ha aggravato la "dialettica dell'imbecillismo": siamo sradicati in una società complessa e non sappiamo come comportarci, precipitando spesso nell'angoscia. Il rifiuto delle tradizioni e la ricerca dell'originalità ha portato alla luce un mondo pieno di dilettanti e quindi ora esso ci sembra composto soprattutto da imbecilli, mentre prima apparivano i gruppi. In Grecia ad es. c'erano i meteci, gli iloti, i barbari, ma essi non esprimevano l'imbecillità individuale.
Secondo me, è questo aspetto umano che ci mette in connessione diretta con il male e quindi non sono certo d'accordo con l'insopportabile Rousseau, quando declama: "Oh virtù, scienza sublime delle anime semplici". (Stesso discorso con i poveri di spirito). Ci si chiede se questi non siano mai stati sfiorati dal sospetto che sia vero il contrario? La misantropia e non la filantropia è la chiave di comprensione e l'imbecillità, non l'ignoranza come sostiene Socrate, l'origine del male e infatti l'"akrasia" (cioè la debolezza della volontà) inspiegabile in base all'ignoranza (perché una volta che so che gli zuccheri ingrassano dovrei smettere di ingozzarmi?) è comprensibile invece con ... (continuo, perché sono un imbecille!) :crazy: :diavoletto: :crazy:


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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXVII

Per chi vuole ipotizzare in tutti i modi un *dio personale* (anche se sembra una mossa né utile, né giusta) vorrei proporre la sostituzione del male con l'imbecillità, perché essa fornisce una risposta sodisfacente agli interrogativi della teodicea. Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, dunque - se risaliamo dal condizionato alla condizione, dalla creatura al creatore - era a suo modo difettivo. :)
Dopo tutto che cos'è il terremoto di Lisbona del 1755, se non un pasticcio in grande stile, che ha procurato enormi difficoltà al suo presunto mondante e ha fornito una apologetica indiretta ad "agenzie" alternative? :diavoletto:

P.S.

La mattina del 1° novembre 1755, festa di Ognissanti, Lisbona si risvegliò presto.

I fedeli, in piccoli gruppi, iniziarono a incamminarsi lentamente verso le chiese cittadine per partecipare alle solenni funzioni sacre, mentre nell’odierna Praça do Comércio – allora conosciuta come Terreiro do Paço (Piazza del Palazzo) perché vi sorgeva il Palazzo reale – cominciava il solito via vai quotidiano di persone e carri ...


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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXVIII

Il mondo retto dal principio della ragione in ultima analisi non è che apparenza, perché in un colpo di stupidità si può rivelare l’essenza, ossia quello che veramente siamo. Dunque che fare con l’imbecillità? Volerla, fuggirla, rassegnarci? Riusciremo mai a farci furbi e a imparare a vivere? :dubbio: :dubbio: :dubbio:


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Re: Filosofia

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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXIX

Catone, ci narra Cicerone, era solito chiedersi come fosse possibile che un aruspice non ridesse, incontrando un altro scopritore di segni? Ma il motivo di tale mancanza è molto semplice: il riso era inibito dalla impassibile paranoia che stava alla base dell’alto concetto che avevano di sé!
Ride solo chi non sa, pare abbia detto Brecht e può darsi che avesse ragione, perché anche la persona più intelligente non potrà mai dirci, fino in fondo, come qualcosa o qualcuno lo faccia ridere. Però si ride ed è anche vero che la mancanza di senso del ridicolo è considerato, e non a torto, come una circostanza che basta a definire un essere umano come un imbecille. In altre parole il senso del ridicolo è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per un’uscita, sia pure aporetica, dall’imbecillità. :)


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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXX

Di sé stessi, facciamoci caso, si piange più di quanto non si rida. L’oggetto del riso invece sono gli altri, perché la nostra presa di coscienza è orientata verso il mondo esterno, ma proprio questo dovrebbe far riflettere sui limiti di questa coscienza, che ci fa ridere del “Grande dittatore di Chaplin”, ma è anche quella che ride delle sue barzellette e magari organizza dei progrom. Soprattutto, per imbecilli che siano gli altri, siamo sicuri che non siano comunque meglio di noi? :dubbio:


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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXXI

Lo abbiamo visto: l’imbecillità non esclude il genio, ma con il trascorrere del tempo è successo qualcosa, che possiamo chiamare cultura, educazione, senso del ridicolo e tutto ciò possiamo considerarla come una diga costruita per tamponare quel mare immenso di imbecillità, che è il genere umano.
Non c’è bisogno, come sostiene qualcuno, di credere nella resurrezione della carne. Basta quella dello spirito, ovvero la cultura.
Riassumendo, dopo la certezza sensibile (rido) e la coscienza (rido di qualcosa o di qualcuno), bisogna giungere all’autocoscienza: il risibile potrei essere io, sia per me stesso (raramente), sia per gli altri (il più delle volte).
Chi è consapevole di essere imbecille è, a priori, meno tale di chi non lo sa. L’autocoscienza va di pari passo con la scoperta della mediocrità. :)


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U. Galimberti


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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXXII

Marc Girardin ha scritto una frase che resterà: “Siamo mediocri!” (in senso esortativo). Egli, che era molto meno mediocre di tanti altri, propone il contrario delle sbruffonate che hanno per oggetto eroi e santi! E poiché di inni alla mediocrità se ne son visti pochi nella storia, possiamo convenire che Girardin manifesta una grande originalità e ci vuole un bel coraggio a sostenere un ideale raro e implausibile, quasi una Hybris demoniaca (avrebbero pensato i greci). ;)


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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXXIII

Da un punto di vista statistico-geometrico la mediocrità è una funzione gaussiana: il 50% del genere umano è al di sopra della media, mentre l’altra metà è inferiore. Valla a trovare la mediocrità!? :D Ciò che chiamiamo così non è né la medietà aristotelica, né quella matematica, bensì il risultato di un esercizio ascetico e quindi una metà quasi impossibile.
Si potrebbe proseguire a lungo su questo argomento, ma è meglio fermarsi su una considerazione che l’esperienza, prima o poi, rende inevitabile: non c’è un imbecille che in qualche momento della vita non si sia identificato con Napoleone, ma ci è voluta tutta l’arte di Tolstoj per capire che il vero eroe è Kutuzov, il cortigiano che temporeggia e lascia che la grande armata sia battuta dal Generale Inverno. :)


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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris "L'imbecillità è una cosa seria". XXXIV e ultima

Molti anni fa Umberto Eco si immaginava il dialogo fra Socrate e un discepolo, nel quale il grande filosofo sosteneva che per morire senza rimpianti bisognava convincersi che il mondo è pieno di imbecilli. Se riusciamo a convincerci di questo, anzi che lo sono tutti, noi compresi, il congedo sarà più lieve.

P.S. Ogni epoca ha i suoi tromboni, così come ha i suoi bugiardi, furfanti, santi e, ovviamente, i suoi imbecilli.


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Re: Filosofia

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Siamo vicini o lontani all'evento/avvento del comunismo? Rispondono M. Ferraris e A. Badiou



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Re: Filosofia

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Maurizio Ferraris al festival della laicità

2015

2017 con intervento anche di un grande filosofo francese


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Boh lo metto qua anche se un po' ot. Interessante. Io li vedo i post 2000 tutti i giorni a scuola. Mi accorgo anch'io di ste cose a grandi linee perchè non sono un nativo digitale e c'ho un filtro abbastanza decente per ste cose. Poi col master in webmarketing riconosco le tecniche ma quello che dice non è esagerazione.


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matteo.conz ha scritto: giovedì 21 marzo 2019, 23:11 Boh lo metto qua anche se un po' ot. Interessante. Io li vedo i post 2000 tutti i giorni a scuola. Mi accorgo anch'io di ste cose a grandi linee perchè non sono un nativo digitale e c'ho un filtro abbastanza decente per ste cose. Poi col master in webmarketing riconosco le tecniche ma quello che dice non è esagerazione.
Interessante, anche se un po' (parecchio) esagerato. P.S. Comunque è una cosa vecchia, perché la religione questa cosa l'à sempre fatta! :x


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Ho scritto nell'altra discussione (Presentiamoci) [dove mi son dimenticato (ma in verità l'ò fatto volutamente, perché non volevo chiarire :diavoletto: ) di ringraziare Neme per avermi associato nei saluti e quindi lo faccio qui :clap: :cincin: ]: "da oggi comincerò una storia molto sintetica della filosofia, appositamente prevista per coloro che ne sanno poco o nulla (si potrebbe dire divulgativa)".

I puntata


Solo per far capire a chi vuol farlo come nessuno ha detto/scritto il giusto/vero. Si tratta di approssimazioni talvolta in avanti, altre indietro, ma quasi in tutti i pensatori qualcosa di buono si trova. L’eccezione forse è Agostino d’Ippona che pensava solo per conto di sua madre e della libido e che poi credeva di aver scritto qualcosa di importante sul tempo, ma che alla luce della fisica teorica, ormai è diventato una variabile di cui si può fare a meno, come se non esistesse. ;-) (Cfr. Carlo Rovelli

Possiamo cominciare con due aforismi anonimi e che servono da prolegomeni alla nostra storia.

In ogni società il potere /denaro non è mai un mezzo, bensì il fine ultimo
La religiosità è talmente simile alla pazzia, che è impossibile distinguerle! ;-)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia II

La filosofia è nata (si può dire) in Grecia intorno al V secolo prima dell’era moderna, ma con questo non si vuol dire che prima non ci fossero stati pensatori, ma solo che a essi mancava il desiderio di conoscere il tutto e forse avevano ragione, perché è un desiderio che rimarrà per sempre tale. ;)
Però è anche meglio così, perché così anche in futuro ci sarà bisogno di chi vuol "filosofare". ;)
Però qualcosa di questi grandi è rimasto e vedete voi se è poco o tanto.
Prendo due massime che si trovavano nel tempio di Apòllo a Delfi “Conosci te stesso” e “Nulla troppo”. Esse sono rimaste nei secoli e che cosa esortavano a fare?
La prima forse era ambivalente, perché poteva significare che occorreva essere consapevoli delle proprie possibilità e quindi anche dei limiti, oppure consigliava soltanto di chiarirsi le idee prima di interpellare la divinità. La seconda invece è la massima seguita da tutti i greci nell’antichità e consiste nella parola forse più famosa in Grecia: *Hybris*
Il concetto di hýbris (ὕβϱις) sta alla base del sistema di valori proprio del mondo greco arcaico. Il termine originariamente significava “violenza”, “tracotanza” e si riferiva ad un comportamento particolarmente biasimevole perché lesivo dell'onore altrui. L'uso giuridico si unisce poi alla valenza religiosa: l'hybritès è colpevole involontariamente, perché spinto ad agire dal volere del fato. L'hýbris è un accecamento mentale che impedisce all'uomo di riconoscere i propri limiti e di commisurare le proprie forze: chi ha ambizioni troppo elevate e osa oltrepassare il confine posto dagli dei, pecca di hýbris e incorre in quella che viene chiamata “invidia degli dei” (fthònos theòn); allo stesso modo chi non utilizza le proprie capacità, esce dalla sfera umana per ricadere in una ben più infima, quella bestiale.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia III

Eraclito/Parmenide tutto si trasforma o resta sempre uguale a sé stesso? La realtà per il primo è un qualcosa che non potremo mai afferrare, perché ci sfugge sempre fra le mani! Se provo a entrare in un fiume mi accorgo che mentre immergo il piede, il fiume è già cambiato, rispetto a quando avevo alzato la gamba!
Per il secondo invece l’essere è (sempre eguale a sé stesso) il non esser non è. E aggiunge che per essere si intende anche qualcosa che non esiste, ma che può essere pensato. Per un botanico a es. un fiore che lui cercare di far nascere con opportuni innesti, per un religioso… Dio.
Rimane ciò che non è, che non potrà mai essere e quindi egli nega il divenire, perché il non essere è tutto ciò che non si può nemmeno pensare e per negare il movimento un suo discepolo (Zenone di Elea, non lo Zenone fondatore dello stroicismo) creò alcuni paradossi, fra cui il più famoso è quello di di Achille (piè veloce) e della tartaruga. ;)
Una commedia di Epicarmo di Siracusa illustra bene la dicotomia fra le due scuole. Essa si intitola “La speranza e la ricchezza”, laddove la prima ci fa pensare a Eraclito, che spera che le cose cambino sempre e quindi il povero può … La ricchezza invece è quella del capitalista che si augura che nulla cambi (Parmenide).
P.S. La diatriba fra permanenza e mutamento è destinato a durare per sempre, almeno per l’uomo che conosciamo noi. ;)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia IV

Pitagora/Galileo (cenni) Tutte le cose che si conoscono hanno un numero, senza di esso non sarebbe possibile conoscere. La matematica è il linguaggio del mondo e per fare un esempio in geometria: uno è il punto, due la linea, tre la superficie, quattro il volume. Per quanto riguarda l’aritmetica è facile comprendere la maggiore mobilità dei numeri dispari, perché se si sommano due di loro dànno, come risultato, pari, mentre è impossibile per i secondi generarne uno dei primi. Grande sconcerto fu per i pitagorici la scoperta della radice quadrata del numero 2 e di tutti i numeri cosiddetti irrazionali. Però si consolarono ben presto con la musica: la differenza di altezza dei suoni dipende dal numero di vibrazioni che si producono, più frequenti sono le vibrazioni, più è acuto il suono. L’ottava, ad es. ha un numero di vibrazioni doppio rispetto alla prima. Ma Galileo cercò di tradurre la matematica in ogni campo, perché era convinto che la natura fosse scritta in tale linguaggio e cercò sempre conferma dalla matematica in ogni sua scoperta. Ad es, nella caduta dei gravi costruì dei piani inclinati su cui fece scorrere delle sfere di bronzo. Fissando un’unità di misura del piano e collegando a esso una bilancia ad acqua, verificò che per un percorso della biglia pari poniamo a dieci cm, il tempo impiegato era una certa quantità di acqua e che quando tale quantità era doppia, significava che il percorso della bilia era quadruplo. E questa corrispondenza matematica esisteva sempre e comunque.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia V

Abbiamo accennato in precedenza alla massima scolpita al tempio, ma a renderla più famosa non fu il dio, bensì uno dei filosofi più originali che potesse contare il monto antico: Socrate.
Egli, che pensava di conoscere sé stesso abbastanza bene e che si riteneva un filosofo dilettante e ben conscio di dover molto imparare dagli altri, si sorprese molto quando la Sibilla dette il responso che non c’era nessuno in Atene più sapiente di. Lui, che usava il non sapere come un ritornello, cercò subito di verificare se quell’affermazione non fosse uno scherzo e cominciò a interrogare tutti i cittadini che erano noti per la loro sapienza, massime i sofisti che avevano appunto nel nome l’omen. ;) Fra questi Ippia era uno dei più importanti e Socrate gli chiese la definizione di bello. Alla fine si scopre che, come lui, neppure Ippia sa definire il concetto, ma almeno Socrate è consapevole della sua ignoranza. Pertanto in questo è superiore all’avversario e forse sarà questo il motivo per il quale l’oracolo ha decretato la vittoria di colui che Platone sceglierà come suo maestro. ;)
Molti suoi contemporanei si chiedevano se fosse sincero nelle sua professione di ignoranza o non piuttosto un espediente per mettere in imbarazzo chi gli capitava a tiro? Probabilmente proprio del tutto non lo era e si serviva dell’ironia e dell’opporre verità contraddittorie per giungere (avrebbe osservato Hegel) a quella che poteva essere una verità migliore. Lui la chiamava arte maieutica, in onore al mestiere della madre (levatrice). ;)
Il suo scopo ultimo era la lotta all’ignoranza, perché aveva il convincimento profondo che i malvagi sono tali, perché non conoscono quale sia il loro bene. Se un delinquente si fosse reso conto della vera essenza dell'azione non l’avrebbe compiuta (un po’ come i grullini di oggi in Italia). :D
Il criminale, anziché punito, andrebbe istruito e forse da lui prese il modello Cesare Beccaria quando scrisse “Dei delitti e delle pene”. ;) e lo stesso hanno fatto Colombo e Sini qui


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia VI

Protagora

L’uomo è misura di tutte le cose, cioè non è come dice Socrate che si debba ricercare la verità di per sé, ma è solo l’uomo che rende le cose più o meno vere (perché poi in effetti la traduzione vera dal greco non sarebbe cose, ma valori). Questa definizione è stata ripresa da Nietzsche con “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” e ha avuto l’apogeo con il “post moderno”. Egli era un sofista (sapiente) e si faceva pagare lautamente per insegnare l’arte di prevalere nelle discussioni con un metodo era semplice: occorre conoscere ogni volta la parola opportuna nel momento in cui serve. Questo richiama alla mente Don Milani che sosteneva che la differenza fra il padrone e il servo era che il primo conosceva molte più parole dell’altro. Naturalmente P. si vantava di di saper ribaltare ogni situazione e permettere così a una ragione debole di diventare forte. ;) E’ nel P. di Platone che può leggere il mito dei fratelli Prometeo/Epimeteo (colui che vede prima -pro- e l’altro che capisce dopo -epi-).
Quando furono create le stirpi mortali Zeus incaricò i due di distribuire i talenti e le facoltà a ogni specie animale. Epimeteo cominciò con le bestie, ma quando arrivò all’uomo (siccome era stato come dice il suo nome poco previdente) non aveva più nulla. Rimediò Prometeo che dette alla nostra specie, oltre al fuoco, la sapienza che serve molto di più degli artigli, velocità e del pelo.
Protagora sosteneva che le c.d. antilogie che in greco significano “discorsi che si contraddicono”: per lui ogni questione presentava due facce contrapposte e sta al filosofo illustrarne pregi e difetti di entrambe e poi scegliere quella che ci fa più comodo.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia VII

Platone


È considerato da molti il massimo filosofo dell’umanità, anche se il suo nome vero è, per lo più sconosciuto (Aristocle) e tutti invece lo chiamano l’uomo dalle “grandi spalle” (Platone appunto). ;-)
Il fascino del pensiero del Nostro deriva dal presupposto che le idee SONO, mentre tutto il resto assomiglia a esse e ne sono immagini. E anche gli uomini altro non sono che emanazioni di idee eterne, alla maniera in cui le ombre si generano dai corpi. La geometria è la materia che più si presta a spiegare l’idea platonica degli occhi della mente: posso raffigurarmi un esagono anche se non mi è mai capitato di vederne uno con gli occhi. ;) Stesso discorso per gli animali: non abbiamo mai visto il cavallo o l’uomo, però ne abbiamo il concetto mentale, anche se i cavalli e gli uomini in carne e ossa, che incontriamo per strada, non coincidono perfettamente, ma sono solo, diciamo così, simulacri. Come il sole genera sia la luce, sia le ombre, così per Platone le idee ci offrono sia i modelli eterni, quanto le copie terrestri, paragonabili alle ombre. ;) La vera conoscenza non sarà mai raggiunta in questo mondo (aveva anticipato gli scienziati di oggi) e di ciò dà una grande rappresentazione attraverso il suo racconto, forse più celebre: il mito della caverna. E infatti il prigioniero troglodita, che è riuscito a evadere, quando torna dai compagni in catene sarà deriso da questi ultimi, perché incapace di percepire le ombre come loro!
Certo che la teoria delle idee è difficile da dimostrare e forse nemmeno Platone ne era del tutto sicuro, però avrà pensato: deve ancora nascere chi dimostrerà il contrario; ma si sbagliava, perché costui era già nato. ;)


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Re: Filosofia

Messaggio da leggere da nemecsek. »

lemond ha scritto: giovedì 2 maggio 2019, 8:17 "da oggi comincerò una storia molto sintetica della filosofia, appositamente prevista per coloro che ne sanno poco o nulla (si potrebbe dire divulgativa)".
Iniziativa personalmente molto apprezzata. :clap:

A quanto pubblicato finora dobbiamo intenderla come una " Sintetica Storia della Filosofia occidentale" o metterai in pentola upanisad, sistemi ortodossi veda e buddhanate varie?


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Messaggio da leggere da lemond »

nemecsek. ha scritto: mercoledì 15 maggio 2019, 21:16
lemond ha scritto: giovedì 2 maggio 2019, 8:17 "da oggi comincerò una storia molto sintetica della filosofia, appositamente prevista per coloro che ne sanno poco o nulla (si potrebbe dire divulgativa)".
Iniziativa personalmente molto apprezzata. :clap:

A quanto pubblicato finora dobbiamo intenderla come una " Sintetica Storia della Filosofia occidentale" o metterai in pentola upanisad, sistemi ortodossi veda e buddhanate varie?
Dell'oriente, mi dispiace, ma non so nulla e quindi hai ragione, cambierò il titolo.
P.S. Sentirò un mio amico "buddhista" se potesse scrivere qualcosa lui.
P.P.S. ti scriverò un m.s. :cincin:


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale VIII

Aristotele

La virtù, che è come la natura: più accurata e migliore di ogni arte, dovrà tendere al giusto mezzo. Anche lui, come tutti i greci, detestava la hybris! Poi, aggiungeva, rifacendosi a Protagora che l’uomo è misura delle cose sì, ma solo se è virtuoso; inoltre cita anche uno dei sette saggi (Cleobulo) “Ottima cosa è la misura”.
Con la definizione di virtù il cerchio si chiude, perché secondo A. essa altro non è che il superamento dei due vizi principali dell’uomo: il troppo e il poco. Chi ad es possiede il vero coraggio? Solo colui che riesce a evitare gli estremi: fobia e temerarietà.
Questa prospettiva può costituire una buona chiave di lettura per un pensatore multiforme come lui, che non lasciò inesplorato quasi nessun settore dello scibile umano, a maggior ragione se si tiene presente che il giusto mezzo non è frutto di un semplice calcolo, non è un concetto statico, bensì deve rapportarsi ad ogni individuo in guisa diversa (quella che va bene per lui, senza arrivare agli eccessi di Protagora, perché alla fine si deve anche tendere a quella ragionevolezza che dovrebbe essere comune a tutti).
Un esempio che ripresero i latini da Aristotele fu l’aforisma “absit iniuria verbis” e che dovrebbe essere portato ad esempio da chiunque: occorre sempre astenersi dall’offendere gratuitamente gli altri, perché non serve proprio, anzi …!
Talvolta però si rese conto che la medietà non era perseguibile, ad es. nella legge (“dura lex sed lex”), però talvolta si può porre rimedio e ritornare al caso nostro con l’equità. ;)
Per concludere facciamo riferimento alla logica, dove appunto il giusto mezzo è ben applicato con l’invenzione del sillogismo: l’argomentazione parte da due premesse e giunge alla conclusione mediana. ;)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale IX

Lo stoicismo

Il fondatore fu un fenicio, nato nell’isola di Cipro: Zenone, da non confondersi con l’altro Zenone (.., seguace di Parmenide e creatore di innumerevoli paradossi) e il loro motto era vivere secondo ragione anche di fronte al dolore e alla morte. Zenone non aveva il diritto (in quanto straniero) di acquistare fondi in Atene e allora la città gli mise a disposizione un porticato (stoà) dipinto nella piazza centrale.
Era superbo, ma non avido e non faceva pagare le lezioni che impartiva (a differenza dei soifisti) e ammoniva chiunque che abbiamo una sola bocca e due orecchie, per cui dobbiamo più ascoltare che parlare, ;) ma quel che ha detto è rimasto ancora oggi come epitome di imperturbabile nella sofferenza. Prima di lui nessun filosofo aveva negato alle passioni, né soprattutto al piacere e al dolore un ruolo essenziale e infatti le tragedie più amate dai greci ne abbondavano. Solo gli stoici introdussero l’apatia (apàtheia), che significa appunto assenza di passioni. Solo l’apatico è saggio, gli altri sono stolti.
Non confondiamoli però con gli asociali, perché essi non escludevano affatto di prender parte alla vita pubblica.
Il coraggio degli stoici, di fronte al dolore e alla morte, è diventato proverbiale e per loro il suicidio fu sempre considerato un comportamento degno di ammirazione. Di fronte all’impossibilità di conformarsi alla provvidenza razionale, anticipare la morte appariva un gesto naturale e a maggior ragione perché giudicavano il decesso come l’ultimo atto dell’esistenza, quello cioè che genera nuove forme (principio fisico tutt’ora valido: nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma),
Gli stoici furono anche fra i primi deterministi in quanto convinti che gli eventi seguano una necessità ineluttabile e gli uomini (a differenza della tragedia greca) possono farci poco o nulla. E di fronte al destino, vale il precetto di Epitteto astieniti e sopporta.
P.S. Non confondiamo il determinismo con il fatalismo, perché nel secondo si prescinde dalla ragione, nel primo no. E’ fatale che, prima o poi, piova, ma sono libero di andare a scapo scoperto o di coprirmi con un mantello. :)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale X

Lo stoicismo mostra una serie di paradossi, specie per la sua inflessibilità nel giudicare in bianco e nero e meglio di tutti a dimostrare che si poteva essere saggi in maniera meno esasperata fu Epicuro

Per lui la tranquillità dell’animo era la cosa più importante, insieme all’amicizia e al piacere nella vita privata, mentre si faceva beffe dell’ineluttabile destino degli stoici per il quale tutti sono infelici e a maggior ragione colui al quale non è capitato mai niente di male, perché è stato così privato di una così necessaria esperienza. :D
Ma il suo motto da tener presente è Vivi nascostamente, ovvero stai lontano dalla vita pubblica (mentre i greci avevano una parola non troppo commendevole al giorno d’oggi per il privato cittadino: idiota). Per Aristotel (e per i greci) prima veniva lo Stato e solo dopo l’individuo, secondo il principio per il quale il tutto c’è prima delle parti. Al contrario, per Epicuro, è dall’individuo che si deve partire. Ciò non significa che si debba essere egoisti e misantropi, solo è bene star lontano dal corrotto mondo della politica e non pensare che i dilettanti (grullini) siano migliori degli altri, anzi … L’ideale epicureo sarà poi ben congeniale allo spirito romano che definivano otium lo stato di libertà e Orazio scrive “Non vive male chi si nasconde dalla nascita alla morte”. Il vantaggio maggiore dell’ozio è l’assenza di preoccupazioni, che gli epicurei chiamavano atarassia: la ritenevano possibile se si riusciva a non essere né ricchi, né poveri, a circondarsi di amici sinceri, a non avere ambizioni di potere e a comprendere che la felicità dipende in massima parte da noi stessi.
Secondo la sua diagnosi i turbamenti provenivano da quattro cause: la paura della morte, il timore degli dèi, il dolore e la sfiducia nel futuro. Vediamo i rimedi.
Epicuro, che si era formato alla scuola di Democrito, non credeva nell’immortalità dell’anima, però ideò il famoso detto che quando c’era la morte non esisteva più l’io e viceversa. ;) Gli dèi non esistono, quindi nessun timore. Il dolore è sempre sopportabile e quando è particolarmente violento si finisce per perdere i sensi e poi ci sono molti medicinali che hanno il potere di alleviarlo. Infine la sfiducia va combattuta, riflettendo che non è importante realizzare qualsiasi desiderio, ma soltanto quelli che sono alla nostra portata e questi ci daranno quei piaceri necessari a una vita degna, “in primis” se si riesce a circondarci di amici sinceri. ;)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XI

Con l’avvento del cristianesimo, a rigore, non si può parlare di filosofia (amore per il sapere e per la ricerca di esso), perché loro trovavano tutto ciò che volevano conoscere in un libro scritto secoli prima e quindi poco o niente avevano da spartire con lo scibile dei pagani. Purtroppo i risultati che conseguì Agostino di Ippona nel V secolo della nostra era fecero testo per lungo tempo nell’Europa cristiana, anche se si tratta per lo più di formule a cui credere per fede e non per ragionamento. La cosa che lo interessò più di tutto fu il tempo, ed è rimasto famoso quel suo “escamotage” per definirlo: “Se nessuno me lo chiede lo so, ma se devo spiegarlo agli altri non lo so più!” Dipoi prosegue con la mimèsi del mito di Crono e come si diceva prima, la trattazione delle sue tesi sul tempo hanno fatto testo per i c.d. secoli bui, quelli cioè in cui lo studio della fisica non era per niente consigliato! :(
Tertulliano fu il più refrattario ad accogliere l’eredità dei greci e anzi il suo scopo era attaccare, non perseguire la conoscenza (è un po’ l’alter ego di Catone uticense a Roma) e non sa, né gli interessa che cosa sia il dubbio filosofico, perché senza Cristo non ci può essere sapienza e il fatto che siano esistiti pensatori prima della nascita del redentore non lo sfiora minimamente, ma il suo capolavoro lo raggiunge con la massima per il quale è passato alla storia si deve credere tanto più la cosa sembra assurda alla nostra mente. Il figlio di dio è morto: è credibile, perché inconcepibile. Resuscitato, certo, perché impossibile. :D


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XIII

Che i dottori della Chiesa abbiano poco a spartire con la filosofia ce lo dimostrano anche alcune loro sentenze, come
Pier Damiani “La filosofia è ancella della teologia”. :crazy:
Anselmo d’Aosta (santo) “Non cerco di capire per credere, ma credo per capire”. :muro:
Ma la prova definitiva è che mai un filosofo deve esprimere sentenze, come invece era loro abitudine, bensì ragionamenti e, al massimo, esortazioni, ;)
Il più importante fra questi, che poi furono definiti scolastici, fu Tommaso d’Aquino (santo) che provò a dimostrare l’esistenza di Dio un po’ meglio di Amedeo d’Aosta, famoso per la prova c.d ontologica: Dio è l’essere perfettissimo e fra le sue perfezioni ci deve essere (per forza, è più che ovvio) l’esistenza. :crazy: :diavoletto: :crazy:
Tommaso fu chiamato anche il dottore Angelico (il che per un filosofo vero non sarebbe un complimento, visto che, dal greco, significa *messaggero* e quindi a rigore colui riferisce idee altrui) considera la ragione il preambolo della fede, cioè un percorso che occorre seguire per arrivare ad essa (quella vera), però poi sostiene che il vero pre- è Dio e che nulla esiste prima di lui. E i suoi tentativi intorno alla certezza dell’esistenza divina tornano sempre lì: dimostrante e dimostrato si scambiano i ruoli, perché in ogni dimostrazione si ritorna alla causa prima, che appunto doveva essere l’oggetto da ricercare.

Un caso particola è invece Guglielmo di Occam, l’unico pensatore vero fra gli scolastici e nella sua modernità, inusuale per l’epoca (nato circa nel 1285) ebbe la fortuna di precedere il sorgere dell’Inquisizione, perché altrimenti il suo poter pensare non sarebbe durato a lungo. :( A differenza di Epicuro, propugnava l’idea che un filosofo dovesse occuparsi di politica e studiò in particolare il rapporto fra l’Imperatore e il Papa e difese l’autonomia del primo.
L’aforisma per il quale è passato alla storia è il rasoio di Occam : ”Gli enti e i concetti non vanno mai moltiplicati oltre il bisogno, anzi si deve cercare di eliminare tutto ciò che è superfluo”. E questo suo motto ne hanno fatto buon uso gli scienziati e anche Napoleone Bonaparte quando sostenne che Dio si poteva trascurare in ogni relazione, a differenza della religione con la quale occorreva patteggiare e infatti ci fece un concordato. :)


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Re: Filosofia

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Qui, s.m. siamo al massimo della goduria intellettuale: Barbero e Ferraris insieme :clap: :clap: :clap:



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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XIV

Quando si esce dal lungo periodo dominato dal non filosofia che si può chiamare scolastica o secoli bui, i pensatori inneggiano a un uomo nuovo in senso positivo (non come a Roma ove invece “l’homo novus” era considerato un essere quasi spregevole) e il movimento è chiamato umanista.

Un detto particolarmente celebre in questo periodo è quello di Marsilio Ficino, per il quale l’anima è copula (collegamento) del mondo o, in altre parole, quando riflette l’uomo (il centro del mondo) riesce a scoprire la realtà dell’universo. Ad es. nella definizione l’uomo è mortale è la copula che collega l’uomo e la morte e ci dice in effetti molto su di noi. I greci in effetti non avevano altro termine per designare l’uomo, ovvero il mortale. ;)

Ma accanto a lui, c’è un altro filosofo, per il quale la psiche umana rivela tutta la sua migliore espressività nella stravaganza e costui è Erasmo da Rotterdam e il suo Elogio della pazzia.
La formula sembra paradossale, ma forse si tratta di un principio meno assurdo di quanto sembri, perché i comportamenti più ragionevoli sono spesso mediocri e ipocriti, al contrario l’iniezione di una dose moderata di follia conferisce energia alla vita e le dona il sapore (c’è anche un modo di dire comune, che il genio è accompagnato dalla sregolatezza). ;) [cfr. il dr. House] ;)
La parte più interessante del discorso è la penetrante capacità satirica del Nostro quando esamina i principali inconvenienti dell’ambiente sociale e culturale del periodo, con particolare riguardo al mondo ecclesiastico, da cui proveniva (figlio di un sacerdote e lui stesso canonico agostiniano). I teologi non sono folli, secondo lui, ma pazzi (cioè la parte deteriore della follia) e riescono a mettere a tacere (o peggio) con l’accusa di eresia e naturalmente riescono a spiegare (a modo loro) ai profani gli arcani più misteriosi e insondabili (per gli altri) della vera fede. Ma anche i più semplici fra i monaci non scherzano e più che agli atti di devozione, stanno a cuore le molteplici distinzioni fra un ordine e l’altro. Non si adoprano mai per essere simili a Cristo, ma per distinguersi fra loro! ;) P.S. Erasmo, in punto di morte, rifiutò il confessore. ;)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XV

Giordano Bruno fu forse il primo ad aver chiaro che “l’universo sarà di dimensione infinita e gli mondi saranno innumerabili”. Affermazione che la Chiesa giudicò senz’altro eretica, perché privava la Terra del monopolio di ospitare esseri pensanti che Dio non avrebbe potuto non assegnarle. Anche gli scienziati di allora la ritennero implausibile, oggi invece nessuno si sente di escluderla, perché la vita, date certe condizioni, è un processo non troppo difficile.
Molti conoscono la sorte che, purtroppo, subì il Nostro: nel 1600 fu bruciato vivo in Campo dei Fiori per ordine dell’Inquisizione! :( C’è chi avvicina la fine di Bruno a quella di Socrate, ma le ragioni della condanna del greco furono politiche, non religiose.
Bruno era nato ne 1548 a Nola e a quindici anni era entrato nell’ordine dei dominicani, rivelandosi subito un allievo prodigio. Ma ben presto cominciò ad avvertire il peso opprimente delle regole rigide dell’ordine, soprattutto tese a ordinare la mente. Pertanto, non tardò molto a deporre l’abito e a polemizzare con la Chiesa.
Si racconta che dopo la sentenza di morte si espresse così: “ Tremate più voi che mi condannate, anziché io che devo subire la sentenza!”
Bruno fu fra i primi copernicani, ma andava oltre, perché non riteneva che il Sole fosse al centro dell’universo e considerava infinitesima la distanza della Terra con il proprio astro e con la sua teoria dell’infinito fa così crollare la differenza abissale che Aristotele poneva fra la sostanza delle cose terrene e quella delle realtà celesti.
Egli fu anche il primo ad affermare il panteismo che avrà la sua definizione migliore con Spinoza, vale a dire che Dio non è un qualcosa che trascende la natura, ma è immanente ad essa, o come diceva Spinoza “Deus sive natura”. ;)
Si può concludere riportando un sonetto satirico con il quale sbeffeggia la Chiesa, accusando di asinità quei devoti (come il mio amico “cappellino, alias Renato Lazzeri) che sanno soltanto pregare, senza riuscire a vedere il fascino dell’infinito e che proprio in rapporto a quest’ultimo non sanno calcolare la durata (zero) del c.d. purgatorio! :D


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Re: Filosofia

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Umberto Galimberti - In dialogo con i nostri pregiudizi - Filosofarti 2019



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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XVI

Francesco Bancone (da non confondersi con Ruggero …) ha usato per primo “sapere è potere”, che poi è diventato quasi un “luogo comune”, ma lo può essere mai, perché è vero, per esempio qual è il motivo che nessuno conosce lo sterminio degli armeni? Semplice, perché questo popolo non ha avuto mai i modi culturali per farlo conoscere. :x
Egli cercò di spingere l’Inghilterra verso la tecnologia più avanzata, partendo dalla convinzione che l’uomo poteva dominare la natura, anche se poi un esperimento sul raffreddamento per la conservazione del cibo gli procurò la polmonite e la morte.
La massima di cui sopra non fu la sola inventata dal Nostro, sembrava quasi che vivesse per inventare aforismi sempre nuovi e, a proposito del grande progresso che si aveva al tempo della regina Elisabetta, inventò “è venuto il tempo di un parto virile”. ;) Vale a dire la demolizione dei pregiudizi e degli idoli che ciascuno di noi si costruisce! Occorre partire dalle cause e collegarle con gli effetti; solo con il coraggio di sperimentare si può arrivare, perché la mente senza verifica fattuale è come uno specchio deformante. Per cui si può dire che fu il fondatore del metodo sperimentale o scientifico, il che non è poco, specie se si guarda che cosa ha apportato all’uomo la scienza.
Per questo motivo Bacone fu accusato di utilitarismo, perché la sua scienza non guarda al cielo, come le dottrine di Aristocle (Platone), ma alla terra affinché l’uomo possa dominarla.
L’intento di assoggettare la natura lo portò all’uso del metodo induttivo: risalire dai fenomeni alle leggi che li regolano.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XVII

Galileo Galilei è, a detta di molti, il fondatore della scienza moderna, quella che è andata oltre Aristotele. E ciò è dovuto principalmente al fatto che il greco non aveva a disposizione il cannocchiale/telescopio, oltre all’uso più esaustivo che il toscano fece della matematica. In effetti il motto principale fu “la natura è un libro scritto con linguaggio matematico”. Si potrebbe dire che Galileo fu il Pitagora della nostra era, però con la precisazione non si servì di questo strumento solo a livello teorico, per formulare teoremi, bensì, da essa continuò a cercare conferme alle sue sperimentazioni.
Un altro elemento delle personalità del Nostro è l’inventiva, che gli permise di escogitare un modo per collegare il calcolo con l’esperimento, quale fu ad es. la prova delle biglie sui piani inclinati. Anche Bacone aveva una notevole perspicacia fantasiosa, ma, senza possedere la tecnica matematica, non poté arrivare ai risultati paragonabili a quelli di Galileo.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XVIII

Fra i numerosi ammiratori di Galileo, ci fu un personaggio di tale spessore da animare con le sue idee tutto il pensiero inglese del Seicento: Thomas Hobbes-
Egli non si proclamava ateo, però aveva una concezione di Dio piuttosto singolare: era materialista e quindi anche dio doveva avere un corpo, ma poi prese un grande distacco dai dogmi religiosi, perché non gli sembravano degni di studio.
La più grande vocazione fu la matematica, ma non riuscì mai a trovare la soluzione per la quadratura del cerchio, cioè trovare il lato del quadrato di area equivalente a quella di un cerchio dato.(*)
Messa da parte la geometria, non smise però di calcolare, perché secondo lui questo verbo era sinonimo di ragionare: non si deve pensare che il ragionamento (calcolo) si debba fare solo con i numeri. I logici, aggiungendo un nome a un altro, formano una proposizione; se sommano due proposizioni hanno un sillogismo e con la somma di alcuni di questi ultimi, una dimostrazione. ;) Quando poi, da un intiero ragionamento, ricaviamo una singola conclusione, non facciamo che operare una sottrazione.
Anche lo Stato, per Hobbes è il frutto di un calcolo: probabilmente alcune regole condivise da quasi tutti dànno una vita migliore agli uomini che la natura incontrollata. Infatti nello stato di natura ogni animale/uomo è nemico di ogni altro (a parte il branco/famiglia) quando non c’è nessuno che li governi (*homo homini lupus*). Solo i calcoli della ragione possono spingerci a cercare la pace e sorge così lo Stato, che T.H. definisce anche Leviatano, perché dispone di tanto potere e di tanta forza da poter imporre la propria alla volontà di tutti. Purtroppo una concezione così razionale dello Stato pecca di assolutismo, infatti il patto è irreversibile, a meno che non ci verifichi una rivoluzione. Però, secondo il Nostro, ci sono dei limiti al potere del Leviatano, insiti nel fatto che il suo fine è migliorare la condizione dei propri sudditi. E, secondo lui, se Carlo I avesse agito entro questi limiti, non ci sarebbe stata nessuna guerra civile e Cromwell non avrebbe potuto tagliargli la testa.

*Non lo so e quindi chiedo a chi conosce la matematica (es. El Condor), ma non mi pare troppo difficile trovare quel che cercava T.B. Ma forse mi sbaglio.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XIX

Cogito ergo sum (penso, dunque sono) nessuna massima ha raggiunto la popolarità di quella di René Descartes (Cartesio) fra coloro che non si occupano di filosofia. ;) Il motivo è forse che mai, a nessun pensatore, era venuto in mente di dubitare anche della propria esistenza (forse Berkeley successivamente). Perché fino allora lo scopo principale degli studiosi era quello di raggiungere la verità, ma che cosa è questa, se non si trasforma in certezza? Ma vincere ogni dubbio è un’impresa titanica! E se tutta la vita non fosse che un sogno?
Il suo modo di dubitare segna il trionfo della ragione, per cui il francese diventò il capo della corrente detta razionalista.
Per attuare il suo “dubbio metodico” non cominciò dalla natura (come Galileo e Bacone), perché ogni esperimento secondo lui porta con sé sempre qualcosa di accidentale e insicuro, partì invece dalla coscienza, unico campo di indagine, dove l’uomo può sperare di trovare una base sicura.
Dei sensi abbiamo già parlato, ma gli insegnamenti dei gesuiti? Se c’è un Dio onnipotente, chi può assicurarci che costui non abbia fatto in modo che non esista nulla, ma che invece noi percepiamo tali cose come esistenti? Qualcuno sostiene che Dio è buono e non può ingannarci, ma chi l’à detto? Qualche uomo sempliciotto, in definitiva. ;)
La situazione è disperata finché un giorno si sveglia e fa la sua grande scoperta: di qualunque cosa mi sia persuaso (vera o falsa) un fatto è certo: io esisto, anche se un Dio malvagio m’inganna!
Quindi IO sono, perché penso, dubito, concepisco, affermo, nego, voglio, immagino, sento. Cartesio esclude tutte le proprietà fisiche, perché prive di certezza e conclude che la cosa che pensa è immateriale: la nostra mente, che lui chiama spirito.
Questa conclusione non convinse Hobbes che, da materialista, non era disposto ad accettare così facilmente uno spirito pensante: “Non è una buona argomentazione dire che sono uno che pensa, dunque sono un pensiero, perché altrimenti potrebbe derivarne che, essendo uno che passeggia, akkora sono il passeggiare. :D
Cartesio distingue la “res cogitans” (cosa pensante) dalla res extensa (cosa corporea) e spiega la dualità con un esempio: “Quando il corpo subisce una ferita, è la coscienza che avverte il dolore, difatti sotto anestesia la stessa non provoca nessuna sensazione. Stesso discorso quando la mente comunica ad es. al braccio di muoversi”. I recenti progressi della neurologia hanno supportato questa tesi, oltre a individuare il punto esatto del cervello (non della mente) dove le decisioni sono prese. (cfr. Edoardo Boncinelli).
Leibniz formulò di questa dicotomia un’interpretazione teologica, immaginando che Dio avesse congegnato mente e corpo come due orologi sincronizzati, che prese il nome di armonia prestabilita. Ma come tutte le interpretazioni religiose fu presa in considerazione solo dalle menti più … i credini. :D


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Piccola storia della Filosofia occidentale XX

Alla vigilia dell'avvento dell'illuminismo, il movimento più ateo della storia, ci sono due pensatori per i quali Dio continua a essere il riferimento fondamentale, anche se in maniera molto diversa. Essi sono quasi contemporanei (Baruch Spinoza 1632-1677 e Isaac Newton 1643 - 1727), ma il primo, ebreo ribelle e scomunicato dalla sua comunità, uccide il Dio personale, prima di Nietzsche, identificandolo con la natura *Deus sive natura*, mentre il secondo si serve di Dio per dare risposte alle domande ultime della fisica, quelle cioè che non riesce a risolvere su basi scientifiche: "Non invento ipotesi" e quindi si affida a Dio. :D
Il messaggio di B. Spinoza è amare "dio" con l'intelletto: l'amore verso Dio è incompatibile con il pensiero razionale, ma se si toglie la *D* maiuscola, ecco che si può amare la natura mentre la si comprende e se Leopardi avesse approfondito Spinoza non avrebbe scritto

O natura, o natura,
Perché non rendi poi
Quel che prometti allor? perché di tanto
Inganni i figli tuoi?

La natura non promette niente, è come la matematica, l'unica realtà che esiste e che possiamo, come già detto, comprendere. Non c'è niente al di là o dopo ed è una sostanza unica e non due, come pensava Cartesio. Dall'unica sostanza divina (la natura) si può dedurre logicamente tutto il resto, così come le proprietà del triangolo derivano dalla definizione.
In altre parole si ha un capovolgimento del tipico itinerario medievale, che partiva dalla natura per arrivare a Dio, mentre B.S. trasforma ogni essere/cosa in una delle infinite manifestazioni della sostanza unica e, se vogliamo, possiamo chiamarla divina, ma con la d minuscola.
E la dicotomia fra spirito e materia? Sono solo attributi dell'unica sostanza e forse nemmeno i più importanti, dato che gli attributi sono indefiniti e se lo spirito sembra tanto importante ai teorici dell'immortalità dell'anima, così come la materia lo è per i materialisti, ciò accade perché noi uomini conosciamo soltanto questi due attributi della sostanza! (segue)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXI

Spinoza (seguito) "Non è vero che siamo liberi, anche se, siamo immortali"
Certo l'immortalità non è quella cristiana, data alla persona, bensì continuare a esistere, confluendo nella natura (nulla si crea, nulla si distrugge). In questo modo la metafisica di B.S. supera la concezione finalistica e antropocentrica del cristianesimo. La natura, non si pone alcun fine, essa è "point et à la ligne!"
Quanto al libero arbitrio, il Nostro non è il primo a rispondere che non esiste, già lo aveva scritto Lutero, ma si trattava di una prospettiva affatto diversa, perché secondo lui esisteva solo la volontà di Dio.
Al contrario Spinoza lo nega su basi scientifiche: le azioni di ciascun individuo sono determinate dalla caratteristiche che gli sono proprie (oggi si direbbe il suo a.d.n.) ed egli le paragona alla freccia che vola, dopo essere stata lanciata da un arco, se acquistasse coscienza in quel momento, penserebbe di essere lei a voler andare in una certa direzione. :)
In questo modo il razionalismo arriva alle estreme conseguenze: per l'individuo non c'è nessuna speranza; e sia Hegel che Nietzsche gli rendono omaggio. Il secondo proclamò che l'olandese era il suo precursore e l'altro affermò che: O sei spinoziano e non puoi dirti filosofo!"


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXII

Il teorico della gravitazione universale, I. Newton ebbe anche un grande interesse per la metafisica e fu sospettato (come Spinoza) di ateismo ed eresia, giacché a quell'epoca chi indagava i segreti della natura ... Lui però non fu mai diffidente verso la religione. A differenza di Spinoza, il Nostro non era impassibile, anzi molto irascibile e la polemica più virulenta l'ebbe con Leibniz a proposito del calcolo infinitesimale che ciascuno dei due aveva scoperto per suo conto.
Newton voleva procedere per certezze e non per ipotesi e bandire quest'ultime dalla scienza! La cosa si è poi dimostrata impossibile e lo stesso Einstein enunciò la teoria della relatività sotto forma provvisoria di ipotesi. Ma su quel concetto occorre approfondire, perché lui non accettava quelle ipotesi che pretendono di svelare il perché dei comportamenti naturali, cioè le cause occulte delle leggi fisiche. Insomma: la gravità è una certezza, ma non ne cercherò mai la causa; anche se da queste parole si può arguire il rimpianto di non riuscire a capire il perché.
Altro mistero è come l'universo abbia cominciato a mettersi in moto e, secondo lui, questo trascende la possibilità della mente umana e quindi non si stancò mai di ripetere: "Fisica, guardati dalla metafisica". Diversamente da Spinoza, però Newton si rifiutava di vedere dio come una cieca necessità e gli attribuiva invece il potere di una provvidenza sovrumana. È innegabile che qui si contraddica, ma, a differenza del grande olandese, lui è figlio del suo tempo! :x


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXIII

Quai sempre la ragione in filosofia è stata regina incontrastata, ma a cavallo fra la fine dei seicento e l'inizio del secolo successivo nelle isolo britanniche ci sono due filosofi che cercano di compiere una rivoluzione concettuale, mettendo i sensi al posto dell'intelletto.
Il primo fu l'inglese John Locke "La nostra osservazione è ciò che fornisce all'intelletto tutto il materiale (da pensare)", ovvero nell'intelletto non c'è nulla che non sia stato prima nei sensi.
Naturalmente il Nostro si schierò contro la teoria platonica delle idee innate: per lui l'uomo, quando viene al mondo è una "tabula rasa". Le idee ci vengono piano piano con l'esperienza, così come una casa è arredata a poco a poco, oppure, come si dice "Roma non fu fatta in un giorno" e per l'universo a Dio ne occorsero addirittura sei :crazy: Se un neonato fosse per sempre rinchiuso in un luogo dove si potesse percepire solo il bianco e il nero, costui da grande non avrebbe mai l'idea di rosso e di verde.
P.S. Vedremo poi che Leibniz per confutare Locke aggiunse che una cosa c'è che non proviene all'intelletto dai sensi ed è lo stesso intelletto. ;)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXIV

Il secondo filosofo "sui generis" fu l'irlandese George Berkeley, il vescovo che annientò la materia.
Perché un oggetto esista occorre che qualcuno lo percepisca, altrimenti non ha senso nemmeno parlarne. Una cosa non percepita da nessuno non esiste!
Questa teoria andò incontro a numerose obiezioni e vi fu addirittura chi lo consigliò di farsi curare in manicomio!
Il modo migliore per definire la teoria è spiritualismo ed egli era partito da un interrogativo che può venire in mente a chiunque, per esempio se sono esistiti davvero Giulio Cesare Roma antica? (Oppure, direi io Gesù e Achille?)
Noi ammettiamo che esistono numerose cose che non vediamo e che non vedremo mai, ma come posso essere certo della loro esistenza? E lui si risponde con il senso comune di allora: Dio, con la mente infinita, percepisce sempre ogni cosa in modo da farla esistere.
P.S. Berkeley sarà ripreso dal post-modernismo.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXV

Se c'è stato un pensatore che si oppose ai sensi di Locke e Berkeley questi è Gottfried Leibniz.
Era un entusiasta dell'intelletto e pensava che la ragione governasse il mondo, per lui siamo nella situazione migliore possibile e anche il male serve, perché senza di esso non avremmo quelle spinte che occorrono per migliorarci. Il male che nel mondo certamente esiste è un po' come la decomposizione del grano: senza di essa saremmo senza pane. ;)
Ma l'arma segreta per difendere la tesi del miglior mondo possibile era tirare in ballo la divinità, per cui si trasforma in "avvocato di Dio". Nemmeno per Lui sarebbe possibile la creazione di un mondo qualsiasi, perché deve rispettare il principio di non contraddizione, pertanto solo i mondi coerenti sono possibili e la coerenza richiede anche l'esistenza del male.
Ma la logica è troppo fredda per consolare chi soffre e sa che il dolore è *sempre* presente nell'esistenza umana. Pertanto, oltre che dai filosofi, la reazione alla tesi ottimistica proveniva anche dal buon senso della gente comune. Lo scrittore che più attaccò Leibniz fu Voltaire con il suo "Candide".
G.L. aveva una cultura sterminata, ma trattati e manuali non erano per lui e i suoi scritti furono sempre frammentari e anche il modo di scrivere non era accattivante (scriveva per sé e non per il lettore), però la massima che segue è comprensibilissima: "Un mondo perfetto postula che l'uomo sia libero, ma non lo sarebbe se non avesse la possibilità di fare anche il male". :)


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXVI

Nel Settecento il razionalismo prende un nome diverso: illuminismo, perché la ragione deve anzitutto illuminare, senza lasciare ombre nella mente degli uomini. Il pensatore che incarnò, più di altri, questo movimento fu di sicuro François-Marie Arouet, detto Voltaire.
La sua opera più importante fu il Dizionario filosofico, dove affronta con spietata ironia le vergogne più disparate dell'umanità, dalle guerre alle superstizioni. Denuncia altresì il fanatismo religioso e le ingiustizie sociali, non tralasciando di prendere in giro certe astrusità della metafisica.
Il bersagli di tutti gli illuministi fu il principio di autorità, cioè l'ossequio delle idee codificate, ciò però non significa che fossero tutti atei, anzi non sono nemmeno la maggioranza e a questo proposito Voltaire scrisse che "se Dio non ci fosse, bisognerebbe inventarlo". ;) Quasi tutti però concordano sul superamento del *dio personale*, concepito a immagine dell'uomo. Questa concezione ha assunto il nome di *deismo* nel senso che tale entità non si cura dell'uomo, non è una persona e non si può pregare e quindi le religioni confessionali sono solo superstizioni! Le beffe nei loro confronti sono una costante delle pagine di Voltaire. ;)
Ad es. che cos'è la fede? Semplice, credere in ciò che la nostra ragione ci dice che è falso! :D
L'unico consiglio che il Nostro dà come filosofo è di non aver fede, ma di vivere senza ragionare troppo, perché è forse questo è l'unico modo di rendere la vita sopportabile.


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXVII

L'altro volto dell'illuminismo era Jean-Jacques Rousseau, anche se di temperamento opposto: Voltaire ride, mentre l'altro piange.
Per lui il progresso è fonte di corruzione e l'uomo socievole, diventa malvagio! Certo questa tesi, che lo ha reso famoso, non fu molto apprezzata dagli altri illuministi che avevano concepito il mito del progresso, perché proprio in quel periodo la scienza cominciava a dare i suoi frutti. :)
Il buon selvaggio era una costruzione teorica che avrebbe dovuto operare nel campo dell'educazione, perché il bambino doveva essere salvato dalla società corrotta del denaro e delle convenzioni, dove non si ha il coraggio di apparire come si è. Emilio (il personaggio del suo romanzo) è allevato in campagna e solo quando la personalità è sviluppata potrà apprendere le scienze e le arti, ma non passivamente, perché è ora in grado di reinventarle, secondo il principio socratico della *maieutica*. Le sue ammonizioni educative sono di non contraddire la natura e non si deve obbligare un bambino a star fermo se si vuol muovere o a fare il contrario, perché egli non reclama niente senza motivo.
P.S. Per evitare di educarli così, Rousseau mandò tutti i suoi figli in un orfanotrofio. :grr:


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXVIII

Subito dopo l'illuminismo arrivò colui che è considerato il filosofo per eccellenza: Immanuel Kant, il quale aveva un'ottima opinione del periodo precedente: "L'illuminismo è l'uscita da uno stato di minorità mentale dell'uomo", perché aveva messo al primo posto la ragione che è l'unico strumento che può far luce e rispondere alle domande principali della filosofia.
L'aforisma che meglio lo caratterizza è che *siamo noi i legislatori della natura*, vale a dire non sono le leggi naturali a condizionare la nostra mente, bensì il contrario.
Per spiegare il concetto Kant ha bisogno di radiografare la mente dell'uomo e lo fa attraverso la sua opera più famosa "La critica della ragion pura".
Si parte dell'idea che le scienze sarebbero vuote se non ci fornissero nuove conoscenze. Es. di vecchio sapere, l'asserzione che l'uomo è mortale, oppure che la terra è sferica. Nella terminologia della logica un'asserzione si chiama *giudizio* e consiste nel collegamento di un soggetto (l'uomo) a un predicato (è mortale). Quando si acquisisce una nuova conoscenza, si opera, di conseguenza, un collegamento prima inesistente, cioè una sintesi di due elementi prima slegati. Il contrario della sintesi è l'analisi,
che invece definisce solo una precisazione di un collegamento già esistente.
Giudizio sintetico "Il liquore è amaro", perché di per sé il liquore non si sa che gusto abbia, prima di assaggiarlo e quindi oltre che sintetico, questo giudizio è anche *a posteriori*, perché per sapere che non era dolce ho dovuto assaggiarlo. Invece "un triangolo ha tre angoli" è un giudizio *a priori*, perché non ho bisogno di contarli per sapere che sono tre: qualsiasi triangolo, anche se non l'ò mai visto non può che avere tre angoli. Questo giudizio è però soltanto analitico, perché non collega due dati fra loro separati e quindi non fa progredire la nostra conoscenza. Pertanto la scienza ha bisogno di giudizi sintetici (che ampliano), ma anche sintetici (perché sono indubitabili). ;) [continua]


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Piccola storia della Filosofia occidentale XXIX

Ma esistono davvero i giudizi sintetici "a priori"? Kant risponde che fino a ora si è ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti, ma se provassimo a rivoluzionare il tutto? Si faccia la prova di vedere se saremo più fortunati facendo l'ipotesi che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza. La sua tesi è che *noi delle cose conosciamo a priori solo quello che ci mettiamo*. Questa nuova prospettiva è definita da lui *trascendentale*. Questo aggettivo va inteso in maniera diversa dal linguaggio comune: le asserzioni della scienza *trascendono* le esperienze singole, perché devono valere in generale, tutta via occorre definire il significato di generale, perché è limitato all'ambito dell'esperienze della nostra *mente*. Per esempio, se ci fosse un extraterrestre, probabilmente per lui non avrebbero nessuna validità, perché la sua struttura mentale sarebbe diversa.
Nella nostra, secondo Kant, spazio e tempo non sono realtà assolute indipendenti da noi, ma sono in noi: la struttura della nostra mente impone ai sensi di percepire attraverso una griglia spaziale e temporale. È come se dalla nascita portassimo occhiali colorati di spazio e tempo.
Ma gli scienziati non si possono accontentare di percepire, devono anche calcolarle e ad es, intuendo la forma delle percezioni spaziali costruiamo la geometria. L'intelletto da solo non basta, occorre anche l'intuizione dai dai sensi, perché il primo non potrebbe spiegare perché il guanto mano sinistra non può essere usato per la destra! Soltanto una geometria fondata sull'intuizione me lo può spiegare. [continua]


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXX

Caratteristica dell'intuizione geometrica è di essere sintetica, cioè fornirci conoscenze nuove. Ad es, il principio che due rette non possono formare una figura è un giudizio sintetico e intuitivo.
È sorprendente la maniera in cui Kant tratta le scienze, perché la matematica, che secondo il senso comune è più astratta, per lui deriva dall'intuizione, mentre la fisica, che sembra abbia qualcosa di più concreto Kant la fa dipendere dall'intelletto.
Egli immagina la mente come una centrale operativa dove confluiscono tutte le informazioni provenienti dai sensi, le quali devono essere prima manipolate dalla matematica, cioè trascritti in quel linguaggio. La mente (centrale operativa) è una sorta di stanza dei bottoni comandata dall'intelletto, che mette in funzione di volta in volta l'uno o l'altro. Ad es. percepisco qualcosa in movimento lontano e non so che cosa sia. Nella mente scatta il bottone della sostanza che corrisponde a quella percezione: è un uomo. Poi ci saranno altri bottoni: quello della quantità, uno solo e quello della qualità, che gli attribuisce carattere di realtà.
Kant non li chiama bottoni, ma categorie, che per lui sono in tutto dodici e hanno lo scopo di unificare le percezioni che ci formiamo attraverso i sensi. E sottolinea *sensi*, perché se le nostre forme mentali fossero diverse, la realtà non ci apparirebbe nello stesso modo.
Ma saranno davvero dodici le categorie? È il tallone d'Achille della teoria, che per questo viene accusata di arbitrarietà. [continua]


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Re: Filosofia

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Piccola storia della Filosofia occidentale XXXI

Un'altra difficoltà nasce dal fatto che la conoscenza dell'umanità deve funzionare allo stesso modo in Francia, Germania, Inghilterra etc. e quindi anche le (12) categorie devono essere le stesse in ogni paese. Kant cerca di risolvere sostenendo che il pensare è lo stesso in ogni luogo e quindi costruisce un *io pensante* che rappresenta il legislatore della natura. Questo *io* non è un essere comune, ma l'io per eccellenza e infatti lui lo chiama *io puro*, che sarebbe una metafora del sapere universale, per cui possiamo incontrare questo io solo attraverso le pagine dei libri (soprattutto quelli scientifici).
In questo caso si rivela la modernità del Nostro che mette l'io al posto di Dio, anche se poi qualche ricaduta nella metafisica l'à avuta e anzi ha scritto un libro in cui si parla di morale (Critica della ragion pratica) dove la metafisica la fa da padrone! :x [continua]


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Piccola storia della Filosofia occidentale XXXII

L'io puro può essere una profilassi contro il sorgere della metafisica? Forse, ma solo se non ha la pretesa di conoscere l'inconoscibile e qui Kant distingue l'io puro (intelletto) dalla ragione e quest'ultima la definisce come un qualcosa di arrogante che ha la pretesa di conoscere ogni cosa. Ad es, se l'intelletto non sa come giustificare l'io penso comune a tutti gli uomini, la ragione ha una risposta semplice, inventando l'anima immortale, oppure se la scienza non riesce a spiegare come il soggetto umano riesca a essere il legislatore della natura, di nuovo la ragione ha subito pronta la risposta: esiste un Essere supremo a cui la natura deve le proprie leggi. ;)
Ma è ovvio, per Kant, che le conoscenze della ragione sono illusorie, perché non hanno a che fare con fenomeni, bensì esseri inconoscibili! :x
La metafisica va del tutto bandita dalla filosofia? Forse no, perché qualche merito lo possiede: l'uomo non vuole morire e quindi desidera sperare in qualcosa dopo la morte ed ecco che l'idea di un'anima immortale, sebbene indimostrabile ci viene in soccorso. ;)
L'idea di Dio, insomma, ci permette di dare un senso al succedersi dei fenomeni. Sono illusioni, ma non del tutto inutili, perché possono salvare l'uomo dalla disperazione, anche se al prezzo di rinnegare il rigore espresso dall'intelletto.


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