Da poco più di un mese un (ex) importante personaggio del ciclismo sta girando da nord a sud l'Italia per presentare il suo libricino, una fatica letteraria che si fa leggere con estrema facilità e tutto d'un fiato per una persona affetta da ciclofilia acuta ed inguaribile.
L'impianto dell'ultima fatica del celebre personaggio è quello della ricerca etnografica, retaggio dei suoi studi e del suo background formativo.
Dopo le ricerche etnografiche sulla emigrazione siciliana verso le periferie di Fiat City, abbiamo oggi una intrigante e variopinta ricerca sulla emigrazione ciclistica siciliana verso San Baronto City e dintorni.
L'opera citata è "Il ciclismo dalla Sicilia alla Toscana" - Edizioni Unicopli - di Giancarlo Ceruti, ex presidente della Federazione Ciclistica Italiana, antesignano della politica dirocchiana, che l'ultimo presidente ha così bene completato.
A differenza dell'ultimo presidente coi baffi, Giancarlo Ceruti è un uomo di cultura e dalla piacevole e fluente parlata, tipica delle genti lombarde della bassa che attingono dalla vicina Emilia il gusto per il bell'eloquio, quell'eloquio che solo le genti della cucina grassa e dotta possono permettersi.
Giancarlo Ceruti ha tutti i caratteri (e la pesantezza ideologica) dell'intellettuale di sinistra, quell'intellettuale di sinistra che ha fatto tesoro delle sconfitte del movimento operaio e delle lezioni da questo subite dalle libere idee della destra (il movimento operaio, mai l'intellettuale di sinistra).
E' per questa ragione che ogni tanto anche l'intellettuale di sinistra prestato al ciclismo (il suo movimento operaio) fa un tuffo nella base per ascoltare ed attingere informazioni ed elaborare analisi. Gli aneddoti contenuti nel libretto (chissà che non sia solo il primo di una nuova rivoluzione culturale nel ciclismo) sono tanti e veramente ben collocati nella loro successione ai fini di ricerca.
Inutile dire che il confronto che traspare negli aneddoti fra le due umanità, siciliana (anzi, le siciliane varie) e toscana, concede anche sorprendenti e divertenti sorprese, oltre a conferme su cose che già si sapevano, stavolta corroborate da prove fornite e certificate dal Ceruti ricercatore antropologo.
La conferma dell'intelligenza nella fame dei siciliani comparata con la opulenta e, diciamolo, neocolonialista superiore organizzazione toscana restituisce un quadro a tinte anche forti delle due umanità. Ne esce splendidamente anche la duttile vincente e sempre più simpatica novelle vague siciliana (Visconti, Nibali, ecc.) che dell'essere cittadina del mondo non solo ne ha fatto necessità, ma anche tesoro. Ed ecco un Visconti od un Nibali che viaggiando per la cara vecchia Italia e per l'Europa (anzi Eurasia) si adeguano nel loro relazionarsi a seconda di dove si trovino, diventando con la loro intelligenza di corridori veri e propri ponti culturali di una bella Sicilia verso Toscana, Piemonte, Veneto, ma anche Spagna e incredibilmente Kazakistan.
Il viaggio di Ceruti non è banale, anche se qualche eccesso di autoreferenzialità ogni tanto emerge, ma nel complesso la ricerca è vera ed anche spietata, come nel caso dell'osservazione sullo svuotamento dei serbatoi giovanili, effettuata per decenni da parte dei ricchi club del nord.
E qua non si riesce a non ricordare la provenienza politica del Giancarlo da Cremona, sindacalista Cgil-Fiom. Vien da dire "compagni facciamo autocritica". Eh sì, perchè chi così bene mette in luce queste dinamiche sociologico-sportive è anche colui che da presidente federale non fece nulla (ma proprio nulla) per limitare il degenere fenomeno delle doppie affiliazioni. Quel fenomeno svuotò i vivai meridionali, attingendo da questi i migliori esponenti già maturati e lasciando invece al proprio destino decine di altri, ancora in maturazione, che avrebbero "potuto diventare" qualora il movimento locale avesse mantenuto in loco una sua consistenza, anche tenuto conto dei tanti soldi regionali che invece di andare allo sport da una ventina di anni in Sicilia vanno ad appannaggio di club e gare fantasma.
Insomma il ruolo di appassionato ricercatore stride fortemente con il passato "politico" del Giancarlo. Sarebbe stato come se il fine intellettuale Gianni Agnelli avesse scritto un libro con una ricerca etnografica sulla problematica socio-urbanistica della periferia-ghetto torinese negli anni 70.
Probabilmente l'opera ha per il Giancarlo una funzione di catarsi, una sorta di purificazione spiritual-ciclistica da un passato da dimenticare, anzi su cui fare "autocritica compagni".
D'altro canto gli anni sono passati anche per il brillante ciclo-ideologo della bassa, ma i segni del tempo su Giancarlo non sono gli stessi visibili sul volto combattuto di un Guccini in fuga sull'Appennino, no tutt'altro. Giancarlo appare in forma, di bell'aspetto in abito panama ed abbronzatura accurata alla Cesare Cadeo, segno distintivo della provenienza dalla classe operaia transitata in paradiso, con l'abito-tuta scolorito dal blu allo champagne.
Ascoltare il Giancarlo è un bell'esercizio, piacevole, perché il ciclo-ideologo guida con maestria le anziane platee nei ricordi di un ciclismo del tempo che fu e del soldo che c'era.
Il Giancarlo dice tutto quello che la platea vuole sentirsi dire, racconta con dovizia di particolari ed arguzia comunicativa, adattandosi pure lui come la novelle vague siciliana, alla etnicità delle sale ai cui conferenzia, senza evitare di descrivere gli aspetti negativi della sua ricerca (i tanti sogni traditi di tanti ciclo-emigranti).
Ciò che evita come la peste è di descrivere i perché e le cause di quegli effetti negativi.
Giancarlo può tranquillamente disquisire da grande ciclo-filosofo sul pensiero di Gramsci sulla leggerezza della copulazione delle farfalle, dotte citazioni sull'etnologo Marc Auge, ma aspettatevi una reazione di fastidio allergico (proprio shock anafilattico) quando gli si chiede un tuffo nella attualità o quando gli si chiede di parlare del Ceruti politico-sportivo.
Ma comunque tutto questo al Giancarlo si può perdonare, glielo perdona la base del ciclismo gli riconoscerà sempre tanto "credito sportivo", quella bella umanità eterogenea (etnico composita, ma italiana) che nonostante mille peripezie, problemi, tiene in piedi questo bellissimo ed unico sport dalla Vetta d'Italia a Capo Passero con tanti sacrifici e gratuità; esattamente come il "movimento operaio" ha perdonato l'Olmo di Novecento, il bel piccolo socialista "dalle tasche buche" Gerard Depardieu, divenuto oggi belga-russo (financo algerino) per la lotta di classe fiscale. Il suo "movimento operaio" lo guarderà con la affamata bocca appoggiata al vetro del bel ristorante ad ingozzarsi al tavolo di ogni prelibatezza, felice che uno di loro alla fine ce l'abbia fatta.
Eh sì, è il socialismo del debito, il "socialismo delle tasche buche". A proposito di tasche buche, ricorda bene il nostro presidentbaffo sulle tasche buche del nostro ciclo-filosofo della bassa. Ma anche questo il movimento ciclo-operaio lo ha perdonato all'Olmo ciclo-socialista di Cremona. Il debito è stato tutto ciclo-socializzato.
E tutti vissero felici e contenti.
Tutti? No, non proprio tutti caro Giancarlo. Uno è morto ed è morto anche grazie a sofferenze che tu Giancarlo hai alimentato ed utilizzato per vendere la tua cultura dell'antidoping da palazzo, da buon ciclo-stalinista. Questo debito ti resta, è solo tuo, assolutamente non socializzabile.
Si chiamava Marco. Marco Pantani. Ricordatelo Giancarlo da Cremona, filosofo dell'antidoping di palazzo.