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Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 8:01
da Maìno della Spinetta
Riprendo Slegar e Pacho,
non tanto per guardare a quello che i corridori hanno fatto dopo (Tizio il gelataio, altri, sfruttando il soprannome di gioventù, il garagista o il postino),
bensì per capire cosa significa fare 100 km ogni giorno, guardare sempre la bilancia, e allo stesso tempo crescere bene e non monomaniaci.

Riprendo uno scambio tra Slegar e Pacho:

Slegar mercoledì 10 ottobre 2012, 3:15
Lavenu parla del caso Houanard; preso l'EPO per i punti WT che gli avrebbero permesso il rinnovo del contratto:
http://www.cyclingnews.com/news/houanar ... 2r-manager

Al netto dei soliti giudizi riservati agli appestati, quello di Houanard è un ulteriore caso che dovrebbe far riflettere sulle prospettive esistenziali di uno sportivo di alto livello che arriva a "fine vita" agonistica senza essersi preparato una valida alternativa, perché fin da giovane "focalizzato" esclusivamente sull'attività agonistica.
pacho » mercoledì 10 ottobre 2012, 3:31
ciao Slegar,
volevo chiederti qual'è la tua riflessione a riguardo.
saluti.
Slegar ha scritto
E' una riflessione molto lunga da esporre e questa non è nemmeno la sezione adatta; le mie sono considerazioni sia di carattere generale, applicabili a qualsiasi disciplina sportiva, che particolare. Il caso di Houanard non lo conosco, ci mancherebbe che gestissi la sua vita privata, però mi sembra che in questa vicenda ci sia la presenza di due fattori che mescolati assieme compongono una miscela letale: un'alta possibilità di guadagno derivante dall'attività agonistica e la scarsa propensione, tipica della nostra civiltà, al pensare alla propria esistenza nel lungo periodo che porta alla stortura di pensare che con l'agonismo si possa guadagnare per una vita intera.



Mi interessa, perché il monomaniaco, che non pensa all'avvenire (mi viene in mente l'intervista amara di Rebellin) vince anche tante corse, e a me Achille sta simpatico, più simpatico di Ettore. Ma uno muore giovane e vincente. L'altro è padre e mazziato. A parole son tutti amanti della normalità, ma poi il vincente vien guardato con rispetto.

L'analisi sin qua è semplificata (il fatto, forse perché ho lavorato a lungo in paesi "protestanti", è che la normalità la odio abbastanza...), e si pone in termini sbagliati.
Il problema non è quello, è un altro:
come si fa a crescere un ciclista che sappia guardare con curiosità al tutto? Che sappia usare il ciclismo per avere accesso al mondo? In poche parole, come si fa a rendere il quotidiano ciclistico straordinario, tale da investire anche altro, aprire e non chiudere?
Non ho mai allenato dei ragazzini (ma non escludo di farlo in futuro, dato che ho solo 30 anni e sono in trattative :) per accasarmi...) quindi mi piacerebbe sapere da chi lo fa o lo ha fatto come tenere insieme l'apertura, lo slancio che ogni persona - soprattutto i ragazzi - ha, e la disciplina costante che uno sport di fatica richiede.

Visto nel modo giusto, Achille appare una scorciatoia (come Ettore lo è per i pavidi). Ed una scorciatoia che tenta poco, o comunque meno.

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 10:01
da lemond
Maìno della Spinetta ha scritto:Visto nel modo giusto, Achille appare una scorciatoia (come Ettore lo è per i pavidi).
Proprio non copisco come Ettorre possa essere considerato una "scorciatoia per i pavidi". L'Iliade l'ò studiata più di cinquant'anni fa, però il troiano lo ricordo come il massimo del coraggio, ma di tipo puramente umano e quindi non disgiunto dalla paura e parimernti consapevole che il destino va comunque accettato, ma soprattutto che si deve lottare e anche morire per i valori in cui si crede. :dubbio:

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 10:14
da Maìno della Spinetta
lemond ha scritto:
Maìno della Spinetta ha scritto:Visto nel modo giusto, Achille appare una scorciatoia (come Ettore lo è per i pavidi).
Proprio non copisco come Ettorre possa essere considerato una "scorciatoia per i pavidi". L'Iliade l'ò studiata più di cinquant'anni fa, però il troiano lo ricordo come il massimo del coraggio, ma di tipo puramente umano e quindi non disgiunto dalla paura e parimernti consapevole che il destino va comunque accettato, ma soprattutto che si deve lottare e anche morire per i valori in cui si crede. :dubbio:
Vero, ma è guardabile come una scorciatoia di chi ha paura della aspirazione, umana, della grandiosità.
Non lui è pavido: lui è guardabile dai pavidi come esempio rifugio contro la grandiosità.

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 11:58
da pacho
Bella discussione.
senza pretesa di validità assoluta, dalla mia esperienza con l'agonismo, mi sento di dire che diversi fattori si contrappongono tra ciclismo e/costruzione di un'avvenire professionale al di fuori di esso.
Innanzitutto, l'impegno che questo sport richiede. Già da allievo (primi anni delle superiori), chi ha intenzione di andare avanti deve sopportare carichi di allenamento superiori a qualsiasi altro sport (forse, solo il nuoto regge). Minimo 5 volte a settimana, per poi diventare impegno quotidiano già da junior. Inoltre, a differenza del calcio e molti altri sport, gli allenamenti in bici non puoi effettuarli la sera: specialmente nei mesi che vanno da dicembre a maggio (il periodo più importante della stagione), sei costretto ad allenarti appena suonata la campanella a scuola. Ciò significa sacrificare altamente lo studio perchè, se è vero che comuqnue puoi metterti sui libri finito l'allenamento, d'altra parte la stanchezza (e quindi la svogliatezza) prende il sopravvento. Risultato, se riposato puoi preparare l'interrogazione del giorno dopo in 2 ore, dopo un'allenamento ce ne metti 4...e l'esito sarà spesso peggiore. Insomma, il ciclismo è uno sport che toglie tempo ed energie che invece dovrebbero essere dedicate allo studio. (ok, poi ci sono le eccezioni : ad esempio, i pochi che facevano un liceo erano guardati come alieni dai compagni di squadra e dagli altri ragazzi :D )
L'effetto cumulativo di questa dinamica è che l'ambiente ciclistico (specialmente quello agonistico) è intriso di persone con livelli d'istruzione infimi. Oltre ai ben noti danni che questo produce a livello collettivo (ad.es. incapacità dell'ambiente di opporsi ai soprusi federali, allenatori - spesso passati per la medesima strada - che non spronano i ragazzini ad impegnarsi nello studio, ecc), da un punto di vista individuale si può tradurre in scarse alternative professionali una volta appesa la bici al chiodo.

ps: oh, poi c'è sempre la Fornero che, con sano realismo, dice che "non è necessaria una laurea per forza, e che è meglio ridare dignità a tecnici o operai"...certo, per licenziarli meglio. (tradotto: dopo che per decenni han preso per il sedere milioni di studenti raccontando loro che per diventare qualcuno bisogna studiare, adesso si riconosce candidamente che questa società non è in grado di produrre posti di dottore anche ai figli degli operai...va beh, stiamo andando OT).

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 12:59
da lemond
pacho ha scritto:Bella discussione.
senza pretesa di validità assoluta, dalla mia esperienza con l'agonismo, mi sento di dire che diversi fattori si contrappongono tra ciclismo e/costruzione di un'avvenire professionale al di fuori di esso.
Innanzitutto, l'impegno che questo sport richiede. Già da allievo (primi anni delle superiori), chi ha intenzione di andare avanti deve sopportare carichi di allenamento superiori a qualsiasi altro sport (forse, solo il nuoto regge). Minimo 5 volte a settimana, per poi diventare impegno quotidiano già da junior. Inoltre, a differenza del calcio e molti altri sport, gli allenamenti in bici non puoi effettuarli la sera: specialmente nei mesi che vanno da dicembre a maggio (il periodo più importante della stagione), sei costretto ad allenarti appena suonata la campanella a scuola. Ciò significa sacrificare altamente lo studio perchè, se è vero che comuqnue puoi metterti sui libri finito l'allenamento, d'altra parte la stanchezza (e quindi la svogliatezza) prende il sopravvento. Risultato, se riposato puoi preparare l'interrogazione del giorno dopo in 2 ore, dopo un'allenamento ce ne metti 4...e l'esito sarà spesso peggiore. Insomma, il ciclismo è uno sport che toglie tempo ed energie che invece dovrebbero essere dedicate allo studio. (ok, poi ci sono le eccezioni : ad esempio, i pochi che facevano un liceo erano guardati come alieni dai compagni di squadra e dagli altri ragazzi :D )
L'effetto cumulativo di questa dinamica è che l'ambiente ciclistico (specialmente quello agonistico) è intriso di persone con livelli d'istruzione infimi. Oltre ai ben noti danni che questo produce a livello collettivo (ad.es. incapacità dell'ambiente di opporsi ai soprusi federali, allenatori - spesso passati per la medesima strada - che non spronano i ragazzini ad impegnarsi nello studio, ecc), da un punto di vista individuale si può tradurre in scarse alternative professionali una volta appesa la bici al chiodo.

ps: oh, poi c'è sempre la Fornero che, con sano realismo, dice che "non è necessaria una laurea per forza, e che è meglio ridare dignità a tecnici o operai"...certo, per licenziarli meglio. (tradotto: dopo che per decenni han preso per il sedere milioni di studenti raccontando loro che per diventare qualcuno bisogna studiare, adesso si riconosce candidamente che questa società non è in grado di produrre posti di dottore anche ai figli degli operai...va beh, stiamo andando OT).
Sono d'accordo su quanto hai scritto prima del P.S. Sul resto, Paola Mastrocola ha scritto un libro (di cui ho spedito una sintesi a puntate) nel quale prende le distanze anche lei dalla laurea per forza, senza però fare distinzioni fra figli di "un dio minore" o maggiore". Magari il suo è un discorso un po' utopico, ma non stupido, anche perché parte da una base di sano pragmatismo: il suo essere insegnante al liceo da molti anni. :cincin:

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 13:53
da Subsonico
trovato intanto il thread che vi dicevo ieri:

http://oldforum.cicloweb.it/viewthread.php?tid=1490

non è proprio l'argomento della discussione ma almeno si può avere un'idea di cosa fanno adesso (o cosa facevano, qualcuno avrà cambiato mestiere)

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 13:58
da cauz.
Subsonico ha scritto:trovato intanto il thread che vi dicevo ieri:

http://oldforum.cicloweb.it/viewthread.php?tid=1490

non è proprio l'argomento della discussione ma almeno si può avere un'idea di cosa fanno adesso (o cosa facevano, qualcuno avrà cambiato mestiere)
c'è un thread equivalente anche sul forum nuovo... il problema e' riuscire a trovarlo :)

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 14:02
da alfiso
cauz. ha scritto:
Subsonico ha scritto:trovato intanto il thread che vi dicevo ieri:
http://oldforum.cicloweb.it/viewthread.php?tid=1490
non è proprio l'argomento della discussione ma almeno si può avere un'idea di cosa fanno adesso (o cosa facevano, qualcuno avrà cambiato mestiere)
c'è un thread equivalente anche sul forum nuovo... il problema e' riuscire a trovarlo :)
Mi intrometto per servizio, intendi "che fine hanno fatto?", o qualcosa di simile. Se sì, me lo ricordo anch'io.

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 14:09
da cauz.
alfiso ha scritto:Mi intrometto per servizio, intendi "che fine hanno fatto?", o qualcosa di simile. Se sì, me lo ricordo anch'io.
si', il problema è che il motore di ricerca con parole troppo comuni non funziona, e quindi le ricerche generiche diventano difficili. bisognerebbe ricordarsi un qualche corridore "minore" citato in quel thread e cercare cosi'...

ecco, buona idea scriverlo prima di inviare... :)
ho cercato fincato e il thread e' saltato fuori:
viewtopic.php?f=2&t=289&p=39141

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 15:07
da Emit Flesti
Questo topic è molto bello e un plauso merita chi lo ha "ispirato" e chi lo ha aperto. :clap: :clap:
Non ho mai corso agonisticamente, quindi il mio diritto di parola è assai limitato.
Una cosa però posso dirla da osservatore esterno.
Il ciclismo agonistico, a tutti i livelli/categorie, appare ed è percepito come un mondo molto chiuso al proprio interno. Non pretendo sia corretta tale percezione, ma è la mia e pure quella di altre persone non stupide (ma nemmeno appassionate di ciclismo) con cui mi è capitato di discutere.
Da un certo punto di vista (qualcuno si arrabbierà, ma vi prego di cogliere il senso e la misura di quanto sto per scrivere :sedia: ) tale “chiusura” assomiglia a quella presente nel mondo del wrestling, abbastanza ben rappresentata da Darren Aronofsky nel suo film del 2008: o sei “one of the boys” o nulla verrà condiviso con te, in termini di informazioni, opinioni, problemi, ecc.
Il ciclismo per me, e per tante persone che non hanno mai corso agonisticamente, è “Cultura” nel senso più alto del termine (ammesso che io ne sia degno, cosa di cui ancora dubito :hammer: ) …perché è uno strepitoso filtro attraverso cui guardare e ri-connettere dimensioni e fenomeni usualmente osservati da un punto di vista settoriale.
Però, contestualmente, il ciclismo agonistico è anche “sottocultura” o “subcultura” (non sono assolutamente termini dispregiativi) nell’accezione sociologica: qualcosa che si definisce per differenza e in qualche modo si isola dal resto della “società”.
Il problema di cui state discutendo, a mio modesto parere, ha un legame anche con la questione che (semplicisticamente) ho appena evidenziato :)

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: giovedì 11 ottobre 2012, 15:30
da lemond
Emit Flesti ha scritto:Il problema di cui state discutendo, a mio modesto parere, ha un legame anche con la questione che (semplicisticamente) ho appena evidenziato :)
Alla faccia del ... *semplicisticamente*. :) :cincin:

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: venerdì 12 ottobre 2012, 15:38
da herbie
Maìno della Spinetta ha scritto:Riprendo Slegar e Pacho,
non tanto per guardare a quello che i corridori hanno fatto dopo (Tizio il gelataio, altri, sfruttando il soprannome di gioventù, il garagista o il postino),
bensì per capire cosa significa fare 100 km ogni giorno, guardare sempre la bilancia, e allo stesso tempo crescere bene e non monomaniaci.

Riprendo uno scambio tra Slegar e Pacho:

Slegar mercoledì 10 ottobre 2012, 3:15
Lavenu parla del caso Houanard; preso l'EPO per i punti WT che gli avrebbero permesso il rinnovo del contratto:
http://www.cyclingnews.com/news/houanar ... 2r-manager

Al netto dei soliti giudizi riservati agli appestati, quello di Houanard è un ulteriore caso che dovrebbe far riflettere sulle prospettive esistenziali di uno sportivo di alto livello che arriva a "fine vita" agonistica senza essersi preparato una valida alternativa, perché fin da giovane "focalizzato" esclusivamente sull'attività agonistica.
.

come dice più in basso pacho, il ciclismo è forse l'unico sport che richiede varie ore quotidiane di allenamento, di freddo, di estrema attenzione alla cura del proprio fisico e della propria salute, specie quando accoppiato con una frequenza scolastica obbligatoria. L'unica attività paragonabile, lo so perchè ho provato, è lo studio di uno strumento musicale che già in tenera età tiene il ragazzino incollato allo strumento per 3-4 ore al giorno. Non stanca a livello fisico, ma stronca psicologicamente l'essere chiuso in casa a ripetere e ripetere esercizi, suonare e risuonare all'infinito lo stesso pezzo.
La mia opinione è: questo, profondamente, EDUCA.
Mette in contatto il ragazzo con la vita e le sue dinamiche. Nel caso del ciclismo, con il fisico e le sue dinamiche, con la STANCHEZZA, VERA. Con la NECESSITA' DEL RIPOSO, quando è VERAMENTE una necessità. Anche solo vedere ciò che accade nel mondo FUORI. Tanto per fare un esempio, passando in bici a fine allenamento, la gente che esce dalla stazione, come è vestita, come è stanca, quanto freddo prova perchè lo provi anche tu, quanto gli costa ogni giorno rincasare alle 7 di sera dopo 2 ore di treno, queste sono cose che le assorbi anche inconsapevolmente, solo osservandole, captando gli sguardi, per osmosi di sensazioni, così come ogni altra cosa della vita che incontri per strada, e altrettanto incosapevolmente rendono desta la consapevolezza sociale.
Fare un'oretta di allenamento blando alla sera sul campo di calcio è un divertimento, migliore della paystation visto che si tratta di una attività sociale e all'aria aperta, ma sempre la persona rimane "astratta", non tocca i problemi VERI legati al corpo, alla sua salute, alla sua cura, al suo evolversi nel bene e nel male. In un certo senso non tocca la realtà della vita.
Il vero problema dell'educazione oggi, acuito esponenzialmente dal moltiplicarsi degli anni passati a scuola e, ancor peggio, all'università, è proprio questo, l'astrazione dalla realtà della vita quotidiana. Esce il laureato dall'università, e non si rende minimamente conto di che cosa significa modificare la realtà della vita quotidiana delle persone che lavorano. Perciò la fanno facile nell'insinuarsi pesantemente nelle abitudini dei loro dipendenti, e pretendere di modificarle dall'oggi al domani come se nulla fosse, e stupirsi delle difficoltà e delle lamentele....
E poi c'è un'altra cosa. Lo sport (ma anche le discipline artistiche) abitua a pensare la realtà nell'orizzonte della continuità. dell'organicità delle trasformazioni, l'esatto opposto rispetto al sistema universitario.
Non esistono "salti" nell'apprendimento di un'abilità, nella matyrazione di una condizione atletica. Niente avviene dall'oggi al domani, recuperando in tre giorni quello che non hai fatto in un mese. A scuola è l'esatto contrario. Lì ti abitui all'idea che due risposte di un esame orale ti promuovono da insipiente a maestro. E' la logica dell'esame, quel sistema dell 'apprendimento certificato dalla salita di una serie di "gradini", del "dentro o fuori", a portare con sè questa abitudine a vedere le trasformazioni umane in maniera distorta, come se ogni abilità ad un certo punto, con un certo sistemino, trovando il modo di conoscere in anticipo quelle tre domandino (perchè SONO SOLO 3, non l'intero scibile, alla fine....), la si ACQUISISSE DI BOTTO, e poi chi s'è visto s'è visto, indietro non si torna.
Ecco, lo sport rende edotto il giovane che la realtà dell'uomo non è fatta a "gradini", ma in continuo trascolorare. Per cui ogni conquista avviene con l'abitudine quotidiana, e viene certificata con una serie di risultati che vengono da soli quando l'abilità C'E', non basta certo rispondere a tre domandine e poi andiamo a ballare....

Maìno della Spinetta ha scritto: Mi interessa, perché il monomaniaco, che non pensa all'avvenire (mi viene in mente l'intervista amara di Rebellin) vince anche tante corse, e a me Achille sta simpatico, più simpatico di Ettore. Ma uno muore giovane e vincente. L'altro è padre e mazziato. A parole son tutti amanti della normalità, ma poi il vincente vien guardato con rispetto.

L'analisi sin qua è semplificata (il fatto, forse perché ho lavorato a lungo in paesi "protestanti", è che la normalità la odio abbastanza...), e si pone in termini sbagliati.
Il problema non è quello, è un altro:
come si fa a crescere un ciclista che sappia guardare con curiosità al tutto? Che sappia usare il ciclismo per avere accesso al mondo? .

Come dicevo sopra non c'è miglior modo di avere "accesso" alla realtà, all'essere, dello starvi. Nessuna attività non comporta una immersione nelle sue "regole". Nemmeno lo studente di ingegneria se è per quello non è interamente immerso nel funzionamento della sua attività. Nelle cose che deve fare per ottenere il suo scopo. Nelle sue prospettive immediate. Il ciclista però almeno "dialoga" in modo serio con il suo corpo che è il vero codice della realtà.
Quanti ragazzini imparano ad ASCOLTARSI? Non c'è forse una abitudine più utile alla propria e altrui umanità se non quella appunto di ascoltarsi e di riflesso ascoltare? E' molto più facile che lo imparino quelli che fanno ciclismo secondo me....

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: venerdì 12 ottobre 2012, 16:53
da Subsonico
Bell'intervento Herbie, non avevo mai visto lo sport sotto quest'ottica.

La prossima volta che qualcuno mi chiederà perchè ho rovinato 2 anni della mia adolescenza col ciclismo risponderò così :D

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: venerdì 12 ottobre 2012, 17:47
da Belluschi M.
herbie ha scritto: Non esistono "salti" nell'apprendimento di un'abilità, nella matyrazione di una condizione atletica. Niente avviene dall'oggi al domani, recuperando in tre giorni quello che non hai fatto in un mese. A scuola è l'esatto contrario. Lì ti abitui all'idea che due risposte di un esame orale ti promuovono da insipiente a maestro. E' la logica dell'esame, quel sistema dell 'apprendimento certificato dalla salita di una serie di "gradini", del "dentro o fuori", a portare con sè questa abitudine a vedere le trasformazioni umane in maniera distorta, come se ogni abilità ad un certo punto, con un certo sistemino, trovando il modo di conoscere in anticipo quelle tre domandino (perchè SONO SOLO 3, non l'intero scibile, alla fine....), la si ACQUISISSE DI BOTTO, e poi chi s'è visto s'è visto, indietro non si torna.
Ecco, lo sport rende edotto il giovane che la realtà dell'uomo non è fatta a "gradini", ma in continuo trascolorare. Per cui ogni conquista avviene con l'abitudine quotidiana, e viene certificata con una serie di risultati che vengono da soli quando l'abilità C'E', non basta certo rispondere a tre domandine e poi andiamo a ballare...
:clap: :clap:

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: venerdì 12 ottobre 2012, 20:47
da francesco31
pacho ha scritto:Bella discussione.
senza pretesa di validità assoluta, dalla mia esperienza con l'agonismo, mi sento di dire che diversi fattori si contrappongono tra ciclismo e/costruzione di un'avvenire professionale al di fuori di esso.

Innanzitutto, l'impegno che questo sport richiede.
Già da allievo (primi anni delle superiori), chi ha intenzione di andare avanti deve sopportare carichi di allenamento superiori a qualsiasi altro sport (forse, solo il nuoto regge). Minimo 5 volte a settimana, per poi diventare impegno quotidiano già da junior.

L'effetto cumulativo di questa dinamica è che l'ambiente ciclistico (specialmente quello agonistico) è intriso di persone con livelli d'istruzione infimi.
... in scarse alternative professionali una volta appesa la bici al chiodo.

.

Guarda, mi ci rivedo giovane di 15 anni in questo tuo scritto
tornavo a casa dall'allenamento disfatto e mettersi a studiare era pesantissimo
cmq: alla fine mi sono diplomato, come molti della mia squadra,ma ho fatto molta fatica
NB. qualcuno è riuscito anche a laurearsi facendo qualche anno di Under23 ! ! ! (amici miei)

Re: Si smette, e dopo? Educarsi a essere ciclista o persona?

Inviato: venerdì 12 ottobre 2012, 21:05
da Maìno della Spinetta
francesco31 ha scritto:
pacho ha scritto:Bella discussione.
senza pretesa di validità assoluta, dalla mia esperienza con l'agonismo, mi sento di dire che diversi fattori si contrappongono tra ciclismo e/costruzione di un'avvenire professionale al di fuori di esso.

Innanzitutto, l'impegno che questo sport richiede.
Già da allievo (primi anni delle superiori), chi ha intenzione di andare avanti deve sopportare carichi di allenamento superiori a qualsiasi altro sport (forse, solo il nuoto regge). Minimo 5 volte a settimana, per poi diventare impegno quotidiano già da junior.

L'effetto cumulativo di questa dinamica è che l'ambiente ciclistico (specialmente quello agonistico) è intriso di persone con livelli d'istruzione infimi.
... in scarse alternative professionali una volta appesa la bici al chiodo.

.

Guarda, mi ci rivedo giovane di 15 anni in questo tuo scritto
tornavo a casa dall'allenamento disfatto e mettersi a studiare era pesantissimo
cmq: alla fine mi sono diplomato, come molti della mia squadra,ma ho fatto molta fatica
NB. qualcuno è riuscito anche a laurearsi facendo qualche anno di Under23 ! ! ! (amici miei)

Belle risposte, grazie.
Si è citato l'esempio della musica: verissimo.
Con amici del conservatorio avevamo organizzato dei momenti di incontro, alla sera, per chiacchierare un po' di quello che fanno (io cucinavo, loro erano i suonatori... :) ) per vincere la solitudine.
Solitudine di lunghi pomeriggi passati con lo strumento,
solitudine di lunghi anni a parlare con poca gente al loro livello di competenza musicale.

Avere della compagnia non da birretta, ma di gente sveglia con cui si può parlare delle cose belle e vere che si sperimentano quando si è ragazzi, insomma, non una compagnia di sola evasione, ma una compagnia che aiuti a ri-centrarsi dopo tanta fatica. Questo è un modo per non farsi sopraffarre.