Un bilancio
Gli anni Novanta sono stati un decennio riformatore ed è di esse che dobbiamo ragionare, compreso il ruolo, peraltro marginale di Berlusconi. Forza Italia perse quasi subito ogni slancio in tal senso, perché presto ci si rese conto che il fondatore fosse più attento e sensibile agli interessi (propri) che alle idee, il che è ovvio, dato che costui era un grande imprenditore, ma un piccolo politico. Colpisce, in questa prospettiva, la fragilità psicologica di gran parte del liberalismo italiano, che pensò di potere affidare la rivincita storica a un leader "carismatico", ignorando che i valori e i principi essenziali del liberalismo sono agli antipodi di un tale tipo di leadership e di potere!
I riformismi da analizzare sono quelli 1992-1998: oltre 430.000 miliardi di correzione nel bilancio, che pose fine a 20 anni di irresponsabilità politica, intellettuale e finanziaria e rese possibile l'ingresso nell'euro.
I tagli riguardarono soprattutto i meccanismi di crescita automatica, e i redditi reali continuarono ad aumentare, raggiungendo, alla fine dei Novanta, un livello pari a 5,5 volte quello del 1951.
Oltre a stabilizzare l'economia, i governi riformisti cercarono anche di raddrizzare qualche stortura prodottasi negli anni precedenti, quando la crescita, prima reale e poi a debito, le aveva rese tollerabili.
Sembra possibile dire che quel che fecero non bastò, che alcune riforme non dettero i frutti sperati, che altre rimasero incomplete, o addirittura alcune dettero esito negativo (ad es, quella dell'Università). Con il senno di poi, possiamo affermare che Amato, Ciampi, Prodi e D'Alema riuscirono a riparare il sistema idraulico del paese, ma non a svuotare l'enorme invaso del debito pubblico, che ne minacciava la sopravvivenza. Si può sostenere in sintesi che quel riformismo mise il paese in grado di funzionare, ma solo fin tanto che il canale (debito pubblico) fosse rimasto, grazie all'euro, sotto controllo.
