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lemond
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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXIII

La morale e la teoria delle emozioni

L'uomo desidera e perciò stesso ritiene buono quel che è il desiderio: la gioia è solo la conservazione e il perfezionamento del proprio essere, la tristezza invece a connessa alla diminuzione. Quando gioia o tristezza sono legate a una causa esterna che le produce, si generano amore e odio. Da queste due passioni fondamentali Baruch deduce, secondo il metodo geometrico tutte le altre, realizzando un'analisi di grande finezza psicologica.
Fino a qui non si può parlare di morale e sarà solo quando l'uomo avrà compreso quale sia la legge che governa l'universo saprà scegliere quello che maggiormente corrisponde a questo disegno e potrà agire al di là del proprio io e così introdurre l'Etica, ovvero la gioia serena e pacata del filosofo che riconosce la necessità universale e questo lo renderà libero dalle sue passioni più costringenti. Per esempio l'uomo-etico riconosce la necessità della morte e non ne soffre la paura.
Sugli stessi fondamenti si fonda la sua teoria politica: la massima libertà di ciascuno nel ricercare la verità filosofica porta a uno Stato che deve garantire quella libertà. :clap:


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXIV

John Locke


Forse a causa dei suoi studi in medicina elabora un atteggiamento empirista, da cui nasce la critica all'innatismo cartesiano e ciò che molti considerano un anticipazione dell'illuminismo del secolo successivo. Con quei filosofi ha in comune lo stile dell'argomentazione: un colloquio pacato fra intellettuali di formazione diversa e la precisa scelta di non impiegare termini filosofici tecnici, se non dopo averli definiti.
Interessante è la differenza di giudizio che Locke dà sul buon senso degli uomini, apertamente lodato da Descartes: l'intelletto umano può procedere soltanto in base a criteri di probabilità e la conoscenza che ne deriva sarà sempre imperfetta, perché noi traiamo le nostre capacità solo dall'esperienza. I c.d. principii innati di Descartes, che producono un consenso universale, sono solo illusioni, tant'è che i bambini e gli idioti non li conoscono e, persino nel campo delle idee morali, esistono popoli che hanno concezioni del bene e del male diverse da quella degli europei e che addirittura non posseggono l'idea di Dio! (Locke era un credente) (continua)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXV

Locke chiama idea tutto ciò che la mente concepisce in se stessa o è oggetto di immediata percezione. La mente ha anche la possibilità di separare un'idea dalle altre e, in questo modo, fa astrazione e produce idee generali, che possono consistere in modi, come l'idea di triangolo o di gratitudine, sostanze singole, come uomo o pecora o collettive, esercito o gregge, oppure relazioni fra idee diverse, marito o fratello. Le nozioni che abbiamo delle relazioni sono di solito più chiare di quelle che abbiamo delle sostanze e la critica dell'idea di sostanza è un caposaldo della sua filosofia.
Essa si basa sulla concezione lockiana del linguaggio: le parole che usiamo sono segni sensibili delle idee, che sono nella mente di chi le usa e soltanto in modo mediato riteniamo che siano anche nelle ente di chi ci ascolta e addirittura segni propri delle cose di cui parliamo.
Invece le parole rappresentano qualcosa (idea) solo in virtù di una nostra scelta arbitraria e nulla garantisce che la nostra esperienza particolare, che nominiamo con tale parola, possa riferirsi anche alle esperienze altrettanto particolari che si riflettono nella mente dei nostri ascoltatori. Pertanto la maggior parte delle parole che usiamo sono solo segni di idee generali. L'essenza reale di una cosa sfugge alla nostra conoscenza e noi possiamo solo parlare della sua essenza nominale, che altro non è che una costruzione artificiale.
L'uomo sopperisce alla mancanza di conoscenze chiare e limpide attraverso la verosimiglianza, ovvero che cosa ci sia di più probabile e si autorisponde che il più alto grado si ha quando c'è il generale consenso di tutti gli uomini e in tutte le epoche, cosa quasi impossibile, per cui in grande misura la conoscenza si basa sulla fiducia. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXVI

L'intelletto, secondo Locke, è una tabula rasa e le idee vi si formano solo a opera di una realtà esterna, però accetta l'idea di Dio. Questa è la parte più debole della sua filosofia, perché, se così fosse, non si comprenderebbe il fatto che esistano popoli privi di questa idea e poi la sostanza pensante è soggetta alla critica di probabilità già esposta.
Invece la fede è accettata sulla base della rivelazione e non dall'esperienza, il che significa che queste verità mostrano probabilità assai deboli. :dubbio: Locke cerca di temperare, sostenendo che nessuna Chiesa può vincolare i credenti in modo indissolubile e del pari, nessuno Stato può identificarsi con una Chiesa particolare. Pertanto mette all'indice i cattolici, che si rifanno al diritto politico del papa e gli atei, perché di loro non ci si può fidare, in quanto non credenti! :muro:


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXVII

Con Locke qualcuno sostiene che si pongono le basi dello Stato costituzionale moderno: lui riuscirebbe a dimostrare la falsità di chi pretende che il potere monarchico discenda da Dio! Tutti gli uomini, secondo lui, nascono liberi (l'esatto contrario di quanto afferma Hobbes) e in questa libertà è compreso anche il diritto di proprietà, che ciascuno ha acquisito con il proprio lavoro. Il passaggio all'associazione politica tra individui diventa necessario a scopo di protezione per stabilire un diritto eguale per tutti e un giudice imparziale. LO Stato organizza il potere, dividendolo tra legislativo, esecutivo (che fa rispettare le leggi con la forza) e federativo (che regola i rapporti con gli altri Stati). Si tratta del modello della democrazia rappresentativa inglese, che sarà realizzata a partire dal 1689 con la prima monarchia costituzionale della storia. La Gloriosa rivoluzione, che portò alla deposizione di Giacomo II d'Inghilterra e alla sua sostituzione con Guglielmo III e sua moglie Maria II Stuart. Non fu una semplice lotta alla successione bensì l'inizio di una nuova monarchia di tipo parlamentare la quale, con la Dichiarazione dei diritti e il Bill of Rights (1689), riconobbe le prerogative del Parlamento e i limiti posti all'autorità regia.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXVIII

Gottfried Leibniz


Uomo dai moltissimi talenti, si interessa di quasi tutto e sarà famoso anche per la controversia con Newton su chi sia stato per primo a scoprire il calcolo infinitesimale; è stato anche per lunghi anni un uomo politico, finendo per lavorare per l'elettore Georg Ludwig di Hannover, che diventerà Giorgio I re d'Inghilterra e capostipite della dinastia attuale, anche se ora si chiama Windsor.
Per quanto riguarda gli studi di metafisica, si adegua alla tradizione cristiana: Dio, quando si accinge a creare il mondo attuale, si forma un modello nella mente di tutti i mondi possibili. Ciascuno di essi è formato da un insieme di concetti completi fra loro compatibili, tali cioè che la loro compresenza nel modello del mondo non genera alcuna contraddizione logica. Il mondo migliore è solo uno, perché, se ce ne fosse di più, Dio dovrebbe scegliere in base a un puro atto di volontà, senza poter giustificare alcunché. D'altra parte i mondi possibili devono essere più di uno, perché se ve ne fosse solo uno possibile, Dio non potrebbe scegliere e dovrebbe creare solo quello. :x


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXIX

Riguardo ai criteri in base ai quali il mondo creato è il migliore, Leibniz menziona soprattutto la semplicità delle leggi naturali che lo governano, associato alla varietà di esseri che lo popolano.
Dipoi il Nostro sostiene che Dio si è solo limitato a far passare il miglior mondo dall'ideale (di tanti) al reale (dell'uno) e non ha aggiunto niente al meccanismo, una volta messo in moto. Così, ad es, nel concetto di Cesare è insito che costui passerà anche il Rubicone e neppure Dio potrà farci nulla. Così però il mondo sembra governato da una ferrea necessità e allora come si fa a giustificare il libero arbitrio?
Ci prova in due modi, che però non sono sovrapponibili.
Nella prima si sostiene che Cesare passerà il Rubicone, perché ciò fa parte dei decreti divini applicati al mondo, ma Dio ne avrebbe potuto, nella ipotesi ideale di mondo, inserire altri diversi, dove Cesare non avrebbe passato il Rubicone.
Ma allora, qualcuno gli risponde, Cesare sarebbe lo stesso? Evidentemente, no.
La seconda soluzione è di ordine matematico. Una dimostrazione in senso proprio consiste nel passaggio da premesse o assiomi, a una determinata conclusione in un numero finito di passi. Ora, tra i concetti che ne compongono uno completo, alcuni seguono da altri e quindi sono dimostrabili logicamente, mentre altri non sono deducibili in un numero finito e allora questi lui li chiama contingenti e di essi fa parte anche passare il Rubicone: è una proprietà contingente di Cesare, che neppure Dio sarà in grado di dimostrare. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XC

Nella storia delle filosofia Leibnitz è ricordato soprattutto come "il filosofo delle monadi". (dal greco μονάς, che significa unità indivisibile).
Egli è spinto a ipotizzare l'esistenza della stesse dallo studio della dinamica (o studio delle forze). Cartesio non riusciva a dar conto del concetto fondamentale di forza e quindi il Nostro immagina che il mondo dei fenomeni (quello che ci appare) sia il prodotto dell'attività incessante di tali centri di energia (monadi o anime), che sono capaci di percezioni reciproche e l'intervento di Dio permette loro una coordinazione e corrispondenza. Per questa mediazione divina le azioni e passioni fra le creature sono mutue.
Ogni cosa (animata e no) è un aggregato di monadi, con una di esse dominante, che ha percezioni particolarmente distinte e negli esseri coscienti si identifica con l'Io.
Resta da spiegare come possa nascere da un aggregato di enti immateriali, un corpo materiale. :dubbio:


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XCI

Età della ragione


In ogni manuale scolastico il XVIII secolo è, per lo più identificato con "L'epoca dei lumi" (in Italia si parla di illuminismo).
È indubbio che in questo secolo si procede a una critica serrata della metafisica tradizionale, dei principi religiosi e di tutto ciò che fino allora era dato per certo. I concetti di Stato, comunità, governo, assumono una dimensione laica, in contrapposizione al Trono e all'Altare e si approfondisce la tematica del libero pensiero e della tolleranza.
Grande importanza assume la gigantesca opera che è "L'Encyclopédie: tutti i dati del sapere umano si presentano in una silloge, nell'ambito della quale non si evitano le contraddizioni, i punti di vista diversi; tutto è ammesso con pari tolleranza.
Si dissolve la divisione fra la casta dei sapienti, che lavorano nelle università e tutti gli altri, curiosi e indipendenti, che seguono per diletto la filosofia, le scienze naturale e la letteratura e che talvolta riescono a far circolare nuove idee. :)
Si stabilisce altresì un diverso legame fra cultura e industria, perché la scienza ha bisogno dell'economia per progredire e, proprio allora, nasce la divulgazione scientifica destinata alle classi emergenti, estranee alle dispute scolastiche. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XCII

Religione naturale e religioni rivelate


Blaize Pascal è il primo a usare la parola *deismo* in un significato diverso dall'originale, opponendolo al vero cristianesimo. Alcuni liberi pensatori lo adottano, Invece che in senso denigratorio, per diffondere una loro visione anticlericale e anti-dottrinaria della religione.
Questi deisti si avvalgono dell'impianto metodologico di Newton, estendendo l'empirismo oltre la fisica, per minare i dogmi religiosi e propongono di circoscrivere le credenze entro i limiti della ragione naturale, negando ogni valore alla Rivelazione (Ipse dixit). La religione naturale si riduce a poche idee, molto semplici: Dio esiste, ha creato il mondo e premierà nella vita futura chi si è comportato bene in questa.
Locke, in particolare, affronta la spinosa questione della Rivelazione biblica concessa a un solo popolo, mentre Dio si è mostrato indifferente verso tutti gli altri!? La spiegazione che si dà è che, sebbene all'esistenza di Dio si possa arrivare con la semplice ragione, la Rivelazione è un aiuto pratico che il Signore vuol concedere agli uomini intellettualmente meno dotati per assicurarsi che anche costoro possano raggiungere la Salvezza. :)


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George Berkeley

È un ferreo oppositore dei deisti e del libero pensiero e afferma l'esistenza solo mentale dei corpi, ovvero una visione, la sua, neoplatonica dell'universo, incentrata sul primato degli spiriti e, in particolare di quello spirito dominante, che è Dio.
L'opinione che gli oggetti sensibili abbiano un'esistenza reale, distinta dal fatto di essere percepiti dall'intelletto, è il massimo e peggior esempio di idea astratta; l'essere delle cose è solo *essere percepite*, non avendo esistenza alcuna fuori dalle menti, oggetto e sensazione di esso sono la medesima cosa. I materialisti, cioè i sostenitori dell'esistenza indipendente e fuori della mente della materia sono vittime di un pregiudizio che è contrario a ogni filosofia, e. peggio ancora, un pericolo per la religione!


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XCIV

Il pensiero politico: dalla teoria dello Stato alla Filosofia della Storia


L'aspetto fondamentale dell'età moderna è il formarsi degli Stati nazionali e la fine delle guerre di religione. Per i primi si può parlare di teoria contrattualistica: un patto in cui gli individui rinunciano a un ipotetico stato di natura e si sottopongono a un sovrano; tale patto può avvenire per due motivi: sicurezza da un lato, tutela dei diritti, dall'altro.
Il primo tipo è quello illustrato da Hobbes, dove i sudditi rinunciano a tutti i diritti, pur di aver salva la pelle, nel secondo, secondo J. Locke, i futuri cittadini conservano alcuni diritti inalienabili (vita, libertà e proprietà).
Le due soluzioni esprimono le due forme teoriche fondamentali in cui si realizza il processo di razionalizzazione dello Stato: l'assolutismo e il costituzionalismo.
Nella prospettiva assolutistica, ogni divisione dei poteri è ovviamente esclusa, perché riprodurrebbe all'interno dello Stato quella pluralità che è alla base del conflitto naturale (tutti contro tutti). Locke ritiene invece che la separazione dei poteri sia condizione indispensabile per la tutela dei diritti e fornisce un'elaborazione teorica del liberalismo moderno.
Cinquant'anni dopo questa idea sarà ripresa da Montesquieu in Francia, anche se le teorie costituzionali produrranno effetti diversi nei due paesi: in Inghilterra si traduce in un vero "balance of power", in Francia invece può essere più opportunamente realizzata dalla funzione di controllo che i parlamenti esercitano nei confronti del potere monarchico. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XCV

J. Rousseau, in relazione alla cessione dei diritti individuali al sovrano nella stipulazione del patto, parla di alienazione totale dei diritti di ogni associato in favore della comunità; però ciò a cui l'individuo cede se stesso è solo un altro io, ovvero l'io collettivo, dove ritrova rafforzati i diritti che ha "ceduto". In questo modo Rousseau si richiama alle poleis greche e coniuga l'esigenza del potere statale, necessario per una pacifica convivenza sociale, e la libertà dell'individuo. Questo modello sarà ripreso da I. Kant, anche se quest'ultimo diverge dall'uomo di Ginevra, perché ritiene che il potere del sovrano sia compatibile con la divisione dei poteri, che anzi, secondo lui è condizione indispensabile per realizzare la forma costituzionale dello Stato, in opposizione a quella dispotica.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XCVI

La Tolleranza

La salvaguardia della libertà dei cittadini nei confronti del potere costituito, quando è considerato dal punto di vista religioso, configura la questione della tolleranza. Il dibattito attraversa tutto il periodo dell'illuminismo. Sul piano storico è racchiuso da due documenti fondamentali: il "Toleration act" del 1689, con cui sono mitigate le pene contro le confessioni diverse dalla Chiesa anglicana e l'editto di tolleranza verso i protestanti con cui nel 1787 Luigi XVI cerca di porre riparo alle disastrose conseguenze prodotte dalla revoca progressiva del precedente editto di tolleranza (di Nantes).
La rivoluzione americana e francese concludono il dibattito, trasformando in "diritti dell'uomo" la libertà di pensiero, di culto e di espressione, ciò che prima era solo tollerato.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XCVII

Alla questione delle tolleranza è strettamente connesso l'atteggiamento filosofico del deismo, il quale non contempla un dio personale (come ad es, le religioni del Libro), ma solo una causa intelligente dell'universo, garante delle sue leggi armoniche e ininfluente/indifferente alle singole vicende individuali. Dai deisti le religioni positive sono considerate sostanzialmente tutte equivalenti e devono essere tollerate.
In Voltaire la questione assume un significato più ampio e lui usa la parola infame come sinonimo di intolleranza e con tale termine indica la Chiesa cattolica e le altre religioni istituzionali, maanche, più in generale, ogni forma di fanatismo, di superstizione e di prevaricazione di ogni potere (religioso o no). :grr:


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La guerra e la pace


Le teorie sulla divisione dei poteri e della tolleranza religiosa devono essere intesi come strumenti per garantire forme di libertà che non si traducano in conflitto, ovvero, siccome i conflitti non si possono eliminare del tutto, con simili ipotesi si cerca di sospingerli al di là dei confini dello Stato.
Prima dell'illuminismo si riconosceva la guerra come strumento naturale per dirimere le vertenze, ora si cerca di regolamentarla, in modo che sia dichiarata solo per una causa valida. Tra le giuste cause è solitamente contemplata la guerra di difesa e quella intrapresa per la ripetizione (restituzione) del dovuto, nonché quella per la punizione di un torto.
È facile capire che non è semplice stabilire se davvero sussistessero queste giuste cause e pertanto la cultura illuministica cerca di contrastare il dilagare dei conflitti con due strumenti: il cosmopolitismo e l'estensione del modello contrattualistico al livello internazionale.
Per cosmopolitismo non si intende quello individuale dei cinici, bensì quello stoico (da Zenone a Marco Aurelio), dove la cittadinanza si articola in una serie di sfere concentriche, che vanno dalla partecipazione alla propria polis fino alla condivisione di un'unica natura umana. Esso tende a promuovere la collaborazione fra popoli diversi, senza negare però le differenze che li distinguono.
Questo tipo di cosmopolitismo si lega facilmente al contrattualismo internazionale, che sul piano ideale vedrà la realizzazione completa nel "Progetto di pace perpetua" di I. Kant. :)


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David Hume


La sua filosofia segna profondamente la cultura europea del Settecento per il tentativo di costruire una scienza dell'uomo. A Hume interessa rinoscere in primis il legame che le scienze hanno con la natura umana. Come aveva scritto J. Locke, i progressi nella scienza dell'uomo sono ammissibili solo a condizione che si conoscano i limiti dell'intelletto.
La scienza dell'uomo è la base di tute le altre scienze e si fonda sull'esperienza, secondo il modello newtoniano. La mente è ritratta come una somma di percezioni, le quali si articolano in impressioni e idee, che differiscono per l'intensità con le quali si presentano. La forza dell'associazione e la ripetizione delle osservazioni inducono gli uomini a ritenere sostanziale il legame fra i fenomeni percepiti e a credere che sia possibile stabilire una deduzione logica l'uno dall'altro. Certo non abbiamo nessuna prova che la serie degli eventi osservati si ripeterà, ma per un principio di economia, gli uomini tendono a inferire per il futuro accadimenti simili da eventi simili. Tale connessione però è opera delle mente e non una proprietà intrinseca delle cose. Tale scetticismo è l'unico strumento che ci può servire quale metodo rigoroso per mantenere entro legittimi confini scientifici l'argomentazione probabilistica nei vari ambiti della ricerca umana. (continua)


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Sul tema della morale, Hume dispiega l'anti-intellettualismo etico nell'esame delle radici emotive della natura umana e dei meccanismi associativi che ruotano principalmente attorno ai meccanismi della simpatia. Essa deriva dal sentimento e definisce virtuosa ogni azione che sia accompagnata dalla generale approvazione dell'umanità e viziosa, quella che è soggetta al biasimo o alla censura da parte di tutti.
Per esemplificare esamina le passioni umane a coppie: orgoglio - umiltà; odio - amore; e analizza i mutamenti che provocano in noi e quel che ne segue è di solito un compromesso fra ragione e sentimento. IL vizio e la virtù non sono qualità intrinseche, ma soggettive della nostra mente, alcune ci appaiono come naturali, come l'amore di sé, mentre altre artificiali, che servono a rendere meglio regolata la società. In questo modo Hume crea un ponte fra morale e politica.


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CI

Hume dedica due opere alla religione, che affronta da due punti di vista diversi, ma complementari, mostrando un atteggiamento profondamente critico nei confronto del fenomeno.
Nella prima applica il metodo della "storia congetturale" secondo cui occorre esaminare quali motivazioni psicologiche e sociali spingano gli uomini ad abbracciare le loro credenze. Nelle società primitive la religione è rappresentata dal politeismo, con gli dèi che rappresentano, reificati, i bisogni primari degli uomini. Il monoteismo sorge in epoche successive e investe solo l'élite intellettuale, mentre il popolo continua a cercare intermediari fra sé e l'essere assoluto.
Nella seconda opera, il Nostro sceglie la forma letteraria per meglio rappresentare le varie posizioni in materia di religione naturale, attribuendo tesi e caratteri differenti a ciascun personaggio: Demea è un rigido dogmatico, esponente del misticismo, Cleante un deista illuminato e Filone uno scettico spregiudicato.
Spetterà al lettore discernere fra i vari punti di vista. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CII

In politica Hume auspica la purezza di uno Stato che si attenga alle forme costituzionali per la difesa della proprietà privata e della stabilità sociale, in nome di un diritto accettato da tutti, contro le faziosità dei gruppi. Egli è altresì fautore del libero scambio internazionale, unico modo, secondo lui per superare le disparità fra paesi ricchi e poveri.
Importante è il contributo anche per gli studi storici con il suo Storia d'Inghilterra, che parte dall'invasione di Cesare per giungere alla gloriosa rivoluzione. L'alternanza fra autorità e libertà (corte e parlamento) ne costituisce il tema generale, ma l'importanza dell'opera sta nella ricerca dell'autenticità delle fonti e il vaglio critico delle testimonianze. In questo modo la storia si presenta come la disciplina più utile alla costruzione della scienza umana, in quanto integra conoscenze che sarebbero troppo limitate, se circoscritte al solo presente.
È evidente, in questa posizione, l'influenza di Montesquieu.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CIII

Pierre Bayle


Ugonotto, diventato cattolico e ritornato poi alla religione dei padri, ha come oggetto principale delle sue ricerche critiche la teologia cristiana.
Nel 1682 pubblica "I Pensieri diversi sulla cometa" dedicati abbastanza pretestuosamente alle superstizioni legate al passaggio delle comete, ma in realtà la tesi principale è che l'ateismo non porta necessariamente alla corruzione dei costumi e che il cristianesimo non è necessario per il funzionamento di uno Stato. Ce ne sono stati nella storia di tutti i tipi, perfino repubbliche di pagani idolatri; e se l'idolatria per i cristiani è il peggiore dei mali e ha permesso comunque il prosperare dello Stato, a maggior ragione può farlo l'ateismo. :) Bayle condisce il tutto con alcuni ritratti di atei virtuosi, fra cui in primis Spinoza.
Nel 1685 in Francia si segna il destino degli ugonotti, perché Luigi XIV revoca l'editto di Nantes (sulla tolleranza religiosa) e per lui, Rotterdam, dove già si trovava, diventa l'esilio definitivo.
La reazione consiste nello scrivere il Commentario Filosofico, che si fonda su una dottrina morale semplice e cioè che un errore commesso in buona fede sarebbe innocente o quasi, mentre una dottrina sorta in ambito scolastico e largamente discussa dai dottori della chiesa, è molto peggio, se risulta sbagliata! Ogni eresia condannata dal cattolicesimo è stata, secondo lui fatta in buona fede e in tutta coscienza, per cui non dovrebbe mai essere punita.
Questa tesi apparirà (non troppo tempo dopo) anche a lui non del tutto sostenibile e l'abbandonerà, ma in ogni caso il Commentario rappresenta il momento della sua massima vicinanza ai settori più libertari del protestantesimo, largamente presenti nei Paesi Bassi dell'epoca.
Dopo la gloriosa rivoluzione inglese del 1688 gli apparirà evidente che anche da quella parte c'è poco da sperare e che esiste una sostanziale equivalenza di tutte le religioni quanto a potenzialità persecutoria e oppressiva! (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CIV

L'opera più famosa di Bayle è il Dizionario storico-critico ove si può leggere una sintesi ben riuscita fra uno scetticismo estremo e una forma di fideismo altrettanto radicale. I dogmatici contro cui si confronta sono soprattutto Descartes e i cartesiani, di cui viene contestato il criterio dell'evidenza intellettuale come strumento di accesso a verità indubitabili, ma, insieme a loro, sono presi di mira anche i teologi cristiani.
La nuova scienza newtoniana può tranquillamente coesistere con una professione di scetticismo antimetafisico e antiteologico. Scienza, etica e vita civile possono fare a meno di "certezze" assolute, fondandosi su regole di conformità o meglio su probabilità.
Interessante l'osservazione a proposito della giustificazionismo della teodicea, per il quale non è che manchino lumi per comprenderla, bensì disponiamo positivamente di molte ragioni contrtarie, che ci impediscono di accettarla.
Bayle presenta il dubbio come un atteggiamento di cautela e di controllo, che deve accompagnare ogni credenza, perché quest'ultima ha, come già detto, un grado di certezza solo probabile e quindi provvisorio e rivedibile. IL valore di verità o di realtà è transeunte e deriva da una necessità soggettiva e istintiva. :) La sua conclusione si ha nell'opera postuma "Risposta alle questioni di un provinciale" : - L'ateismo è la posizione filosofica più sostenibile sia in ambito teoretico che morale. -


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CV

Charles-Luis de Secondat, barone di Montesquieu


Nel 1716 legge all'accademia di Bordeaux una dissertazione sulla politica dei romani nella religione. L'opera, influenzata dal pensiero di Machiavelli, affronta il tema squisitamente politico sull'utilità sociale della religione e quello della tolleranza, di cui i romani avrebbero fornito un esempio ineguagliabile. Ma saranno le Lettere persiane (1721) a consacrarne la fama: un romanzo epistolare, che mostra Parigi e l'Europa con gli occhi straniati di due viaggiatori provenienti dalla Persia. Il loro sguardo distaccato permette al'autore di descrivere, senza pregiudizi, i costumi le abitudini e le leggi della società parigina di Luigi XIV.
L'opera maggiore del Nostro è "Lo spirito delle leggi" che sarà messa all'indice in Francia, mentre in Italia gli rendono omaggio pensatori come Cesare Beccaria e Gaetano Filangieri e addirittura si troverà (in parte) il pensiero del Nostro nella Costituzione americana. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CVI

Ogni forma di governo, secondo Montesquieu, tende a decadere e a corrompersi, diventando dispotico, per cui si pone l'interrogativo su come salvaguardare la libertà dei soggetti? Si risponde che solo la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) come avviene in Inghilterra può fornire buone garanzie.
Quanto alle relazioni fra le diverse religioni e lo Stato, il Nostro considera assurdo e insostenibile l'ateismo, perché secondo lui la religione è portatrice di norme morali che riescono a condizionare le forme di governo (in meglio). :diavoletto: Ma l'analisi del ruolo sociale lascia spazio anche a una esplicita difesa della tolleranza e, considerando un coevo auto-da-fe a Lisbona, dove era stata bruciata una ragazza ebrea, denuncia l'assurdità e la crudeltà delle persecuzioni religiose e condanna il Tribunale dell'Inquisizione, in quanto insopportabile per qualsiasi governo!


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CVII

François-Marie Arouet (Voltaire)

L'esperienza dell'esilio in Inghilterra per più di due anni è centrale nell'evoluzione del pensiero filosofico e politico. Voltaire recupera non solo il pensiero di Locke, criticando l'innatismo cartesiano, ma, in opposizione a ogni metafisica, prende le difese della teoria newtoniana e del nuovo metodo sperimentale che è in auge in quel paese. Nelle lettere filosofiche denuncia la superstizione, il fanatismo e il dogmatismo metafisico come elementi capaci di bloccare ogni progresso culturale e civile.
In Inghilterra si può essere ottimisti sull'umanità a differenza della vita in Francia dell'ancien régime, la quale può ampiamente giustificare le idee di quel sublime misantropo che che è Blaise Pascal, al cui pessimismo e la sofferta religiosità, legata a un'idea ossessiva di peccato e di colpa, contrappone la concretezza e l'equilibrio di un accorto uso della ragione, priva di culti e riconducibile ai soli principi della morale: il deismo. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CVIII

In lui c'è anche una nuova concezione della storia e dell'uomo, quando ricostruisce i cambiamenti considerando le variazioni nei costumi, nelle arti e nello spirito umano, ponendo in secondo piano le successioni dinastiche o le vicende belliche. Ma soprattutto, in opposizione a un'idea provvidenzialista della storia, elabora un suo modo che va al di là della prospettiva quasi unica dell'Europa cristiana, cercando di conoscere ciò che è accaduto in Persia, in Cina e in altre parti dell'ecumene. La Cina è addirittura idealizzata come esempio di civiltà nella quale una morale naturalistica verrebbe a unirsi a una religione priva di dogmi e di inutili principi teologici. In tal modo l'atteggiamento dello storico è simile a quello del naturalista, che analizza i fenomeni fisici. :)
Secondo il filosofo Ernst Cassirer l'opera storica di Voltaire è uno dei lasciti più rilevanti che il XVIII secolo abbia consegnato alle epoche successive.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CIX

La filosofia di Voltaire si esprime anche in forma tipicamente settecentesca nei racconti, specie in Candide, il più famoso, dove si seguono le disavventure del protagonista, che ci rivelano quanto siano assurde le pretese dell'ottimismo leibniziano. Nel 1759, poco dopo il terremoto di Lisbona, il Nostro non si crea più illusioni sulla felicità umana e considera la posizione dell'uomo come inessenziale per l'universo, esso non rientra in nessun piano provvidenziale. Questa attitudine scettica sarà ribadita in tutte le opere successive, come nel dizionario filosofico, dove condanna, ad esempio, tutte le religioni storiche al grido di guerra: "écrasez l'infâme" e mette al centro della sua campagna, quasi propagandistica, il principio della tolleranza religiosa. Quest'ultima costituisce anche un importante strumento politico, che può portare a un dispotismo almeno illuminato.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CX

Etiènne Bonnot de Condillac fu uno degli autori più sistematici della filosofia dei Lumi, il quale, per vincere la sfida che gli era stata lanciata da Diderot, scrisse il Trattato sulle sensazioni in cui cerca di riguadagnare l'oggettività della conoscenza del mondo esterno.
Condillac immagina l'uomo come una statua che acquisisce gradualmente i dati dei diversi sensi (contro l'innatismo di Locke) e si rende conto, ad esempio, che le relazioni spaziali non sono date direttamente con le idee della vista, ma derivano da un addestramento graduale, in cui vista e tatto collaborano, ne derivano così "giudizi di abitudine" che ci sembrano immediati, ma non lo sono.
Prima del mondo esterno, la statua deve scoprire il proprio corpo e quando la mano si tocca in una qualunque parte, essa si risponde: "sono io". Quando il contatto avviene con oggetti esterni, non riceve la stessa risposta e comprende che quel tipo di realtà è completamente fuori di sé.
L'io di Condillac non è quello di Descartes (una pura sostanza pensante) è piuttosto un soggetto di bisogni e quindi le percezioni hanno una tonalità affettiva fondamentale, in quanto procurano piacere e/o dolore. È la catena dei bisogni a determinare la crescita delle conoscenze e si può dire anche che la natura ha ragionato per la statua, quando l'à spinta a riconoscere il proprio corpo e a distinguerlo dagli altri.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXI

Denis Diderot


Fra il 1746 e il 1749 pubblica i suoi primi lavori e per le tesi deiste e materialiste è incarcerato a Vincennes; questa prigionia di cinque mesi lascia il segno, perché dopo sarà molto più prudente nella scelta dei canali di comunicazione di ciò che scrive.
S'impegna per i venti anni successivi alla realizzazione dell'Encyclopédie, che lo renderà protagonista dei Lumi francesi, pur non essendo un pensatore sistematico. Egli spazia dalla critica della matematica, all'arte, passando per molti altri ambiti del sapere. Il suo è un pensiero "viaggiante" che permette di comprendere in via sperimentale le possibilità che sono nella natura umana e nella natura delle cose.
La metafora del viaggio diviene così l'evidente sigillo dell'evoluzione subita nel Settecento dal concetto di "natura", che non consiste più nelle leggi stabilite da Dio, ovvero l'oggetto immobile di un'analisi basata su antichi modelli, bensì strati differenti di un'unica natura sempre suscettibile di nuove interpretazioni. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXII

Interessante è notare la definizione che Diderot dà di arte: "... non ci si può limitare alla produzioni belle, bensì a qualsiasi organizzazione di strumenti e regole finalizzate a produrre oggetti. Chi si incaricherà della materia delle arti, dovrà aver studiato in profondità l'intiera storia naturale, cercando di ricavare da essa una rete di saperi fra loro connessi."
La questione assume un senso simbolico: nel pensiero del Nostro, costruire opere d'arte o manufatti è sempre un'interpretazione espressiva della natura. Questa tipo di interpretazione trova nel teatro la metafora privilegiata, esso non è corruzione, come sosterrà Rousseau, al contrario interpreta la natura, esercitando quella collaborazione fra dimensione sensibile e ideale, da cui trae origine la rappresentazione. Il teatro, come la natura, è un sistema che deve essere conosciuto nella sua ricchezza e così potrà generare conoscenza ed espressione. Il paradosso dell'attore è il medesimo della natura e della filosofia, per le quali la rappresentazione non è l'identico concettualizzato che si ripropone, bensì lo sguardo, i sensi, il corpo, il giudizio che provano e trovano le multiforme varietà del senso del mondo. L'attore, come il filosofo, deve essere simile al poeta, cioè a colui che "va continuamente ad attingere nel fondo inesauribile della natura." :)
Mediare esperienza e giudizio, è questa l'essenza dell'intiero percorso di Diderot: osservare, riconoscere, imitare sono le qualità della conoscenza e non il sentimento indistinto. La verità è una rappresentazione che descrive il senso molteplice delle cose, che supera l'istante e afferra ciò che caratterizza il fenomeno. In sintesi la verità corrisponde all'intelligere.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXIII

L''Encyclopedie: storia di un progetto filosofico


In Francia, intorno al Settecento, circolavano opere di grande respiro, che aspiravano a proporsi come dizionari universali o critici. Tra questi il più noto è il Dizionario storico-critico di Pierre Bayle, pubblicato per la prima volta nel 1697 (edizione definitiva 1820) e il nuovo progetto di Diderot e D'Alambert non trascurerà nessuno degli insegnamenti che potevano ricavare da Bayle e/o da K. Chambers, anche se la Cyclopaedia di ques'ultimo mancava di sistematicità, ad esempio non era in ordine alfabetico e in tutti gli autori precedenti non erano risolte le questioni dei legami tra le discipline, che dovevano rendere possibile un'effettiva concatenazione delle conoscenze e quindi avrebbe consentito discendere dai principi di ogni scienza o arte, fino alle conseguenze più remote. :)
L'ordine enciclopedico dei Nostri avrebbe dovuto comporre "l'aurea catena delle scienze" e illustrare la coerenza razionale dell'intiero sistema delle conoscenze umane (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXIV

Fin dal primo apparire, l'E. non nasconde l'intenzione polemica e critica nei confronti della tradizione, delle religioni rivelate e dell'alleanza politica fra trono e altare. Gli ambienti ecclesiastici e quelli conservatori più vicini alla corte vedono nel gruppo degli enciclopedisti un partito organizzato avverso alla monarchia e alla Chiesa. Le critiche erano cominciate con i Gesuiti e con i dottori della Sorbona, che avevano richiesto e ottenuto il ritiro dei primi due volumi. Le polemiche non cessarono, perché i volumi III, IV e soprattutto il Quinto, che si apriva con l'elogio di Montesquieu da parte di D'Alambert, giunsero regolarmente ai sottoscrittori fra il 1753 e il 1756.
Per loro fortuna nel 1762 era stato soppresso l'ordine dei Gesuiti e la censura aveva autorizzato il compimento dell'opera, tanto che Diderot, rimasto solo a causa dell'abbandono di D'Alambert, poté mandare alla pubblicazione i volumi che andavano dal VIII al XVII. Il Nostro ebbe l'avvertenza di far stampare i tomi a Neuchatel e senza apporre nel frontespizio l'indicazione degli autori.
Inoltre Diderot ritenne necessario rivolgersi al lettore per informarlo che le difficoltà e le peripezie dell'opera non erano imputabili né alla vastità del progetto e neppure alle remore degli esecutori, ma a una serie di persecuzioni intessute di menzogne, ignoranza e fanatismo: "Possa la cultura generale progredire in modo così rapido che fra vent'anni, su mille nostre pagine, resti impopolare appena una riga!"


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Il XVIII secolo è senza dubbio segnato dall'illuminismo, che si rivela plurale, perché va oltre la Francia. Ma è anche il secolo nel quale si intravedono, con Giovambattista Vico, i prodromi di quello storicismo che sarà proprio del periodo romantico e che mira a comprendere ogni evento umano nel suo momento storico e legato all'ambiente in cui si manifesta. In questo quadro il pensiero di Kant si pone come una cerniera fra due secoli, nel senso che i grandi dibattiti filosofici del XIX secolo potranno essere intesi solo come risposta all'uomo di Königsberg.
Il Nostro ha proposto di stabilire il fondamento della conoscenza nel soggetto che conosce e non nell'oggetto conosciuto.
Ma dobbiamo guardarci da una vulgata che vede in Kant il campione di un soggettivismo assoluto, no, lui vuole stabilire e garantire la possibilità di una conoscenza oggettiva. L'idealismo non fa parte delle filosofia, perché essa si basa su una realtà che sta al di fuori della nostra mente, realtà che ci è presentata dall'esperienza sensibile. Il trascendentalismo kantiano non mette in forse la nostra esperienza (questo è il punto essenziale), ma semplicemente afferma che il nostro intelletto conferisce forma ai dati, altrimenti sconnessi, dell'esperienza e in questo consiste la sua rivoluzione "copernicana".


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Giambattista Vico


La più profonda ipotesi teorica a cui arriva è la convertibilità fra verum e factum: il vero, oggetto della conoscenza dell'uomo, è convertibile con ciò che da lui stesso è stato fatto e quindi conosciuto.
Galileo ci ha insegnato che la base della fisica moderna è l'esperimento e solo attraverso di esso possiamo riconoscere il vero in natura.
L'uomo si dispone alla ricerca del sapere muovendo dalla consapevolezza dei limiti della mente e dell'inconoscibilità della verità divina e in questo contesto diventa decisivo il ruolo della storia, da intendere come storia delle idee e non certo idee predefinite e preesistenti alla coscienza, ma in quelle idee costruite dalla mente umana, la cui capacità creativa muove l'agire sociale e storico.
Vico non ha alcuna intenzione di negare il ruolo della Provvidenza, ma questo non significa che non possa delinearsi uno spazio di autonomia, proprio del facere delle umane volontà. Si definisce sempre di più il ruolo della storia e si spiega così la centralità delle forme di socializzazione e organizzazione politico-giuridica, che poi, secondo lui, è l'unica verità che non può essere messa in dubbio.


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Jean-Jacques Rousseau


Nel Discorso sull'origine e sui fondamenti dell'ineguaglianza fra gli uomini si trovano i cardini della dirompente critica teorica e politica. In primo luogo il testo colpisce i giusnaturalisti moderni (Hobbes e Locke), i quali avevano visto un'evoluzione dell'uomo nella storia. Diversamente Rousseau descrive l'uomo naturale come un animale con bisogni limitati, impossibile da giudicare sul piano morale, dato che la natura lo ha dotato di uno spontaneo equilibrio tra egoismo e solidarietà.
Come spiegare allora la violenza e le altre iniquità? A ogni "progresso" della tecnica ha fatto seguito l'aumento dei bisogni artificiali e a questo è seguita la propensione a scorgere nel prossimo una minaccia. La divisione del lavoro, dopo l'introduzione della proprietà privata della terra, vede il trionfo definitivo dell'inganno e della violenza e le istituzioni non fanno altro che consacrare lo stato di cose esistente.
Il Contratto che, secondo il Nostro, racchiude lo schema della società giusta consiste nel trarre dallo stesso male, il rimedio che deve guarire l'uomo sociale. Il punto centrale è che i singoli contraenti non devono trasferire la sovranità ad altri, ma alla comunità, dunque a se stessi. Rousseau postula che la comunità sia la volontà generale di per sé sempre retta, pura e inalterabile, tale da garantire la vera libertà degli individui e della collettività.
Alla fine, però, si rende conto che gli interessi particolari possono persistere, nonostante il contratto, e prevaricare l'interesse generale. :x


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXVII

Immanuel Kant


La definizione che I.K. dà dell'illuminismo è letteralmente "Aufklärung" (rischiaramento). Esso rappresenta l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità, determinato dall'incapacità di servirsi in modo autonomo della ragione! Il concetto di autonomia, che costituisce il nerbo della definizione kantiana, accompagna la riflessione di quegli anni contro ogni manifestazione di dogmatismo, tanto in campo teologico, come in quello filosofico e scientifico.
Come abbiamo già accennato, la sua è una rivoluzione, che si propone di stabilire il fondamento della conoscenza nel soggetto e non nell'oggetto.
Questa attività del soggetto non vanifica la realtà esterna (come se essa fosse solo una creazione soggettiva), al contrario vuole stabilire e garantire le sole possibilità di una conoscenza oggettiva, però essa deve essere stabilita entro determinati limiti.
Il titolo "critica" che appare nel titolo delle tre opere maggiori significa che s'intende stabilire fino a che punto possiamo dire di conoscere in modo sicuro e tracciare i confini oltre i quali il nostro intelletto non possa affermare nulla di certo.
Una volta stabiliti i limiti, Kant non sostiene che, di ciò che sta al di là, non si possa parlare, dice solo che dobbiamo stare molto attenti e usare la ragione e non soltanto servirsi di quei sentimenti che sono di forza tale da guidare la vita religiosa, morale o estetica. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXVIII

La ragione tende a fare affermazioni su questioni che oltrepassano i limiti dell'esperienza sensibile e il suo campo di battaglia si chiama metafisica. A queste aspirazioni della ragione si oppone il fatto che ogni nostra conoscenza comincia con l'esperienza. Questo è un punto fondamentale per comprendere Kant.
Occorre sapere che ogni nostra esperienza interna (persino quella che a Descartes permetteva di ...) non potrebbe esistere senza l'esterno; la semplice coscienza della propria esistenza dimostra che esistono oggetti nello spazio fuori di noi. Attraverso l'intelletto noi pronunciamo giudizi sui dati dell'esperienza, ad esempio "questa è una pietra, tutte le pietre sono soggette alla forza di gravità, etc.
La conoscenza derivata dall'esperienza è naturalmente "a posteriori", tuttavia esistono anche delle conoscenze "a priori", per esempio se si dice che un corpo è pensante, e questo è un giudizio sintetico(*) a posteriori, ma che cosa ci garantisce che questi giudizi siano validi? La garanzia ci viene dai giudizi sintetici a priori, per esempio "7+5=12" che è sintetico, perché il 12 non è contenuto nella definizione della somma di 7+5 ed è a priori, perché si tratta di una verità universale e che conosco anche se è la prima volta che sommo questi numeri.
La filosofia trascendentale ha il compito di stabilire le condizioni di validità oggettiva e universale dei giudizi sintetici a priori e si occupa in particolare del nostro modo di conoscerli.


(*) sintetico si definisce quel giudizio che non è compreso nella sua definizione


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXIX

Di fronte ai dati dell'esperienza noi giudichiamo in termini di quantità, qualità, relazione e modalità. Così possiamo dire che c'è una pietra, che essa è una sostanza, che ci appare al tatto (accidentalmente) come calda e che il calore è causato dai raggi solari. Me per enunciare (o attuare come atto mentale) questi giudizi noi dobbiamo, per così dire "fasciare" le intuizioni con le categorie. Esse sono i concetti puri dell'intelletto che rendono pensabile l'esperienza. Se dico "il sole riscalda la pietra" ovvero è causa del riscaldamento, alla percezione si aggiunge il concetto intellettivo di *causa*, il quale pone una connessione necessaria fra il concetto di raggi solari e quello del calore; così il giudizio sintetico diventa necessariamente universale e la semplice percezione si tramuta in esperienza regolare.
L'intelletto applica le categorie basandosi sui principii dell'intelletto puro e in questo modo si è passati da un giudizio percettivo, soggettivo, al giudizio di esperienza che pretende di avere un valore universale.
Giunti a questo punto, la questione che Kant si pone è come si possa dimostrare la validità oggettiva dei legami stabiliti dalle categorie e lui chiama ciò "deduzione trascendentale" dei concetti puri dell'intelletto.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXX

La teoria kantiana della conoscenza è simile a una costruzione architettonica, in cui le singole pietre di un arco si sostengono l'una con l'altra, ma non potrebbero sostenersi se non fossero coordinate dalle forme pure dell'arco (le categorie). Si tratta di un equilibrio instabile, ma funziona quando regola architettonica e singole pietre si autosostengono. Pertanto quando esistono simili condizioni, si può ragionevolmente prevedere che mattoni diversi, coordinati dalla stessa forma, si sosterrebbero in egual modo. Ciò garantisce a Kant una universale oggettività della conoscenza.
Questo presuppone che le forme trascendentali siano una costante dell'intelletto umano, che non varia cioè né col tempo, né con i luoghi, e così la teoria si sottrae al sospetto di relativismo.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXXI

Kant recupera nella "Critica della ragion pratica" sul piano del sentimento quelle verità religiose che aveva definito indimostrabili dalla ragione, e in questa seconda opera si fa paladino dell'impegno morale.
Essendo per natura un legno storto, l'uomo ha bisogno di comandi, massime, imperativi e richiami al dover essere, che gli impongano un agire retto. E questi imperativi non devono essere ipotetici (fai questo per ottenere un vantaggio), ma categorici (azioni conformi al dettato di cui sopra).
L'essenza dell'imperativo morale è che si debbano compiere le azioni che tendono al bene comune e che non arrecano danno ad altri; al contempo, riconoscere pari dignità agli altri soggetti diversi da se stesso. Inoltre si devono considerare gli altri sempre come fini e mai come mezzi.
La morale kantiana non prescrive contenuti, ma forme pure dell'agire secondo dovere: lui non dice "fai questo o quello", perché a priori non si sa quale sia al bene, perché sarà la stessa legge morale a indicarcelo.
Queste idee non sono il risultato di una dimostrazione razionale, ma postulati della ragion pratica: l'uomo onesto può ben dire di volere che ci sia un dio, anche se non può dimostrarne l'esistenza; si deve accontentare di un atto di fede a priori.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna CXXII

Nela terza opera Kant studia il termine intermedio fra intelletto e ragione: il giudizio e ipotizza che, pur non avendo concetti adeguati per il particolare, egualmente si possa pensare il generale. Ad es, si esaminano i giudizi di gusto che si pronunciano nei confronti di oggetti "riconosciuti" come belli. Il fiore ci piace e presumiamo che ciò valga per tutti; tuttavia siamo in presenza di una universalità senza concetto, che presuppone una sorta di senso comune, in assenza di una legge che definisca il bello/piacevole. Lo stesso discorso vale per il bello artistico.
La seconda parte della Critica si occupa del giudizio teleologico, in base al quale interpretiamo il mondo come se avesse un fine e in questo modo dobbiamo sussumere fenomeni sotto una legge che non è ancora data.
L'uomo ha dentro di sé qualcosa che lo spinge a cercare una causa, ma, per difetto di conoscenza, non riesce a trovarla e allora sopperisce con il giudizio riflettente che ci spinge a sostenere che il destino dell'universo è orientato verso il supremo bene possibile, dal momento che abbiamo trovato nella ragion pratica una causa morale del mondo.
In questo modo l'universo intiero si pone sotto il segno di una sequenza sempre perfettibile di giudizi riflettenti, che propongono leggi alla natura, che resta comunque resistente a rivelarsi come cosa in sé.


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea I

La rivoluzione francese sul piano politico e quella di Kant in filosofia sono i punti di riferimento per comprendere l'idealismo che si afferma in Germania, a partire dall'ultimo decennio del Settecento.
Per questo movimento il mondo non è tanto l'oggetto di conoscenza di un soggetto individuale, ma un grande teatro della storia umana, che dalla nascita di Fichte (1762) alle morte di Schelling (1854) registra una successione di passaggi epocali. Questa storia, per filosofi come Hegel, è dominata da leggi immanenti di una ragione sovraindividuale che in una lotta continua si manifesta nel corso degli eventi umani, in un processo che non ha fine, ma non conosce nemmeno regressioni, perché tutto quello che è avvenuto oltre a essere reale, è anche razionale.
È difficile ricondurre il pensiero dei tre grandi filosofi tedeschi a uno schema comune, perché le differenze sono numerose:
Fichte si presenta come l'ideatore di un idealismo soggettivo ed etico, che pone grande attenzione alla coscienza.
Schelling ha particolare interesse per la natura, l'arte, il mito ed elabora un idealismo estetico.
Hegel infine appare il rappresentante di una ripresa dello spirito in genere e in particolare alla rivalutazione filosofica del cristianesimo.
Una delle idee correnti, diffuse fra i nemici, è che la filosofia idealistica neghi la realtà e la consideri una costruzione del pensiero. Niente di più falso; è che il reale diventa qualcosa di pensabile solo attraverso l'attività spirituale, cioè la cultura.
P.S. Con l'idealismo nasce la figura del filosofo accademico, ovvero il professore universitario.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea II

Johann Gottlieb Fichte


L'idea fondamentale si riassume nella concezione della filosofia come "dottrina della scienza", che deve essere centrata sul nesso logico di premessa e conseguenza completa ed esaustiva. I criteri suddetti sono indispensabili perché possiamo essere certi della verità dei risultati.
Sembra che il Nostro si muova all'interno dei parametri di Cartesio, ma in lui è diversa la base di partenza, ovvero il principio, che deve essere una proposizione grammaticale tale da esprimere in se stessa una verità prima e incondizionata.
A questo punto si tratta di ricercare quale possa essere questo principio e Fichte pensa all'identità. Egli si chiede se tale assunzione di certezza sia giustificata o se la sua apparente evidenza non dipenda da qualcosa più alto?
Il punto decisivo è che l'identità, per essere, deve essere posta e questo essere posta esige qualcosa che non sia posto da nient'altro che da se stesso, perché dal momento che l'identità è posta, ci deve essere un'attività di posizione più originaria, altrimenti non sarebbe *posta*. :) (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea III

A questo punto si tratta di ricercare quale possa essere questo primo principio e lui ritiene di trovarlo, collocando alla radice dell'identità, l'attività dell'Io, che pone se stesso. Nel caso dell'Io la proposizione Io = Io non è ipotetica, ma assoluta; nell'Io abbiamo la reciproca implicazione di contenuto e forma e quindi il contenuto dell'io che pone se stesso è incondizionato per entrambi gli aspetti.
Ma Fichte non era sodisfatto di tale formulazione e in opere successive parte dall'Io che pone se stesso come attività che "ritorna in sé" e dunque come autocoscienza e a questa consapevolezza dà il nome di egoità. In questo modo non abbiamo più bisogno di scomporre l'unità della coscienza in due sezioni separate e quindi la facoltà pratica (costituita dalla sforzo o tendenza) a porre se stessi nella realtà deve essere dedotta prima di quella teoretica. :dubbio:
Nota mia, presumo che sarà più chiara la teoria del diritto. :)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea IV

L'individuo, in quanto essere razionale e libero, è tale soltanto in mezzo ad altri: non si può avere il concetto di uomo singolo; ci deve essere una teoria dell'intersoggettività, basata sul concetto di riconoscimento reciproco. Secondo lui la teoria del diritto, e la distinzione per valutare la legittimità di uno Stato, non è quella fra i poteri di Montesquieu, bensì un'altra che separa il potere rappresentativo nel suo complesso da una c.d. magistratura di garanzia, che può proclamare un interdetto all'indirizzo dei governanti (nota mia, una specie della funzione dei tribuni della plebe a Roma) e che potrà convocare il popolo in assemblea, il quale avrà la decisione finale.
Quanto ai rapporti fra diritto e morale (in questo campo non si discosta da Kant), Fichte le concepisce come due discipline diverse: al primo interessa la convivenza accettabile fra gli uomini nel mondo esterno, mentre la morale s'interessa soprattutto dell'intenzione a condizioni che poi si possa tradurre in agire concreto.
Infine il Nostro sostiene anche l'esistenza di Dio, ma che va inteso come ordine morale del mondo e non come un Dio personale, creatore, il che provoca grandi polemiche, note come "disputa sull'ateismo" che scuote in toto il mondo della cultura dell'epoca e che si conclude con le dimissioni forzate del Nostro dall'università di jena!


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea V

Classicismo e romanticismo


Verso la fine del settecento, in particolare in Germania, si manifesta un rinnovato entusiasmo per il mondo greco e romano, ispirato soprattutto dalle opere di J.J. Winchelmann, che fa scoprire all'intiera Europa molti resti di quella civiltà, che egli aveva studiato direttamente durante il lungo soggiorno in Italia. Oltre al binomio antico/moderno, viene introdotta da lui, ma anche da F. Schiller e F. Schlegel, la coppia classico/romantico.
Per classico s'intende ciò che ha valore al di là del tempo e che si pone come massima perfezione, in sé compiuta e inimitabile. Romantico è inteso invece come qualcosa di dinamico e innovatore, ma anche indistinto e cangiante e proprio per questo non può raggiungere la perfezione, anzi si manifesta proprio come mancante, incompiuto. I riferimenti storici del primo romanticismo sono i racconti fantastici o le favole che ispiravano in Inghilterra di metà Seicento gli antichi romanzi storici scritti nelle lingue neo latine, ossia "romanze".
Il confronto con gli antichi è decisivo sul piano della conoscenza della verità: per gli antichi verità significava rintracciare il logos, l'ordine incarnato nel cosmo, mentre per i romantici il mondo dell'uomo è un costante divenire. Niente è romantico per natura, noi lo rendiamo tale; il filosofo non ha il compito di definire l'ordine oggettivo delle cose, ma di costruirlo.
Lo Stato moderno dovrebbe astenersi dall'imbrigliare questa energia e cercare di convogliare le diversità verso l'unità spirituale e culturale dei popoli, raccogliendone i frutti più rilevanti nelle istituzioni statali e politiche che, dopo l'irrompere della rivoluzione francese, ogni stato nazionale ha il compito di ricostruire.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea VI

F.W:J. Schelling


La natura è da lui concepita come un organismo vivente e finalistico. L'incessante meccanismo della continua azione di forze opposte sarebbe il riflesso e il simbolo inconscio dell'altrettanto continua evoluzione dello spirito. I due modi di concepire la filosofia (della natura e trascendentale) vanno a costituire un unico sistema, capace di sintetizzare nell'uno-tutto.
Egli anticipa la dialettica hegeliana e sostiene che l'io, durante il processo di oggettivazione, intuisce se stesso e comprende come il mondo esterno altro non sia che la proiezione esterna della propria attività, ovvero il contrario della, secondo lui, illusione realista che vede nella coscienza l'esito di un'azione esterna.
Nella natura e nella storia l'identità soggettivo/oggettivo è solo postulata, perché è ancora inconscia, ma l'assolutamente identico è certificabile nell'arte, nella quale diventa totalmente consapevole e alla quale quindi può essere attribuito un valore supremo. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età contemporanea VII

Ma di lì a qualche tempo l'idea che l'arte possa fungere da modello extrastorico di un assoluto che riflette su di sé, Scelling non darà più credito: il cielo si fa sempre piu fosco e illusoria deve ormai sembrargli ogni estetizzazione della realtà!
La contraddizione fondamentale è collocata nell'assoluto stesso: così come l'errore non è solo privazione di verità, il male non è mera mancanza di realtà, bensì un non essente che minaccia il vero (essente); anzi è addirittura una precondizione di Dio: solo rimuovendo e vincendo il male Dio diviene veramente, cioè un Dio personale. La libertà è quindi la facoltà dell'uomo di scegliere.


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Re: Filosofia

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Dopo le 6000 pagine inedite di Céline, straordinario ritrovamento di 5000 pagine di appunti di Hegel per molti il padre dell' idealismo assoluto e sicuramente uno dei massimi filosofi di ogni tempo. Attendiamo sviluppi.


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Re: Filosofia

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Gimbatbu ha scritto: lunedì 22 maggio 2023, 13:45 Dopo le 6000 pagine inedite di Céline, straordinario ritrovamento di 5000 pagine di appunti di Hegel per molti il padre dell' idealismo assoluto e sicuramente uno dei massimi filosofi di ogni tempo. Attendiamo sviluppi.
Una ventina d'anni fa provai a leggerlo, ma non rammento né il titolo, né la pagina (mi pare a due cifre) alla quale mi dichiarai sconfitto. :) Invece mi piace moltissimo ascoltare Adriano Pama. :clap:


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