Cthulhu ha scritto: ↑domenica 27 marzo 2022, 19:08
Ma dare qualche merito all' UCI per aver contribuito a mondializzare il ciclismo si può o sono sempre merde a prescindere ?
Sono sempre merde a prescindere.
Anche perché poi UCI vuol dire tutto e vuol dire niente, dato che negli anni si sono alternate diverse gestioni, alcune piuttosto disastrose.
Nel concreto, ad ogni modo, l'UCI cosa ha fatto per il ciclismo in Africa?
Possiamo metterci dentro il Centre mondial du cyclisme, da cui è passato lo stesso Girmay, che è roba ancora targata Hein Verbruggen.
Dei Mondiali del 2025, che sono roba di Lappartient, ne riparliamo tra qualche anno. Però bellissima iniziativa, di una gestione un filo megliore rispetto alle precedenti.
Altro?
Peraltro anche parlando di ciclismo in Africa siamo su un campo un po' ampio. Il ciclismo eritreo se la passa meglio oggi che in passato, ma il ciclismo africano in sé non direi.
La scena nordafricana è stata una scena importante nel '900.
La nazionale del Nord Africa ha fatto più volte il Tour de France nei primi anni '50 vincendo anche una tappa.
Nell'albo d'oro del Giro del Marocco c'è gente che è arrivata sul podio del Giro e del Tour.
Il Grand Prix d'Annaba, gara algerina, è stato vinto, tra gli altri, da Gosta Pettersson, Ryszard Szurkowski, iridato tra i dilettanti nel '73 e recordman di successi alla Corsa della Pace quando questa era una gara di quindici giorni che attraversava tre stati, e Sven-Ake Nilsson. E sul podio troviamo, più volte, Bernt Johansson, oro olimpico nel '76 e podio al Giro nel '79.
Podio del Giro di Tunisia del 1964: Gosta Petterson, vincitore di un Giro, Lucien Aimar, vincitore di un Tour, Walter Godefroot, plurivincitore di grandi classiche.
Anche nell'albo d'oro del Giro d'Algeria, nelle sue prime due incarnazioni, troviamo nomi grossi, dai grandissimi classicomani Germain Derycke e Raymond Impanis, ai già citati Gosta Pettersson, Sven-Ake Nilsson e Ryszard Szurkowski, passando per Aavo Pikkuus.
Pure il Giro dell'Egitto, pur non toccando i livelli di nobilità delle gare sopraccitate, ha attirato dilettanti di alto livello per diversi anni.
E capisci bene che tutte 'ste gare, messe insieme, davano vita a una zona particolarmente florida per il ciclismo.
Di gare del livello delle sopraccitate, al momento, in tutta l'Africa non ce ne sono. L'unica a cui partecipano delle squadre europee di un certo livello è il Tour of Rwanda. Ma di certo, in questi anni, non si sono presentati al via corridori del rango di un Pettersson, di un Godefroot o di un Derycke.
Venendo alla scena nordafricana in sé, prima della pandemia erano rimaste le macerie, ora neanche quelle.
La gestione della mondializzazione da parte dell'UCI è stata un disastro. Si è data attenzione a luoghi ove non vi era assolutamente terreno fertile per costruire qualcosa, mentre sono stati lasciati al loro destino paesi che avevano una grande tradizione.
Nord Africa, Europa dell'Est, America Latina.....ai tempi del blocco sovietico il mondo era diviso in due e con esso anche il ciclismo.....le zone appena menzionate recitavano un ruolo chiave nella galassia dilettantistica. Ho avuto la fortuna di parlare con gente che ha fatto la Vuelta a Cuba e mi raccontavano che le strade erano sempre pienissime quando correvano là.
Quando è caduto il muro è venuto meno anche il sistema dilettantistico e non si è fatto nulla per integrare i due mondi. Pure tutti i movimenti dell'ex Unione Sovietica, oggi, se la passano peggio che mai. Unica parziale eccezione l'Estonia. In Russia dopo Menchov il nulla e già la sua generazione era meno forte di quella di Tonkov, Berzin e compagnia. In Lettonia un Ugrumov non c'è. In Uzbekistan non c'è un Abdu. In Kazakistan non c'è un Vinokurov.
La Polonia ha avuto grandi corridori per cinquant'anni: Szurkowski, Piasecki, lo sfortunatissimo Joachim Halupczok, Jaskula....oggi, che Kwiatkowski e Majka si avviano verso il tramonto, non si vede più nulla all'orizzonte. Al momento ci sono due polacchi U25 nel WT: Sajnok e Maciejuk. Stanno freschi.
Gli unici movimenti che sono cresciuti veramente negli ultimi anni, e sono comunque movimenti che esistevano da decenni, sono quello norvegese, quello danese e volendo quello britannico (che più che altro, però, si è parzialmente spostato dalla pista alla strada). Gente che ha soldi e, quindi, di conseguenza squadre e corse. E a fare da contraltare c'è comunque la morte totale del movimento svedese, che per decenni è stato il più importante della zona scandinava.
Poi c'è la parziale eccezione slovena, che ha strutture di qualità, ma pochi praticanti e, dunque, dietro il trio d'oro, in ottica futura, ha poco. In compenso dall'area balcanica arriva il figlio d'arte Miholjevic.
I corridori africani hanno avuto la fortuna di trovare alcune squadre che hanno deciso di investire su di loro come Qhubeka, Bike Aid e Pro Touch. E queste squadre li hanno portati a correre, per lo più, fuori dall'Africa, dato che nelle corse di casa, purtroppo, potranno crescere sempre il giusto. Tesfazion, ad esempio, si è rivelato al mondo correndo tra Cina e Indonesia.
Ma l'UCI in sé, nonostante il centro mondiale che almeno è qualcosa, ha fatto, soprattutto sotto le gestioni McQuaid e Cookson, veramente troppo poco per il ciclismo africano.
Ad oggi la mondializzazione è affidata a quegli attori esterni all'UCI che hanno voglia di investire al di fuori dei confini tradizionali del ciclismo. Ad esempio la Movistar e le sue squadre satellite che cercano e lanciano talenti provenienti dall'America Latina (vedi Rangel e Gonzalez Rivera). Se qualche ragazzo proveniente da quelle zone esplode e, anzi, in questo momento c'è anche un movimento che sta effettivamente fiorendo, vale a dire quello ecuadoriano, non è assolutamente merito dell'UCI. Da quelle parti hanno una gara a tappe a settimana, tipo ieri si è conclusa la Vuelta Bantrab in Guatemala (terza gara a tappe che fanno da febbraio a oggi in Guatemala), e non ce n'è mezza che abbia lo status UCI.
La gestione Lappartient, imho, è un po' meglio rispetto alla precedenti, voglio dire il Mondiale in Ruanda è meglio rispetto al Mondiale in Qatar, ma c'è anche molto lavoro da fare sul versante mondializzazione. Un Girmay è figlio di bravi scout che lo hanno scoperto, non di politiche che hanno portato a una crescita del movimento eritreo e a un integrazione di questo col ciclismo europeo (infatti la trafila che ha fatto Bini è là da vedere)