giusperito ha scritto:In Cile è avvenuta una distorsione vergognosa non tanto e non solo delle teorie economiche, ma dei presupposti culturali del neoliberismo. E' stato un esperimento, ma si è venduta l'anima al diavolo.
Poi mi sembra una forzatura ritenere che le teorie, per esempio, di H. siano state applicate. Una dittatura è incompatibile con la demarchia.
Ne segue che se i precetti del ‘neoliberismo’ (della teoria neoclassica?) fossero stati applicati correttamente, il mercato avrebbe regolato ‘giustamente’ i rapporti sociali…e tutti avrebbero vissuto felici e contenti, giusto? Un po’ come la tua idea riguardo la questione doping-antidoping, giusto? (beh, almeno c’avevo visto giusto).
Se levi le lenti dell’ideologia credo sia molto semplice vedere come sia la razionalità stessa dell’homo oeconomicus, su cui si basa l’intero edificio dell’economia neoclassica, ad essere profondamente egoistica ed in radicale contrapposizione con la ‘democrazia’. Più verosimilmente, la sua razionalità è profondamente autoritaria ed incompatibile con la democrazia.
Di seguito incollo un pezzo di un mio articolo che mi hanno censurato qualche anno fa in cui sostengo questa tesi.
[…]
4.1. Mercato Vs. democrazia economica?
[…]l’assunto implicito di Crouch è che la forza equilibratrice del mercato se lasciata funzionare senza impedimenti e ostacoli – allocando in maniera ottimale le risorse disponibili – sarebbe quantomeno in grado di garantire la libera scelta individuale, soddisfacendo i bisogni dei cittadini. Questa tesi è basata, più o meno consapevolmente, su due assunzioni di fondo: primo, l’individuo è il punto di partenza dell’analisi; secondo, il libero sviluppo di questa razionalità si sostanzierebbe nell’equilibrio economico, o quantomeno nella tendenza verso tale equilibrio. Come avviene nella dottrina economica neoclassica questi assunti presuppongono l’homo oeconomicus, l’essere razionale per eccellenza, la cui razionalità è esemplificata dalle curve di domanda e di offerta: se la domanda di un bene sale, il suo prezzo sale e viceversa; se l’offerta di un bene sale, il suo prezzo scende e viceversa. Poiché le due curve hanno inclinazioni differenti, una decrescente e l’altra crescente, il loro punto d’intersezione identifica il prezzo d’equilibrio. A questo punto, i mercati, dirigendosi laddove le quantità offerte eguagliano quelle domandate, allocano ottimamente le risorse.
Molti studiosi argomentano che tale razionalità sia egoistica perché gli individui massimizzerebbero il loro benessere indipendentemente da quello altrui. Tra questi, anche Amartya Sen (1985: 347) – identificando i processi logici alla base del comportamento dell’homo oeconomicus – sostiene che quest’ultimo massimizzi il proprio interesse indipendentemente dalle condizioni degli altri agenti (self-welfare goal) e che le sue scelte siano orientate in vista del soddisfacimento dei propri bisogni e del perseguimento dei propri obiettivi, indipendentemente dalle preferenze altrui (self-goal choice). Ma ciò è inesatto. L’homo oeconomicus è egoista perché è rapace e sfruttatore, qualità che presuppongono sia l’esistenza di altre persone, sia il suo interesse per quelle persone. Consideriamo il comportamento dietro la curva di domanda: se la domanda di un bene sale – se coloro sprovvisti di quel bene ne esprimono una necessità maggiore – i suoi possessori traggono vantaggio aumentandone il prezzo. Il grafico sottostante (fig. 1) mostra come, in seguito a un aumento delle quantità domandate da q0 a q1, la curva di domanda originaria (in rosso) si sposterà a destra (retta blu). Tuttavia, aumenterà anche il prezzo del bene in questione, da p0 a p1. Ora, solo i compratori in grado di esprimere un potere d’acquisto più elevato potranno soddisfare l’incremento di tale bisogno (punto B).
FIG. 1. Comportamento egoistico-opportunista della domanda

Ma ciò non preoccupa minimamente il venditore, il cui unico interesse è allocare il bene di sua proprietà al prezzo maggiore. Ciò significa che il venditore massimizza il suo interesse proprio in subordine alla condizione degli altri agenti e che le sue scelte soddisfano i propri bisogni e obiettivi secondo le preferenze altrui.
Lo stesso vale per la curva d’offerta (fig. 2): se cresce la disponibilità di un bene – se i venditori necessitano di aumentare le vendite – i compratori ne traggono vantaggio offrendo un prezzo minore. In seguito a un aumento dell’offerta da q0 a q1, la curva di domanda originaria (in rosso), spostandosi a destra (retta blu), abbasserà il prezzo, da p1 a p0. I compratori rimangono indifferenti tra chi, tra i venditori, sarà in grado di vendere la maggiore quantità di beni a un prezzo inferiore (punto B) e chi, invece, incontrerà delle difficoltà nella vendita.
FIG. 2. Comportamento egoistico-opportunista dell’offerta

Ne segue che l’andamento della curva di domanda rispecchia l’egoismo (inteso come comportamento approfittatore) del venditore mentre quello della curva d’offerta rivela l’egoismo del compratore. L’homo oeconomicus, quindi, non massimizza indipendentemente dagli altri agenti ma ‘sulle spalle’ degli altri individui, approfittando delle loro necessità. Su queste basi teoriche, i mercati allocano ottimamente le risorse.
Tuttavia, gli agenti economici possono essere, e spesso lo sono, altruisti. Gli economisti neoclassici rifiutano questa critica argomentando che gli individui non abbandonano la loro razionalità egoistica quando massimizzano la loro soddisfazione comportandosi altruisticamente. Ci sono almeno due ragioni per rigettare tale argomento. Innanzitutto, se gli essere umani sono sia egoisti sia altruisti e se massimizzano il loro benessere comportandosi sia egoisticamente sia altruisticamente – e se la massimizzazione è razionale – allora essi sono razionali per definizione . Se non c’è più irrazionalità, il concetto di razionalità diventa ridondante. In secondo luogo, un comportamento sia altruista che egoista è inconsistente con l’economia neoclassica. Il primo abbasserebbe (piuttosto che alzare) i prezzi se la domanda crescesse al fine soddisfare l’accresciuto bisogno (vedi fig. 1). Il secondo, invece, causerebbe un movimento dei prezzi opposto (fig. 3): in seguito a un innalzamento della domanda da q0 a q1 (dalla domanda 1 alla domanda 2), un venditore altruista diminuirebbe il prezzo di vendita. La nuova combinazione tra prezzi e quantità si troverebbe così al punto B, in cui a una maggiore necessità di beni si risponde con un abbassamento dei prezzi, da p1 a p0.
FIG. 3. Comportamento altruista del venditore

Così, se prima il compratore acquistava q0 beni a un prezzo p1 (punto A), una volta espressa una domanda maggiore sarà in grado di acquistare q1 beni a un prezzo inferiore, pari a p0 (punto B). Quanto detto implica che la curva di domanda (e di offerta) potrebbe assumere un’inclinazione sia crescente sia decrescente. Non c’è più alcuna garanzia d’intersezione tra le due curve. La conclusione è che l’altruismo, anche se fosse un sotto-caso dell’egoismo, è logicamente inconsistente con la razionalità dell’homo oeconomicus (Ibid.: 372).
Infine, la convinzione dell’homo oeconomicus secondo cui la sua razionalità non sia altro che la manifestazione della natura umana, fa astrazione della storicità dei rapporti economici e del loro embeddedness sociale. Consideriamo il concetto di utilità marginalità decrescente – secondo cui la soddisfazione del consumatore si ridurrebbe al consumo di un’unità successiva di un certo bene. La curva rossa della figura 4 riassume questo comportamento: in A1 l’homo oeconomicus trarrà una utilità marginale maggiore che in B1 poiché al crescere di q (da q0 a q1) diminuirà la soddisfazione per il consumo di un’unità ulteriore del bene in questione a causa della crescente sazietà.
FIG. 4. Il concetto di utilità marginale decrescente

Poiché, in equilibrio, il rapporto tra utilità marginale e prezzo deve essere lo stesso per tutti i beni, se cresce l’utilità marginale di un bene, crescerà pure la sua domanda. Allo stesso tempo aumenterà anche il rapporto tra quell’utilità marginale e quel prezzo. Per ristabilire l’equilibrio, quindi, il prezzo dovrà crescere anch’esso. Lo stesso avviene per la diminuzione dell’utilità marginale.
Da questo fondamento teorico seguono tre conclusioni. Primo, la domanda di un bene dipende dall’utilità derivante dal consumo di una sua successiva unità, ossia la domanda cade a causa della crescita della sazietà per quel bene. Secondo, la comparazione tra utilità differenti implica che esse dipendono dai prezzi. Questi ultimi, pertanto, non indicano né il potere d’acquisto né il valore intrinseco dei beni, ma sono semplicemente i fattori che rendono la comparazione possibile. Terzo, è sulla base della comparazione tra questi rapporti che sono fondati sia l’andamento della curva di domanda (la natura razionale ed egoistica degli agenti economici) sia il concetto di equilibrio.
Tuttavia, una persona dotata di un esiguo potere d’acquisto può pacificamente trarre un’utilità marginale costante dall’aumento del consumo da q0 a q1 (fig. 4). Ad esempio, un soggetto a lungo affamato o denutrito ricava la stessa utilità marginale dopo aver mangiato la prima, la seconda o la terza pèsca. Anzi, col passare del tempo l’aumento dell’appetito e il miglioramento delle condizioni fisiche potrebbero addirittura fargli rivendicare lo stesso fabbisogno energetico dell’individuo che, libero da vincoli di bilancio stringenti, usa allocare le sue risorse per comprare pèsche a volontà. In questo caso, godrebbe probabilmente dello stesso piacere dal consumo della quarta e della quinta pèsca. Come si può postulare l’utilità marginale decrescente, allo stesso modo si può quindi postulare l’utilità marginale costante (se non addirittura crescente) dal consumo di dosi successive dello stesso bene.
Osservando la curva rossa (domanda 1) si evince come il consumatore dotato di uno scarso potere d’acquisto varierà la propria domanda in maniera molto marcata in coincidenza del mutamento di prezzo (fig. 5). Ad esempio, se il prezzo di un bene dovesse scendere da p1 a p0 il suo consumo, spostandosi da A in direzione di B, aumenterebbe molto più che proporzionalmente rispetto alla diminuzione del suo prezzo (|q1 – p0|>|p1 – p0|). Se il prezzo dovesse risalire della stessa misura, l’aumento del consumo tornerebbe a contrarsi fortemente a causa della riduzione del potere d’acquisto.
FIG. 5. Domanda del consumatore con un potere d’acquisto limitato

Se, addirittura, considerassimo il comportamento di una persona molto povera con un potere d’acquisto infimo, il cui comportamento è rappresentato dalla retta blu orizzontale (lo stesso consumatore della figura 4, che trae un’utilità marginale costante dal consumo di un’unità successiva del bene q), avremmo che a ogni aumento di prezzo (da p0 a p1), la crescita della sua domanda sarà nulla a causa dell’impossibilità di fronteggiare tale aumento, dati i vincoli di reddito insormontabili. In corrispondenza del prezzo originario (p0), sebbene la sua domanda sia teoricamente infinita (a quel prezzo acquisterebbe all’infinito), nella realtà il suo consumo si fermerà molto presto (C) a causa dell’incapacità di acquisto dovuta alla sua povertà.
Ciò nonostante, la teoria neoclassica sembra non preoccuparsi minimamente di costoro, ossia della maggioranza della popolazione mondiale il cui potere d’acquisto è insufficiente al soddisfacimento dei propri bisogni. Al contrario, essa pare riflettere esclusivamente il punto di vista di coloro (pochi) per i quali il potere d’acquisto non costituisce un problema (il limite del consumo risiede nella sazietà): non dovendo fronteggiare limiti considerevoli di budget, in concomitanza di una variazione di prezzo, la loro domanda varierà quindi meno che proporzionalmente rispetto al prezzo (fig. 6). Ad esempio, se il prezzo di un bene scendesse da p1 a p0, la loro domanda aumenterebbe da q0 a q1, ossia meno che proporzionalmente della diminuzione del prezzo (|p1 – p0|>|q1 – q0|), poiché l’utilità marginale decrescente che ricaveranno dal consumo di quel bene, saziandoli, determinerà una caduta ‘biologica’ da A a B.
FIG. 6. Domanda del consumatore con alto potere d’acquisto

Da quanto detto, emerge che concordare con la teoria neoclassica significherebbe accettare causalità biologiche dietro il funzionamento dell’economia. Tuttavia, la legittimità del postulato dell’utilità marginale costante o crescente, allentando il nesso causale tra andamento della domanda e limiti biologici (e a-storici), farà sì che il movimento della domanda sia socialmente, piuttosto che biologicamente, determinato: la domanda di un bene – da una bottiglia di whisky a una cura ospedaliera – diminuisce con l’aumento del suo prezzo perché cala il potere d’acquisto. In altri termini, se in astratto, nel mercato, gli uomini sono tutti uguali, in concreto sono solo quelli dotati di una capacità di spesa sufficiente che alla fine beneficiano dei beni e dei servizi prodotti dalla società. Ed è proprio questa discrepanza tra uguaglianza formale e diseguaglianza sostanziale degli individui nel mercato a rendere gli uomini diversi.
6. Osservazioni conclusive
La discussione su capitalismo e democrazia ci ha condotto a identificare il rischio insito al mercato – e le domande di tutela provenienti dai cittadini – quale variabile chiave dietro la differenziazione tra modelli socio-economici e democratici. […]
Sulla base dell’espansione parallela di capitalismo e democrazia, abbiamo visto come molti scienziati sociali abbiano avanzato l’esistenza di un rapporto idiosincratico tra i due termini. Anche Colin Crouch […] percorre grosso modo la stessa strada. Tuttavia, la sua tesi è stata qui oggetto di critica, non tanto per quello che dice, quanto per ciò che non dice. L’assunto implicito della sua analisi è che, qualora le forze concorrenziali uscissero indenni dai processi del ritiro del pubblico senza essere esposte agli interventi collusivi della politica, allora il mercato sarebbero in grado di ripristinare quel trade-off virtuoso tra qualità dei servizi e legittimazione democratica almeno attraverso le accresciute possibilità dei meccanismi di exit da parte dei cittadini-utenti.
Nella parte conclusiva di quest’articolo abbiano pertanto tentato di analizzare se un mercato perfettamente concorrenziale sia davvero in grado di soddisfare le domande dei cittadini in maniera democratica. La conclusione cui siamo giunti è che l’allocazione delle risorse all’interno del mercato è ottimale solo per chi possiede il potere d’acquisto necessario a soddisfare i relativi bisogni. Detto diversamente, l’uguaglianza dei soggetti all’interno del mercato è puramente formale, nel senso che la legge del mercato è uguale per tutti, ma, se considerati nella loro sostanza, gli individui non sono tutti uguali innanzi al mercato a causa della diversità dei loro vincoli di bilancio.
L’inconciliabilità tra uguaglianza formale e disuguaglianza sostanziale tipica del mercato, sottende che quanto più si allarga l’offerta di bisogni presieduta dal mercato, tanto più si restringe la sfera dei rapporti che privilegiano l’uguaglianza sostanziale, e quindi la democrazia reale.
giusperito ha scritto:Hanno amplificato il peggio dei comunisti e dei travaglisti... insomma non è che se non la penso come voi divento immediatamente cretino.
Beh c'andrei piano con certi paragoni. Basta andare su di qualche post per vedere come il tuo comportamento non si sia scostato poi di molto: chi pensa che l'economia neoclassica sia una stronzata, deve necessariamente essere un cretino che ha letto solo Marx.
Credo che alla luce della tua apologia del libero mercato (..se solo esistesse, mananggia), credo che l'accusa possa essere facilmente rimandata al mittente, alla meno uno. Probabilmente, alcuni che pensano che l'economia neoclassica sia una stronzata devono anche averla studiata, loro malgrado. E poi magari si sono letti anche dell'altro poichè ritengono la critica un metodo di conoscenza.
Non so invece se vale il contrario: i ferventi sostenitori dell'individualismo metodologico in economia, hanno mai letto qualcosa di Marx (non di seconda o terza mano) per criticarlo con un minimo di cognizione di causa? O è solo viscerale anticomunismo a prescindere (=ideologia)?