AndreaBerton ha scritto:Posso farti una domanda? Ma tu di fronte a un caso di doping, che so quello di Rebellin o Di Luca o Frank Schleck, che pensi? Cosa diresti di loro se fossi un telecronista? Cosa scriveresti se fossi un giornalista della Gazzetta? Quale sanzione gli infliggeresti se fossi tu a decidere?
Allora, ho cercato di focalizzare alcuni punti e spero di fornire un contributo non banale. Ci provo anche se, non conoscendo le dinamiche vs interne, non è detto che ci riuscirò, ma almeno avrò fornito un "contributo per".
Direi che è meglio cominciare dall'ultimo punto
"Quale sanzione gli infliggeresti se fossi tu a decidere?". Parto da questo perché, a seguito della ventilata proposta Uci di una amnistia, questo aspetto potrebbe rasentare il ridicolo (ne avessimo bisogno) e sarebbe per voi (voices) imbarazzante spiegarla, molto più di una "prestigiosa" positività all'antidoping. Mi spiego meglio ed userò le armi del paradosso e dell'assurdo.
Perché una amnistia dovrebbe riguardare più l'ex icona buona "Lance Armstrong" e non lo stra-citato diavolo Riccardo Riccò?
Lasciamo perdere gli aspetti tecnici e la tristezza di eventi narrati, stra-discussi e pure molto a sproposito. Perchè il Cobra è figlio di un dio minore o meglio di un diavolo (ex angelo) maggiore?
Cosa avrebbe fatto oggi di più grave del despota texano, beninteso alla luce di quanto sembra emergere? Direi che di più grave per gli altri proprio nulla, a parte l'aver favorito a diffondere una cultura errata; per sé stesso e la propria salute invece molto. Quanto danno ha invece procurato (e procurerà) il comportamento di Lance e soprattutto dei suoi sodali?
Aldilà dei regolamenti e dell'antidoping, il problema è anche e soprattutto del mondo informativo. Il primo si presentava con una corazzata mediatica, basata su grandi valori, che toccavano il cuore di milioni di persone malate o vicine ai malati (sincera, non sincera lo vedremo), il secondo era il "bastardello" con l'occhietto cattivo da furbetto che barava certamente (anzi per forza), perfetto per la foto segnaletica. Il vizio antico mediatico del buono e del cattivo si ripropone sempre, e sempre i media sembrano disposti a caderci, ad assecondare la riproposizione di valori furbescamente ostentati ancorché sterili in tutta evidenza, un po' come la solidarietà proposta ed abusata nelle varie tv charities (cuore, sorriso, abbraccio, aiuto sincero, sms lava-coscienza, ecc.).
Lo spettacolo fuffamente positivo della beneficenza non va ostacolato; poco conta poi sei i quattrini invece di finire in farina per i bimbi si trasforma in altre farine bianche. The show must go on, e passi, ma nello sport tutto questo suona sinistro perchè nel contempo del periodo di Lance si è passati dalla facilissima requisitoria e condanna per il Cobra (beninteso, chi più, chi meno lo abbiamo fatto tutti; va onestamente ammesso) e decine di altri kamikaze, trasformati in reietti.
Ora, rimanendo con le briciole in mano, tutti ci poniamo il dubbio; alcuni con rimorsi, altri con rimpianti.
Ok, ma questo è il passato. Ed il futuro? Eh già, perché il problema resta lì in piedi in tutta la sua drammaticità e dimensione (etica, regolamentare, tra chiarezza e discrezionalità, tra ipocrisia e voglia di espressione).
Questa mia estremizzazione serve ad evidenziare la manifesta necessità che i media si pongano in modo più responsabile dinanzi alla piaga, che si possa davvero dire che cosa sia oggi lo sport, con disincanto, responsabilità e pragmatismo e da lì ripartire (senza ambiguità ed ipocrisia) con nuove regole ben condivise e controlli gestiti in terzietà e con serietà, evitando possibili lucrose discrezionalità alla radice.
QUESTO PROCESSO LO STIAMO RINVIANDO DA 15 ANNI ed abbiamo affidato la risoluzione dei problemi agli stessi che li hanno creati (probabilmente traendone profitto).
Non capisco perché questo evidente bisogno di pragmatismo e consapevolezza vada lasciato alla mercé del cinismo dei preparatori Mito, ovvero di coloro per i quali "tuttociò che non è rilevato all'esame è lecito". Io sposterei anche l'attenzione da un'antidoping repressivo ad una vera (sincera stavolta) tutela della salute. Faccio un esempio; il calciatore che entra in campo debilitato dalla febbre non viola il regolamento antidoping, ma certamente ma va contro la tutela della propria salute.
Pertanto prevederei anche lo stop temporaneo (di convalescenza) per chi ha valori anomali, che non abbiano "esitato" positività dal punto di vista del passaporto biologico, strumento indispensabile da sviluppare con scrupolo e terzietà. Ma siamo certi che poi i media non trasformerebbero queste decisioni mediche di cautela in accuse stregaiole e pruriginose? Ok la deprecabile cultura del doping degli sportivi, ma la cultura malata e riprovevole dei media alla ricerca del dopato?
Oggi un dopato ha una percepita pericolosità sociale superiore ad un mafioso! Ok, era un assurdo, ma ci siamo capiti.
Ho usato il punto "afflittivo" (l'ultima delle tue domande) per elencare una serie di non sensi della situazione attuale.
Certo sono molti i non sensi e le ipocrisie:
- quelle degli atleti (le più conosciute, le uniche indagate, stigmatizzate e condannate senza pietà dai media in genere)
- quelle dei dirigenti, specie quelli con manie certificatrici (sono gli unici a cui è concesso cambiare cultura - da Ferrara/i a Io non rischio la salute - e ruolo nei loro decenni di carriera, da mancato inquisito a perfido inquisitore)
- quelle dei media (che tendono a fornire interpretazioni che non interpolano la realtà), che colmano solo un bisogno politico-mediatico di riproposizione di valori ed esempi, che immancabilmente crollano dopo qualche tempo dinanzi ai fatti ed alla triste realtà
- quelle di noi utenti (heavy user del prodotto sport) e degli operatori media che aspettano e pretendono che a levare le castagne dal fuoco sia l'eroe solitario calato dal cielo, capace di disvelarsi in tutto raccontando come stanno davvero le cose, di mettere in luce l'ipocrisia del sistema e la sua insostenibilità (Pantani, Schwazer, ecc.) portandosi dietro l'esercito degli appassionati per fronteggiare le cattive dirigenze; dell'uomo che sta dietro all'eroe non frega nulla a nessuno; meglio raccontare allora di esempi cattivi, di atleti che tradiscono i loro allenatori ed i loro medici ed i loro sponsor presidenti federali
- quelle della massa di utenti "popolino" che di sport non capiscono nulla e che sono pronti ad esecrazioni di ogni genere dall'alto della loro etica, paragonando magari il povero Schwazer al politico corrotto o alla piaga della cultura del farmaco e delle droghe che pervade la società
Bene, l'operazione verità dei media, a mio avviso, deve partire dalla rinuncia all'economicamente conveniente pruriginoso per dare spazio al confronto spietato, sincero, scrupoloso nella realtà delle cose. Ciò che è mancato sino ad oggi è il rispetto umano. Il massimo del coraggioso è stato dire: liberalizziamo il doping, scimmiottando anche pericolosamente i Miti interessati; come se il problema più grosso fosse quello di mettere tutti sullo stesso potenziale piano nel boost medico-farmaceutico; dell'uomo che dopo (ma anche durante) l'attività avrebbe problemi di salute non frega nulla a nessuno. Di questa proposta, per assurdo, apprezzo il fatto dell'autodeterminazione, caratteristica che deve essere presa in considerazione in generale, ovvero affidando questo compito agli attori principali, gli atleti. Siano loro a scegliere quale strada prendere (Associazione dei Ciclisti Professionisti a gestire, via l'Uci). Oggi la consulenza scientifica può con onestà e rigore scientifico offrire loro soluzioni migliori del dozzinale 50% di ematocrito di 15 anni fa.
Questo passaggio di cultura andrebbe favorito e propugnato da giornalisti ed operatori media coraggiosi e ben intenzionati (meno interessati al business del libro antidoping, alla pubblicazione scandalistica), interessati al lungo termine ed alla sopravvivenza vera (non ipocrita) del giocattolo.
Il ciclismo, dall'inferno della sua situazione, potrebbe uscire davvero facendo tesoro degli errori del passato e rappresentare un punto di riferimento nel panorama sportivo, con benefici sostanziali per tutti gli operatori (e non con deprecabili lucri di pochi come in questo momento).
Insomma, sarebbe come passare dalla Premier League degli hooligans a quella attuale delle famiglie allo stadio.
Gli appassionati veri di questo sport hanno bisogno di sentire queste intenzioni e queste istanze di rinnovamento sincero, non le favolette Uci e Fci sulla pulizia momentanea (ogni volta apparentemente acquisite e poi regolarmente smentite, pure con il grave coinvolgimento dirigenziale).
Certo per fare questo bisogna anche avere il coraggio giornalistico di affermare che la classe dirigente attuale (ma anche antica perchè è la stessa) di questo sport deve lasciare il passo ad una nuova più rappresentativa degli atleti e più fattiva nell'ambito manageriale-sportivo.
Rispondo alla domanda
"Cosa scriveresti se fossi un giornalista della Gazzetta?"
Il lavoro del giornalista della carta stampata è più facile del tuo in questo ambito. Nasce sempre da un minimo di pausa di riflessione, è comunque un approfondimento.
Non ha l'assillo della terribile attualità in real time da narrare, come succede invece a te (o Pancani o ... Bragagna). Nel vostro caso (tv) l'errore grossolano è un rischio infinitamente maggiore. L'errata interpretazione, la parzialità della notizia sono rischi oggettivi nel real time. Altra cosa è il lavoro di chi a bocce ferme mette nero su bianco. Quelle della Gazza (di parole) sono pietre ed oltretutto restano indelebili in quel tremendo tritacarne che è l'archivio della rete. Almeno per il momento, le vostre parole (se non "scansite" e digitalizzate) restano nel vecchio etere sebbene infatuino più di tutte le altre le nostre riflessioni emotive.
Fossi un giornalista della Gazza non farei da cassa di risonanza a certe dirigenze, anche rispondendo alle sollecitazioni con un accorato vaffa (come doveva avvenire in occasione della presentazione del Giro dello scorso anno, quando McQuaida mandò il suo video come Osama, intimando al Giro che
«Il futuro del Giro dipende da quel che faremo noi». Qua ne parlammo in tono satirico feroce:
viewtopic.php?f=2&t=288&start=50#p45044
Fossi un giornalista della Gazza (pagine ciclismo) non esagererei nel descrivere il cattivo dopato dagli altri buoni del gruppo. Non esiste questa favola (aldilà delle innegabili responsabilità individuali che solo chi ha le palle fra i ragazzi tende ad ammettere); non esiste questa realtà e contribuisce a ricreare e rinvigorire l'ipocrisia.
Eviterei le retoriche dei ciclisti tutti dopati, quando si parla di massimi sistemi (ovvero nelle altre pagine della Gazza), solo perché alcuni dei ciclisti hanno il coraggio di ammettere la situazione mentre negli altri sport c'è solo la famiglia del Mulino Bianco. La Gazza favorisce tutte le ipocrisie, pure stridenti fra loro. Fossi un giornalista della Gazza Ciclismo aiuterei questo sport a liberarsi dagli scheletri e dalle paure di esporsi, favorendo la cultura della consapevolezza, della trasparenza e della responsabilità nel quadro di nuove regole CHE OGGI SONO POSSIBILI. Fossi un giornalista della Gazza in generale, riporterei la Gazza ad un quotidiano sportivo e non di wrestling. Spiegherei ai lettori cosa sia lo sport oggi e direi quali problemi ha, cercando di persuadere anche i potenti del calcio, e la smetterei di utilizzare il capro espiatorio ciclismo. Favorirei il ricambio della dirigenza Coni che ormai sembra la parata delle mummie del Cremlino. Con quelli il doping ci sarà sempre (finché c'è guerra/doping c'è speranza) e ci sarà pure il loro antidoping, talvolta orbo e talvolta iper-vedente (ma non random).
Non voglio però scappare dal difficile della tua domanda, anzi me la complico. Cosa farei nei tuoi panni se durante un live mi arrivasse notizia della positività di un big?
Mamma mia, suderei freddo. Credo che cercherei di dare la notizia in modo asettico e userei la solita forma dubitativa e di garanzia. Niente di originale insomma.
Il problema vero è come contestualizzo la notizia nell'àmbito del pensiero espresso in precedenza o della linea editoriale tenuta sino a quel punto su quell'argomento.
Non per tutti è facile spaziare fra serio e faceto come fanno ad esempio il Magro o talvolta, nell'altro lido, De Luca e Martinello in forma più raizzata (sobrietà di servizio pubblico). Una lettura bonaria e scanzonata, apparentemente irriverente, è alla lunga meno dannosa e fastidiosa di una lettura anticipatoria di sentenze o, ancor peggio, assiomaticamente pro o contro l'atleta peccatore; lo ribadisco con forza perché una lettura a priori accusatoria od assolutoria dell'atleta positivo ha due diverse facce ma è la stessa medaglia, perché entrambe rifiutano di affrontare la natura del problema e sposano la stessa sostanziale ipocrisia.
Credo che personalmente partirei sempre dal paletto del rispetto umano. Chi ha sbagliato non merita la gogna, basta già la punizione di una professione che si interrompe e l'imbarazzo di una pubblica sanzione. Descriverei il lato umano dell'errore e delle conseguenze, che spesso vengono ignorati. L'empatia aiuta sempre e fa informazione.
Il caso Schwazer è stato un punto di rottura delle vecchie retoriche trite e ritrite, perché da una parte si è assistito al rituale massacro di media e dirigenti, dall'altro ad una difesa capillare e orgogliosamente umana di appassionati sportivi ed anche di cittadini in genere per l'uomo Schawazer, difesa ben rappresentata dalla passione quantitativa espressa in rete da migliaia di persone (nella vicenda ho invece apprezzato la Gazza).
Poi cercherei in tutti i modi, che la personale tecnica comunicativa ed il buon gusto consentono, di far passare quotidianamente una diversa cultura sportiva, quella che sopra ho descritto (io le tecniche comunicative le posso osservare, ma non le conosco chimicamente).
Se fossi un ambizioso (in senso positivo) telecronista cercherei di aprire varchi di discussione e riflessione sul tema e cercherei di abbandonare quell'atmosfera di tabù medievale, quella dei bimbi portati dalle cicogne e dallo spirito santo, affermando con garbo e misura (aiutato in questo da un Magro in grande spolvero) che i bimbi sono lo splendido risultato di un fantastico amplesso sessuale.
Meglio una difficile verità (certo non felice come una procreazione), indigesta a qualsiasi esofago, che possa aprire una stagione di impegnativa chiarezza profonda per rinascere, che la prosecuzione di una ipocrisia che stancamente si trascina da 20 anni.
Andrea, credo insomma che le mele siano ormai mature per un cambio di passo ed un approccio diverso. Basterebbe che ciascuno si chiedesse: "E se Riccò fosse stato mio fratello o mio figlio?". Il "mio fratello", il "mio figlio" lo prenderemmo a calci nel sedere forse, di certo lo renderemmo consapevole della giusta pena (se giusta ed equa veramente), ma di sicuro lo difenderemmo da chi lo vorrebbe un criminale o un mostro da pubblicare per vendere copie, audience e spazi pubblicitari.
Il giornalismo urlato non paga e per fortuna nel ciclismo si è limitato a qualche programma tv e purtroppo a tanta cartaccia stampata.
Arrivo ora alla prima domanda:
"Ma tu di fronte a un caso di doping, che so quello di Rebellin o Di Luca o Frank Schleck, che pensi?"
Cosa penso nel momento attuale o cosa penserei di fronte ad una positività degli stessi in un sistema nuovo in regime di vera equità, terzietà e certezza di violazione e pena?
Nel secondo caso, mi augurerei che gli atleti colti in violazione si assumessero le loro responsabilità e chiedessero scusa al movimento, scontando eventuali pene a quel punto decise.
Nella situazione attuale mi muovo nell'imbarazzo sopra descritto. Il regime attuale è assolutamente abborracciato, fallace e quindi volutamente "discrezionale" (Ashenden ha usato termini inglesi più netti), minato alla radice dai sospetti che ormai si stanno palesando in più o meno sostanziali conferme e mi sentirei a disagio insistendo nel deplorare il comportamento dei singoli. Non me la sento di prendermi in giro e di trattarmi da deficiente. Allo stato mi auguro che l'Uci, grazie all'intervento delle federazioni forti e di grandi tradizioni (ottime le gestioni belga e francese ad esempio) possano esprimere una nuova dirigenza, appassionata e meno grigiamente marchettara. L'Uci ha avuto grandi presidenti come Rodoni (sebbene dispotico era disinteressato e immensamente appassionato) ed il valenciano Luis Puig, forse il migliore della sua storia, per cui come rappresentante ed espressione del movimento ciclistico si merita qualcosa di diverso, di più onesto ed appassionato.
Solo con una nuova Uci un'amnistia potrebbe essere colta come un punto di rottura netto: d'ora innanzi ragazzi guardiamoci in faccia, queste sono le regole.
L'Uci di McQuaid non ha alcun diritto di operare una amnistia. Sarebbe il completamento dei reati e delle violazioni che si stanno palesando.
Peraltro ritengo che l'Uci dovrebbe trasferire la sua gestione in paesi più affidabili e trasparenti nelle transazioni finanziarie, suggerirei il Belgio.
L'offshore o la furba Svizzera procurano troppe tentazioni che allo sport fanno solo male. Ecco, ritengo che i media potrebbero dare una mano in questo aspetto e rendere un grande servizio.
I media dovrebbero auspicare questi cambiamenti, o sollecitare almeno queste aspirazioni.
So che i buoni princìpi sinceri sono più pallosi delle urlate notizie pruriginose e so che la cronaca dei fatti vende meno del gossip, ma i primi alla lunga pagano meglio. Sempre.
Andrea, è stato un piacere. Sorry per il fiume, ma non volevo essere banale e frettoloso.
Ps. Nella sfiga noi "del ciclismo" con i media tv siamo fortunati. Per spazio ed attenzione che i protagonisti ci riservano. Non è così in altri sport.
Ed il movimento ciclistico ha sempre ricambiato attenzioni ed affetto per gli onesti lavoratori. Per questo contiamo su di voi per mettere un "punto e a capo" sulle lacerazioni (di passato e presente) di cui si siamo totalmente esausti. Giustizia, trasparenza e serenità sono diritti antitetici ad arbitrio, discrezionalità e cacce alle streghe.
Fate la vostra parte. Il coraggio ed il discernimento pagano sempre!