Filosofia

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Gimbatbu
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lemond ha scritto: martedì 9 agosto 2022, 8:57 Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXX

Il ruolo dell'amicizia e della società


Gli esseri umani sono socievoli per natura e per questo gli amici possono avere un influsso positivo sulla qualità della vita e questo accade tutte le volte che c'è uno scambio di aiuti e piaceri, basato sulla stima reciproca. I discepoli di Epicuro si incontravano spesso per pranzare insieme e si preoccupano del benessere degli altri e poi fra docente e discente deve esserci "in primis" la preoccupazione del primo di consigliare nel modo più appropriato, tenendo conto dei bisogni personali e delle inclinazioni del secondo. :)
Sulla politica, si pensa che la giustizia nasca dal bisogno di assicurarsi contro l'aggressione e il dolore provocato da altri e una buona legge sarà quella che permette a ogni cittadino di vivere in serenità, ovvero senza grossi affanni. La giustizia non ha valore di per sé e le leggi infatti possono variare (e lo fanno) secondo i contesti e le condizioni delle diverse società, però, prima di infrangere una legge, bisogna essere ben sicuri, perché già la possibilità di una eventuale punizione, genera ansia. :)
Al di fuori del circolo degli amici di Epicuro, i rapporti sono spesso tesi, perchè gli altri trovano sospetto il disinteresse per la partecipazione alla vita pubblica e che il loro paradigma sia l'idiota, cioè colui che sta nascosto in un’ottica circoscritta al proprio orticello, ai propri interessi, incompetente circa i grandi meccanismi che muovono il mondo; ma così non partecipa al male che gli sta intorno e non concepisce le bassezze e le ipocrisie cui l’uomo politico ha fatto il callo. Da qui prende le mosse l’omonimo capolavoro di Dostoevskij. :)
Tutto molto interessante, ma queste pagine sugli epicurei :clap: :clap: :clap:


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Gimbatbu ha scritto: martedì 9 agosto 2022, 9:29
lemond ha scritto: martedì 9 agosto 2022, 8:57 Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXX

Il ruolo dell'amicizia e della società


Gli esseri umani sono socievoli per natura e per questo gli amici possono avere un influsso positivo sulla qualità della vita e questo accade tutte le volte che c'è uno scambio di aiuti e piaceri, basato sulla stima reciproca. I discepoli di Epicuro si incontravano spesso per pranzare insieme e si preoccupano del benessere degli altri e poi fra docente e discente deve esserci "in primis" la preoccupazione del primo di consigliare nel modo più appropriato, tenendo conto dei bisogni personali e delle inclinazioni del secondo. :)
Sulla politica, si pensa che la giustizia nasca dal bisogno di assicurarsi contro l'aggressione e il dolore provocato da altri e una buona legge sarà quella che permette a ogni cittadino di vivere in serenità, ovvero senza grossi affanni. La giustizia non ha valore di per sé e le leggi infatti possono variare (e lo fanno) secondo i contesti e le condizioni delle diverse società, però, prima di infrangere una legge, bisogna essere ben sicuri, perché già la possibilità di una eventuale punizione, genera ansia. :)
Al di fuori del circolo degli amici di Epicuro, i rapporti sono spesso tesi, perchè gli altri trovano sospetto il disinteresse per la partecipazione alla vita pubblica e che il loro paradigma sia l'idiota, cioè colui che sta nascosto in un’ottica circoscritta al proprio orticello, ai propri interessi, incompetente circa i grandi meccanismi che muovono il mondo; ma così non partecipa al male che gli sta intorno e non concepisce le bassezze e le ipocrisie cui l’uomo politico ha fatto il callo. Da qui prende le mosse l’omonimo capolavoro di Dostoevskij. :)
Tutto molto interessante, ma queste pagine sugli epicurei :clap: :clap: :clap:
A questo proposito, vorrei ribadire che il linguaggio comune, al solito dopo secoli di cristianesimo, tradisce il pensiero vero! :x Gli epicurei infatti identificano il piacere (un po' come i buddisti) nell'assenza di dolore e usano, per questo, due termini: a-ponìa, “assenza di dolore” nel corpo e a-tarassìa, “assenza di turbamento psichico”.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXI

Stoicismo


Intorno al 300 a.c. Zenone di Cizio abbandona l'Accademia platonica e fa del Portico dipinto (Stoà poikile) di Atene la sede di quella che sarebbe diventata una delle più importanti scuole dell'età ellenistica. Lo stoicismo dura per diversi secoli, arrivando addirittura a Roma imperiale e naturalmente con numerose variazioni; vi sono tuttavia due aspetti che restano immutati nello stoicismo ellenistico:
a) le radici socratiche
b) la natura sistematica del pensiero
Riguardo alla prima, gli stoici si considerano i soli eredi e in particolare per il c.d. "intellettualismo etico": la conoscenza del bene implica necessariamente la conduzione di una vita virtuosa. Virtù (areté) e conoscenza (epistème) devono identificarsi e perciò saranno dominio solo del sapiente (sophòs), che si distingue appunto dall'uomo ordinario (phàulos).
Solo il sapiente ha compreso che il compiersi del destino individuale è funzionale a un progetto che coinvolge l'intiero universo e che, inevitabilmente, è destinato al bene. La libertà dunque consiste nell'adesione consapevole al progetto stabilito dalla provvidenza divina.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXI

Stoicismo


Intorno al 300 a.c. Zenone di Cizio abbandona l'Accademia platonica e fa del Portico dipinto (Stoà poikile) di Atene la sede di quella che sarebbe diventata una delle più importanti scuole dell'età ellenistica. Lo stoicismo dura per diversi secoli, arrivando addirittura a Roma imperiale e naturalmente con numerose variazioni; vi sono tuttavia due aspetti che restano immutati nello stoicismo ellenistico:
a) le radici socratiche
b) la natura sistematica del pensiero
Riguardo alla prima, gli stoici si considerano i soli eredi e in particolare per il c.d. "intellettualismo etico": la conoscenza del bene implica necessariamente la conduzione di una vita virtuosa. Virtù (areté) e conoscenza (epistème) devono identificarsi e perciò saranno dominio solo del sapiente (sophòs), che si distingue appunto dall'uomo ordinario (phàulos).
Solo il sapiente ha compreso che il compiersi del destino individuale è funzionale a un progetto che coinvolge l'intiero universo e che, inevitabilmente, è destinato al bene. La libertà dunque consiste nell'adesione consapevole al progetto stabilito dalla provvidenza divina.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXII

Per il secondo aspetto, gli stoici dividono la filosofia in tre parti: logica, fisica ed etica, ma esse devono essere anche dipendenti l'una dall'altra, in modo da poter costituirsi in un tutto.
Alla nascita la mente è vergine, un foglio bianco sul quale si inscrivono, attraverso l'esperienza, le singole rappresentazioni, attraverso le quali il soggetto elabora il patrimonio concettuale che gli serve per interpretare la realtà. La teoria della conoscenza ha quindi un carattere empirista e materialista. La ragione si sviluppa nell'essere umano con gradualità, fino a parmeare di sé la mente intiera. In questo modo il soggetto ha la capacità di discernere fra le rappresentazioni della realtà, quelle a cui conferire il proprio assenso, perché non soltanto sono vere, ma portano impresse il segno della propria verità (essi le chiamano catalettiche, da katàlepsis che è l'atto dell'afferrare).
Come detto in precedenza, solo i sapienti riusciranno facilmente a possedere rappresentazioni catalettiche e attraverso di esse la verità che coincide con la conoscenza (appunto). :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXIII

L'universo stoico è limitato, sferico, immobile (a differenza di Epicuro, gli stoici non ne sapevano molto di fisica) e generato da Dio. In quanto generato, l'universo è destinato a corrompersi e a morire. La fine del cosmo sarà determinata da una conflagrazione, che però genererà un nuovo universo, per cui gli stoici sostengono insieme la finitezza e l'eternità dell'universo e in ogni ciclo si ripetono gli stesi eventi: Sofronosco genera di nuovo Socarte, che il Tribunale di Atene condannerà a morte.
Una conseguenza importante della dottrina del ritorno ciclico è data dal ferreo determinismo, che anima la filosofia stoica; le leggi eterne che governano il mondo sono comunque le migliori possibili, perché dettate dalla Provvidenza (prònoia), ovvero dallo stesso Dio, che impartisce al mondo un ordine ottimale. L'uomo virtuoso non può che accettare di buon grado il destino, comprendendo che esso è parte dell'ordine universale.
Per gli stoici il determinismo non è in contraddizione con la responsabilità individuale, dal momneto che Dio ha concesso all'uomo lo strumento dell'assenso e addirittura si può arrivare al suicidio come atto dovuto moralmente, tutte le volte che le circostanze impediscono a chi vive di spendersi per diventare virtuoso: Per loro la virtù coincide con il bene e solo il sapiente virtuoso può dirsi felice, perché la felicità consiste nel fare il bene e quindi vivere (o morire, vedi Socrate) secondo virtù.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXIV

Akrasìa ((a-kratos, assenza di forza, secondo Aristotele morale): la volontà e le sue distorsioni nel mondo antico


Nel V secolo Socrate e i sofisti introducono nella polis un nuovo conecetto di virtù, inteso come eccellenza morale, slegata dalla nobiltà di stirpe. A differenza del mondo omerico, dove i grandi rimanevano tali, anche se si comportavano in modo sbagliato (era solo una parentesi), nell'Attica dei filosofi si prende in considerazione la responsabilità dell'individuo e i suoi moventi. Nella tragedia, Euripide ci insegna che il male non è più una forza esterna, ma è parte dell'essere umano. Medea non è inconsapevole come Edipo (di Sofocle), ella ben comprende il male che dovrà compiere, ma più forte dell'etica è la passione, che la porterà a causare un'azione biasimevole non solo agli occhi degli altri, ma anche ai propri.
Euripide è il primo che ci fa conoscere l'akrasìa, quella mancanza del dominio di sé che induce ad agire contro quel che si ritiene essere il meglio!


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXV

Il male, come errore della mente


Socrate enuncia invece la dottrina secondo cui ogni virtù è conoscenza, epistème; da ciò si ricava che l'azione malvagia è frutto di ignoranza e secondo lui doppia, perché non c'è solo il deficit cognitivo, ma anche la convinzione, la pretesa meglio, di sapere! Nessuno, secondo Socrate, tende volotariamente al male e quindi per lui l'akrasìa è una pura aporia logica; Medea non conosce davvero che cosa è il bene ed è solo vittima dell'apparenza.
Prendendo la sola ragione come vettore delle azioni umane, Socrate ritorna un po' a Omero, ma Platone rettificherà il tiro e nella Repubblica ci dà una concezione più articolata della Psychè, il che porta auna cesura fra maestro e allievo: chi conosce il bene può anche trasgredirlo, perché anche l'animo irascibile e quello concupiscibile diventano vettori di azione, ovvero ogni parte della psychè è motivante, per cui risulta del tutto possibile desiderare forme di gratificazione inaccettabili dalla ragione. (Nota mia, per esempio il rigore di ieri è stato accettato con grande piacere dai milanisti, anche se la logica/esperienza ci fa vedere che mai lo scontro fra il giocatore bianconero e Calabria avrebbe prodotto qualcosa).


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXVI

Aristotele vede l'etica come una scelta (proàiresis) in vista del perseguimento di un fine, che si reputa un bene. Per lui l'esercizio della virtù deve essere il centro cui tendere e, in questo senso, l'opposto (il vizio) è la peggiore condizione in cui può versare l'individuo: non solo genera azioni malvagie, ma distoglie completamente l'uomo dalla realizzazione di sé (eudaimonìa).
Il vizio può portare addirittura a non saper distinguere il bene dal male e ad agire in maniera casuale, assecondando talvolta le passioni, senza alcun rimorso. In ogni modo il soggetto deve essere ritenuto responsabile del suo inizio, anche se una volta acquisito non è più padrone di estirparlo. Non è possibile per chi ha lanciato una pietra, riprenderla, eppure dipendeva da lui raccoglierla o scagliarla. Conoscere i giusti fini cui le azioni dovrebbero tendere è un dovere morale del cittadino, il contrario è ciò che ci sia di più biasimevole.
A differenza di Socrate, A. pensa che esista anche l'akrasìa, ovvero agire contro le credenze morali, perché non si riesce a dominare le passioni. Essa può far sì che la conoscenza di ciò che è bene fare, che pure si possiede, non sia messa in atto, ma rimanga in potenza. Questa mancanza di autocontrollo non è grave quanto il vizio, perché non è un habitus dell'individuo e quindi in lui c'è un senso di vergogna, perché dentro se stesso il principio corretto (òrthos lògos) si è salvato.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXVII

Conoscenza, dubbio e certezza: lo scetticismo antico


Scetticismo significa sospendere il giudizio riguardo a una parte (o addirittura alla totalità) delle indagini umane. Esso si sviluppa in due varianti: la prima è quella dei pirroniani, ma Pirrone di Elide è una figura misteriosa, si sa solo che ha partecipato alla spedizione di Alessandro in Asia e in India e, come Socrate non ha scritto nulla, per cui è meglio concentraci sulla seconda, quella c.d. accademica, che ha in Arcesilao e Carneade i principali assertori.
Arcesilao eredita da Socrate il metodo di confutazione e, usando le regole di inferenza, deriva dai dogmatici conclusioni per loro inaccettabili, dimostrandone così la falsità. Carneade aggiunge alle idee di Arcesilao il concetto di plausibile e, secondo lui, le azioni dello scettico possono essere determinate solo sulla base di ciò che è ragionevole, identificando i due termini. In questo modo lo scettico, pur sprovvisto di credenze certe, può vivere e non destinato alla morte come volevano i dogmatici. :dubbio:


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXVIII

Modelli di spiegazione dei fenomeni celesti: da Aristarco a Tolomeo


Aristarco di Samo è il primo che espone una formulazione del sistema eliocentrico, anche se essa non si trova nei suoi scritti (perduti), ma in quelli di Archimede di Siracusa che, nell'Arenario, scrive: "Egli suppone che le stelle e il sole rimangano immobili e che sia la Terra invece a girare, seguendo la circonferenza di un cerchio, intorno al Sole. Nell'architettura del Cosmo di Aristarco le retrogradazioni, le variazioni di lunimosità e le circostanze in cui tali fenomeni avvengono, sono considerati fatti necessari conseguenti ai moti relativi della Terra e dei pianeti intorno al Sole. Per es, circa ogni due anni la Terra passa accanto a Marte e lo sorpassa. Durante ciò, sembra rimanere indietro sullo sfondo delle costellazioni zodiacali (moto retrogrado). Poiché, durante il sorpasso, la Terra tocca il punto di minima distanza dal pianeta, Marte appare massimamente luminoso.
Ma perché questa idea di Aristarco si perde e sarà recuperata solo nell'Europa del Cinquecento?
Archimede ce lo spiega:
In primis, nel Cosmo eliocentrico la sfera delle stelle avrebbe un raggio almeno mille volte più grande che nel tradizionale Cosmo geocentrico. Un simile aumento di dimensioni inquieta i filosofi, imbrarazzati nel dover trovare un significato a un così grande spazio vuoto.
In secundis, se la Terra si muovesse, tutti gli oggetti dovrebbero mostrare uno stesso comportamento, per esempio le nuvole non potrebbero mai dirigersi verso est, poiché il moto della Terra in quella stessa direzione lo sorpasserebbe, quindi non si poteva accettare Aristarco, senza sostituire la fisica di Aristotele.
Un terzo ostacolo è la rottura della simmetria, perché la Luna (che gira intorno alla Terra) sarebbe un'eccezione non banale al ruotare di tutti intorno al Sole e la simmetria/bellezza di una teoria ha sempre affascinato la mente umana.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXIX

Il più grande astronomo antico è, senza dubbio, Tolomeo, vissuto nell'Alessandria dell'età imperiale (II secolo d.c.)
Le sue osservazioni permettono all'autore dell'Almagesto di definire il moto dei sette pianeti classici con una precisione mai raggiunta. Egli prova anche a ridefinire la struttura del Cosmo e gli strumenti usati gli permettono di determinare con buona precisione la distanza media della Luna e del Sole.
Per completare l'ipotesi cosmologica impacchetta i gusci concentrici, quelli eccentrici e gli epicicli l'uno nell'altro, in modo che fra di essi non rimanga alcuno spazio vuoto. Il risultato è un sistema di dimensioni piuttosto ridotte (come piaceva agli antichi) che rappresenta un'ingegnosa fusione con la teoria di Aristotele; ciò era possibile, perché entrambi partivano dall'idea di guardare il Cosmo partendo dalla terra. Questo sistema sarà noto come aristotelico-tolemaico e durerà molti secoli.


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La grammatica del cosmo: Lucrezio di Ivanio Dionigi

Abbiamo pochissime informazioni sulla vita di Lucrezio e anche quelle sono sospette, perché provenienti da fonti cristiane che ad es. ci hanno tramandato un presunto suicidio al fine di ridurre l'epicureismo, materialismo e ateismo di Lucrezio a frutto di squilibrio mentale! E vieppiù per mettere la dottrina del poeta in contrasto con quella ottimistica del suo maestro Epicuro.
Nella capitale dello stoicismo, vale a dire della filosofia che teorizza il primato del negotium e la pratica della religio come instrumentum regni, la presenza dell'epicureo Lucrezio, che rivendica l'otium (il vivi nascosto) e stigmatizza la religio, come causa di tuti i mali, assume un effetto dirompente e si configura come un vero e proprio errore anagrafico. :)
Scopo del verbo lucreziano è sradicare dall'animo umano le due ferite della vita: la cupido vitae, che si traduce in malsana passione politica, economica e amorosa e il timor mortis, che oltre a suscitare le reazioni più turpi e sanguinarie, ricatta l'animo umano con il culto degli dèi e la paura dell'aldilà! :grr: (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXI

La grammatica del cosmo: Lucrezio di Ivanio Dionigi

Per liberare gli animi dalla paura della morte e dai nodi della religione, Lucrezio/Epicuro annunciano un messaggio grandioso sul conoscere le cause di ciò che accade (rerum conoscere causas): gli atomi (come hanno già detto Leucippo e Democrito) sono le particelle costitutive di tutto il reale; solidi ed eterni, essi costituiscono il duplice principio dell'increazione e della indistruttibilità della materia. Il clinamen, parola creata da Lucrezio e mai più usata dopo di lui, è la deviazione infinitesimale degli atomi dalla fissità della forza gravitazionale, che consente la creazione dei corpi e interrompe la necessità del fato. L'isonomia è la legge fisica che tiene in equilibrio il tutto e salvaguarda il cosmo dalla deflagrazione assoluta, facendo coesistere mondi infiniti, al di là del nostro, nell'universo. In tutto ciò gli dèi non hanno un ruolo attivo, ma sono semplici spettatori e l'uomo non è al centro, ma è solo uno dei tanti momenti e frammenti di questo avvicendamento cosmico. (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXII

La grammatica del cosmo: Lucrezio di Ivanio Dionigi

Ne consegue l'abbandono della concezione antropocentrica e la primazia della voce ratio come parola del poema (più di 150 occorrenze), nei diversi significati di ragione, metodo, spiegazione e *dottrina epicurea*. Addirittura Epicuro è paragonato a un dio che, dopo aver varcato le fiammeggianti mura del mondo e percorso con la mente l'intiero universo, ha abbattuto la religione, ha posto la parola fine al desiderio e alla paura, cacciando dall'animo umano tali mostri non con le armi, ma con le parole: "non per volere divino è stata per noi generata la natura del mondo e l'annuccio di una nuova pietas, laicista e razionalista; non c'è alcun valore nel mostrare il capo velato, né rivolgersi a una statua di pietra e/o visitare i templi, nel gettarsi prosternati e nel tendere le palme, né cospargere le are di sangue animale; devozione, semmai, è guardare al tutto con mente serena."
Queste proposizioni lucreziane hanno portato i suoi contemporanei alla rimozione del pensiero e della figura del Nostro, una vera e propria *congiura del silenzio* contro quelle idee rivoluzionarie (res novae, l'aveva definite lui stesso), che andavano in collisione con quel mos maiorum, che a Roma era il valpore supremo! :x


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La grammatica del cosmo: Lucrezio di Ivanio Dionigi


Intenzionato a delineare un nuovo ordine, sia cosmico che morale, Lucrezio si affida a una nuova lingua e a un nuovo lessico, una scelta obbligata a causa della povertà della lingua latina, rispetto al greco. Ne vien fuori un "de rerum natara" con una struttura non solo fonica, ma anche visiva, perché l'autore rappresenta iconicamente ciò che dice, per cui quest'opera sembra un poliedro di tredicimila facce, mostruoso nella regolarità.
Anche i critici furiosi, che rimuovevano la novitas delle idee, non poterono fare a meno di rilevare la novità artistica del poema, giudicato sublimis da Ovidio, doctus da Stazio, elegans e difficilis da Quintiliano etc.
Decisivi per la comprensione, sono due passi: i medesimi atomi formano il cielo, il mare, le terre, il sole ... le medesime parole formano il cielo etc.
In questi due periodi si enuncia il principio della corrispondenza fra la formazione delle cose e delle parole. Come i principi primi (gli atomi) sono gli elementa mundi, così il poema, con i suoi elementa vocis si configura come una esecuzione grammaticale del cosmo, come dire che in principio c'era la grammatica. :)
Se il mondo è scritto in caratteri grammaticali, ne consegue che è leggibile e ordinato, in altre parole ci dà del cosmo un'intrerpretazione razionale e positiva, quella tipica degli scienziati il cui scopo principale è appunto la ricerca di come stanno le cose. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXIV

Per concludere su Lucrezio, dobbiamo aggiungere che è stato demonizzato e strumentalizzato dagli apologeti cristiani, in particolare Arnobio e Lattanzio in funzione della loro polemica contro gli dèi falsi e bugiardi dei pagani! Gli amanuensi smisero di copiarlo e fino al 1417 lui non sarà più che un nome, sconosciuto anche per Dante, che pure parla nel X canto dell'Inferno di Epicuro e dei seguaci.
Come poeta, ma non come filosofo, interesserà agli umanisti neoplatonici e la vera stagione lucreziana sarà dal Seicento all'Ottocento: i secoli della scienza, dell'illuminismo e del positivismo, che troveranno particolarmente congeniali l'atomismo e il razionalismo lucreziano.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXV

Cicerone


Si ispira a Platone per la forma dialogica e anche nei titoli: De re publica e De legibus, anche se poi queste sono le opere politiche più genuinamente romane. Egli è convinto che suoi compatrioti siano superiori ai greci per i costumi, le istituzioni e l'organizzazione dello Stato, ma riconosce la loro primazia in campo filosofico.
Per Cicerone il mos maiorum è il principio della vera conoscenza (in questo modo pensa di essere meno homo novus), ma la filosofia greca può contribuire ad allargare la conoscenza e la mente dei romani, specie le opere dell'Accademia scettica, di cui è seguace.
Nel De finibus bonorum e malorum e nel De natura deorum i portavoce delle diverse scuole filosofiche espongono i principi delle loro dottrine, che sono sottoposti a critica e in tal modo è forse possibile raggiungere ciò che si approssima maggiormente al vero e questo atteggiamento epistemologico gli fa concludere che talvolta le altre scuole filosofiche possono sostenere punti di vista plausibili e quindi di accoglierli.
È consapevole di non elaborare una filosofia originale, anche se dichiara di non fare solo opera di traduzione e, al contrario di Lucrezio però, è convinto che il latino abbia la capacità di riferire un pensiero filosofico complesso, da qui le innumerevoli traduzioni che occupano quasi per intiero la sua vita negli ultimi anni. E alla fine lui si convincerà di essere il fondatore della prosa filosofica in lingua latina.
P.S. Cicerone aveva un ego paragonabile a quello del Gobbonero! :D


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXVI

Il filosofo e l'imperatore: Seneca


L'opera di Seneca si distingue in primis per la lingua: il latino, mentre nel suo tempo di filosofia si scrive ancora in greco. Il suo caso non va confuso con il precedente offerto da Cicerone, perché le opere di quest'ultimo sono traduzioni a scopo divulgativo, Seneca invece scrive, ma soprattutto pensa in latino e raggiunge così l'obiettivo di arricchire il corredo concettuale della scuola stoica di Roma.
Un chiaro esempio di arricchimento è la parola voluntas, che rappresentà il cardine, per lui, della virtù: per essere buono occorre in primis volerlo, non basta. come sosteneva Socrate, la conoscenza.
Nel De clementia il nostra pone l'accento su codesta virtù che il principe deve avere/volere, perché solo con la moderazione nell'esercizio del potere il principe dimostra di governare soprattutto se stesso e si differenzia così dal tiranno.
Nel De otio prende invece le distanze da una partecipazione attiva alla vita dello Stato e mira a dimostrare che si può preferire la vita teoretica, senza per questo cessare di dirsi stoico, purché sussista la volontà di migliorare se stesso.
Ma se si vuol conoscere a fondo il pensiero di Seneca, Le lettere a Lucilio sono le opere più rappresentative e in esse ci appare la filosofia come pratica terapeutica e al contempo rappresentano il percorso per arrivare a interiorizzare le verita dello stoicismo: non basta sapere che la virtù è un bene, ma occorre impadronirsi del principio, calandolo nelle diverse situazioni concrete. Ad es, quando viaggio su un carretto sbilenco, trainato da una mula e mi sento a disagio, se incontro una carrozza elegante, questo significa che non ho capito nulla dello stoicismo.
Michel Foucault ha rintracciato nelle pratiche stoiche di autotrasformazione un modello del rapporto con se stessi alternativo alla psicoanalisi e quindi per lui è un ritorno all'orizzonte socratico del conosci te stesso. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXVII

Epitteto


Egli fu il protagonista, insieme a Seneca e Marco Aurelio dello stoicismo di età imperiale e per lui il concetto fondante è la nozione di *scelta*
Questa parola traduce il termine greco proàiresis, che per gli antichi aveva il significato di condotta di vita (scelta preliminare), mentre per Aristotele valeva come scelta preferenziale ed Epitteto si adegua allo stagirita. Il Nostro afferma, oltre Aristotele, che solo le azioni proairetiche dipendono da noi e assegna la capacità di scelta (così definita) a ogni essere umano, in particolare a coloro che si impegnano nella via della filosofia.
La scelta appunto, ma dobbiamo anche dire di che cosa? O tra che cosa? Diciamo che essa si compie fra i vantaggi esteriori e ciò che invece mira al bene supremo, ovvero il raggiungimento della libertà. :)
Identificandosi con il bene, la proàiresis acquista in lui un'importanza pervasiva e quindi l'individuo dovrà *scegliere* di:
a) estirpare le passioni
b) distinguere ciò che è appropriato o no
c) ciò che è vero o falso
Quando queste scelte proàiretiche saranno pienamente esercitate, nemmeno Zeus (o Giove) potrà negarle! :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXVIII

Marco Aurelio


Egli scrive per, diciamo così, comunicare con se stesso, per tener vivi nell'animus i principi dello stoicismo e così determinare il comportamento nel mondo. Questa necessità presuppone l'assenza di un concreto interlocutore esterno, ma forse concorre anche il fatto che i suoi doveri istituzionali non gli avrebbero permessero di fare il filosofo a tempo pieno.
In un passo dei pensieri illustra in maniera pressoché esauriente la concezione e la pratica del dialogo rivolto a se stesso, che si fonda sul principio della autosufficienza del singolo nel raggiungimento della serenità e del distacco dalle inquitudini quotidiane, scopi questi che, dall'epoca ellenistica in poi furono condivisi dalla maggior parte delle scuole filosofiche e identificate con il fine stesso della filosofia.
Il ritiro in se stessi comporta l'eliminizione del dolore e l'accettazione della realtà in quanto tale, allontanando ogni forma di stupore o di malcontento; dobbiamo conformarci al principio della eukosmìa, senza subire gli accadimenti delle attività quotidiane, oltre che della tendenza all'errore.
Il Nostro è piuttosto coerente e cerca sempre aiuto nella parènesi, cioè il discorso di esortazione o ammonimento, allo scopo di trasferire nel proprio pensiero tali contenuti e realizzare nella pratica la filosofia da lui accolta. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXXXIX

Filone di Alessandria


È un autore ebreo, vissuto a cavallo fra a. e d. cristo, che interpreta la Bibbia con categorie filosofiche, i principali riferimenti sono platonici, aristotelici e stoici.
Presupposto del discorso è che la Bibbia contiene solo verità, non s'inganna, non presenta contraddizioni, né miti e quelli che appaiono tali, vanno letti secondo metafora e allegoria.
Adamo rappresenta l'intelletto, Eva la sensazione, il serpente il piacere che li unisce. Prima di unirsi alla sensazione, l'intelletto è privo di contenuti, ma una volta congiuntosi e inebriato dal piacere, si riempie di orgoglio e autocompiacimento, attribuendo a sé quello che invece è solo di Dio! E la cacciata dall'Eden avviene perché l'intellento non si placa mai, vuole avere sempre di più! Stesso discorso vale per la Torre di Babele.
La Bibbia per Filone, ci indica anche il percorso positivo: come un architetto, che voglia costruire una città, ne disegna prima il progetto ed edifica poi, a partire dai disegni, così Dio al momento della formazione del mondo, disegnò un archetipo, di cui il mondo empirico è copia: la Torah E ne dà un esempio con il doppio racconto della creazione dell'uomo: quella dell'uomo a immagine di Dio rinvia ad Adamo come modello, mentre la plasmazione della terra riguarda la formazione di Adamo ed Eva storici, maschio e femmina appartenenti al mondo sensibile. Egli ha agito, partendo da una materia originaria, informe, disordinata e ne ha fatto ...
P.S. È il contrario dell'entropia e poi il Nostro non spiega da che cosa è data quella materia originaria. :dubbio:


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. XL

Plotino e la nascita del neoplatonismo


A lui è ricondotta la nascita di questo orientamento filosofico che caratterizza i secoli dal III al VI ed egli, pur vivendo a Roma, utilizzerà sempre il greco, che resta la lingua della cultura filosofica.
Plotino presenta se stesso come un esegeta degli autori antichi e, in particolare, di Platone. Per lui innovare è una pratica negativa, mentre la vera filosofia consiste nell'interpretazione corretta di Platone.
Come risultato di ciò, vi è in primis la distinzione fra tre principi metafisici:
a) l'Uno assolutamente semplice;
b) l'intelletto, dove la molteplicità delle forme è perfettamente unificata, senza alcun condizionamento spazio-temporale (l'intelletto è dunque uno-molti);
c) l'anima, ossia il principio intelleggibile inferiore nella gerarchia e che presenta un grado maggiore di molteplicità (l'anima è uno e molti). (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. XLI

L'uno


Il vertice delle realtà, un principio affatto semplice, posto al di sopra di ogni cosa, anche dell'essere e del pensiero; l'Uno è indicibile. per cui Plotino è considerato il primo esponente della "teologia negativa", che del principio sommo si possa dire unicamente ciò che non è.
L'Uno non è intelletto, perché è prima di esso, l'intelletto è qualcosa, l'Uno no, essendo generatore di tutte le cose non può essere nessuna di esse e naturalmente non è né in movimento, né in quiete, non è in un luogo, né in un tempo e il Nostro lo chiama Uno solo per indicare la completa soppressione del molteplice, non certo l'attribuzione di un carattere positivo.
Si tratta però di spiegare come l'Uno possa generare ciò che dipende da esso e per far ciò il Nostro ricorre all'esempio del fuoco: c'è un calore che costituisce la sua sostanza e un calore, derivato dal primo, che si propaga all'esterno e mediante cui il fuoco esercita la sua attività. La teoria della doppia attività è destinata a spiegare la derivazione in ogni grado della gerarchia plotiniana e in particolare quella dell'intelletto dall'Uno. (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. XLII

L'intelletto e le forme


L'intelletto, o essere, è il secondo principio nelle gerarchia e in esso trovano posto, le forme intelleggibili "platoniche", che sono interpretate come gli atti del pensiero. Essere, identico, diverso, movimento, quiete diventano in Plotino i concetti fondamentali nei quali unità e molteplicità sono perfettamente coese, il cosmo ideale è concepito come un vivente perfetto. L'intelletto plotiniano è tutte le cose insieme (homòu panta) e la sua struttura il massimo grado possibile di unificazione della molteplicità: Il veicolo del pensiero del nòus non è di altro, ma perfettamente autoriflessivo, non cerca l'oggetto, perché lo possiede già.
L'attività dell'intelletto è eterna ed esclude quindi durata e incompletezza, variazione o passaggio e la visione delle forme da parte dell'intelletto è paragonata a una luce che vede altra luce, senza che vi sia un mezzo esterno della visione. Per questo motivo, la filosofia di Plotino è stata definita come una "metafisica della luce".


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. XLIII


L'anima e il mondo fisico


L'anima. a differenza dell'intelletto, è associata al tempo ed è presente al mondo dei corpi: la sua natura è quella di intermediaria fra il mondo intelleggibile e quello sensibile.
Il mondo sensibile per Plotino manca di una vera potenza causale; e critica come aporetiche tutte le filosofie naturalistiche, ovvero che non ricorrono a un "a priori" metafisico e quindi a proposito di anima-corpo sostiene che è quest'ultimo a essere contenuto nella prima e non il contrario.
La natura produce, perché è contemplazione e la costituzione del mondo fisico si deve a principi essenziali di ordine superiore (siamo di fronte a una metafisica di tipo gradualistico).
Lui però non dice mai come la materia sia creata da quei principi e soprattutto la considera solo come forma riflessa e addirittura arriva a pensare che la materia sia fonte del male.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. XLIV


La concezione dell'uomo


Quando l'anima discende in un corpo dimentica l'origine e diventa il noi, quello cioè con cui normalmente ci identifichiamo, anche se non è poi tutto, perché qualcosa di essa non abbandona mai l'intelletto. Questa parte, per quanto sia possibile parlare di parte nel caso dell'anima, è in perenne contemplazione delle forme intelleggibili, anche se noi non ne siamo per lo più coscienti.
Questa teoria "dell'anima non discesa" porta alla conclusione di Plotino che il cosmo sia retto da un ordine provvidenziale, presente nell'intiero universo, ancorché in modo diverso da un luogo a l'altro. Ne consegue che il valore etico dell'agire pratico nell'uomo è piuttosto ridotto, perché l'attività del nostro vero sé (l'anima non discesa) è teoretica e sottratta alla prassi. Plotino ipotizza altresì il rivolgersi dell'anima a l'Uno, che è trascendente, ma anche presente in noi, perché contiene la nostra anima nella sua potenza causale).
Quiesto tipo di esperienza e di unificazione mistica è diversa da ogni possibile pensiero e irriducibile a una comprensione di tipo intelletuale.


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Ferraris e la filosofia della storia:


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. XLV

Galeno, medico e filosofo dell'imperatore


La sua opera rappresenta, insieme a quella di Ippocrate, la fonte che consegna il sapere medico di origine greca alla tradizione successiva.
La medicina galenica si fonda sulla conoscenza anatomica, volta alla comprensione del funzionamento del corpo, che sola può portare alla corretta somministrazione della terapia. Nell'impossibilità di sezionare i cadaveri umani, egli si serve di scimmie e di altri animali, la cui struttura richiami quella dell'uomo: l'osteologia (osteo->osso) è quasi perfetta e la descrizione del sistema nervoso molto accurata.
Egli applica la medicina seguendo il doppio binario della esperienza (empeirìa) e del ragionamento (lògos) e la grandissima attitudine osservativa, gli permette di evidenziare gli inganni dei pazienti e di comprenderne le disposizioni psicologiche; distingue le cause di malattie in procatartiche (esterne al corpo), precedenti (Inerenti al soma) e immediate (quelle che precludono l'espletamento della funzione).
La corretta individuazione delle cause consente al medico la formulazione della prognosi e per questo metodo Galeno è ritenuto a buon diritto padre di una tradizione medica occidentale che potrà quasi reggere fino alla prima metà del XX secolo.
Per quanto riguarda l'aspetto filosofico è interessante la posizione nei confronti del pensiero cristiano, ritenuto ingenuo, ma che può portare a un alto livello etico.


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Tradizioni filosofiche e religiose nella tarda antichità


Il periodo che va da Traiano a Costantino è un'epoca piena di contreasti. Da un lato i popoli dell'impero sono uniti da una lingua e cultura comune, si sta sviluppando la matematica, la musica, l'astronomia e l'educazione si diffonde in modo organico, tanto che è in quest'epoca che si definisce il concetto di enkyklios paidèia (educazione globale), ma d'altro lato mancano le creazioni veramente originali: la volgarizzazione prevale sulla scoperta.
In opposizione alla tradizione razionalistica (Aristotele, stoici ed epicurei) si sostituisce una forma di pensiero religioso, che in seguito sarà definito sincretismo. La religione imperiale è puramente formale, un'espressione di solo lealismo e invece ci si appropria dei culti più disparati e, per esempio, Iside, divinità egiziana, diventa Demetra e a Cibele, l'Afrodite siriaca, si dà nome Giunone.
Ci si può chiedere se in questa situazione il verbo cristiano non si presentasse come la soluzione, ma in questo periodo esso è ancora una religione per schiavi e, agli occhi dei sapienti, appare come una delle tante sette misteriche.
Si manifesta in quel periodo invece una religiosità corrispondente a un'anima universale del mondo, che sussiste negli astri, come nelle cose terrestri e di cui l'anima individuale è una mimima parte e sarà su qesto spirito di religiosità cosmica che si innesta il neoplatonismo.
Esisteva altresì il misticismo: la psicologia dello spirito religioso ci dice che nulla è più facile che trovare un dio quando si è intimamente deciso che si vuole credere e siccome ora si cerca una fede diversa, altra da quella ufficiale, ecco che la risposta può essere solo che la rivelazione della stessa debba essere ignota e segreta, misteriosa ovvero mistica. :)


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Il cristianesimo


Né Gesù, né i gesuani volevano fondare una religione, però, sotto l'influsso di Paolo di Tarso, in molti sono convinti che la resurrezione del Cristo segni una svolta, che apre a tutti i popoli la prospettiva in passato riservata al solo Israele. La convinzione affermatasi, sotto il forte influsso di Paolo che non è più necessara l'osservanza della legge di Mosè contribuisce a a differenziare i paolinisti dai gesuani giudaici. I paolinisti assumono il nome di cristiani e si distinguono dagli altri sempre più, stabilendo frontiere di ideologia e prassi molto diverse. Nel II secolo nasce il Nuovo Testamento, con l'emarginazione dei gruppi di credenti in Gesù come uomo (i gesuani).
Per quanto strano possa sembrare non si è ancora stabilito quando è cominciato il cristianesimo, perché non si sa sa chi mai l'abbia fondato; per molto tempo si è pensato a Paolo, ma poi ci si è tresi conto che anche lui, per certi aspetti, si muove all'interno del giudaismo, pur attribuendo un ruolo fondamentale alla morte di Gesù. Per chiarire forse la questione, dovremo chiederci prima chi è Gesu? (continua)


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Chi è Gesù

Secondo le quasi inesistenti fonti che abbiamo ci appare la figura di un piccolo artigiano, secondo altri piuttosto di un contadino che, verso la fine degli anni 20 del I secolo della nostra era, svolge un'attività di carismatico itinerante nei villaggi della Galilea (la regione natale, perché Betlemme è sicuramente una leggenda) e forse anche in qualche località delle regioni limitrofe. Si tiene lontano dalle città vere e proprie, salvo una volta (o due) a Gerusalemme, dove sembra che abbia predetto la distruzione del Tempio (una profezia comune in quei tempi).
Condannato come ribelle, sarà crocifisso, probabilmente nell'anno 30, in prossimità della Pasqua (naturalmente ebraica). I discepoli dapprima si disperdono, ma poi si ricompongono, convinti che, nonostante la fine infamante, Dio sostenga la sua causa.
Quale sia questa causa è alquanto dubbio e le fonti antiche sembra mostrino che al centro della predicazione vi sia il Regno di Dio (cosa che quasi tutti i profeti sostenevano), ma la peculiarità sta nel fatto che Dio si sarebbe servito della sua persona per realizzare il regno in contesti e circostanze concrete, malgrado forze ostili che esercitano ancora il potere.
Come ha sottolineato l'esegeta tedesco Gerd Theissen una simile proposta non ha solo valore religioso, ma può costituire una risposta alla disintegrazione sociale, considerando che, benché all'orizzonte si veda sempre la catastrofe cosmica, il Regno di Dio è invece a portata di mano e si può entrarvi, anche se in maniera misteriosa.
È difficile dire se Gesù si sia attribuito qualcuno dei titoli ascritti agli inviati di Dio: messia, titolo regale e sacerdotale, Figlio di Dio etc; certamente non si è presentato mai come Signore o Salvatore.
Possiamo solo dire che Gesù non è stato in alcun modo un cristiano, ma la sua persona è inseparabile dalle origini del cristianesimo.
Gli scritti cristiani più antichi sono le lettere di Paolo, verso gli anni 50, il Vangelo di Marco (il più antico) forse sarà degli anni 70, Matteo e Luca verso gli 80 e Giovanni fra la fine del I e l'inizio del II secolo. Nessuno dei quattro vangeli emtrati nel Nuovo testamento include nel testo il nome dell'autore e la loro scelta come canonici è stata compiuta alla fine del II secolo e ufficializzata nel IV. Alla selezione contribuisce il fatto che alcuni testi di quel periodo riflettono la teologia di gruppi, le cui idee e pratiche finiscono con l'essere considerate incompatibili con l'"ortodossia" che si è ormai affermata nel II secolo.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. IL

Dopo la morte, che fare? Inizialmente i discepoli erano convinti che sarebbe tornato molto presto in questo mondo per instaurare il Regno di Dio.
Dopo che ci si è accorti che così non era, la continuazione dell'opera prese due forme:
a) continuare come carismatici itineranti, diffondendo il suo stesso annunzio e legittimandosi con una formula che appare in fonti diverse: "Chi accoglie voi, accoglie me e chi mi accoglie, accoglie colui che mi ha mandato." I questo modo i missionari pensano di avere la stessa autorità di Gesù. Ma questa linea di pensiero/azione sembra aver interpretato la morte non come un evento salvifico, bensì come un destino che situa Gesù e loro stessi nella linea dei profeti perseguitati e uccisi in Israele. Questa forma fu perdente e si estinse poco dopo.
b) convincersi che Dio non aveva abbandonato Gesù alla morte, ma lo aveva fatto entrare in una vita piena e definitiva, in comunione con lui, quella che chiamiamo *resurrezione*. C'è poi l'esigenza di far accedere il maggior numero possibile di israeliti a questa salvezza e per far questo occorre uno spostamento d'accento fondamentale, rispetto al messaggio diffuso da Gesù stesso. È ciò che troviamo nelle lettere di Paolo e che porterà alla formazione di tante piccole comunità nelle città (a Corinto sembra ce ne fossero sei) che si riuniscono verso sera in case private per consumare una cena (appunto comunitaria) e ascoltare brevi discorsi ispirati, enunciati incomprensibili intesi come discorsi in lingue angeliche. Il tutto interpretato come segni della presenza dello Spirito di Cristo nella comunità. E questa sarà la forma vincente.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. L

Il messaggio di Gesù si rivolge a Israele, ma alcuni credenti "ellenisti" annunciano il Vangelo anche ai non ebrei, che lo vogliono accogliere. E qui nasce il dilemma se i nuovi debbano entrare nel popolo d'Israele, facendosi circoncidere e osservare la Legge di Mosè? I più la pernsano così, ma gli ellenisti ritengono che la resurrezione abbia aperto un'epoca nuova e l'unico elemento decisivo sia la fede in Gesù. Il libro degli Apostoli attribuisce una posizione del genere a Stefano, il leader degli ellenisti di Gerusalemme e questa è la ragione della condanna a morte da parte del Sinedrio.
Nota mia, una posizione rilevante in questa condanna ebbe Saulo di Traso, che, poco tempo dopo, fece proprie le posizione del c.d. primo martire cristiano.
Saulo, diventato Paolo sviluppò un'impresa missionaria su grande scala in Asia minore e in Grecia, attirandosi l'ostilità degli ambienti giudaicocristiani, fedeli all'osservanza della legge e all'autorità di Giacomo. Scrive anche 14 lettere e in esse, senza presentare un vero e proprio sistema teologico, si possono leggere alcune intuizioni fondamentali per tutta la storia e la dottrina successive del cristianesimo.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LI

Già dalla seconda metà del primo secolo il cristianesimo troverà accoglienza fra i gentili, in particolare fra quelli che sono attirati dal giudaesimo, ma che non vogliono aderire a tutti quei rituali, oltre che alle norme di "purità" alimentare. in quel tempo un caso particolare è rappresentato dalle donne che nelle prime comunità cristiane potevano assumere un ruolo che non era loro possibile al di fuori. Nella lettera ai Romani, Paolo ringrazia una donna (Febe), designandola come sua prostatis (protettrice), ovvero si autodesigna come cliente di lei. Nota mia, poi si è visto come anche questa religione si è adeguata alle altre.
Il Vangelo trovò larga diffusione fra gli strati sociali più umili per la falsa convinzione di un messaggio egualitario. In realtà il cristianesimo non predica per niente una rivoluzione sociale e Paolo rimanda al suo padrone lo schiavo fuggiasco Onesimo, come mostra la lettera al padrone (Filemone).
Ma in un'epoca in cui non ci sono ammortatori sociali, né forme di assistenza e previdenza una comunitrà disposta ad aiutarti, rappresenta un forte fattore di attrazione e la chiesa di Roma, diventata presto ricca, diviene celebre per tali attività e l'imperatore Giuliano, che voleva restaurare l'antica religione romana, si rammericherà che i sacerdoti pagani non hanno mai pensato a questo sostegno! :x


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LII

Il giudaesimo godeva dell'esenzione dal culto imperiale, per cui gli ebrei non offrivano sacrifici né alla dea Roma né a chicchessia, tranne il loro e neppure la distruzione del tempio nel 70, provocò la soppressione di questo privilegio, però si poneva il caso dei seguaci di Gesù, come considerarli, visto che il fondatore era stato giustiziato come ribelle all'autorità romana, vale a dire uno dei criomini più aborriti dai Romani?!
Per quanto ne sappiamo i seguaci residenti a Roma non aderirono a nessun altro tentativo di ribellione e anche a Gerusalemme si dissociarono dalla rivoltà del 66 e addirittura il leader della seconda rivolta (132-135), Simone Bar Kokhba sembra abbia perseguitato gli ebrei gesuani.
Per Paolo, l'ordine civile esistente non è importante, perché la città dei cristiani è nei cieli e un suo epigono, autore anonimo dello scritto "A Diogneto" (forse verso il 200) si sforza di convincere le autorità che i precetti del loro Dio rappresentano il modo migliore di garantirsi sudditi leali. Tale invito alla lealtà appare anche in altri testi cristiani delle origini e si esprime, come già nel giudaesimo, nell'esortazione a pregare per le autorità.
Il presunto supplizio dei cristiani sotto Nerone, secondo Tacito, non fu dovuto al delitto di cristianesimo, bensì all'incendio di Roma; i cristiani in quel periodo erano diventati un buon bersaglio per l'odio, perché per la maggior parte erano provenienti da strati sociali modesti e il proselitismo di tali ambienti poteva destare sospetti negli amanti dell'ordine sociale. Sempre secondo Tacito erano detestati per i loro abominii e li si accusava di odio per il genere umano, accusa già tradizionale per gli ebrei e che più facilmente colpiva persone e gruppi che si segnalavano per tratti sospetti nei loro comportamenti: non divulgavano ad es, le forme e i contenuti del loro culto; solo Giustino lo farà, ma nel 160, descrivendo battesimo ed eucarestia. Nel 115 ad es, li si accusava di praticare l'antropofagia (dichiarando i medesimi di cibarsi del corpo e del sangue del Cristo) e di praticare l'incesto (visto che fra loro si chiamavano fratelli e sorelle).
Pertanto possiamo essere sicuri che Nerone li condannò in quanto incendiari!


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LIII

Nonostante ciò, la figura di Nerone assunse tratti particolarmente negativi e finì col divenire, già prima della fine del secolo, l'emblema del nemico di Dio (associandosi così agli ebrei). Certi ambienti videro nel regno di Nerone l'inizio dell'epoca di sciagure, attesa prima del giudizio finale. Dopo la morte, nel 68, si sparsero voci secondo le quali non era davvero morto, bensì fuggito dai Parti, i nemici tradizionali di Roma. Ebrei e cristiani ripresero questa idea e l'ampliarono in una dimensione mitica, vale a dire che l'imperatore sarebbe ritornato in vita come incarnazione del diavolo. Nel cristianesimo i primi testi che alludono a ciò sono l'Apocalisse e l'Ascensione di Isaia.
Sotto Domiziano ci sono altre voci di persecuzione contro i cristiani, ma sembra diffcile poterle accettare, si tratta solo di episodi locali d'intolleranza, attestati anche dall'Apocalisse, per es, a Pergamo.
Altro caso diventato celebre, riguarda Traiano al quale furono denunciati crimini di cristiani e l'imperatore, non sapendo come giudicarli, decise di provare la loro fedeltà allo Stato, obbligandoli a sacrificare davanti alla statua dell'imperatore e chi si rifiutava sarebbe stato condannato a morte per ostinata disobbedienza all'autorità. Anche qui, è ovvio che non c'è nessuna condanna per il fatto di essere cristiani, ma per un loro comportamento fattuale.
Eusebio di Cesarea (nota mia, colui che sosteneva di possedere un manoscritto autografo di Gesù Cristo :crazy: ) cerca di addurre prove di altre svariate persecuzioni, ma nessuna di esse prova qualcosa di più di quanto sopra.
Forse la prima persecuzione generale contro i cristiani in quanto tali è quella di Decio, nel 250.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LIV

Gnosi


In origine il termine greco significava "vera conoscenza dell'essere", in contrapposizione alla semplice percezione (aìsthesis) e all'opinione (doxa). In questo periodo invece ha assunto il senso di una conoscenza metarazionale, intuitiva, che non può essere raggiunta con le facoltà ordinarie della mente e lo gnosticismo si va configurando come un prodotto del sincretismo dei primi secoli dell'era cristiana.
Fra i principali pensatori troviamo Simon Mago e proprio da lui nasce il termine *simonia*, come commercio di cose sacre.
Per la setta maggioritaria l'universo è il teatro di battaglia fra due opposti, egualmente autonomi e potenti: il bene e il male e questo non va, il cosmo creato è da condannare! Il mondo è stato creato per un errore originario e, per molte correnti gnostiche, è opera di un demiurgo che non è malvagio, ma inabile. Per altri è invece il falso dio, onorato dagli ebrei e questo spiega perché gli gnostici rifiutano il Vecchio testamento e una delle imprese dei Padri della Chiesa, per reagire alle eresie gnostiche, fu quella di riaffermare solennemente l'unità dei due Testamenti.
Il principio dell'incidente cosmico e della nascita del male, risiede nell'intimo stesso di Dio, non è vero che il mondo è cattivo, perché si allontana dalla divinità, ma al contrario più uno è in vicinanza e più il male si farà sentire. :x


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LIV

Prodotto dell'errore originario, l'uomo dello gnosticismo vive esiliato nel mondo, vittima della sua miseria, con il tempo e la storia come prigione. Unica salvezza sarà la ricerca della conoscenza superiore, ma ciò non è per tutti.
Gli uomini sono divisi in ilici (legati alla materia, hyle), senza speranza di salvezza; psichici o pneumatici (da pnèuma, spirito), gli unici che possono aspirare alla reintegrazione del divino.
È fondamentale per la gnosi il disprezzo per la carne e il mondo, anche se per far questo alcuni arrivano al paradosso di ricercare tutte le esperienze carnali possibili e di tale aspetto si è valsa la Chiesa, perché ogni volta che ha voluto condannare un movimento eretico, gli ha attribuito i riti libertini che i primi padri apologisti imputavano agli gnostici!
I fermenti gnostici circolano anche in altre dottrine, specie quelle dualistiche, in particolare il manicheismo, tanto che nei secoli più tardi non sarà chiaro se certi pensieri siano di origine gnostica o manichea. :dubbio:


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La città di Alessandria era il principale centro di elaborazione delle dottrine gnostiche, ma, a partire daglli ultimi decenni del secondo secolo, la città diviene teatro di una vera e propria controffensiva antignostica, che vede in prima fila Origene. Egli nasce intorno al 185 da genitori cristiani. Suo padre era stato condannato alla pena capitale e alla confisca dei beni e egli si impiega come maestro di scuola. Ben presto il patriarca Demetrio gli affida l'insegnamento dei catecumeni, ma poiché la scuola è frequentata anche da pagani, Origene vuol apprendere anche la cultura filosica greca, oltre a quella biblica, alla quale si dedicava da tempo.
L'elemento centrale della riflessione origeniana è la distinzione (di origine platonica) fra mondo sensibile e intelleggibile e compito del cristiano è quello di innalzarsi dal livello della verità percepita dai sensi a quello della realtà spirituale. La salvezza non è riservata a pochi, ma aperta a chiunque, anche se la fede basata sulla conoscenza è superiore a quella dei semplici, che può dipendere soprattutto dal timore del castigo divino. Da qui l'importanza dell'esegesi della Sacre Scritture
Secondo Origine, Dio crea tanti esseri quanti può contenere e raccogliere sotto la sua provvidenza e prepara tanta materia quanto ne può ordinare, solo la bontà infatti lo spinge a creare. Egli quindi considera la creazione come un processo initerrotto che si concluderà solo alla "fine" dei tempi, quando tutti saranno salvati e in ciò consiste quella che lui chiama apokatàstasis, cioè "ristabilimento" della condizione originaria di perfezione in Dio. Dopo l'apokatàstasis, ricomincerà la vicenda eterna, con un andamento, quindi, ciclico.


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LVI

Ireneo


Il vescovo di Lione, attivo nella seconda metà del II secolo, sviluppa il pensiero teo-filosofico attorno a due nuclei concettuali fondamentali:
a) la verità della fede crisrtiana
b) la comprensione del mistero di Dio
L'uomo è, per natura, chiamato alla comprensione della verità rivelata, condizione imprescindibile per acquisire la conoscenza e pertanto ci si deve impegnare in primis nella confutazione delle dottrine che non sono conformi alla Sacre Scritture! E Ireneo appunto farà della critica allo gnosticismo la sua principale battaglia e afferma che l'uomo è in grado di conoscere Dio e che questa possibilità è una diretta conseguenza dell'amore di Dio per l'uomo.
La rivelazione è un percorso formativo nel quale l'Amore si pone come condizione e principio propulsore e, reagendo contro l'idea che la perfetta gnosi è che il Padre è inafferrabile e incomprensibile, afferma che è molto facile invece, attraverso la santa Chiesa, percepire Dio in modo adeguato.
In sintesi, la comunione con Cristo e la presenza dello Spirito Santo, fanno della Chiesa il luogo in cui si attualizza nella storia il rapporto con Dio. :)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LVII

Tertulliano


Conosce il greco e può leggere gli apologisti cristiani del II secolo e possiede una solida cultura filosofico-giuridica.
Egli assume come principio il rifiuto della filosofia pagana. Nell'opera Contro Marcione tenta una confutazione di tutte le eresie e non risparmia ai filosofi antichi definizioni infamanti, per esempio gonfi di vanagloria che riescono ad esprimersi solo attraverso vane parole, mentre i cristiani, anche i più umili, sanno testimoniare la vera fede con i fatti del vivere quotidiano.
L'attività del filosofare è viziata all'origine dalla pretesa di giungere alla verità, prescindendo dalla rivelazione, il che costituisce anche una minaccia per la fede e quindi bisogna condannare tutti quei filosofi che non sono riusciti a superare il politeismo idolatrico!
La distinzione platonica fra anima e corpo, secondo T. è priva di ogni fondamento e non a caso nella vita ultraterrena l'anima potrà essere premiata, o castigata, solo quando, dopo la resurrezione, si sarà riunita con il proprio corpo. Alla fine dei tempi Cristo stabilirà sulla terra una Gerusalemme discesa dal cielo, un regno terreno della durata di un mille anni; trascorso il millennio ci sarà la resurrezione di tutti i morti: i reprobi saranno giudicati e condannati, mentre i giusti saranno trasferiti dal regno terrestre a quello celeste.


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Re: Filosofia

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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LVIII

Le dispute sulla trinità


Uno degli interrogativi che si presentano ai cristiani dei primi secoli è quella di definire il rapporto fra Dio e suo figlio. All'inizio si pensa a un asse verticale: Dio - Cristo (Logos e Sapienza di Dio) - Il Mondo. Secondo tale visione, Cristo sarebbe stato generato o, meglio esteriorizzato, da Dio ante tempus, come entità divina da lui distinta, in funzione di reggente della creazione e di mediatore con il mondo e con l'uomo.
Questa formula non è però accettata da tutti, anzi è criticata da due lati:
a) mette in discussione l'unicità di Dio
b) è troppo accentuata la natura divina del Cristo, che finisce per lederne l'umanità.
Su queste basi, comunque, si innesta la riflessione di Teofilo, sesto patriarca di Antiochia, che introduce uno schema triangolare, dove al Dio Creatore, si affiancano Logos e Sapienza separati e infatti sarà il primo cristiano a usare il termine *trinità*.
A questa interpretazione si associa la Chiesa Romana con la sua formula di fede, il Credo più antico a noi noto e che, per la formula trinitaria, recita: "Credo in Dio onnipotente e in Cristo Gesù figlio di Lui, unigenito signore nostro, generato da Spirito Santo e da Maria Vergine ...


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Intorno al 320 la pace della Chiesa, stabilita da Costantino con l'editto di tolleranza del 313, fu turbata da una controversia destinata a sconvolgere l'intiera ecumene cristiana. Tutto cominciò allorché Ario di Alessandria affermò che il Figlio/Logos divino è estraneo alla sostanza (ousìa) del Padre e non è coeterno. È inoltre incarnato, ma non fatto uomo; è dio in quanto anch'egli creatore, ma la sua è una divinità inferiore al Padre.
In poco tempo tutto l'Oriente cristiano è diviso fra i due partiti e Costantino, che nel 324 è diventato l'unico imperatore, decide di intervenire per mettere fine alla controversia e così convoca e dirige il concilio di Nicea (maggio-giugno 325), primo concilio ecumenico della storia della Chiesa.
Dal credo niceano si evince la condanna definitiva di Ario e la formula di fede risultante, integrata con quella di Calcedonia del 451, è ancora oggi la dottrina della Chiesa cattolica. All'idea di Cristo come fattura e fondazione di Dio, si sostituisce quella di Cristo unigenito, non fatto, coeterno e consustanziale con il Padre. Si aggiunge poi il "credo" nello Spirito Santo e in questo modo il dogma trinitario è stabilmente formulato.


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Re: Filosofia

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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LX

Agostino d'Ippona


Fede e ragione sono i cardini del suo pensiero, ma essi si evolvono secondo le vicende esistenziali e per questo motivo le Confessioni è l'opera che più lo rappresenta, in quanto autobiografico. Al centro di esse si colloca l'episodio della conversione alla piena fede nel Dio cristiano, forse il più importante dei mutamenti del punto di vista che si ripetono in continuo nella sua vita. Anche se lui sostine, subito dopo la conversione, che non ha più alcun dubbio sull'esistenza di Dio, nelle righe successive si chiede che cosa sia quel Dio di cui e al quale parla? In altre parola la ricerca deve continuare.
L'episodio della conversione è simile a quello di San Paolo: mentre passeggia assorto in un giardino, sente una voce che gli intima "tolle, lege" (prendi, leggi). Preso un libro e aperto a caso, vi legge, nelle Lettera di Paolo, l'esortazione ad abbandonare i desideri della carne e a seguire l'insegnamento di Cristo. (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXI

Dopo la conversione cerca di abbandonare l'ansia di sodisfazioni esteriori per avviare invece un processo di purificazione spirituale e dedicarsi alla ricerca della verità. Per simile tentativo occorrerà sempre, per lui, la compresenza dell'intelletto e l'autorità delle fede e quando si dovrà misurare con il dubbio scettico, dovrà rigettarlo, perché mette in discussione perfino l'esistenza di se stessi e della realtà.
Ma la domanda classica che si porrà sempre Agostino è quella sull'origine del male. Egli lo definisce come il nulla, ovvero non esiste se non in quanto errore di prospettiva dell'uomo, il quale non riesce a cogliere l'armonia di un universo creato, capace di comprendere dentro di sé anche il dolore e il peccato e così toglie a Dio la responsabilità del dolore e della sofferenza. È il modo tipico di argomentare del Nostro, come quando si risponde alla domanda che cosa è il tempo: in sé non esiste; esistono solo le realtà finite, che sono “in fieri”. In sé il tempo non è niente, perché il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente non è ma scorre irrimediabilmente via, scorrendo nel passato. (continua)


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Il X e XI libro delle Confessioni segnano il passaggio dalle vicende biografiche al superiore livello della riflessione, nel quale affronta i temi della memoria, del tempo e della creazione dal punto di vista teorico.
Solo nella memoria possiamo trovare tracce di eternità e di verità, che spingono alla ricerca di Dio, quel Dio che non può essere del tutto immanente, ma neppure pensato come affatto esterno all'uomo, quasi fosse un principio incomprensibile. Anche il tempo ha una realtà solo grazie alla memoria ed è attraverso la cultura dell'uomo che assume un significato.
Per quanto riguarda la creazione, se l'uomo (come dice la Bibbia) è immagine e somiglianza di Dio, qualcosa, nella sua natura, deve essere segno del modo trinitario con cui pensiamo a Dio e la suprema analogia a cui arriva il Nostro è tra il mistero della Trinità e la facoltà della conoscenza: memoria (notitia), intelligenza (mens) e volontà (amor), che non sono sostanze distinte, ma solo fasi all'interno della vita di una sola ipostasi che, nel momento in cui opera, stabilisce relazioni tra i movimenti cui dà origine. (continua)


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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXIII

Il tratto caratterisrico dell'ispirazione agostiniana si può avvertire nella polemica contro i donatisti e il pelegianesimo. Siamo nel 395/6 e il vescovo di Ippona si oppone ai donatisti e, dopo una fase di confronto amichevole e dialettico, arriva alla fine anche ad ammettere l'uso della violenza da parte del potere statale, come necessità imposta dalle condizioni storiche. (Nota mia, siamo dopo l'editto di Tessalonica, che dichiara il cristianesimo secondo i canoni del credo niceno la religione ufficiale dell'impero, proibisce in primo luogo l'arianesimo e secondariamente anche i culti pagani.)
Le condizioni storiche riguardanti i pelagiani si traducevano nel riconoscimento di questi ultimi del *peccato originale* o almeno che esso non si trasmetteva da Adamo a tuti i discendenti e che quindi l'uomo aveva la capacità di non peccare in sé, anche senza l'aiuto di Dio. A costoro Agostino contrappose la trasmissione del peccato originale tramite lo sperma e quindi ne sono investiti anche i bambini appena nati, della cui colpa rimane un segno nel piacere sessuale che accompagna il concepimento!
In questa fase della vita, sembra ormai lontano l'Agostino del dubbio, del mutamento metodico del punto di vista ed è ormai diventato un padre della Chiesa e ha scelto di fare dei discorsi solo strumenti di una prassi politica, di organizzazione del consenso, di scontro ideologico e in definitiva veri e proprii dogmi.
Non abbiamo di fronte, tuttavia, un altro Agostino, perché il pensatore giovanile rersta, ma è messo fra parentesi, di fronte alle esigenze della storia e della consapevolezza di dove fondare la città di Dio.


Fanno festa i musulmani il venerdì
il sabato gli ebrei
la domenica i cristiani
i barbieri il lunedì :bll:

"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.

"io non mi sento italiano, ma per la lingua ... lo sono." :)
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lemond
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Re: Filosofia

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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXIV

Il 24 agosto del 410, la città che per il mondo classico si identificava con la storia, la civiltà, la cultura, veniva saccheggiata dai Goti di Alarico e Girolamo, santo e dottore della Chiesa, scrisse in una della lettere: "Se Roma può perire, che cosa può esservi di sicuro?"
Agostino che si era impegnato a costruire e consolidare un riferimento istituzionale e ideologico, di fronte al Sacco, capovolge il ragionamento di quanti accusano il cristianesimo dell'indebolimento di Roma, dichiarando che invece che esso sarà la novità che può dare nuovo vigore all'impero.
È il primo complesso tentativo di costruire una filosofia della storia, pensando l'umanità come un unico organismo vivente e governato da un'ordinata successione di età, in ogni epoca si è presentato il dualismo fra la civitas dei e la civitas hominum, così come in origine si era avuto Caino e Abele e succesivamente Romolo e Remo.
Poi è arrivata la grazia, ovvero la piena realizzazione dell'anima e se anche l'uomo non può sapere perché alcuni si salvano e altri no, proprio mentre i Goti saccheggiano Roma e i Vandali si avvicinano a Ippona, Agosatino si fa guida della comunità, offrendo loro non più dubbi, ma certezze.


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Re: Filosofia

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Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. LXV

Monaci e maestri


Dopo l'anno mille si assiste a una rinascita (è un luogo comune, ma corrisponde al vero). Se nei secoli precedenti la conoscenza era stata prevalentemente intesa come commento della saggezza degli antichi, ora si fa strada un'idea di cultura come innovazione. Còmplice del nuovo spirito è il contesto cittadino: dalle scuole monastiche dell'alto medioevo, immerse nel silenzio dei boschi e delle campagne, si passa all'insegnamente nelle città, dove il magister si profila come un'autentica professione, al pari dei mercanti e artigiani.
Un esempio preclaro si ha in Abelardo di Bretagna che nel XII secolo aveva scritto un'Etica razionale dove alla definizione di male e peccato si giungeva attraverso un procedimento logico e non sulla base del testo biblico.
Sempre nel XII secolo comincia a circolare, attraverso l'arabo, ma anche direttamente dal greco, l'opera persa di Aristotele e l'abate di Cluny si fa promotore della prima traduzione del Corano. Questo immenso lavoro di traduzioni, svolto principalmente nella penisola iberica e alla corte di Palermo, unita all'influenza crescente del pensiero arabo ed ebraico, faranno sentire i loro effetti in modo decisivo fra il XII e il XIII secolo.


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