tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
E. Montale, I limoni.
Sopra le due ruote il tempo scorre con un'altra velocità.
Da bambini si poteva sognare per ore, giorni, settimane, senza sentire alcun rimorso. Invecchiando si sente il ricatto del tempo perso come un'onta sempre dietro l'angolo. paradossalmente, il rischio è che da bambini si vivevano meglio le cose che da adulti stressati.
Come con l'età cambia la percezione del tempo, così sulle due ruote.
Sulle due ruote l'ansia di non buttare il tempo, adesso che non son più quindicenne, affiora drammatica. La vita lavorativa efficiente si ritrova di colpo tramortita da una dinamica dove ogni metro va guadagnato col sudore. Dopo due ore in ufficio vogliamo vedere il lavoro fatto, una parte almeno, vogliam vedere le pagine macinate alle spalle, o il lavoro artigianale iniziato almeno in parte formato.
Mentre in bici in due ore si fa ben poco: abbiamo fatto un giretto, o ci troviamo a metà di una mattina di passione. Non parliamo delle giornatone campali da 180, 200 km, che ci tiriamo con qualche amico o addirittura da soli, quando abbiamo bisogno di restare con noi stessi, divorare della bellezza intorno a noi, di incontrare le cose, di vederle negli occhi nuovamente, o di sfogare un mistero non risolto che la settimana ci ha lasciato dentro (o semplicemente di sentire di nuovo i muscoli del corpo tesi e stanchi)... In quelle giornatone infinite 2 ore non son niente, e si ha paura a guardare la cartina perché si penserebbe: "sono solo qui?"
L'inizio della pedalata è sempre brutto per questa ragione. Le gambe sono dure, bisogna riscaldarsi, ma soprattutto non vediamo che le cose vanno rapide come vorremmo. Poi, dopo 20 o 40 minuti su una sella, cominciamo a riconciliarci col fatto che il tempo qua scorre in un altro modo, che stiamo di nuovo tornando ragazzini, che guardiamo alle cose con una nuova speranza, e quello che sempre tempo perso altro non è che tempo usato bene. E ci lasciamo frenare dalla fatica per spingere colpo su colpo verso le cose che ci circondano, e ci vengono incontro. Le cose guadagnate, le cose non scontate, sono le più belle, a costo di sacrificare tempo, tanto tempo.
Dall'asfalto, lo sguardo torna alto per guadagnare i panorami. Cambiano lentissimi quando si è in pianura (a 130 all'ora in autostrada quanto sono più veloci...), ma cambiano ancor più lentamente quando si sale. Se poi ci sono dei tornanti si notan tutte le angolature delle cose: una chiesetta la si vede da lontano, quando ancora si è in basso, prima da dietro, poi rispunta un po' più bassa e vista da davanti, poi la si abbandona proseguendo verso il passo, lasciando dietro il remoto villaggetto. Un quarto d'ora, tre occhiate, qualche tornante. Poi basta. E ci si ripete il nome del luogo in testa per non dimenticarlo. Ma già si nota come quella montagna che sembrava solo una parete massiccia abbia anche una cima: già, da fondovalle non si riusciva a vederla, ma adesso, dopo una mezzora di scalata, eccola, vista sempre dal basso, ma ora più vicina.
Anche l'aria è cambiata, è meno afosa. Polmoni e gambe lavorano d'intesa. E il cuore batte regolare.
Cambia l'orizzonte d'intorno, cambiano le cose, ma non sono cambiamenti epocali. Sono gustosi, ma non travolgono. Quello che voglio fare non è un omaggio alla lentezza, l'ennesimo in questa società divisa tra le retoriche della competizione e quella dei chilometri zero stile slow food; bensì un omaggio alla gioia, all'assoluto.
Già perché tutto questo andare ci prepara al vero scopo di tutta questa fatica, al momento shock, feroce, improvviso e stordente. E' un andare che prepara, rende l'animo largo abbastanza per poter essere trafitto. In mezzo ai tanti cambiamenti ce n'è di colpo uno che resta scolpito nel cuore e nella mente. Qualcosa che è di più, qualcosa che ferisce d'improvviso come il giallo dei limoni montaliani, o gli sguardi dei bambini già cresciuti di Steve McCurry.
Quella curva, e l'aprirsi improvviso del ghiacciaio. E il cuore di colpo si sfa.
E sapete che da lì non si tornerà più indietro. Qualcosa è accaduto, resta dentro di voi, e non vi lascerà più. Anche quando sarete tornati a casa.
Bene, questa discussione è dedicata a questo. Postate, se le avete vostre o se le trovate su internet, quei panorami, quelle svolte, quei tratti in costa che vi hanno di colpo sconquassato facendovi tornare a guardare in alto. E magari mettete anche due righe di spiegazione, di dov'è la salita, di che giro avete fatto, di cosa avete provato.
Io ne ho in mente chiaramente due. Metterò l'ultima in ordine cronologico, solo perché ho ritrovato la foto su internet e non vorrei non trovarla più; presto posterò il mio primo di questi grandi eventi, se troverò una foto adeguata.
La conca del Gran San Bernardo: alcuni kilometri di rara emozione nel ring sconquassato di un match tra giganti dell'epoca di Esiodo.
Questa è una di quelle salite da fare, almeno una volta nella vita.

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