Delle grandi squadre hanno anticipato già tutto gli altri.
Credo che ciascuno, involontariamente nell'esercizio di una passione nell'arco di una vita, abbia un periodo topico mai più avvicinabile come intensità.
Non è un fatto razionale, semmai ormonale. Naturalmente il periodo dell'adolescenza e della prima indipendenza (patente) per seguire le grandi corse resta indelebile.
Il periodo a cavallo fra 80 e 90 è il mio punto g ciclistico

A parte i personaggioni ed i loro team già citati di quel periodo ci sono due squadre che mi sono rimaste impresse e che hanno riscosso la mia simpatia ed affetto: la Cilo Aufina e la Carrera, ovvero le squadre di un corridore elegantissimo che mi piaceva parecchio, Erich Maechler, che in parte condivise il percorso di Stefan Mutter, Beat Breu e Urs Zimmermannm fra Cilo e Carrera appunto. Erich Maechler giunto alla carrera si portò a casa una bellissima edizione della Sanremo e fu uomo forte dello scheletro di quel team irripetibile.
La Cilo Aufina era la squadra delle aquile svizzere, Fuchs, Breu, Mutter, Schmuz, Ferretti ma anche di passistoni come Glaus (con buono spunto veloce), Gisiger Grezet e Demierre. Con la fine di questo ciclo, la Carrera acquisì un blocco Cilo e per anni la Carrera rappresentò quasi da sola in termini di risultati il ciclismo italiano al Tour.
Erano anni difficili per il ciclismo italiano, chiuso nel suo provincialismo, ma ancora alimentato dal dualismo Moser-Saronni ormai agli sgoccioli.
La storia Carrera è però segnata dai tanti tradimenti interni, dalle difficili gestioni delle divisioni (Roche-Visentini, e dopo molto relativamente Pantani-Chiappucci, ma non solo e rimando a dopo).
Le scarse vittorie italiane nei Tour anni 80 venivano vissute con soddisfazione doppia. Il Tour era veramente qualcosa di superiore ed incuteva un vero timore reverenziale per la sua ordinata grandiosità (niente a che vedere con la decaduta chiavica in corso in questi giorni, perdonatemela mi è sfuggita

).
Nel 1985 il buon Visentini corre il Tour soffrendo parecchio e arriva a Parigi solo 50°. Moser e Saronni manco più ci andavano.
La banda Boifava punta sull'internazionalizzazione del team e la scelta diviene vincente, perché anche gli italiani del team si sprovincializzano.
Ne fanno tesoro negli anni Bontempi (che sensazioni le sue vittorie sia in volata, sia a Parigi alla chiusura 86, che con azioni di forza come a Nevers, brividi!), Ghirotto e senz'altro Chiappucci.
Il Tour 86 è per la storia Carrera il punto di svolta con il bellissimo podio di Zimmermann che stringe i denti e perde con l'onore delle armi di fronte all'apice della coppia Hinault-Lemond, ma soprattutto per la presa di coscienza da parte della squadra della sua consistenza. Dell'87 inutile parlarne, ormai è storia con le vittorie di Roche, ma soprattutto per il team il trionfo nella cronosquadre di Berlino.
Con il 1987 si chiude il primo ciclo Carrera, a cui di cicli tenderei a riconoscerne 3. Arriva nel 1988 al Tour la vittoria di Ghirotto e c'è l'esordio Tour (se non ricorso male di Chiappucci). Il 1989 è avaro di risultati, nonostante l'arrivo dalla grande Kas del portoghese Da Silva, ma sarà il 1990 a dare inizio veramente al secondo ciclo.
Nella seconda tappa di Futuroscope (luogo visionario vicino Poitiers) vanno in fuga in quattro (Steve Bauer, Frans Maassen, Ronan Pensec e Claudio Chiappucci) ed arrivano con un bel patrimonio di oltre 10 minuti.
Lemond lascia fare perché c'è il compagno Pensec, buono scalatore che lui probabilmente ritiene superiore al calante Bauer. Ma dei quattro il vero osso sarà l'italiano.
Infatti nella cronoscalata di Villard de Lans Claudio prende la maglia gialla. Io ero là in Francia dalla tappa di Megeve per seguire il resto del Tour.
Sensazioni irripetibili, quando sceso Claudio dal palco delle premiazioni, gli stringo la mano e lui che sorride sprizzando gioia da tutti i pori.
Il giorno dopo era giorno di riposo e come i pochissimi italiani presenti (ho conosciuto lì il simpaticissimo giornalista Titta Pasinetti, poi scomparso giovanissimo) mi recai al hotel della Carrera. Il piccolo borgo di montagna era bellissimo ed ai bistrot si beveva tranquillamente il caffé (pessimo) con i corridori del Tour.
Claudio Chiappucci quel giorno (di riposo) perse il Tour. Fece ore a parlare con i giornalisti e non disse no a nessuno. L'unico del team ad intervenire chiedendo di non spremerlo di domande fu Guidone Bontempi. Ancor oggi mi chiedo perché ciò avvenne. Claudio fece una brevissima sgambata e rientrò per i molteplici impegni mediatici.
La pressione era pazzesca. Finalmente l'Italia era tornata protagonista al Tour.
Di quel giorno mi colpì però un altro aspetto. Una parte della squadra non era ben disposta verso la maglia gialla. Sembrava che il brutto anatroccolo fosse diventato di colpo il cigno del team e che la cosa non andasse a genio a qualche leader. Mi ricordo un antipatico Da Silva che si avvicinò a Chiappucci circondato da un capannello di giornalisti. Iniziò a fare troppi complimenti a Claudio e costui ci sorrise sopra, anche per rispetto al più affermato portoghese. L'impressione netta era che lo stesse proprio prendendo velenosamente per il culo. A volte lo sport riserva queste brutte sensazioni e mi chiedo come riviva oggi dentro di sé il buon Acacio quelle giornate umanamente per lui non esaltanti.
Alcuni giornalisti italiani, forse insospettiti come me da quello strano atteggiamento, iniziarono a chiedere a Da Silva se la Carrera sarebbe stata in grado di aiutare Chiappucci e se anche lui avrebbe aiutato per la causa comune. La risposta di Acacio fu di quelle che puzzano spudoratamente di balla e presa per i fondelli.
Io sino a quel giorno avevo adorato Acacio, fino a quel giorno.
Il giorno seguente venne la tappa non difficile, ma insidiosa, di Saint Etienne con la salita nel finale della Croix de Chauberet preceduta da altre salitelle minori.
La corsa dura la fanno i corridori, non il percorso. Eh sì, valse questa regola quel giorno. Pronti via, la gara diventa quasi un Chiappucci contro tutti. Scattano da tutte le parti e del team Carrera sono in pochi a lavorare. All'inizio ci sono il neoprò Sciandri (minato da un virus e dalla dissenteria, ma arriverà a Parigi) e l'encomiabile Alessandro Giannelli. Di Acacio Da Silva nemmeno l'ombra. Lemond riesce a far andare via agevolmente una fuga con il compagno Pensec e sulla salita finale è Chiappucci stesso che è costretto a tirare per inseguire. Va in crisi e forse anche per lo scriteriato giorno di riposo perde 6 minuti, sei minuti che Lemond senza quella folle giornata non avrebbe mai guadagnato. Chiappucci perderà quel Tour dopo la crono di Lac de Vassiviere solo per poco più di 2 minuti, disputando comunque quel giorno una discreta cronometro.
Ripensando a quel giorno di riposo di Villard de Lans non riesco a non notare la differenza fra la disponibilità esagerata della Carrera, un po' troppo Vagabond, comparata alle paratie mobili parasole (e giornalisti-isolanti) del motorhome della Sky 2013.
Si diceva dei cicli Carrera ... Il secondo fu rappresentato dagli anni di Chiappucci e la rinascita degli italiani al Tour. Il terzo fu il 1994

ma quella è un'altra storia.
Oggi, dopo tanti anni, una gran bella storia.
