Basso ha scritto:Alle ore 7.00 di domenica 5 febbraio 2017 verrà staccata la spina che teneva in coma irreversibile Rai Sport 2. A piangerne la scomparsa i tanti che lo hanno apprezzato nei 6 anni e mezzo di vita, 5 dei quali da protagonista. Non altrettanto si può dire per i responsabili del misfatto, che continuano nella loro ignoranza sportiva a restare nelle rispettive posizioni.
Non è chiaro se il tuo sia un riferimento al sistema politico o ai vertici della testata giornalistica sportiva.
Proviamo a fare un po' di chiarezza sull'argomento.
E' indiscutibile che i tagli della spending review abbiano definitivamente sancito la chiusura di Rai Sport 2. Indiscutibile ma pure inevitabile. Anzi, oltre al chiedersi il perché, la vera domanda da porsi è perché le altre emittenti Rai, sia tematiche ma pure generaliste, abbiano ancora luce e non siano stato oscurate allo stesso modo.
Sia chiaro, non è il solito attacco retorico e demagogico contro la Tv di stato che, a mio avviso, il suo compito lo ha quasi sempre svolto in maniera dignitosa. Ma questo è vero se riferito alle reti principali, mentre non si può essere soddisfatti di quanto abbiano prodotto le altre reti sorte a seguito dello switch off: penso a Rai Storia (che non ha mai del tutto sfruttato l'eccezionale traino di fine anni 90 de La Grande Storia ), a Rai Scuola, ad una delle due reti per bambini e pure a Rai 5. Sarebbe interessante avere un riscontro auditel di tali emittenti, ma dubito fortemente che nel corso degli anni siano stati superiori a quelli registrati da Rai Sport 2. Del resto, basta dare uno sguardo alla programmazione per rendersi conto della loro totale inutilità nel panorama televisivo italiano.
Pertanto, allo stato attuale delle cose, la scelta a mio avviso più sensata sarebbe stata quella di oscurarle tutte quante. Come è stato fatto per Rai Sport 2.
Premesso questo e focalizzando l'attenzione sull'argomento sport, credo sia profondamente sbagliato quindi addossare alla politica la causa della scomparsa di Rai Sport 2. O meglio, la politica ne è responsabile non in riferimento ai tagli, ma in sede di nomina dei direttori, dal momento che il vero motivo che ha portato al collasso della rete è stato l'incapacità gestionale degli ultimi 3 personaggi che sono stati posti a dirigere lo sport Rai (con modalità ben differenti dall'uno all'altro).
Storicamente, il vero marchio di fabbrica che ha da sempre contraddistinto il prodotto sportivo della rete di Stato può essere individuato nell'istituzionalità tipica di giornalisti e programmi. Con annessi pregi e difetti. Istituzionalità che certamente spesso sapeva di vecchio e non al passo coi tempi, ma che nella gran parte dei casi era sinonimo di professionalità, garanzia e affidabilità. Proprio quello che, quel target di pubblico medio che sceglie di guardare la Rai, si aspetta.
Chi decideva di seguire lo sport sulla Rai, sapeva bene che andava incontro a giornalisti nati già vecchi, a programmi che nulla concedevano all'improvvisazione e allo show, ma che garantivano uno standard di qualità piuttosto elevato.
Tutti i direttori che si sono succeduti nel corso degli anni hanno rispettato queste esigenze, riuscendo quasi sempre a garantire all'azienda l'adeguato riscontro del pubblico. Penso all'insuperabile Gianfranco Del Laurentis, a Bartoletti (esempio più lampante di quanto appena scritto), Maffei e De Paoli. Giornalisti interni alla Rai quindi, ma non solo, dal momento che anche dei veri e propri numeri uno strappati alla concorrenza si adeguarono a quella isituzionalità, e mi riferisco a De Luca e Giovanni Bruno. Due che, sia prima che successivamente alla loro esperienza in Rai, hanno fatto dell'innovazione gestionale il loro punto di forza: si pensi alla vecchia Capodistria, allo stravolgimento che attuarono nel modo di raccontare il Giro d'Italia nei primi anni 90 in fininvest (che ancora oggi viene seguito alla lettera in Rai), ai salotti con le interviste post-partita che De Luca ebbe l'intuizione di trasportare da Tutto il calcio in RadioRai alla tv sempre nel suo periodo fininvest (e divenuto un modello ancora vigente in tutte le reti sportive), a come Bruno ha impostato l'intrattenimento sportivo in sky.
Eppure arrivati in Rai tirarono il feno a mano, limitarono quel loro istinto innovatore e si adeguarono alle prerogative dell'azienda.
I primi, evidenti problemi di gestione ed organizzazione dello sport Rai sono iniziati, a mio avviso, con il ricambio generazionale della vecchia guardia dei giornalisti: alcuni grandi vecchi sono stati inevitabilmente mandati in pensione (lo stesso De Laurentis, Pizzul) altri sono stati tagliati senza grossi complimenti (penso a Mario Mattioli e Carlo Nesti), mettendo in fermento la redazione sportiva che, va detto, è da sempre condizionata dall'eccessivo peso che il sindacato ha al suo interno, con continue prese di posizione ad oltranza talvolta fuori da ogni logica. D'accordo la solidarietà, l'attaccamento aziendale e lo spirito di corporazione, ma la redazione sportiva Rai ha sovente ecceduto, ostacolando ogni minima forma di cambiamento strutturale: penso ad esempio alla protesta scriteriata in merito all'assunzione di Massimo Caputi (che ebbe la sola colpa di farsi preferire a Varriale...) o, più recentemente, alla presa di posizione contro l'arrivo di Sconcerti.
Fino a quando la carica di direttore è stata ricoperta da Eugenio De Paoli, tutto sommato la situazione non è mai degenerata, sia in seno alla redazione sia in riferimento alla qualità del servizio offerto. Si trattava comunque di un uomo Rai, che è riuscito a tenere a bada la vulcanica redazione (essendo ben visto dai suoi colleghi) e ad essere adeguato nella gestione dello sport, quanto meno secondo quello che ci si aspetta dalla Tv di Stato.
La prima delle 3 scelte che hanno poi portato, nel giro di 3 anni, alla situazione attuale, è stata la nomina di Mauro Mazza, dignitoso mezzobusto che il governo Berlusconi mise alla direzione di Rai 1, per essere poi sfiduciato e mandato inspiegabilmene a dirigere la testata giornalistica sportiva, per quella bizzarra idea secondo cui lo sport Rai possa essere gestito da un giornalista politico/generalista qualsiasi.
Ad onor del vero, va dato atto a Mazza sia di aver provato ad introdurre qualche interessante novità (pur scopiazzando altrove) nei palinsesti sportivi (penso ai talk notturni su Rai Sport stile Sportitalia, al tentativo di svecchiare 90°minuto) sia ad accelerare quel tentativo di ricambio generazionale che i suoi predecessori avevano parzialmente abbozzato.
Ma, probabilmente, anzi senza ombra di dubbio, si trattava dell'uomo sbagliato nel posto sbagliato e, non essendo visto di buon occhio dalla redazione e complice alcuni scivoloni (penso all'inspiegabile taglio dei games conclusivi della finale femminile del Roland Garros), dopo un solo anno è stato rimosso. Ha pagato proprio quel tentativo di rinnovamento, quel voler competere sullo stesso terreno col fenomeno Sportitalia (fenomeno riferito a quel periodo, dal momento che ora si è decisamente ridimensionata) e provando a portare in Rai quel modello di intrattenimento (soprattutto nel calcio) tipico di Sky e Mediaset. Ma la Gandolfi non è la D'Amico e Tardelli e Collovati non sono Costacurta e Boban.
Si è arrivati quindi alla seconda nomina scriteriata, con la bella favola dell'intervistatore di bordocampo che, forte della sua appartenenza Rai, si è trovato improvvisamente catapultato dall'umidità dei campi alla comodità della poltrona di direttore. Non un Jacopo Volpi (che comunque, pur nei suoi limiti, avrebbero avuto la competenza per ricoprire quel ruolo) ma Carlo Paris. Talmente inadeguato che i suoi piani editoriali vennero ripetutamente bocciati dalla redazione amica. E, nello specifico di Raisport2, fu proprio la linea editoriale di Paris a prevedere la creazione di un canale HD clone di RaiSport 1 al posto di RaiSport2.
Venendo continuamente respinto dalla propria redazione ed infine rimosso dal suo incarico, Paris non ha fatto in tempo a veder nascere il clone HD, ma si è comunque accontentato di aver clonato RaiSport 2 ad immagine e somiglianza di RaiSport1.
E' bastato attendere 12 mesi per vedere completata l'opera, sotto la gestione del nuovo direttore: come se non fosse stato sufficiente l'errore commesso con Mazza, si è optato nuovamente per il giornalista/scrittore esterno, Romagnoli. E, guarda caso, è stato proprio il personaggio esterno (come lo fu Mazza) a rendersi protagonista del tentativo di rivoltare completamente personaggi e struttura della testata sportiva, andando a toccare e ridimensionado altri illustri giornalisti Rai (Volpi, Civoli, Varriale) ma proponendo un piano editoriale non del tutto chiarissimo. Inevitabile la rivolta della redazione, con tanto di sfiducia.
In definitiva è evidente che tra inadeguatezza a ricoprire la carica di direttore e troppa voglia di protagonismo nel voler mettere le cose a posto nella sindacalizzatissima tastata giornalistica sportiva, il trend qualitativo del servizio sportivo offerto dalla Rai ne ha ampiamente risentito risultando, in generale, in calo rispetto al passato. In generale, perchè ritengo ad esempio che la gestione dell'evento Olimpico di Rio sia stato comunque soddisfacente.
Deve essere chiaro che la Rai non è Sky o Mediaset in cui si può sperimentare ed assumere nuovi giornalisti od opinionisti senza che ci si metta di mezzo il sindacato. In Rai questo non è fattibile, storicamente è così e occorre prenderne atto. Pertanto non ha alcun senso nominare direttori che hanno l'intenzione di apportare stravolgimenti nei volti e nei contenuti, non si può fare.
Rai Sport 2 non c'è più ma, da appassionato di sport a 360°, non lo vivo come un dramma.
Una rete sportiva, se ben gestita, basta e avanza a garantire spazi e trattamento adeguato per tutte le discipline che la Rai ha deciso di seguire, che tra l'altro non sono neppure tante. A questo punto si potrebbe aprire un nuovo capitolo della discussione, per taluni la vera causa scatenante non solo dei problemi in seno alla testata sportiva Rai ma anche a monte del calo di popolarità e conseguente crisi di alcune storiche discipline sportive del nostro paese (pugilato, basket, volley) che, ormai da anni, decenni, hanno visto ridotto o addirittura azzerato il loro spazio in Rai. Ma non sono di questo avviso, dal momento che ritengo che una disciplina si debba conquistare lo spazio mediatico per meriti propri e non, invece, che gli sia dovuto a prescindere.
Il volley italiano ha raggiunto la vetta mondiale senza che, in quegli anni, la tv gli garantisse chissà quale copertura. Il boom mediatico è stato una conseguenza del mondiale del '90 e, nel momento in cui il movimento pallavolistico è andato incontro ad una evidente flessione, inevitabilmente la Rai non ha potuto far altro che dedicargli meno passaggi televisivi, essendo scemata la richiesta del pubblico.
Ho la morte nel cuore nel non vedere più le riunioni pugilistiche trasmesse dalla tv di Stato, ma il movimento è impantanato e non si smuove dal suo perenne letargo, non sfornando più alcun talento non solo a livello mondiale ma neppure europeo.
Venivano trasmessi in prima serata i meeting di atletica perché alla gente interessava vedere Mennea, Cova, Antibo e Panetta. Ora è quasi divenuto uno sport di nicchia.
I vari presidenti di federazione svolgano appieno il loro compito e rilancino lo sport, al netto del contributo delle tv. Se sono dei dirigenti capaci devono essere in grado di farlo. L'interesse del pubblico, e quindi della tv, verrà di conseguenza.
Si riparte quindi dalla chiusura della seconda rete sportiva, Si dovrebbe ora trovare un giusto compromesso, partendo da quel che c'è di buono nell'attuale impianto sprotivo Rai. E si dovrebbe far tesoro dell'esperienza olimpica, che, invece, sembra essere stata dimenticata.
I volti nuovi, conseguenza di quel ricambio generazionale sempre e solo abbozzato e mai portato a compimento, a mio avviso funzionano e hanno dato freschezza agli sport minori: penso ad Antinelli (funziona ottimamente nel volley), Lollobrigida (entusiasmante nel canottaggio), a Fanelli. Se a questi aggiungiamo i più stagionati Bragagna, Pancani, Bizzotto, Fusco (ottimi nello loro discipline) direi che gli sport minori sono ampiamente coperti.
Diverso è il discorso calcistico. Rimedio non ha lo spessore per essere la voce principale del calcio in Rai; Antinelli, Lollobrigida e Bizzoto perdono di efficacia rispetto al loro habitat naturale. Stesso discorso per le trasmissioni in studio: se si continua a proporre la Ferrari non trovando un'adeguata alternativa evidentemente c'è un problema. E' chiaro che al pubblico Rai non si può proporre di punto in bianco una Leotta o una delle baldanzose (e comunque preparate) ragazze di Sportitalia, il target è differente. Ma esistono anche le vie di mezzo, basta dare uno sguardo in casa Mediaset.
Stesso discorso per quanto riguarda i commentatori tecnici ed opinionisti: le scelte sugli sport minori risultano essere state piuttosto felici (penso ai vari Cassina, Lucchetta, Martinello, i nuovi innesti di Saligari e Pittis), meno in riferimento al calcio, dove l'arrivo del solo Sconcerti (ci può stare pur con tutti i suoi annosi difetti) non può pareggiare il giudizio negativo sui vari Zaccheroni, D'Amico o Tardelli.
Per quanto concerne i contenuti, mai del tutto considerata l'idea di dedicare Rai Sport 1 interamente al calcio e Rai Sport 2 unicamente agli sport minori, è chiaro che ora tutti gli sport dovranno coesistere in un unico contenitore, col rischio che, talvolta, in casi di eventi in contemporanea occorrerà fare delle scelte. Va bene, l'importante è aver capito che non si può oscurare la finale del Roland Garros per dare spazio ai playoff di Lega pro di calcio.
La scelta di puntare sul calcio internazionale non so quanto stia pagando in termini di ascolti, il tentativo di proporlo lo considero corretto, magari puntando anche sul campionato spagnolo.
Benino il talk calcistico notturno, andrebbe rafforzato con opinionisti più incisivi e tematiche un po' meno da bar dello sport.
Bene invece la scelta di acquisire i diritti della Champions di basket.
Insomma, gli elementi da cui ripartire e rilanciarsi, proprio ora, ci sarebbero pure. Ma,come in ogni azienda e ambiente di lavoro, se il direttore non gode della fiducia dei suoi uomini, viene a mancare la base su cui poter fondare ogni tipo di sviluppo futuro.