Filosofia

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lemond
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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XXXIII

Giordano Bruno


A lui non interessa segnalare il carattere approssimativo a cui può giungere la conoscenza, piuttosto definire l'orizzonte umano come un campo di forze in cui i contrari (bene/male, vero/falso, luce/tenebre) si confrontano senza tregua.
In materia ontologica, è importante l'eliocentrismo: la dottrina del moto terrestre annienta l'astratta distinzione di Aristotele che separa la sostanza incorruttibile dei cieli, dalla materia caotica dei corpi terrestri. In realtà tutto deriva da un unico primordiale; e moto, trasformazione, metamorfosi testimoniano appunto il processo inesausto attraverso il quale la materia si fa "tutto". :) Ogni realtà non ha consistenza al di fuori della materia ed è sempre codesta a mettere in rapporto la varietà del mondo vivente e l'inattingibile infinità divina. Da questa persuasione discende la concezione dell'universo infinito e degli innumerevoli mondi. (continua)


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"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente.

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XXXIV

Giordano Bruno

Il Nostro riconosce la crisi che attraversa l'Europa ed elabora una tesi che inserisce gli Stati nel ritmo eterno della verità, per ottenere una riforma politica e religiosa filosoficamente fondata e capace di porsi come alternativa plausibile alla violenza delle guerre di religione.
Scrutando nel movimento che conduce il finito attraverso l'infinito, Bruno valorizza la legge che esalta i meriti individuali. La legge ordina l'energia riformatrice degli uomini e li trasforma nell'esperienza della vita associata e, attraverso l'esercizio della sapienza e della virtù, in veri dèi della terra.
Gli esempi virtuosi ci vengono dall'Egitto e da Roma, in cui il culto reso agli dèi alimentava le virtù civili e così recupera la riflessione machiavelliana, contro la sterile predicazione cristiana, che innalza a valori supremi l'umiltà, l'ignoranza e la passiva obbedienza!
Lutero è per Bruno colui che contribuisce vieppiù a imporre l'immagine aberrante di una divinità cieca alle buone opere dell'uomo! (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XXXV

Giordano Bruno

Nel fuoco di un'analisi che si estende a smascherare il principio di decadenza racchiuso in tutta la tradizione ebraico-cristiana, Bruno sottopone a critica radicale il dogma dell'incarnazione, secondo la quale il rapporto vitale tra finito e infinito si compie non, come sarebbe logico, nell'eterno proliferare della vita, ma nella vicenda (unica e irripetibile) del Cristo! Bruno si appropria del discorso della Montagna per suggerire una riforma politica e religiosa che veramente individui un punto di equilibrio (non momentaneo) fra religione, filosofia e vita civile. Insomma un ritorno alle religioni antiche, dove l'uomo era in contatto con la natura e le cose, anche se non poteva e non potrà mai raggiungere la verità. Ciò che si può vedere, per beneplacito divino, è solo l'ombra e da questa visione parziale in questa vita non potremo mai uscire. :x


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XXXVI

Nella Francia del XVII secolo essere ateo significava macchiarsi di un grave reato politico, oltre che religioso. Il re era tale per diritto divino e quindi ... Giulio Cesare Vanini nasce nel 1585 e da adulto entra nell'ordine dei Carmelitani. Punito per ragioni poco chiare, fugge dalla Campania per rifugiarsi a Venezia e poi a Londra, Bruxelles, Parigi e in quest'ultimo luogo si associa a un circolo di libertini. Nel 1616 pubblica l'opera più spregiudicata e ormai apertamente ateistica, che avrà comunque un grande successo negli ambienti parigini meno bigotti.
Nel 1619 è però arrestato, processato e giustiziato!
"Andiamo allegramente a morire da filosofo", avrebbe detto alle guardie che vennero a prelevarlo in cella.
Vanini muore per aver combattuto i principii del platonismo nella versione cristiana e negato l'idea di un universo armonico e finito, avente al vertice Dio. Non c'è spazio né per lui, né per una Provvidenza che assiste finalisticamente l'uomo. L'universo è autonomo, eterno, senza inizio, né fine.
I miracoli, le profezie, le divinazioni, le apparizioni angeliche e divine (compresa ovviamente la madonna) sono falsità, mensogne, che tocca al filosofo smascherare!
Il pensiero illuminista si alimenterà del radicalismo di Vanini e in molti scrittori le citazioni vaniniane saranno un "topos" ricorrente. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XXXVII

Tommaso Campanella


Nel 1599 nel regno di Napoli avviene un'insurrezione capeggiata dal Nostro, allora frate domenicano poco più che trentenne, processato riesce ad evitare la pena di morte, ma sta in carcere per quasi trent'anni.
In quella vita da recluso cerca addirittura di rifondare l'intiera enciclopedia del sapere, cominciando dalla filosofia della natura, ispirata a quella di Telesio, ovvero essa è trattata come un organismo vivente, molto lontana dalle tesi di Galileo, anche se Campanella nutrirà sempre ammirazione e amicizia per il toscano. Il contributo più importante in filosofia di Campanella va ricercato nel metodo: occorre sciogliere il nodo aristotelico, inteso come un dogma; quella dottrina, come ogni opera umana, andrà modificata, corretta e abbandonata alla luce di nuovi dati e scoperte e non aver paura che a far così la teologia corra rischi.
L'opera più importante: "La città del sole" tratta del rapporto fra religione e politica, in polemica con Machiavelli. Per lui la religione non è solo un "instrumentum regni" ovvero una finzione escogitata dall'astuzia sacerdotale per mantenere il potere dei prìncipi, bensì una virtù naturale, intrinseca nell'uomo e in tutta la natura. :crazy: E poi, riprendendo Costantino, auspica la riunificazione dell'unico gregge sotto un solo pastore.
(Nota mia) Poi tratta anche di magia, ma di sciocchezze ne ho riportate già anche troppe. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XXXVIII

Nel Seicento il mondo è teatro e questa metafora è soprattutto in Shakespeare e Corneille. Tutte le avventure, amori, inimicizie della vita reale possono, per magia, diventare un'illusione, che talvolta prende un lieto fine, ma più sovente è un dramma non molto allegro e il copione si può modificare solo in minima parte.
Il teatro mondo è un'immagine polivalente, che ha un'origine lontana: Platone nella Repubblica e per gli stoici recitare bene, significa seguire la ragione. :)
Nel XII secolo Giovanni di Salisbury segnalava che la vita degli uomini è più simile a una tragedia che alla commedia e dipoi l'uomo è attore e spettatore insieme e nulla può al di fuori di questo!
Shakespeare si pone l'interrogativo se esiste un autore ignoto, che è al di là di coloro che vivono o recitano, oppure esiste solo una forza indecifrabile, che assegna casualmente i ruoli e suggerisce agli ignari attori l'amarezza dolorosa di un non senso del mondo?
"La seconda che hai detto", risponderebbe Quelo. :crazy:
Mentre Amleto dice: "Prima che sia tutto silenzio, la vita si riduce a un ruolo che ognuno di noi deve recitare."


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XXXIX

Musica e musicisti nel Seicento


In questo secolo c'è un nuovo modo di concepire e "consumare" la musica: basterebbe percorrere, nel lungo arco di vita del compositore, la vasta produzione di Claudio Monteverdi per cogliere le testimonianze di gran parte di questa rivoluzione.
Si può constatare l'emergenza della "liberazione" della parola e, consapevole o no, un nuovo colore sentimentale, che è conseguenza di quella ricerca di una vita più naturale, che impegna i musicisti più sensibili. Questo nuovo colore naturale impregna non soltanto la struggente evocazione erotica dei testi amorosi e talvolta licenziosi, del Marino e del Tasso, ma coinvolge anche i testi sacri. Si assiste così alla crisi progressiva del modalismo, che aveva dominato fino allora la musica europea.
L'evolversi da una pratica modale a una tonale non ha le sue ragioni soltanto nel bisogno di animare lo svolgersi della parola secondo percorsi nuovi, ma altresì nell'esigenza di un diverso rapporto fra le parti, che cominciano a potersi rapportare armonicamente.
Questo processo si completerà poi nel Settecento, con l'imporsi dell'armonia.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XL

Il Seicento vede la nascita del melodramma italiano, che contribuisce in modo determinante ad aprire l'età moderna della musica colta, che, grazie a G.B. Lully è trapiantato nella Francia del cardinale Mazzarino, fondando una tradizione francese con caratteri originali. Il melodramma è l'unica cosa che si salva dalla crisi generale che investe l'Italia, forse in primis per l'oppressione che esercita su tutta la società la *Santa Inquisizione*. Si sta avendo negli uno spostamento verso l'Europa continentale dell'attività più viva e moderna del pensiero e dell'elaborazione culturale.
Solo il Melodramma, dicevamo ed esso conquista rapidamente l'Europa e porta non solo ad affermare un nuovo genere musicale, ma anche un diverso modo di produrre e consumare musica, che porterà verso un sistema non più aristocratico o ecclesiastico, bensì borghese. Per la rappresentazione delle opere si cercherà una nuova sede, fuori dai palazzi, in quei teatri pubblici, dove si entra pagando un biglietto e non per il nome che si porta. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLI

La civiltà visiva del Seicento è tutt'uno con quella teatrale e, nella vita, ogni uomo interpreta un ruolo, come attore del proprio io profondo. Il secolo vede nascere il teatro moderno, tra il linguaggio tragico di chi affronta il proprio destino e la gestualità vitale della commedia dell'arte; da Shakespeare a Calderon della barca, da Corneille a Racine, il dramma dell'uomo è espresso nel contrasto terribile del potere e dell'amore e nella polarità di illusione e costanza.
Il mito e la storia ubbidiscono alla stessa attualità, tanto più quando il dramma piega verso la commedia, con il suo riso spesso non meno ambiguo. ;) :(
La teatralità barocca si ritrova anche nella predicazione, nell'oratoria sacra. Sono gli anni travagliati della controffensiva cattolica, in cui il fervore della propaganda invade ogni campo dell'arte e il destinatario non è più soltanto l'intellettuale, ma anche l'uomo comune della massa urbana e contadina. Il predicatore poi è anche missionario e gli spazi esotici e lontani non saranno più solo miraggi.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLII

Nel romanzo barocco si può trovare biografia e introspezione mistica; al pari di una scienza della natura, si può dire che se ne costituisce anche una per l'uomo: un'antropologia interpretativa dei suoi comportamenti, che mette a frutto, in una sintesi tutta moderna, l'etica aristotelica, il neo-stoicismo cristiano e pur anche, senza nominarla, la lezione implacabile di Machiavelli.
Nel contesto di una corte, ormai identificata con lo Stato assoluto, l'uomo è descritto come un attore lucido e tempestoso, il cui manuale di vita è: milizia contro la malizia! È necessario sempre guardare, al di là delle apparenze, il gioco nascosto delle passioni, sapendo che l'intrigo è sempre in agguato!
La prosa è di struttura saggistica, a periodi brevi e antitesi appuntite, in cui si realizza uno stile senecano o laconico e dal quale si evince sullo sfondo la guerra dei Trent'anni e della Fronde.
Dalla scienza galileiana e poi newtoniana viene alla letteratura una prosa razionale di comunicazione scientifica, che vuole indirizzarsi anche all'artigianato. Il Galileo del Saggiatore dimostra come possa darsi anche una retorica del vero, un'ironia dell'intelligenza indagatrice, in definitiva una conversazione appassionata. È poi uno scienziato anche Pascal, che scrive le Provinciali contro i gesuiti, solo che qui l'eleganza si converte in lucidità quasi feroce e in sarcasmo inflessibile. :)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLIII

Nel Seicento in Italia non esiste ancora lo Stato nazionale e il mecenatismo dei papi attribuisce a Roma un ruolo primario: il fasto, la teatralità, l'ostentazione della ricchezza sono strumenti di propaganda nella strategia della Chiesa cattolica, dopo il concilio di Trento.
Il barocco ha luogo essenzialmente nella zona cattolica, mentre sacche di resistenza si hanno nelle area dove la Riforma domina. E sarà il pontificato di Urbano VIII, anzi la sua dittatura, a segnare il punto culminante di uno stile persuasivo e trionfante. ;)
Nei Paesi Bassi, invece s'impone un'arte laica e realista; Vermeer ne dà l'esempio preclaro nella Merlettaia, un quadro di venti centimetri, lontanissimo da ogni istrionismo. Questa strada porta diritto all'estetica dell'Ottocento, quando, commentando Manet, E. Zola affermerà che il soggetto è solo un pretesto per fare pittura.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLIV

Durante il Cinquecento cattolici e protestanti si erano rimbalzate le accuse di favorire lo scetticismo in materia di religione e nel secolo successivo Michel de Montaigne fa opera di diffusione dello scetticismo classico, ovvero i pirroniani che si fermano alla sospensione del giudizio o epochè, ai quali studi aggiunge anche i suoi.
Il primo importante apporto riguarda la nozione di apparenza: della realtà conosciamo solo quella, mentre l'essenza e la sostanza del tradizionale pensiero metafisico è del tutto inconoscibile. E, in questi termini, Montaigne formula il dilemma del ritratto di Socrate: come possiamo esser certi che esso sia l'immagine di Socrate quando abbiamo accesso unicamente alle sue rappresentazioni, cioè alle apparenze e non al modello originale? Questa situazione innesca la ricerca di un terzo criterio, che garantisca la conformità fra apparenza e realtà e questo a sua volta richiederà un nuovo criterio in una sorta di regresso infinito, ovvero una ricerca interminabile e priva di fondamenti sicuri.
Montaigne fa del dubbio il culmine della ricerca scettica, per la prima volta nella filosofia, perché il dubbio non faceva parte dello scetticismo greco. Infine l'opera del Nostro è importante anche per l'etica; per lui lo scetticismo raggiunge il grado più elevato della natura umana, perché porta all'atarassia, cioè una condizione di vita tranquilla, priva delle agitazioni che ci vengono dalla doxa e dalla conoscenza. Non c'è bisogno di nessuna guida dogmatica per raggiungere il bene e la virtù! ;)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLV

Stampa e circolazione del sapere nel Seicento


il puritano inglese John Foxe scriveva che Il Signore si è messo al lavoro per la vera Chiesa, per cui il papa ha solo una possibilità: abolire la stampa, altrimenti quest'ultima avrà ragione di lui e non gli permetterà più di proseguire con la blasfemia!
Verso la fine del secolo, il ministro di Carlo II d'Inghilterra e sovrintendente alla stampa, (ovvero alla censura) si dichiara convinto che essa era stata foriera di grandi turbamenti, ma, se utilizzata con accortezza può diventare lo strumento per la pace e l'ordine sociale.
Entrambi sono un po' troppo ottimisti, perché nel Seicento la stampa è ancora lontana dall'assumere quel ruolo di quarto potere che avrà in futuro, per il semplice fatto che il numero di coloro che sanno leggere è estremamente basso. Quella del secolo rimane ancora la cultura della parola, dell'immagine e del suono e la pubblicazione di prediche e sermoni è più che altro un affare per i tipografi, se riescono a farsi pagare care le loro opere. La parte del leone la fanno i libelli e i pamphlet che associano lo scritto alle immagini, a cui l'autorità cattolica risponde con l'indice dei libri proibiti. Il principale spazio di libertà, è rappresentato dai Paesi Bassi. (segue)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLVI

Il Seicento è il secolo d'oro delle Province Unite anche per quanto riguarda l'industria editoriale: metà dei libri stampati in Europa è uscito dai torchi di Amsterdam e delle altre città della Repubblica, anche perché in questo secolo i Neerlandesi possono giovarsi dell'apporto di immigrati provenienti da tutta Europa. Particolarmente numerosi sono gli Ugonotti provenienti dalla Francia e dai Paesi Bassi meridionali, ancora in mano spagnola. Anche se non si assiste colà alla nascita del primo giornale vero e proprio (sarà in Germania), è lì che si produrrà quello spazio di confronto su temi pubblici, aperto alla partecipazione di tutti i cittadini. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLVII

Paolo Sarpi (1552-1623) si confronta con Montaigne per riflettere sull'irriducibilità delle leggi positive a un principio universale di giustizia. L'arte del ben vivere è costituita per lui da una combinazione della diffidenza scettica con la saggezza epicurea: "... non aborrite nessuna opinione e non seguir opinione che porti titolo di verità."
Per quanto riguarda in particolare le credenze etiche e religiose Sarpi recepisce la scissione di interno ed esterno e "l'etica della maschera", ovvero *al di dentro vivi e giudica seconda la ragione, al di fuori secondo la comune opinione vivi e parla*.
Anche sul sapere scientifico, si giunge a una "impasse" : nessun senso ha contatto con le cose come sono, ma solo nel modo in cui le percepisce. Il dubbio sull'indistinguibilità fra sogno e veglia, tra saggezza e follia, si aggiunge, tratto da Euripide(*), a quello più drammatico fra vita e morte.
(*)nelle Troiane - La tragedia è catarsi del dolore. Andromaca sostiene come la sorte di Polissena sia preferibile, la morte come fine del dolore; a questa visione risponde alacremente Ecuba, che, portavoce di un attaccamento tutto greco alla vita, positivo nella speranza che in essa rimane. -


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna XLVIII

L'autore che ha fatto del dubbio una scienza, nell'età moderna, è René Descartes: "... è regola di prudenza non fidarsi mai intieramente di quelli (i sensi) che ci hanno una volta ingannati." Dipoi ipotizza che, all'origine del nostro esistere, ci sia un Dio che può tutto e dal quale sono stato creato così come sono. Nessuno può assicurarmi che questo Dio non abbia fatto in modo che non vi sia nessuna terra, nessun cielo etc. e che, tuttavia, io senta tutte queste cose e che tutto ciò mi sembri esistere non diversamente da come le vedo? Del pari, questo Dio può volermi ingannare anche sulle evidenze matematiche, che pure non dipendono dall'esperienza e chi mi dice che 2+3 faccia sempre 5? (Vedasi qui chi volesse approfondire
Con questa ipotesi, il dubbio assume una portata "metafisica" davvero globale. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna IL

Descartes rende così l'uomo più incerto che può, spingendolo al massimo del dubbio, ma esso non è fine a se stesso, come quello di coloro che "dubitano tanto per dubitare" e fanno finta di misconoscere l'evidenza, anche quando la incontrano. Se avessero persistito a sufficienza e, con intenzione retta nei loro dubbi, anche gli scettici sarebbero riusciti a superarli.
E dunque, a partire dalla prima certezza indubitabile: "penso dunque sono", il Nostro ricostruisce un ragionamento che permette di recuperare gradualmente tutto il valore della conoscenza di sé, di Dio, del mondo esterno. Decisivo è il passaggio attraverso la dimostrazione dell'esistenza di Dio e quindi della di lui bontà; cruciale è soprattutto la veridicità di Dio, in quanto garante delle nostre idee correttamente acquisite, cioè chiare e distinte.
Descartes produce il declino dell'idea dello scetticismo come saggezza pratica per eccellenza, la scepsi per lui acquista solo i caratteri della stravaganza, se non della finzione "tout court" e, se qualcosa gli riconosce, è solo una legittimità provvisoria nell'itinerario che dal dubbio conduce alla certezza metafisica.
(Nota mia: credi in Dio e tutto è chiaro, solo che poi in Dio davvero non ci crede nessuno e tutti hanno paura di morire; anche chi si uccide o accetta di morire da martire, lo fa per disperazione e non con la gioia sicura di raggiungere un posto migliore!)


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François de La Mothe Le Vayer (1588 - 1672) è il principale esponente del gruppo libertino che si contrappone, da ateo, allo scetticismo religioso di Descartes. Egli mette a confronto usi, costumi, credenze, sistemi morali e politici di popoli e di epoche differenti, per ricavarne una lezione di relativismo e argomentando così la conclusione scettica sull'incapacità della ragione a scoprire verità incontrovertibili. Egli attacca altresì il dogmatismo, che gli sembra riflettere solo l'arroganza e la temerarietà dello spirito umano, come se la natura non avesse altra estensione che quella propria della conoscenza dell'uomo, definita dai saperi tradizionali. Nello sforzo di spezzare il cerchio soffocante delle autorità e delle sette filosofico/religiose, Le Vayer non esita a evocare la scandalosa ipotesi (bruniana e lucreziana) della pluralità sterminata dei mondi o a proiettare il nostro mondo sulla prospettiva lunga dell'infinità dei tempi. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LI

La Mothe si chiede che cosa ci hanno sempre insegnato le religioni? Niente altro che quanto gli uomini più abili hanno concepito, dal loro punto di vista, per la vita morale, economica e civile. Alla luce di ciò si può comprendere che cosa intendesse Descartes quando parlava della necessità di confutare gli errori degli atei scettici.
I libertini, invece, rifiutandosi di accogliere entità inesistenti, nel senso di non verificabili, né dimostrabili (come Dio e l'anima), offrono un'originale applicazione dell'atteggiamento scettico alle materie religiose, andando ben oltre la cautela conformistica degli antichi predecessori (i pirronisti cristiani!)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LII

Pierre Bayle (1647 - 1706) è una figura singolare di libero intellettuale. Di origine francese, ma esule ad Rotterdam per l'intolleranza religiosa contro gli ugonotti e da lì contesta a Descartes e ai cartesiani l'evidenza intellettuale come strumento di accesso a verità indubitabili, ma insieme a loro, son presi di mira anche i teologi cristiani, sia cattolici che protestanti. Egli sviluppa una critica aggressiva e imbarazzante per i teologi di tutte le grandi tesi coinvolte negli insolubili interrogativi del male, della libertà e della predestinazione; per tutti purtroppo disponiamo di ragioni contrarie che impediscono di accettarle come vere. L'unica concessione che si può fare ai dogmatici è che essi abbandonino il piano dell'evidenza per ridursi nei limiti della semplice probabilità. Per lui ll rapporto fra dubbio e credenza non si riduce a un'alternativa secca, anzi non si devono escludere a vicenda.
Il suo scetticismo resta nemico dell'affermazione categorica, ma si rivela invece compatibile con una forma di credenza *moderata*, avvertita dei suoi limiti e aperta alla tolleranza di altre opinioni, ivi comprese quelle degli atei a cui Bayle riconosce una legittimità speculativa, morale e politica. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LIII

I Rosacroce


Nei primi anni del Seicento appaiono due manifesti in cui si narra la leggenda di come un certo Christian Rosencreutz visse e fondò la confraternita omonima, la quale aveva il compito di perseguire una società giusta e illuminata, regolata dagli ideali (falsamente cristiani) di pace, fratellanza e carità fra gli uomini (l'esatto contrario di ciò che essi erano, perché il Dio degli eserciti biblico aveva sempre invitato i fedeli a uccidere tutti i vicini, come nel caso del genocidio operato da Giosuè sugli Amorrei)!
Ciò che le menti illuminate dovevano conoscere, per contribuire alla costruzione di questa società felice è una certa filosofia della natura che, rifiutando le dottrine di Aristotele e Galeno, riprendesse invece l'interpretazione ermetica rinascimentale dell'universo, in cui si intrecciano suggestioni magiche, astrologiche, alchemiche e paracelsiane. Secondo questa tradizione i corpi celesti esercitano un influsso sulle cose terrene e sulla vita: per arrivare a un'armonia celeste/terrestre basta saper interpretare i simboli di cui il mondo è ricoperto e gli eletti ermeneutici sapranno scoprire la verità che nascondono agli altri e agire su di essi. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LIV

La scolastica del Seicento


Oggetto principale di studio è la Metafisica di Aristotele, integrata dalla Summa teologica di Tommaso d'Aquino. Si hanno dispute dottrinali fra Gesuiti e Domenicani e la controversia più animata è quella sulla grazia divina e la libertà, che richiama lo scontro fra Lutero ed Erasmo sul libero arbitrio.
I Gesuiti mirano a difendere l'autonomia della ragione, mentre i domenicani affermano che la salvezza si raggiunge solo attraverso la grazia di Dio.
Il gesuita Louis de Molina rifiuta l'intervento di Dio come motore unico di ogni atto umano e considera l'azione divina come causa cooperante agli atti liberi di volontà, di cui poi, sarà Dio a determinarne l'esistenza e poi aggiunge che non si deve confondere la prescienza con la predestinazione!
Sulla questione e su Molina interviene il cardinale Bellarmino, preoccupato che tali affermazioni indeboliscano il cattolicesimo attaccato a fondo, in quei tempi, dai movimenti protestanti e nel 1611 un editto dell'Inquisizione romana vieta la pubblicazione dei tesi in materia. :diavoletto:


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LV

Filosofia e metodo


Il Seicento era stato sconvolto dalle rivelazioni di Copernico, che poi sono conformate da diversi scienziati, fra cui Galileo, e dal nostro pisano/fiorentino in poi si cerca un metodo di scoperta che permetta di superare tutti i dogmi precedenti, coltivando il dubbio non come debolezza, ma come atto di forza del pensiero. :clap: Il metodo può essere razionale, come per Descartes, oppure empirico, es. Francis Bacon e Newton, che, con la sua espressione "non invento ipotesi" esprimerà il rifiuto per ogni teoria meramente deduttiva e quindi non fondata su dati osservati.
Forse la distinzione non è così netta per tutti i filosofi di quel secolo, tant'è che Galileo, benché sia un empirista, per scelta, afferma pure che l'universo è scritto in caratteri matematici e che quindi la matematica possa descrivere bene le leggi fisiche.
L'unica cosa su cui i seguaci più radicali dei due campi si trovano d'accordo è l'idea che l'universo debba essere ridefinito senza prestare più fede alla tradizione, ovvero ogni scoperta non può essere accettata, se prima non è stata controllata, discussa, confrontata. Gli scienziati/filosofi del tempo si scambiano di continuo lettere nelle quali raccontano i risultati a cui pensano di essere arrivati, nonostante che le Chiese facciano di tutto per limitare la circolazione delle idee! Il processo intellettuale non potrà essere comunque arrestato e vedrà il culmine con la pubblicazione dei "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica", (nota anche come Principia).


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LVI

Francis Bacon non ha apportato alla scienza nessuna scoperta, però quel che ci interessa in lui è il metodo induttivo, vale a dire il partire dall'osservazione dei fatti empirici per arrivare all'enunciazione di principii generali; occorre sempre diffidare del sapere costituito e di tutti gli "idoli" che ingombrano la mente umana. È importante l'aspetto negativo: l'induzione consente un'efficace azione eliminativa; grazie all'esperienza si può escludere un fattore, se si scopre che il fenomeno di cui si ricerca la causa può sussistere anche senza di esso (cfr. Occam). Altrettanto fondamentale è la nozione di "instantia crucis", l'esperimento cruciale che permette di risolvere con certezza il contrasto fra diverse teorie esplicative dello stesso fenomeno.
Con Bacon si ha un primo manifesto del metodo sperimentale, destinato a essere sviluppato (da altri) in vari settori della scienza: dopo l'astronomia, sarà il turno della chimica. geologia e lo studio delle forme viventi.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LVII

Galileo Galilei


La prima opera del Nostro è il Sidereus nuncius (1610) nella quale, oltre ad alcune osservazioni sulla superficie della Luna, si può trovare la spiegazione che la via Lattea non è quel che si credeva fino allora, bensì un ammasso di innumerevoli stelle, le quali sono di grandezza variabile e si trovano distribuite a distanze enormi. Inoltre le fasi di Venere sono incompatibili con il sistema tolemaico. E, per "far toccare con mano" coloro che hanno dubbi su quanto da lui osservato, si reca a Roma ove incontra il padre gesuita Clavio ed altri scienziati dell'ordine. L'azione di Galileo sembra aver successo, tant'è che il 25 aprile del 1611 entra a far parte dell'Accademia dei Lincei, che eserciterà un ruolo importantissimo nelle sua carriera scientifica.
Nel 1612 però, emergono a Firenze le prime esplicite manifestazioni di dissenso teologico e l'anno successivo alla corte del Granduca si levano accuse contro Copernico!
Galileo risponde, affermando la separazione fra teologia e scienza e la compatibilità del copernicanesimo con le Scritture: esse non sbagliano, ma possono farlo i loro interpreti e l'errore più grave è fermarsi al significato letterale della Bibbia, che comporterebbe l'attribuzione a Dio di passioni umane! Dipoi i Testi Sacri devono adattarsi alle limitate capacità di intendimento del popolo, a differenza della natura che è inesorabile, immutabile e quindi non può venire incontro all'intelletto umano.
La lettera di Galileo acuisce le tensioni e nel 1615 il domenicano Niccolò Lorini denuncia Galileo alla Congregazione dell'Indice. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LVIII

Nel 1615 interviene il cardinale Bellarmino sostenendo che il sistema copernicano si deve considerare solo come un'ipotesi astronomica e non certo come la realtà fisica del mondo e di lì a poco il Sant'Uffizio (con l'assistenza dello Spirito Santo :crazy: ) delibera che la proposizione "Il Sole è centro del mondo e per conseguenza immobile di moto locale" è stolta e assurda in filosofia e formalmente eretica!
Pertanto Bellarmino ammonisce Galileo a non sostenere l'opera dell'astronomo polacco e, a maggior ragione, insegnarla oralmente o per iscritto, dato che il "De revolutionibus" è stato messo all'indice.
Galileo si trincera in un lungo silenzio fino al 1623, allorché pubblica Il saggiatore, dove formula il concetto rimasto famoso che è la matematica il fondamento della fisica e poi, prende coraggio e comincia a scrivere il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e e copernicano. In esso le argomentazioni a favore del secondo sono presentate apparentemente in maniera ipotetica, ma di fatto l'esito delle discussioni è sempre a favore di Copernico. Il Dialogo è completato nel 1630, ma sarà stampato due anni dopo, al termine di lunghi negoziati con la censura. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LIX

Il carattere copernicano senza equivoci non sfugge al papa e si instaura un processo contro di lui, che si chiude con la condanna il 22 giugno 1633.
Il carcere è rapidamente commutato in domicilio coatto, prima a Siena e poi ad Arcetri e come pena accessoria, però, deve abiurare quanto scritto.
A Firenze scriverà i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, che però farà pubblicare nei Paesi Bassi, al riparo dalle censure della Chiesa romana.
Con questa opera, come ha scritto Ludovico Geymonat, assistiamo a un ritorno alla scienza pura e una conferma dell'astronomia copernicana, in quanto ivi si ribadiscono le osservazioni precedenti contro le obiezioni al moto della Terra.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LX

René Descartes


La forza della sua filosofia risiede nella responsabilità totale della ragione, la quale delimita il campo d'indagine, per affermare i diritti inalienabili della ricerca e difende i valori essenziali della conoscenza umana.
Descartes è un uomo del suo tempo, cosmopolita per temperamento, che ha scelto la libertà da ogni legame come condizione di vita e la ricerca della verità, come impegno del pensiero, perseguendola con il buon uso della ragione e di un retto esercizio del libero arbitrio.
Si può inferire che Il 1619 sia stata la data epocale nella vita del Nostro, perché è in quell'anno che la sua ricerca prende la forma concreta di una vita libera attraverso l'anonimato, la tranquillità e la solitudine di una vita ritirata. Solo così si può raggiungere la virtù in totale autonomia.
Egli a certo momento confessa: "... sono nel mio elemento e non desidero che la tranquillità e il riposo." E quando si spegnerà, per una polmonite contratta nel terribile inverno svedese, sarà senza turbamento, né inquietudine, secondo il suo biografo, del resto aveva anche scritto che uno dei punti della sua morale era di "amare la vita, senza temere la morte. :) (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXI

Fin dall'inizio Descartes si ribella al consenso della moltitudine, al peso della tradizione e all'autorità dei maestri ed elabora invece una teoria cartesianissima del valore essenziale della ricerca inventiva, senza mimèsi, niente cause prime e fini ultimi; al primato dell'essere o della natura occorre sostituire quello della ragione, che definisce criterio universale di verità, operatore unico di evidenza e fondamento di ogni scienza.
Egli si appella alle operazioni proprie e legittime dell'intelletto: l'intuizione, che coglie gli elementi più semplici, nell'evidenza istantanea dell'idea chiara e distinta, ovvero la deduzione che lega le conoscenze vere nell'evidenza prolungata delle connessioni necessarie e l'induzione che riesce a unire, in una classe concettuale congruente, la varietà confusa dei casi che si possono esperire. :)
In virtù delle operazioni dell'intelletto, anche senza cultura libresca, la ragione detta le condizioni della visibilità del vero, ciò si ottiene attraverso il dubbio metodico. Attraverso di esso si può creare una catena logica, che lui chiama Mathesis universalis e che, unica, supera le ragioni naturali del dubbio. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXII

Il metodo cartesiano, dice lui stesso, riguarda più la pratica che la teoria e quindi va valutato dai risultati che consegue. I quattro precetti di esso introducono dunque una sorta di logica pratica della scoperta scientifica.
Il primo dichiara l'evidenza come il carattere proprio della conoscenza vera, che ha come condizioni necessarie e sufficienti la chiarezza e la distinzione, inserendo il dubbio come strumento di controllo.
il secondo indica le condizioni effettive della messa in evidenza, ovvero la riduzione del complesso al semplice.
il terzo stabilisce l'ordine della conoscenza, secondo la loro semplicità.
il quarto prescrive di verificare la catene delle inferenze attraverso una enumerazione completa delle nozioni evidenti.
L'applicazione del metodo si ha nei libri che Descartes scrive su vari argomenti, ad es, Les Météores, testo di fisica, affronta l'argomento classico della scolastica dei fenomeni "sublunari" che sono trasformati in una scienza rigorosa dei fenomeni atmosferici e la fisica dei corpi terrestri diventa finalmente cartesiana: una fisica geometrica di materia e movimento.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXIII

Ma il filosofo non si accontenta e avanza la questione dei fondamenti di questo stesso sapere che, per quanto rigoroso, potrebbe non essere, in fondo, che la favola di un'intelligenza brillante che racconta le illusioni di un universo misterioso.
La questione della "verità" è d'importanza centrale per Descartes, tanto più che la nuova scienza, con il progetto di matematizzazione, aveva fatto appello al rigore per sostenere la dottrina del vero.
La risposta che si dà è metafisica, ovvero deduce che la ragione cartesiana è la sola esperienza che non possa essere messa in dubbio e altresì essa è leale nei confronti della verità creata da un Dio infinito e perfetto ed esercitata da un soggetto che sa riconoscere il proprio statuto di creatura finita.
Forse, più che di metafisica, si può parlare di un saggio sul metodo in cui si costruisce la catena del falso, fatta di dubbi sempre più potenti sulla confusione delle conoscenze sensibili, finché non si arriva all'evidenza fondatrice della prima verità: "je pense, donc je suis".
I suoi avversari non risparmieranno critiche a una metafisica concepita all'insegna della chiarezza, che però ha abbandonato l'ontologia e la teologia, per affermare il primato del soggetto pensante: una metafisica che, ai loro occhi, altro non è che una nuova forma di scetticismo.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXIV

Le Meditationes


L'opera espone, fino all'iperbole, tutti gli argomenti di un dubbio volontario verosimile in quella ricerca dei primi fondamenti indubitabili delle filosofia (la metafisica appunto) e della scienza. Analizza ciò che gli appare inquietante dell'esperienza: prima la pazzia, che poi abbandona, concentrandosi invece sul sogno, esperienza comune che mima la realtà. L'esperimento estremo del dubbio introduce la figura del Dio ingannatore, che ci conduce all'insicurezza naturale della ragione. L'esperimento si amplifica nella supposizione di un "genio maligno, astuto e potente", capace di sottomettere l'uomo agli inganni di un mondo in cui verità e apparenze si confondono. Da questo scontro, conforme al teatro barocco, emerge vittoriosa e immutabile la prima verità dell'"Ego sum, Ego existo" a cui si lega in modo necessario l'esistenza di un Dio creatore, che dunque non può essere ingannatore e che quindi è fonte di verità.
Questo può opporre Descartes all'empietà e agli errori filosofici del suo tempo: l'ateismo, il materialismo, l'empirismo, lo scetticismo, la scolastica stessa.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXV

La pubblicazione delle Passioni dell'anima, scritte nel 1649 e dedicate alla regina Cristina di Svezia, costituiscono la conclusione di un itinerario intorno alla natura umana. L'opera apre un orizzonte nuovo alla psicologia e alla morale occidentale, grazie a un approccio decisamente innovativo.
Le passioni, a suo avviso, non sono deformazioni della mente, ma strutture naturali dell'essere umano, che derivano dall'influsso somatico sui fenomeni mentali. Comincia con Descartes, e proseguirà con Spinoza, l'idea della possibilità di una scienza delle passioni fondata sulla conoscenza dei meccanismi fisiologici, che sono alla base. Le passioni non sono più un segno del peccato originale, come nella tradizione cristiana, ma semplici eventi psico-fisici, da studiare con gli strumenti della scienza. Le passioni sono un bene se si riesce a controllarle e, allo scopo, il Nostro detta una serie di soluzioni che riguardano quelle pratiche di vita che riescono a valorizzare l'autostima dell'uomo; questo può accadere se si arriva alla consapevolezza che si è fatto tutto il possibile per agire bene.
Alla filosofia individualistica del cogito, Descartes affianca una morale altrettanto fondata sul singolo e sulla di lui ricerca della via per la felicità. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXVI

Isaac Newton


I Principia, l'opera più importante, sono divisi in tre libri:
a) la dinamica dei corpi in movimento
b) la meccanica dei fluidi e della teoria delle onde
c) estende i principii della meccanica all'intiero universo.
Con i Principia Newton porta a compimento il processo di unificazione della fisica terrestre con quella celeste, guidato dall'idea che i fenomeni della natura siano riconducibili a leggi matematiche. Newton sostiene che un'unica legge, l'attrazione gravitazionale, rende conto tanto della caduta dei gravi sulla Terra, quanto del moto dei corpi celesti. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXVII

Nel dettaglio, il primo libro definisce i concetti fondamentali della meccanica: quantità di materia (o massa), quantità di moto, forza.
La massa per la prima volta è distinta dal peso, è uguale al prodotto della densità per il volume occupato da un corpo.
La quantità di moto è il prodotto della massa per la velocità.
La forza, insita nella materia, è il potere di persistere nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, mentre la forza impressa è quella che fa cambiare a un corpo il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Newton distingue tempo, spazio e moto assoluti, da gli stessi, ma relativi. Ritiene che il tempo e lo spazio assoluti siano immutabili, in quanto immutabile è il Creatore e che sussistano indipendentemente dai corpi dell'universo. Questa distinzione teologica, gli permette di affermare la possibilità del moto assoluto della Terra e dei pianeti e la quiete relativa del Sole, come centro dei loro moti. :)


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Sempre nel primo libro, Newton presenta gli assiomi del moto. Il primo, noto come legge d'inerzia, afferma che ogni corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, se non interviene nessuna forza a modificare tale stato. Il secondo asserisce che il cambiamento di moto è proporzionale alla forza impressa e avviene nella direzione della linea retta, secondo cui quella forza è stata impressa. Il terzo dichiara che a ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria, si tratta di una generalizzazione dei processi di urto, già descritti dal neerlandese C. Huygens.
Nel terzo libro si trova l'applicazione della dinamica dei corpi terrestri ai moti nel cielo. Basandosi sulle leggi di Keplero, si afferma che due corpi nell'universo si attraggono l'un l'altro con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente al quadrato delle loro distanze. E il Nostro dimostra che la Luna è trattenuta nella propria orbita intorno alla terra e i pianeti intorno al Sole da una forza identica identica a quella che causa la caduta dei gravi sulla Terra.
Newton purtroppo nega che la gravità possa essere considerata parte essenziale della materia e afferma che invece ha origine direttamente da Dio. Robert Cotes, suo collaboratore, sostiene invece che la gravità è una proprietà essenziale di tutti i corpi, al pari della estensione e dell'impenetrabilità. :)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXIX

Thomas Hobbes


Per lui i nostri pensieri hanno origine dalla sensazione, che deriva dal corpo (tutto deriva da esso) e dai primi possiamo dedurre due procedimenti dimostrativi: il primo in cui ci si muove dalle cause agli effetti è del tutto certo, mentre il secondo, che dagli effetti risale alle cause, è affatto ipotetico.
La sua filosofia della natura parte da un'ipotesi originale, un esperimento mentale che consiste nell'annichilazione del mondo, eccezion fatta per un solo uomo. Attraverso simile ipotesi giunge a definire i concetti di spazio, tempo, sostanza etc. attraverso i ricordi della mente. Se infatti l'uomo rammenta una cosa che esisteva prima dell'annichilimento, considerandola nella sua esistenza al di fuori della mente, abbiamo (secondo Hobbes) il concetto di spazio; un spazio immaginario, caratterizzato non dal fatto di essere già occupatao, ma di poter essere occupato. Se poi ricordiamo quella stessa cosa in movimento, otteniamo il concetto di tempo. Infatti quando vogliamo conoscere in quali momenti il tempo scorre, ci serviamo di un movimento, come del sole o di una clessidra, o tracciamo una linea sulla quale immaginiamo che si muova qualcosa e in nessun altro modo appare il tempo. Al concetto di sostanza arriva nello stesso modo. Infine la causalità è l'azione di un corpo su un altro e, secondo lui l'universo è del tutto deterministico, non c'è alcun spazio per le categorie di possibilità e di contingenza: ciò che esiste è necessario e quello che non c'è è impossibile e il futuro è pensato come contingente solo perché ignoriamo la catena causale che ne produrrà gli eventi. :) (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXX

Nello stato di natura gli uomini non sono uguali fra loro quanto alla forza fisica, ma tale differenza non è tale da impedire ai più deboli di uccidere i più forti attraverso macchinazioni o alleandosi con altri. Sempre al principio, si ha una contesa permanente dovuta, fra le altre cause, alla rivalità, la diffidenza e l'orgoglio (in altre parole, c'è un solo centro del mondo ed è l'io).
Se non trovano un centro di potere comune che li assoggetti, gli uomini sono in guerra costante gli uni contro gli altri e d'altra parte, prima che nasca questo potere, che si chiamerà *diritto*, si può ricorrere a tutti i mezzi e le virtù cardinali dell'uomo allo stato di natura sono: violenza e frode. :)
Quando si comprende che se si vuol evitare la morte troppo precoce, è meglio far cessare simile stato di cose, la ragione suggerisce che è meglio una pace che rende in parte schiavi, piuttosto che la guerra continua, con la vicinanza perenne della Parca!
Per abbandonare lo stato di guerra occorre trasferire ogni potere a un uomo o a un'assemblea di uomini, dando così corpo alla persona artificiale dello Stato, che lui chiama Leviatano, prendendo a prestito il nome di un mostro biblico, al quale ogni singolo cede i propri diritti e ne autorizza tutte le azioni.
Coloro che nascono da questi "patti" si chiamano sovrano e suddito e simili accordi non potranno più essere cambiati: le leggi che ne scaturiscono altro non sono che catene artificiali che gli uomini si sono dati, non potendo far di meglio. Le uniche libertà che rimangono al singolo sono quelle che il sovrano si è dimenticato di disciplinare, a parte la libertà propria che ha fatto nascere il patto: quella di difendere il proprio corpo, per cui lo Stato sovrano può esser messo in discussione soltanto se non riesce a mettere al riparo i sudditi dalla morte.


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXI

Il giusnaturalismo nel Seicento


È il nome che assume la teoria del diritto naturale a partire dal XVII secolo e prende avvio dalla riflessione del domenicano Francisco Vitoria a proposito degli indigeni americani, rispetto ai colonizzatori europei. Dipoi Huig de Groot scrisse il "De iure belli ac pacis" dove sono gettate le basi del diritto internazionale moderno. Secondo il neerlandese, l'uomo è un animale di ordine più elevato, perché è dotato di uno spirito sociale e la fonte del diritto deve essere proprio la conservazione della società e in primis si deve assicurare per questo che i patti stabiliti siano mantenuti. (Pacta sunt servanda)
T. Hobbes propone invece una teoria opposta: lo stato di natura per lui è un'estrema insocievolezza: bellum omnium contra omnes, in cui homo homini lupus e, in questa condizione, il diritto naturale coincide con il puro fatto dei rapporti di forza.
Anche la teoria di Spinoza rappresenta una decostruzione del diritto naturale: il diritto di ciascuno si estende fin dove arriva la sua "potenza" e quindi ogni patto non è che un rapporto di forze; il diritto del sovrano, ad esempio, è assoluto fintanto che è sorretto dalla potenza della collettività. In questo senso la libertà di pensiero e di parola è una potenza della collettività se la somma autorità non è in grado di reprimere.
Anche J. Locke scrive sull'argomento: lo stato naturale è governato da una legge che è per tutti vincolante, ma tale vincolo è piuttosto precario e costringe gli individui a unirsi in Stati e ad assoggettarsi a un governo per la salvaguardia della loro proprietà. Meglio un diritto limitato dal sovrano che un diritto precario. :)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXII

La teodicea


Pierre Bayle mostra la natura intrinsecamente contraddittoria del Dio cristiano proprio in riferimento ad essa: esiste una vera e propria incompatibilità dei diversi predicati del Dio cristiano fra loro. Bontà, giustizia e onnipotenza non possono coesistere in un essere la cui creazione mostri così evidenti segni negativi, come la malvagità dei "figli di dio". L'idea poi di Agostino che il male sia una semplice privazione e non qualcosa di effettivo, contrasta con l'esperienza indubitabile del dolore e della malvagità, né si capisce come il dolore possa essere la punizione per il peccato: un Dio buono e onnipotente avrebbe dovuto piuttosto creare Adamo senza la tendenza al male. :) Se si vuole accettare, come fa lui, la teodicea non possiamo farlo per motivi razionali, ma solo per fede.
Leibniz si contrappone a Bayle, sostenendo che l'intelletto divino contiene tutte le possibilità, tutti i mondi possibili, ovvero tutto ciò che non è contraddittorio: la creazione consiste nella scelta divina di una determinata combinazione di possibilità che, per diventare reale, deve essere compatibile con gli altri elementi della combinazione, cioè di un mondo. L'uomo non è minimamente in grado di rappresentarsi, come l'intelletto divino, tutte le combinazioni possibili e deve accettare il fatto che Dio ha scelto questo mondo, così com'è, perché tutti gli altri sarebbero peggiori.
Dio non avrebbe creato il mondo se non ci fosse stato un unico e migliore tra i mondi possibili; altrimenti non avrebbe creato nulla. (continua)


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXIII

Anche Hume interviene sull'argomento nei Dialoghi sulla religione naturale; in essi si fronteggiano lo scettico Filone, il deista Cleante e il dogmatico Demea. L'impossibilità di una conciliazione tra fede e ragione costituisce lo sfondo dell'insolita alleanza fra lo scettico e il mistico e anche Cleante si deve arrendere alle difficoltà che emergono, quando si introduce il male, nelle parti X e XI dei Dialoghi. Sia per Filone che per Demea, l'evidenza empirica dimostra l'insostenibilità delle tesi giustificative della teodicea.
Ma la tappa decisiva, secondo molti, è data da E. Kant nel suo "Sul fallimento di tutti i tentativi filosofici della teodicea." La pretesa razionalità di una teoria della giustizia divina sembra cadere del tutto e Kant assume come esemplare la figura di Giobbe e il suo chiedersi del perché dell'operato divino e nella risposta non si parla certo di razionalità e giustizia (dike), ma di potere (del theos): "Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha steso su di essa la misura? […] Puoi tu annodare i legami delle Pleaidi o scioglier ei vincoli di Orione? Fai tu spuntare a suo tempo la stella del mattino o puoi guidare l’Orsa insieme con i suoi figli?" :grr:


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXIV

Il giansenismo


Giansenio (1585 - 1638) scrisse un'opera, pubblicata postuma, in cui esaminava il pensiero di Agostino d'Ippona per ritrovare le vere tesi sulla grazia. Egli propone un'interpretazione vicina ai calvinisti. Sostiene che occorre abbracciare la fede con abbandono e fiducia nel mistero divino, senza volerla sottoporre a un esame critico o filosofico, il fedele deve seguire la memoria e l'esempio conservati dalla tradizione.
Dopo il peccato originale (inventato da Agostino, appunto) l'uomo ha perso la libertà di Adamo. Era tuttavia inevitabile che ciò accadesse, perché la volontà divina ha disposto che l'uomo sia un peccatore e l'unica libertà rimastagli è quella di cercare, nei limiti del possibile, di astenersi dal commettere il male. Anche se poi non è per questo che sarà salvo: Dio ha i suoi progetti è concederà la salvezza solo a un determinato numero di predestinati, indipendentemente dalle loro azioni. Nulla l'individuo potrà sapere circa l'imperscrutabile disegno divino e qui c'è la differenza essenziale con Calvino, perché quest'ultimo sostiene che il beato può comprendere il suo stato da alcuni segni terreni.
Cristo è morto solo per i predestinati al cielo.
La pubblicazione dell'Augustinus riscuote immediato successo e naturalmente anche interventi che ne richiedono la condanna come eresia! E, dopo grandi dibattiti, la vicenda si conclude nel 1713 con la bolla Unigenitus di papa Clemente XI che pose fuori della Chiesa quelle tesi.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXV

Blaise Pascal


Per il Nostro, anche dopo la conversione religiosa, la scienza resterà sempre un "scuola di rigore" e i suoi studi hanno spaziato dalla geometria, alla fisica e all'analisi infinitesimale in matematica, oltre che il calcolo delle probabilità, che sviluppa insieme a Fermat.
Accetta il dualismo fra spirito e materia e critica il principio di autorità, perché esso cede il passo sempre e comunque alla ricerca. Si ha il dovere di formulare ipotesi, ma dobbiamo essere disposti ad abbandonarle qualora siano contraddette dai fatti. Questo significa che allo scienziato è preclusa la conoscenza assoluta, ovvero gli elementi primi della realtà, proprio perché il continuo progresso delle scienze, ne testimonia il carattere provvisorio e incompleto. Solo la metafisica è un sapere chiuso e definitivo.
La critica alle pretese totalizzanti della scienza aumenta con il crescente coinvolgimento di Pascal nel dibattito etico-religioso del tempo. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXVI

Il 23 novembre 1654 a Pascal succede qualcosa, la c.d. "notte di fuoco", ovvero un'esperienza mistica che lo porta a diventare giansenista e a scagliarsi in particolare contro i gesuiti, che secondo lui hanno abbandonato i principii cristiani, per poter accontentare le esigenze terrene dei credenti! In particolare costoro hanno privilegiato i riti a danno della ricerca interiore e, in questo modo, permettono a chi in vita non ha mai amato Dio, di sperare il godimento eterno solo per il fatto di aver seguito pedissequamente certe regole!
A partire da questa esperienza mistica, il progetto della difesa del vero cristianesimo impegna tutto il corso della sua esistenza e per far ciò, secondo lui occorre partire dalla natura umana.
La nostra dignità, come insegna Epitteto, sta nel riconoscere la nostra miseria e soprattutto che la ragione è limitata. Ma tanto più comprende la sua finitezza, meglio l'uomo può riconoscere quello che è altro da sé, ossia l'infinito. La doppia infinità: grande negli spazi cosmici e piccola, quella derivante dalla visione al microscopio, stringe l'uomo in una morsa, obbligandolo in una posizione intermedia fra il tutto e il nulla!
Egli non può dimostrare Dio con la sola ragione e quindi non resta che accettare il valore storico e l'autorità della Sacre Scritture. Occorre accettare la scommessa che il cristianesimo sia quel che dice. :)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXVII

Il libertinismo erudito


Che va assolutamente distinto da quello dei costumi. Esso è un atteggiamento filosofico complesso, che riprende tesi dei filosofi materialisti e atomisti greci, come l'origine naturale del mondo, l'infinità dell'universo e l'origine dell'uomo dalla materia informe dell'universo (veniamo dalle stelle).
Tratto caratterizzante della filosofia libertina è l'icredulità religiosa, intesa come negazione dei miracoli e degli interventi soprannaturali inventati dalle religioni rivelate, dell'immortalità dell'anima e della creazione divina del mondo. I libertini coltivano un ateismo colto che consenta di vivere liberamente a loro e a chi li circonda. :)
La vita sulla terra è uno sviluppo irregolare, a partire da uno stato originario di natura con un solo linguaggio gestuale, indi quello verbale articolato e poi e poi ... la costruzione della società, partendo dalla famiglia tribale.
Numerosi viaggiatori hanno ormai fatto conoscere i costumi di popolazioni lontane (Cina, Americhe): tutte hanno una loro particolare moralità e credenza religiosa e naturalmente sono convinti (come le religioni del libro) della verità esclusiva della propria fede! :diavoletto: (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXVIII

Molti libertini riconoscono alle religioni un ruolo politico, in quanto sistemi di giustificazione del potere del sovrano (così come poi Napoleone dirà che dio non esiste, ma le religioni sì e dobbiamo farci i conti). Ma sarebbe un grande errore accostarle all'etica, della quale poi non è possibile determinare con certezza la verità o il suo contrario. L'etica è possibile solo in una dimensione individuale ed è fondata sul benessere del singolo, mentre se si vuole l'utile comune occorre pensare al diritto e alla politica. Lo Stato ideale potrebbe essere democratico, e non confessionale, se i cittadini fossero sufficientemente colti. Purtroppo così non è e la religione istituzionale vale come credenza popolare e lo Stato si limita a esercitare il potere sulle masse, a prescindere dalla ragione. E infatti in Europa quasi ovunque ci sono governi assolutistici e lo Sato è potere, imperium, una sorta di mostro che domina gli individui ed esige obbedienza, tesi che saranno riprese da Hobbes e dai materialisti del secolo successivo.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXIX

Baruch Spinoza


È profondamente influenzato dalla tradizione giudaico-cristiana, dal neoplatonismo rinascimentale e si interroga sui quesiti posti dal razionalismo di Descartes.
È un ebreo sefardita (quelli espulsi dalla penisola iberica) che vive ad Amsterdam e in quella sinagoga ha studiato la Bibbia e il Talmud, ma segue anche le lezioni di Franz van den Enden, un cattolico di Anversa, noto come libero pensatore, e si interessa anche alla scolastica.
Un evento dell'adolescenza lo spinge a pensare che la tradizioni religiose non sempre portano al bene: la condanna alla pubblica flagellazione, seguita poi dal suicidio, di Uriel da Costa, che aveva sostenute teorie eretiche!
Accanto agli studi teologici-religiosi, Spinoza coltiva anche il latino, la matematica, la fisica e la medicina, il naturalismo e il panteismo rinascimentale (da cui riceve l'idea dell'infinità del mondo).
Filosofi come Bacon, Hobbes e Descartes e scienziati come Galileo e Keplero lo indirizzano verso un percorso lento e faticoso, che tuttavia lo porterà a definire il proprio sistema, anche se dovrà affrontare mille difficoltà, prima che il suo pensiero possa affermarsi liberamente. (continua)


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXX

Le opere di Spinoza saranno pubblicate quasi tutte postume, perché le posizioni religiose, politiche e filosofiche gli attirano in vita (a anche dopo la morte) non solo accuse di eresia, ma anche di ateismo e materialismo persino da parte di autori che gli riconoscono un'assoluta purezza di coscienza e di costumi.
La sostanza e la necessità

Descartes aveva lasciato insoluto il rapporto fra sostanza pensante (res cogitans) e l'altra (res extensa). L'originalità del Nostro consiste nell'elaborare una filosofia dell'unicità della sostanza, che è stata caratterizzata come *monismo*. L'essere, nelle sua intierezza, obbedisce alle stesse leggi ed è dominato dalla necessità e questo vale anche per Dio che non può far sì che due + due faccia cinque! Dio e la natura rappresentano, ovvero sono fusi, la stessa sostanza. Per questo motivo il pensiero spinoziano è stato qualificato anche come panteistico, ma ...


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Re: Filosofia

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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXI

Il panteismo, prima di Spinoza, era quello neoplatonico: esisteva l'Uno all'origine di tutte le cose e del quale non si può predicare nulla. Questa unità si diffonde nel creato fino alla materia più infima, ma attraverso un processo di successiva degenerazione.
Per Spinoza invece ogni aspetto della realtà è divino allo stesso titolo e Dio non sta all'origine dell'essere e neppure ne è separato, è invece l'insieme di tutto (deus sive natura).
Spinoza accetta l'argomento ontologico, ovvero che l'essenza implica l'esistenza e non è necessaria nessuna creazione: la sostanza è natura naturante, che si manifesta come natura naturata attraverso i suoi modi, che possono essere il pensiero (res cogitans) o il corpo (res extensa).
La sostanza è retta da un ordine necessario, ma non finalistico; ciò che accade si sviluppa per una necessità di tipo geometrico, nello stesso modo in cui in un sistema matematico, teoremi, corollari e lemmi si generano l'uno dall'altro.
Il rapporto fra Dio e le cose è lo stesso che esiste fra un triangolo e le sue proprietà.


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da Umberto Eco e Riccardo Fedriga - La filosofia e le sue storie - L'età moderna LXXXII

La conoscenza

Come può la mente umana a giungere alla conoscenza vera della realtà? Essa è inizialmente confusa, ma anche le idee confuse sono necessarie ed è importante l'errore, perché ogni cosa fa parte del tutto. La conoscenza comincia come percezione sensibile e immaginazione, prosegue come conoscenza razionale quando si riesce a individuare quelle idee universali o comuni, che ci permettono di definire la natura delle cose e diventa infine conoscenza adeguata degli attributi e dei modi divini, per cui giunge a vedere le cose come le vede Dio stesso.
Spinoza è cosciente che la nostra mente concepisce la realtà in modo suo, ancorata com'è a un corpo e alle sue passioni: un soldato associa all'idea di cavallo, quella di guerra, un contadino quella di campo e di aratro, per cui la conoscenza vera sarà una lunga e faticosa conquista, che parte dalla condizione di esseri umani dominati dalle passioni.


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