A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Antefatto: ogni giorno addormento più volte il mio bimbo, e per farlo gli racconto delle cose. A volte storie familiari, a volte gli descrivo le corse ciclistiche di ieri e oggi, a volte le mie partite di calcetto, a volte affronto temi più profondi, dalla storia dello sport a quella del comunismo, e spesso mi concedo divagazioni che in realtà sono riflessioni a voce alta. È un esercizio che nove volte su dieci funziona (si addormenta!), e che mi permette di fare ordine tra i miei pensieri in maniera sorprendente.
Oggi son partito dalla miracolosa convergenza tra temi sociali e musica folk (e poi rock) negli anni '60, e parla parlando mi sono reso conto che quei grandi autori, da Bob Dylan in giù, in realtà non ebbero alcuna funzione maieutica, in quanto le istanze di cui furono megafono erano già presenti nella società dell'epoca. Al limite funsero da pietre miliari, proprio nel senso urbanistico del termine, cioè con le loro canzoni facevano un punto della situazione: siamo arrivati fin qui, questo è lo stato delle cose. E questa funzione operava pure da ritrasmettitore nei confronti - magari - della parte più arretrata della società. Ma non indicava vie nuove.
Perché sono arrivato a una conclusione così brutale? Perché nel frattempo pensavo a come sarebbe bello il mondo se le parole di pace e fratellanza di tante canzoni avessero realmente fatto presa sulle maggioranze, se realmente avessero insegnato qualcosa; e invece così non è, la realtà di tutti i giorni ce lo dice. Poi però sono andato a ritroso, alla ricerca di menti (o ambiti) più grandi, per capire se l'espressione artistica culturale abbia avuto un'influenza sullo sviluppo dell'umanità. E sono arrivato fino al più grande dei fatti culturali della storia, le religioni. Mi sono detto che pure il verbo di Cristo (senza star qui ora a sindacare sul chi e il cosa), l'ama il prossimo tuo come te stesso, è stato clamorosamente disatteso da miliardi di persone che, attraverso quasi due millenni, pure in quel verbo hanno detto di riconoscersi (o a modo loro l'hanno fatto).
E quindi se Cristo non è riuscito a cambiare in meglio il mondo, vorrà farlo Bob Dylan?
Sicuramente ci saranno grandi e sapienti scritti sul tema, sarà interessante se me ne segnalerete. Il punto è che tra natura umana e cultura umana, la seconda tende a soccombere. Il principio animale di sopraffazione, del mors tua vita mea, ha sempre la meglio su qualsiasi bel ragionamento che le menti migliori di ogni tempo possano aver prodotto. E infatti siamo sempre lì, cambiate le forme ma non la sostanza rispetto a duemila anni fa, c'è sempre da qualche parte qualche uomo che sta vessando altri uomini. Il capitalismo finanziario non è che l'ultimo vestito che la natura animale dell'uomo ha indossato. Potrà anche crollare un domani, ma sarà sostituito da un altro abito.
E qui subentra l'aggravante della cultura: posto che non è servita a migliorare l'umanità nel suo profondo, a cosa è servita? A mediare, a frenare la barbarie? Solo apparentemente, direi. A fungere da contentino per minoranze illuminate, con effetti simili a qualunque droga possa trovarsi in giro? Anche sì. Ma soprattutto la cultura è stata un formidabile moltiplicatore di cattiveria e distruzione, perché ha permesso, attraverso la tecnologia e la crescente conoscenza del mondo e delle cose, di impiegare su vasta scala la logica del branco e del territorio, esportando così le dinamiche di sopraffazione tipiche dello stato di natura a livello globale.
Ma lo stato di natura è di per sé innocente: un leone che sbrana una gazzella è un innocente. L'uomo, proprio a causa della cultura, non è innocente e non tanto perché uccide altri uomini, non solo perché è convinto che potrebbe scegliere di non farlo, ma soprattutto perché corre spedito verso l'autodistruzione della specie. Unico animale a poter fare una cosa del genere.
Le domande si affastellavano l'una sull'altra: quando è cominciata questa cosa? Quando potrà finire? Nel momento in cui le macchine prenderanno il potere, con l'intelligenza artificiale che si autocrea su basi di logica e di razionalità, l'uomo verrà decimato e vivrà finalmente in pace con se stesso, non potendo fare altro (in quanto il pensiero astratto, base della cultura, è per sua natura irrazionale, quindi destinato a essere penalizzato dall'intelligenza artificiale)? Ma allora sarà ancora uomo? O si estinguerà prima? O si estinguerà allora? O o o...?
Nel mentre facevo questi pensieri a voce alta, il mio bimbo, lungi dall'addormentarsi questo pomeriggio, si è messo a piangere, perché proprio non voleva saperne di dormire in quel momento. Per un po' l'ho trattenuto a letto, gli ho spiegato che era meglio dormisse di modo da stare più fresco stasera, e tutte le cose del caso. Poi mi sono fermato un attimo a riflettere: la cultura, in quel momento rappresentata dalla mia conoscenza delle cose, dalla mia esperienza specifica sul tema, stava tenendo intrappolato lo stato di natura (non ha neanche due anni, il tipetto), che voleva fare tutt'altro, sentiva altre esigenze o quantomeno quella del sonno non era maggioritaria. Mi sono discosto, l'ho lasciato andare via e sono rimasto lì un po', sopraffatto dai dubbi, da domande a cui temo non ci sia alcuna risposta sensata.
A voi la parola.
Oggi son partito dalla miracolosa convergenza tra temi sociali e musica folk (e poi rock) negli anni '60, e parla parlando mi sono reso conto che quei grandi autori, da Bob Dylan in giù, in realtà non ebbero alcuna funzione maieutica, in quanto le istanze di cui furono megafono erano già presenti nella società dell'epoca. Al limite funsero da pietre miliari, proprio nel senso urbanistico del termine, cioè con le loro canzoni facevano un punto della situazione: siamo arrivati fin qui, questo è lo stato delle cose. E questa funzione operava pure da ritrasmettitore nei confronti - magari - della parte più arretrata della società. Ma non indicava vie nuove.
Perché sono arrivato a una conclusione così brutale? Perché nel frattempo pensavo a come sarebbe bello il mondo se le parole di pace e fratellanza di tante canzoni avessero realmente fatto presa sulle maggioranze, se realmente avessero insegnato qualcosa; e invece così non è, la realtà di tutti i giorni ce lo dice. Poi però sono andato a ritroso, alla ricerca di menti (o ambiti) più grandi, per capire se l'espressione artistica culturale abbia avuto un'influenza sullo sviluppo dell'umanità. E sono arrivato fino al più grande dei fatti culturali della storia, le religioni. Mi sono detto che pure il verbo di Cristo (senza star qui ora a sindacare sul chi e il cosa), l'ama il prossimo tuo come te stesso, è stato clamorosamente disatteso da miliardi di persone che, attraverso quasi due millenni, pure in quel verbo hanno detto di riconoscersi (o a modo loro l'hanno fatto).
E quindi se Cristo non è riuscito a cambiare in meglio il mondo, vorrà farlo Bob Dylan?
Sicuramente ci saranno grandi e sapienti scritti sul tema, sarà interessante se me ne segnalerete. Il punto è che tra natura umana e cultura umana, la seconda tende a soccombere. Il principio animale di sopraffazione, del mors tua vita mea, ha sempre la meglio su qualsiasi bel ragionamento che le menti migliori di ogni tempo possano aver prodotto. E infatti siamo sempre lì, cambiate le forme ma non la sostanza rispetto a duemila anni fa, c'è sempre da qualche parte qualche uomo che sta vessando altri uomini. Il capitalismo finanziario non è che l'ultimo vestito che la natura animale dell'uomo ha indossato. Potrà anche crollare un domani, ma sarà sostituito da un altro abito.
E qui subentra l'aggravante della cultura: posto che non è servita a migliorare l'umanità nel suo profondo, a cosa è servita? A mediare, a frenare la barbarie? Solo apparentemente, direi. A fungere da contentino per minoranze illuminate, con effetti simili a qualunque droga possa trovarsi in giro? Anche sì. Ma soprattutto la cultura è stata un formidabile moltiplicatore di cattiveria e distruzione, perché ha permesso, attraverso la tecnologia e la crescente conoscenza del mondo e delle cose, di impiegare su vasta scala la logica del branco e del territorio, esportando così le dinamiche di sopraffazione tipiche dello stato di natura a livello globale.
Ma lo stato di natura è di per sé innocente: un leone che sbrana una gazzella è un innocente. L'uomo, proprio a causa della cultura, non è innocente e non tanto perché uccide altri uomini, non solo perché è convinto che potrebbe scegliere di non farlo, ma soprattutto perché corre spedito verso l'autodistruzione della specie. Unico animale a poter fare una cosa del genere.
Le domande si affastellavano l'una sull'altra: quando è cominciata questa cosa? Quando potrà finire? Nel momento in cui le macchine prenderanno il potere, con l'intelligenza artificiale che si autocrea su basi di logica e di razionalità, l'uomo verrà decimato e vivrà finalmente in pace con se stesso, non potendo fare altro (in quanto il pensiero astratto, base della cultura, è per sua natura irrazionale, quindi destinato a essere penalizzato dall'intelligenza artificiale)? Ma allora sarà ancora uomo? O si estinguerà prima? O si estinguerà allora? O o o...?
Nel mentre facevo questi pensieri a voce alta, il mio bimbo, lungi dall'addormentarsi questo pomeriggio, si è messo a piangere, perché proprio non voleva saperne di dormire in quel momento. Per un po' l'ho trattenuto a letto, gli ho spiegato che era meglio dormisse di modo da stare più fresco stasera, e tutte le cose del caso. Poi mi sono fermato un attimo a riflettere: la cultura, in quel momento rappresentata dalla mia conoscenza delle cose, dalla mia esperienza specifica sul tema, stava tenendo intrappolato lo stato di natura (non ha neanche due anni, il tipetto), che voleva fare tutt'altro, sentiva altre esigenze o quantomeno quella del sonno non era maggioritaria. Mi sono discosto, l'ho lasciato andare via e sono rimasto lì un po', sopraffatto dai dubbi, da domande a cui temo non ci sia alcuna risposta sensata.
A voi la parola.
Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Secondo me c'è un'incomprensione di fondo: credere che la cultura sia maggioritaria fra gli uomini, mentre non è così "La Massa fa massa" diceva Giorgio Gaber e il genere umano si fa guidare dagli istinti molto di più che dalla ragione e quale è il più grande? L'io che sovrasta gli altri e riesce a vivere bene solo con il successo "primus, ma non inter pares, altrimenti che primo è? Torna a proposito proprio quel Cristo che citi tu. Invenzione buonissima per governare il mondo occidentale per 1700 anni e ... continua. Qual è il nocciolo del cristianesimo? Prendo Agostino per farmelo spiegare: avere più donne possibile, guerra santa e schiavitù. E giustificava il tutto, da persona molto intelligente, così: a) Dio rendimi casto, ma non subito; b) Uccidere gli infedeli è cosa buona e giusta, perché tanto l'uomo è mortale; c) Se sono schiavi è perché hanno peccato e i prigionieri di guerra resi tali, in guisa del fatto che stavano dalla parte di chi aveva torto!
Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì
"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.
"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono."
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Lemond sarebbe sicuramente più esaustivo di me nel merito, ma è l' Eterno dubbio se abbia ragione Hobbes con il suo homo homini lupus, oppure Rosseau con l' essere che è fondamentalmente buono. Alla domanda una bella trasmissione radiofonica che i più maturi ricorderanno senz'altro Alto gradimento faceva rispondere un tonante " L' omm è 'na bbestia ". In ossequio al fatto che fin dai primordi solo il buffone o il pazzo si potevano permettere di dire la verità e forse la frase urlata al fine comico era assai realistica.
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Il quale, teorizzatore dell'importanza della famiglia, spedì tutti e quattro (o cinque?) figli in un brefotrofio!
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
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@cauz_ | bidonmagazine.org | confindustrial.noblogs.org
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Ultima modifica di nemecsek. il giovedì 20 febbraio 2020, 19:55, modificato 1 volta in totale.
IL PIU' PULITO HA LA ROGNA.
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
La cultura serve a far funzionare meglio le cose.
Per esempio, in treno si fa il biglietto, non si mettono i piedi sul sedile, non si grida al telefonino o per discorrere con una persona che è prossima a te, che non stiamo nella savana.
Se invece se pretende che abbia funzione morale, equivoco de un certo milieu polittico, non ce siamo, perchè non ne ha.
I figlioli di Goebbles sono sempre andati a dormire sereni, pure l' ultima sera secondo me.
Per esempio, in treno si fa il biglietto, non si mettono i piedi sul sedile, non si grida al telefonino o per discorrere con una persona che è prossima a te, che non stiamo nella savana.
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- Maìno della Spinetta
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
La cultura è espressione della vita: non c'é perchè serve, c'é perché c'é.
Su cultura e stato di natura: lo stato di natura è ingenuo ma brutale. Le finzioni letterarie roussoviane lasciamole stare, via... (Avete letto la biografia di Rousseau? Si capirebbero tante cose...)
Su ragione e aggravante della colpa, rinvio a Dante.
Ma l'uomo è ragione, nel bene e nel male che questa cosa comporta. E quindi è ricerca di senso.
Inoltre l'uomo è relazione, solo che crescendo nel mito che il punto della vita sia crescere per imparare a stare da soli, staccarci dalla famiglia per stare da soli, la genitorialità più ancora della partnership è uno shock salutare. Perché introduce al rapporto col tempo, col proprio padre e col proprio figlio - non si guarda di colpo in modo nuovo il proprio padre dopo aver guardato il proprio figlio? Non siamo più solamente orizzontali, ritorniamo verticali.
Su cultura e stato di natura: lo stato di natura è ingenuo ma brutale. Le finzioni letterarie roussoviane lasciamole stare, via... (Avete letto la biografia di Rousseau? Si capirebbero tante cose...)
Su ragione e aggravante della colpa, rinvio a Dante.
Ma l'uomo è ragione, nel bene e nel male che questa cosa comporta. E quindi è ricerca di senso.
Inoltre l'uomo è relazione, solo che crescendo nel mito che il punto della vita sia crescere per imparare a stare da soli, staccarci dalla famiglia per stare da soli, la genitorialità più ancora della partnership è uno shock salutare. Perché introduce al rapporto col tempo, col proprio padre e col proprio figlio - non si guarda di colpo in modo nuovo il proprio padre dopo aver guardato il proprio figlio? Non siamo più solamente orizzontali, ritorniamo verticali.
“Our interest’s on the dangerous edge of things.
The honest thief, the tender murderer, the superstitious atheist”.
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Bella la riflessione di Maino sulla verticalità diacronica, mi piace proprio; mentre non sono d'accordo che la cultura ci sia, né, come sostiene Neme, che coincida con una buona educazione. Infine, rileggendo la domanda di Admin, non capisco perché dovrebbe essere una condanna, a meno che non s'intenda come aver coscienza di essere molto distanti (sempre e comunque) da essa.
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
A proposito di condanne, neppure quella di Sisifo lo è, almeno secondo Albert Camus
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Grazie Carlo.
Parecchi anni fa ebbi una discussione con una persona a proposito di un racconto di Sartre
Ero giovane e stupido, forse più di adesso, e la sufficienza del mio interlocutore mi indispose molto.
Anni dopo il mio vecchio padre dovette sottoporsi a dialisi domiciliare.
Erano giorni terribili, eravamo confusi e impauriti, c'erano mille incombenze pratiche da affrontare.
Quella persona venne a casa nostra, era un fotografo di una certa fama ed era stato incaricato dalla USL di fare un libro fotografico sulla assistenza domiciliare.
Riuscì incredibilmente a comunicare con mio padre, nonostante la demenza senile.
Ci inviò due copie del libro, una era per la badante.
Il libro era bellissimo, le foto di quelle persone fragili erano piene di rispetto e di amore.
In quei giorni così pesanti per noi riuscì a toccarci intimamente.
All inizio del libro mise la citazione
Il faut imaginer sisyphe heureux
Parecchi anni fa ebbi una discussione con una persona a proposito di un racconto di Sartre
Ero giovane e stupido, forse più di adesso, e la sufficienza del mio interlocutore mi indispose molto.
Anni dopo il mio vecchio padre dovette sottoporsi a dialisi domiciliare.
Erano giorni terribili, eravamo confusi e impauriti, c'erano mille incombenze pratiche da affrontare.
Quella persona venne a casa nostra, era un fotografo di una certa fama ed era stato incaricato dalla USL di fare un libro fotografico sulla assistenza domiciliare.
Riuscì incredibilmente a comunicare con mio padre, nonostante la demenza senile.
Ci inviò due copie del libro, una era per la badante.
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IL PIU' PULITO HA LA ROGNA.
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Neme più ti si conosce e più ... Sei un pozzo di scienza.nemecsek. ha scritto: ↑lunedì 20 aprile 2020, 14:37 Grazie Carlo.
Parecchi anni fa ebbi una discussione con una persona a proposito di un racconto di Sartre
Ero giovane e stupido, forse più di adesso, e la sufficienza del mio interlocutore mi indispose molto.
Anni dopo il mio vecchio padre dovette sottoporsi a dialisi domiciliare.
Erano giorni terribili, eravamo confusi e impauriti, c'erano mille incombenze pratiche da affrontare.
Quella persona venne a casa nostra, era un fotografo di una certa fama ed era stato incaricato dalla USL di fare un libro fotografico sulla assistenza domiciliare.
Riuscì incredibilmente a comunicare con mio padre, nonostante la demenza senile.
Ci inviò due copie del libro, una era per la badante.
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- Iscritto il: sabato 1 giugno 2013, 14:24
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Eh ma lo sappiamo
Che persone erudite
Si decompongono
Come margherite,
è l'acqua che abbiamo
a fornificare il triangolo
delle spine esaudite
quando le rose pungono,
e la vena preme in sirena
e la sveglia contiene l'apnea
del tuo sogno del tuo russare
quando la verità ti preme
e ti rintraccia.
Quanta cultura è stata scritta
quanta detta e quanta
protestata, dai nuovi esemplari
messa in dubbio, e da quanta polizia
messa in sicurezza.
La storia della bestia
per quanto civile si appresti
nella bellezza e nella messa
si convince di sé stessa
come un'essenza.
Per quanto i mari
secchino lontano
Cultura diventa fare il mare
Per un essere umano amare.
Che persone erudite
Si decompongono
Come margherite,
è l'acqua che abbiamo
a fornificare il triangolo
delle spine esaudite
quando le rose pungono,
e la vena preme in sirena
e la sveglia contiene l'apnea
del tuo sogno del tuo russare
quando la verità ti preme
e ti rintraccia.
Quanta cultura è stata scritta
quanta detta e quanta
protestata, dai nuovi esemplari
messa in dubbio, e da quanta polizia
messa in sicurezza.
La storia della bestia
per quanto civile si appresti
nella bellezza e nella messa
si convince di sé stessa
come un'essenza.
Per quanto i mari
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Cultura diventa fare il mare
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- matteo.conz
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- Iscritto il: sabato 19 maggio 2012, 15:12
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
trecentobalene ha scritto: ↑mercoledì 22 aprile 2020, 0:41 Eh ma lo sappiamo
Che persone erudite
Si decompongono
Come margherite,
è l'acqua che abbiamo
a fornificare il triangolo
delle spine esaudite
quando le rose pungono,
e la vena preme in sirena
e la sveglia contiene l'apnea
del tuo sogno del tuo russare
quando la verità ti preme
e ti rintraccia.
Quanta cultura è stata scritta
quanta detta e quanta
protestata, dai nuovi esemplari
messa in dubbio, e da quanta polizia
messa in sicurezza.
La storia della bestia
per quanto civile si appresti
nella bellezza e nella messa
si convince di sé stessa
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La cultura porta a consapevolezza e ciò porta a dolore ma stò dicendo una banalità. A volte vorrei non aver conosciuto professori e persone che mi hanno aperto gli occhi su molte cose...a volte penso che era meglio che rimanessi un uomo senza qualità, un inetto.
Mondiale 2019: 1 matteo.conz 53
Svalorizzando gli altri non ti rendi superiore.
C'è sempre una soluzione semplice ad un problema complesso. Ed è quella sbagliata. A. Einstein
Svalorizzando gli altri non ti rendi superiore.
C'è sempre una soluzione semplice ad un problema complesso. Ed è quella sbagliata. A. Einstein
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Non ci crederei nemmeno se lo vedessi nei fatti! Eppure sono un credente.matteo.conz ha scritto: ↑mercoledì 22 aprile 2020, 18:08
La cultura porta a consapevolezza e ciò porta a dolore ma stò dicendo una banalità. A volte vorrei non aver conosciuto professori e persone che mi hanno aperto gli occhi su molte cose...a volte penso che era meglio che rimanessi un uomo senza qualità, un inetto.
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- Maìno della Spinetta
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- Iscritto il: giovedì 9 dicembre 2010, 15:53
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Ma tutta l'attività del sapere porta nel tempo alla triste scienza. Ma anche senza nulla sapere a un certo punto affiorerebbe l'evidenza della morte.
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Non l'avevo notato.matteo.conz ha scritto: ↑mercoledì 22 aprile 2020, 18:08
La cultura porta a consapevolezza e ciò porta a dolore ma stò dicendo una banalità. A volte vorrei non aver conosciuto professori e persone che mi hanno aperto gli occhi su molte cose...a volte penso che era meglio che rimanessi un uomo senza qualità, un inetto.
Perché triste scienza? Per quanto riguarda la morte: l'evidenza è una cosa, la consapevolezza un'altra e la paura di essa ancora differente.Maìno della Spinetta ha scritto: ↑giovedì 23 aprile 2020, 9:40 Ma tutta l'attività del sapere porta nel tempo alla triste scienza. Ma anche senza nulla sapere a un certo punto affiorerebbe l'evidenza della morte.
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
A che servono i miti, con Eva Cantarella
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Dalle redazione giornale del Cilento, intervista a Eva Cantarella
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Gianmaria AJANI, Maurizio FERRARIS, Guido SARACCO - Scienza Nuova, una sola civiltà
All'inizio molto divertente (oltre al resto) il riferimento ad Agostino di Ippona
All'inizio molto divertente (oltre al resto) il riferimento ad Agostino di Ippona
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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.
"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono."
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
L'intervista a Paolo Villaggio: 'Ho provato invidia per il funerale del mio amico De André'
Villaggio uomo di cultura, ma soprattutto uno che riesce a dire quel che pensa davvero dietro la sua maschera comica. Da ascoltare soprattutto questo passo, ma godibile tutta la trasmissione.
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Con riferimento all'apoftegma di ieri e all'unica regola presente nella cultura greca, vale a dire il senso del limite, è interessantissima questa lectio magistralis di Luigi Zoja: Riflessioni sul mito. P.S. consiglio di cominciare ad ascoltare dal punto corrispondente a
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
MARIO DE MARTINO E LA FILOLOGIA
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Maurizio Bettini - Antigone: per un'antropologia dei diritti dell'uomo
e, a seguire L'Antigone Rai di Cottafavi
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Incontro con Eva Cantarella sulle discriminazioni di genere
Alla fine c'è una domanda s.m. molto interessante: quando l'uomo maschio si sarà reso conto di essere padre? Né Pievani, né Barbujani hanno mai accennato alla questione!
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Doc. Rai: dal mito alla storia, prima parte
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
scusate, ma cos'è la Cultura?
La Tribuna del Sarto, luogo esterno alla Plaza de Toros occupato da chi segue la corrida ascoltando le voci del pubblico; un'eco, ago e filo di una narrazione, un “restar qui sullo stradone impolverato” a descrivere il silenzio tra una moto e l’altra
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Non tutti sanno che ha origine agricola, infatti i romani erano ossessionati dalla terra e della sua messa a frutto: coltivazione. Poi in italiano si è usato distinguere cultura e coltura e solo alla seconda è rimasto il significato originale.
Forse tu sei interessato al primo aspetto, che si distingue in personale e sociale e, se è facile comprendere quest'ultima come le leggi/tradizioni/usi e costumi di una nazione (cioè i nati con schemi mentali simili), per cui si può parlare di cultura occidentale, cinese, indiana, ebraica etc, non lo è altrettanto per quella del singolo e posso darti solo la mia interpretazione: comprendere chi siamo e soprattutto i nostri limiti.
P.S. Posso anche farti un esempio al contrario, vale a dire la superstizione imperante in gran parte delle culture
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
lemond ha scritto: ↑venerdì 3 luglio 2020, 18:31Non tutti sanno che ha origine agricola, infatti i romani erano ossessionati dalla terra e della sua messa a frutto: coltivazione. Poi in italiano si è usato distinguere cultura e coltura e solo alla seconda è rimasto il significato originale.
Forse tu sei interessato al primo aspetto, che si distingue in personale e sociale e, se è facile comprendere quest'ultima come le leggi/tradizioni/usi e costumi di una nazione (cioè i nati con schemi mentali simili), per cui si può parlare di cultura occidentale, cinese, indiana, ebraica etc, non lo è altrettanto per quella del singolo e posso darti solo la mia interpretazione: comprendere chi siamo e soprattutto i nostri limiti.
P.S. Posso anche farti un esempio al contrario, vale a dire la superstizione imperante in gran parte delle culture
Dare una definizione di cultura è esso stesso un atto culturale, con tutte le sue credenze, conquiste, tradizioni, in altre parole, il proprio background (riprendo in parte la definizione di Marcuse).
E spesso le discussioni culturali partono da questo preconcetto di cultura, che non viene posto in discussione, condannando a dialoghi tra sordi.
Per mia personale interpretazione non tendo a considerare la cultura come un software del nostro essere animale umano, ma esso stesso hardware che produce "prodotti" culturali.
Se l'animale umano è divenuto un animale culturale, anche prima della civiltà agricola (anche se giustamente il termine deriva da questo aspetto), lo deve alla nascita del pensiero simbolico, che è l'atomo della "cultura", con tutta la sua "infinità discreta": da un numero finito di neuroni, simboli e parole è possibile creare un numero infinito di concetti, immaginare ciò che non esiste e creare un background culturale per ogni essere umano in quel momento.
Fino a creare una nuova era geologica: l'Antropocene (meriterebbe un 3d).
Per tornare alla domanda distopica dell'Admin: la cultura non è una condanna, ma la stessa natura che toglieva il sonno al tuo bimbo
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Non capisco perché un atto culturale si trasformi in un dialogo fra sordi?Krisper ha scritto: ↑venerdì 3 luglio 2020, 19:17 Dare una definizione di cultura è esso stesso un atto culturale, con tutte le sue credenze, conquiste, tradizioni, in altre parole, il proprio background (riprendo in parte la definizione di Marcuse).
E spesso le discussioni culturali partono da questo preconcetto di cultura, che non viene posto in discussione, condannando a dialoghi tra sordi.
Prima del pensiero simbolico deve, s.m. essersi sviluppato il linguaggio, perché senza il secondo il primo resta molto limitato, come accade per gli altri animali ma soprattutto per gli umani che usano solo un certo numero di parole e sempre e soltanto quelle in certi casi (in Italia una in particolare e invece è vietato dal codice penale bestemmiare!). Costoro non possono avere pensieri troppo sofisticati, se non hanno le parole per esprimerli.Krisper ha scritto: ↑venerdì 3 luglio 2020, 19:17 Se l'animale umano è divenuto un animale culturale, anche prima della civiltà agricola (anche se giustamente il termine deriva da questo aspetto), lo deve alla nascita del pensiero simbolico, che è l'atomo della "cultura", con tutta la sua "infinità discreta": da un numero finito di neuroni, simboli e parole è possibile creare un numero infinito di concetti, immaginare ciò che non esiste e creare un background culturale per ogni essere umano in quel momento.
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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
IL PENSIERO CREA LA REALTÀ con Paolo Brega
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"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono."
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Dialogo tra sordi poichè se abbiamo due definizioni diverse di cultura è difficile trovare un "linguaggio" comune su cui comunicare, bisogna che ci accordiamo su una definizione comune dalla quale partire.lemond ha scritto: ↑sabato 4 luglio 2020, 8:10Non capisco perché un atto culturale si trasformi in un dialogo fra sordi?Krisper ha scritto: ↑venerdì 3 luglio 2020, 19:17 Dare una definizione di cultura è esso stesso un atto culturale, con tutte le sue credenze, conquiste, tradizioni, in altre parole, il proprio background (riprendo in parte la definizione di Marcuse).
E spesso le discussioni culturali partono da questo preconcetto di cultura, che non viene posto in discussione, condannando a dialoghi tra sordi.Prima del pensiero simbolico deve, s.m. essersi sviluppato il linguaggio, perché senza il secondo il primo resta molto limitato, come accade per gli altri animali ma soprattutto per gli umani che usano solo un certo numero di parole e sempre e soltanto quelle in certi casi (in Italia una in particolare e invece è vietato dal codice penale bestemmiare!). Costoro non possono avere pensieri troppo sofisticati, se non hanno le parole per esprimerli.Krisper ha scritto: ↑venerdì 3 luglio 2020, 19:17 Se l'animale umano è divenuto un animale culturale, anche prima della civiltà agricola (anche se giustamente il termine deriva da questo aspetto), lo deve alla nascita del pensiero simbolico, che è l'atomo della "cultura", con tutta la sua "infinità discreta": da un numero finito di neuroni, simboli e parole è possibile creare un numero infinito di concetti, immaginare ciò che non esiste e creare un background culturale per ogni essere umano in quel momento.
Mi riferisco al tema cultura in senso stretto, non al dialogo culturale ed interculturale. (Già un esempio di come il cambio di definizione cambia la prospettiva)
Su pensiero simbolico e linguaggio.
Ero d'accordo con te un tempo.
Oggi invece credo che non sia il pensiero simbolico a derivare dal linguaggio, ma il contrario.
Forse, un forse grande come il mondo, la chiave è nelle aree associative parietali, che realmente ci differenziano come specie dai nostri antenati*
* La mente oltre il cranio. Prospettive di archeologia cognitiva.
Di Emiliano Bruner
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Grazie.Krisper ha scritto: ↑sabato 4 luglio 2020, 11:17
Dialogo tra sordi poichè se abbiamo due definizioni diverse di cultura è difficile trovare un "linguaggio" comune su cui comunicare, bisogna che ci accordiamo su una definizione comune dalla quale partire.
Mi riferisco al tema cultura in senso stretto, non al dialogo culturale ed interculturale. (Già un esempio di come il cambio di definizione cambia la prospettiva)
Su pensiero simbolico e linguaggio.
Ero d'accordo con te un tempo.
Oggi invece credo che non sia il pensiero simbolico a derivare dal linguaggio, ma il contrario.
Forse, un forse grande come il mondo, la chiave è nelle aree associative parietali, che realmente ci differenziano come specie dai nostri antenati*
* La mente oltre il cranio. Prospettive di archeologia cognitiva.
Di Emiliano Bruner
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Mi piace questo ribaltamento!
Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
ILIADE
Alessandro Baricco ha riscoperto e riletto l’Iliade, si è lasciato incantare dalla sue storie
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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.
"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono."
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Inserisco qui e non in religione, perché secondo Mauro Biglino la Bibbia non parla di Dio.
Più che altro si parla del sesso, secondo questa fonte e i commentari; per il Nostro sono "false inibizioni"
Più che altro si parla del sesso, secondo questa fonte e i commentari; per il Nostro sono "false inibizioni"
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Alessandro Baricco | La fama di Achille | festivalfilosofia 2014
Ci sono due affermazioni anacronistiche:
a) Secondo Baricco Achille è un sedicenne o giù di lì, al momento del nono anna della guerra, il che è inverosimile, tanto più che poi sarà Neottolemo dai capelli rossi a uccidere il piccolo Astianatte.
b) "Che vada al diavolo!" è un'espressione che in bocca al "Senzalabbra" stona!
Ci sono due affermazioni anacronistiche:
a) Secondo Baricco Achille è un sedicenne o giù di lì, al momento del nono anna della guerra, il che è inverosimile, tanto più che poi sarà Neottolemo dai capelli rossi a uccidere il piccolo Astianatte.
b) "Che vada al diavolo!" è un'espressione che in bocca al "Senzalabbra" stona!
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Perché all'improvviso Baricco?
Pantani è una leggenda come Coppi e Bartali
Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Perché mi interessa l'argomento e lo spettacolo dell'Iliade mi pare ben costruito.
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
Fra teatro e storia e qui Baricco a me sembra molto bravo
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Rai5, Baricco: Palamede
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Re: A che serve la cultura all'uomo? Ovvero: è o non è una condanna?
La lingua degli dèi e degli eroi.
e, sempre a proposito di greci, ho ascoltato una parola che A.B. sostiene sia addirittura abusata e che invece, prima di ora, non avevo mai sentito: storytelling (s.s.s.c.)
e, sempre a proposito di greci, ho ascoltato una parola che A.B. sostiene sia addirittura abusata e che invece, prima di ora, non avevo mai sentito: storytelling (s.s.s.c.)
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I micenei e Troia
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Leonardo da Vinci, eterno studente (come poi dirà anche Guccini)
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Dialogo tra Carlo Petrini e Philippe Daverio
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Ph. Daverio e la nascita della pubblicità con Sant'Elena.
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Alessandro Barbero nella seconda puntata di Rai Storia sulle antiche culture: l'antico Egitto
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La leggenda/storia dei sette re di Roma.
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MITOLOGIA GRECA...ETICA...RELIGIONE: una chiacchierata
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la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì
"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.
"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono."
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì
"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.
"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono."