Coppel ha scritto:Anche l'atletica - per restare sullo sport da te citato, comunque per certi versi (insieme al nuoto) il più assimilabile al ciclismo - ha le sue specializzazioni (così come il nuoto). Non è sempre più inevitabile?
Ho citato l’atletica per un confronto, relativamente al talento, comunque vagante, di Christophe Lemaitre, rimasto tale per anni e giunto all’atletica, non al ciclismo, nonostante un evidente percentile possibile anche per il pedale. Non ho speso una vita nello sport per mettere l’atletica - che è da sempre un insieme di specialità morfologicamente diverse (ed è la regina dello sport, con buona pace di qualsiasi altra disciplina, pedale compreso) - per confrontarla in blocco con uno sport povero di “specialismi” come il ciclismo, inquadrabile per il 90% nelle discipline di forza resistente, aspetto che, nell’atletica, appartiene al solo mezzofondo. Idem il nuoto. E non mi sognerei mai, di assimilare l’aspetto atletico, ripeto atletico, del ciclismo, con queste discipline, quando un confronto fra blocchi disciplinari, lo vede assai più simile al calcio, proprio per il motivo della medesima base di forza resistente. Inoltre, non mi sognerei mai, visto il tema del thread, di dimenticare la piazzola su cui gli sport attingono, che è una lezione a cui si devono inchinare non solo i tecnici ed i dirigenti, ma anche quegli osservatori, magari giornalisti che, sul piano della conoscenza, rispetto agli altri, sono ancora alle medie. Questo per dire che, quando si parla di campioni e fuoriclasse, non si deve mai sottacere un aspetto: il ciclismo agonistico ha numeri progressivamente risibili, rispetto a quelli in possesso di atletica e nuoto, senza bisogno di scomodare il calcio. E saranno sempre maggiori le differenze, fino a quando a fare proselitismi al pedale, nelle scuole e non solo (scartando ovviamente le chiavi notevoli e crescenti dell’indotto che piove sulle famiglie con figli, dettato, ad esempio, dal medico di base), vi andranno personaggi col paraocchi, il linguaggio degli yeti, l’incapacità poli-disciplinare di fondo, ed i fili diretti da santoni che inneggiano allo specialismo, in quanto motivo dominante della loro cassetta, prima ancora di un lento, lentissimo, processo tendenziale.
Come non chiedevamo ad un Linford Christie di correre dai 400 in su (e manco di saltare vista la sua mole) perché dovremmo chiedere ad un Tom Boonen di fare altro rispetto a quello che fa?
Perché ti sfugge, non l’hai ancora studiato, o non lo vuoi vedere, che stai parlando di due cose diverse, appartenenti a mondi opposti. Christie era un velocista, nella massima espressione di ciò che si richiede alle peculiarità di una disciplina di potenza, con fibre bianche nel novero della superba eccellenza. Boonen, quando vince la Roubaix, o un volatone del Tour, è sempre un fondista che anche se non stacca gli altri e costruisce il successo attraverso uno spunto veloce, ha, a monte, ore di corsa e non pochi secondi, con l’aggiunta di un fisico che s’è dovuto dipanare su molte intermittenze lattacide. Nessuno chiede a Boonen di vincere il Tour, se lo facesse sarebbe ancor più grande, ma è grande lo stesso. Nel contempo però, se la storia è un possesso di cultura e non è il “bla bla degli albi d’oro imparato a memoria”, lui pedala sulla stessa linea, la stessa strada, che lo può persino portare a quella vittoria o a similari come Giro o Vuelta. Ci sono tanti esempi. Non gli si chiede di “cambiare sesso”, come invece si evince dalla richiesta per Christie. Per fare un esempio calzante, pertinente e sportivamente corretto, non dovevi citare Boonen, ma Hoy.
Nell'atletica sono ormai rari quelli che corrono più di due discipline (100/200 - 200/400 - 1500/5000 - 5000/10000 10000/Maratona sono le accoppiate più classiche ormai a cui anche fenomeni assoluti come Johnson, Bekele o El Guerrouch non hanno potuto andare oltre. Vedremo Bolt...).
Ma perché non ti chiedi quanti sono nella storia dell’atletica coloro che hanno gareggiato contemporaneamente a più di due specialità? Non solo sono pochissimi, ma pure molto lontani e non certo per “spinta-costrizione” alla specializzazione. E quando dico contemporaneamente, intendo le grandi manifestazioni (Olimpiadi, Mondiali, Europei), perché se guardiamo ai meeting, soprattutto nel mezzofondo, troviamo atleti africani in particolare che, in una stagione, si cimentano in almeno quattro tipologie di gara. E poi, perché hai dimenticato di citare una specialità ganglio fra la velocità prolungata ed il mezzofondo, come gli 800 metri?
Comunque, i da te citati, in una stagione, fatta di grandi gare e meeting, si sono sempre cimentati in almeno tre specialità. Lo stesso Bolt, nel 2010, che non è stato di certo il suo migliore anno, ha corso due volte i 400 metri. Indi, correndo fuori cosiddetta o consacrata specialità, Bolt e compagni, ci mettevano o rimettevano la faccia. Non andavano sul Tende o in Messico, o nel Labrador o nel cassonetto del laboratorio di Mabuse, o nella chiesa sconsacrata di Roccacannuccia a preparare l’acuto!
Ed in ogni caso, a parte il presente e il vicinissimo passato, ben diverso da quello del ciclismo, sia tecnicamente che per le sollecitazioni muscolari e d’insieme, ti sfugge un aspetto: chi giunge ai vertici dell’atletica, possiede percentili enormi, e lo fa al termine di una selezione di eccellenza, con una mondializzazione di base a monte, che il ciclismo si sogna e che non raggiungerà mai, sia per la modestia dei suoi dirigenti e sia per la genuflessione del suo mondo, osservatorio compreso. Cosa chiede uno che lo sport lo vive trasversalmente come me? Di palparsi per bene i cogli.oni, quando a pontificare la specializzazione, è uno che è realmente al timone del vapore ciclistico, oppure un suo volontario o involontario megafono. Un conto sono le lente tendenze, ed un conto gli atti. Resta il fatto che l’esagerazione nella cosiddetta specializzazione è un fenomeno solo del ciclismo. A dirlo sono la drastica diminuzione del numero di corse che, mediamente, i corridori di punta, svolgono oggi rispetto a 30 anni fa. Parimenti, nei colleghi del calcio (lo sport, ripeto, atleticamente più simile), le partite sono aumentate tantissimo (circa di un terzo) e sono quasi raddoppiati i chilometri percorsi nel singolo match. Nel tennis, anche da quando han cominciato a scimmiottare antidoping, dove le squalifiche si esauriscono in supposti infortuni che tengono il tennista lontano dal circuito per settimane, il numero dei match dei migliori, s’è mantenuto praticamente costante. Nell’atletica (che, tra l’altro, ha visto l’ingresso della Golden League), se proprio vogliamo essere sinceri, chi sta troppo lontano da una media sempre vicina a 30 anni fa, sono solo quegli atleti che si dopano oltre il limite medio alto degli altri (anche se non vengono pizzicati), o sono proiettati su specialità come la velocità che, nel breve volgere di qualche secondo, sviluppa frustate ai muscoli pazzesche, partendo da un riscaldamento che lascia sempre, con l’aumento delle muscolature più o meno dense di extra, qualche incertezza. Anche nel nuoto, che pure, in quanto ad alchimie, non è secondo nemmeno al calcio, i big, salvo casi ben conosciuti e non aggiungo altro, gareggiano come 30 anni fa, ed a confermare l’unicità del ciclismo in quanto a dottrina della specializzazione, sono sempre di più i nuotatori e le nuotatrici orizzontali. Lo hanno dimostrato anche i recenti mondiali in vasca corta. Ma di sport che hanno tradotto, nei big e negli atleti di valore medio alto, verità tendenziali, in dottrine pugn.ette per giustificare il credo di gente che ha arato la disciplina, c’è solo il ciclismo. I picchi di forma non esistono solo per i pedalatori, ma per qualsivoglia sport. Solo nel ciclismo però, si giunge a settimane e mesi di allenamenti oscuri e gare ciccia, per poi esplodere con sofisticata chirurgia…e non aggiungo altro. Dare corda a questi dogmi, ed a chi vi sta dietro, è come urlare che il ciclismo è davvero l’unico sport siamese al doping. Siccome non è così, allora si abbia la forza di metterne a nudo i suoi veri problemi e non si giustifichi ciò che non è giustificabile, con le tendenziali pugn.ette che si vogliono far passare come scientificità. Si possono fare allenamenti scientificamente evoluti, senza…. abbandonare la professione!
Oltretutto nell'atletica abbiamo, grazie ad Eptathlon e Decathlon, la palese dimostrazione di come per competere in tante discipline vi è un livellamento tra di esse, con quelle migliori che vengono inevitabilmente sacrificate (Eunice Barber e Carolina Kluft possono esserne forse un esempio contrario ma fino ad un certo punto...)
A cambiare, oltre a specifiche tecnico tattiche che si potrebbero anche imparare, è ovviamente anche il motore, la resistenza e la potenza. Un discorso simile a quello del ciclismo, no? Se a questo aggiungiamo che nel ciclismo bisogna affrontare specifiche preparazioni per essere pronti in un periodo dell'anno piuttosto che in un altro mi sembra ineluttabile...
Confrontare, o evidenziare accostamenti per dimostrare una tendenza, fra le prove multiple dell’atletica col ciclismo delle classiche e dei GT, è un esercizio che, trattenendomi, non oso definire. Gli atleti del decathlon e le atlete dell’eptathlon sono superman e superwoman ben superiori a qualsiasi altra disciplina, perché sommano specialità diversissime, con gestualità tecniche inimmaginabili nel ciclismo, nel nuoto e via dicendo. Sono costretti a mescolare prove di potenza, con prove di resistenza anche se non eccessiva, abilità tecniche ed altissimi sincronismi e con classifiche che lasciano spazi all’eccellenza d’ognuna, ma pure all’affossamento complessivo per una singola carenza. Se tu fossi stato anche solo per un’ora a contatto diretto, a bordo pedana, con gli allenamenti che servono per preparare prove che contemplano abilità ed essenze simili alle richieste di un ginnasta, tipo salto in alto e con l’asta su tutte (ma anche gli ostacoli ed i lanci non scherzano), non avresti nemmeno pensato di poter scrivere quel che hai scritto. E, soprattutto, avresti capito quanto una carenza coordinativa, ti possa pregiudicare tutto l’avvenire nella specialità. Il Tour e le classiche le può vincere uno che in volata è fermo. Anche uno che va tendenzialmente piano a cronometro, ma eccelle in salita, o viceversa, può vincere il Tour, e se non il Tour, la Vuelta o il Giro. Il ciclista ha la strada di ore ed ore, le tattiche, le tirate di una squadra, le fughe anche bidone ecc. Un decatleta che fa 1,85 nell’alto e 4 nell’asta, non entra nel podio di nessuna manifestazione mondiale, anche se nelle altre eccelle. Sono, ripeto, vari sport per caratteristiche, gestualità, esigenze muscolari e capacità coordinative, riassunte in uno, attraverso classifiche a concorso che impongono per forza di cose di smussare le punte di una gigantesca corrente alternata, da trasformare in continua. Un esercizio fisico e, soprattutto, mentale, che non ha paragoni per il numero dei singoli segmenti da curare. Con simili pesi e necessità a monte, si costruisce nell’atleta un apogeo mentale, che frena l’esplosione dei centri nervosi in una singola disciplina, ed è straordinariamente normale che un atleta disimpari a dare il meglio di sé in una manifestazione assoluta su una singola prova. Tanto più, ripeto, in uno sport come l’atletica, che si pratica dappertutto e dove i percentili in concorrenza sono mostruosi. Nel ciclismo - dove anziché fare specializzazione in tenera età, sarebbe molto meglio (mia vecchia e sempre più convinta battaglia) abituare i ragazzi a più discipline dello stesso pedale e far fare ai giovanissimi più sport - non c’è niente di simile. Anche producendo una nuova specialità, che potremmo chiamare “Tuttopedale”, consistente in dieci prove particolari scelte fra i versanti della bocicletta (bmx, ciclocross, cross country e dunhill in mountain bike, velocità, inseguimento e corsa a punti su pista, Milano Sanremo, Giro di Lombardia e Tour de Suisse), si riuscirebbe a raggiungere la particolarità e le punte delle conseguenti differenze insistenti su un decathlon. Quindi, per riuscire nelle prove multiple dell’atletica a raggiungere i vertici assoluti e poi gli stessi in una singola specialità, significa possedere veramente una orizzontalità sportiva da gente con facoltà aliene. Eppure, la storia dell’atletica, ogni tanto, ne ha evidenziate.
Ma qui il discorso non verte su questi aspetti, bensì sulla vergognosa, ripeto, vergognosa, presa per i fondelli agli appassionati di ciclismo, che si trovano a seguire una disciplina, dove i campioni, specie se targati GT, preferiscono i luoghi sparuti per stare sulla bicicletta, piuttosto che il terreno del loro mestiere, ovvero le corse.
E se l’UCI, anziché aggiungere all’ormai “istituzionale campagna di gabelle”, dei regolamenti tiro a segno, dei balzelli vari e le ipocrisie antidoping, volesse fare un atto davvero tangibile in direzione di quest’ultima battaglia, nonché sviluppare veramente questo sport anche in direzione della sua mondializzazione, dovrebbe lasciar perdere i controlli a sorpresa, ed imporre ad ogni corridore Protour un numero minino di corse annuali (55-60), da finire (salvo ovviamente incidenti)!
Se ciò avvenisse, si vedrebbero meglio i reali valori in campo (in sostanza si diminuirebbe il doping, soprattutto quello eccellente, puntualmente evaso con gli attuali controlli), le dottrine ed i dogmi dei santoni sarebbero meno tuttologi, la gente anche nei luoghi sparuti, vedrebbe i propri campioni e si potrebbe affezionare meglio al ciclismo……E si darebbe a quei raffreddati che sostengono Contador come il più grande scalatore della storia, una prova un po’ più tangibile per sostenerlo…..
Il ciclismo va difeso, ma chi lo trucida, no!
Ciao!