Umberto Eco - Riccardo Fedriga "La Filosofia e le sue storie" - Primo volume L'Antichità e il Medio Evo. XXIII
Prodico
È stato il maestro di personaggi come Teramene, Euripide, Tucidide, Isocrate ed è rimasto celebre per il metodo di analisi linguistica. Esso si struttura nell'analisi del contenuto semantico dei termini, volta a stabilire la correttezza dei nomi (orthòtes ton onòmaton). Il retto significato è quello in cui l'atto della denominazione realizza una perfetta corrispondenza tra il nome e la cosa. Egli prosegue alla divisione dei nomi, ordinandoli in due classi contrapposte. La domanda cui tale divisione risponde è : in che cosa x si distingue, quanto al significato, da y? La risposta che si dà Prodico è che ogni cosa ha, per ontos, un solo nome e all'uso linguistico comune, si fa sostituire una normativa volta a escludere un'effettiva molteplicità di significato dei termini.
Di altre ricerche, sappiamo solo che l'etica razionalistica, avversa all'edonismo, è orientata allo sforzo che l'uomo giusto deve fare per raggiungere la virtù. Tale concetto è illustrato da da Senofonte nelle Ore e cioè nell'apologo "Eracle al bivio". Il saggio Prodico dice che Eracle, quando stava uscendo dall'infanzia e si avviava all'adolescenza, età in cui i giovani, ormai divenuti indipendenti, mostrano se s'incammineranno nella vita lungo la strada della virtù o quella del vizio, uscitosene in un posto tranquillo, si sedette senza sapere per quale delle due vie incamminarsi; e (dice che) gli parve che gli si avvicinassero
due donne di alta statura, l'una bella a vedersi e di natura nobile [libera per natura], adorna nel corpo di purezza, negli occhi di pudore, nell'atteggiamento di decoro, con una veste bianca; l'altra invece appariva florida fino ad essere morbida ed opulenta, acconciata nel colorito in modo da sembrare più bianca e più rossa di quanto fosse [di ciò che è], nel portamento in modo da sembrare più alta [dritta] del naturale, ed aveva gli occhi bene aperti, e un vestito dal quale si poteva vedere molto chiaramente la (sua) fresca bellezza [giovinezza]; si guardava di frequente, e controllava anche se qualcun altro la guardasse; spesso poi si girava anche a guardare la sua ombra. Come furono più vicine a Eracle, la prima di cui si è parlato avanzò, procedendo allo stesso modo; l’altra, invece,
volendo precederla, corse incontro a Eracle e gli disse: «Vedo che tu, Eracle, sei indeciso su quale via intraprendere nella vita; se, dunque, mi farai tua amica e mi seguirai, ti guiderò lungo il cammino più piacevole e
più agevole, non resterai privato dal gustare nessun piacere, e trascorrerai la vita senza provare tribolazioni. In primo luogo, infatti, non ti dovrai preoccupare né di guerre né di affari, ma ti impegnerai a valutare quale
cibo o quale bevanda ti sia di gradimento, oppure che cosa vedere o ascoltare per trarne diletto, o che cosa annusare o toccare per trarne piacere, o con quali giovani amanti poter giungere al massimo del godimento, in che modo tu possa dormire nella maniera più deliziosa, e come tu possa ottenere tutti questi piaceri, senza alcuno sforzo.
Qualora, poi, sorgesse il sospetto di avere scarsezza di mezzi dai quali derivano simili diletti, non temere che io ti conduca a procurarti queste cose faticando e penando nel corpo e nell’anima, ma tu sfrutterai ciò che gli altri
producono con il lavoro, senza astenerti da nulla da cui sia possibile ottenere vantaggio. Infatti, a coloro che mi seguono, io offro la possibilità di trarre un utile da ogni cosa».
Eracle, uditi questi discorsi, disse:
«Donna, qual è il tuo nome?». Ed ella rispose: «I miei amici – rispose – mi chiamano Felicità, mentre quanti mi odiano, per offendermi, mi chiamano Depravazione». Nel frattempo, sopraggiunse anche l’altra donna, e
disse: «Anch’io vengo da te, Eracle. Conoscendo i tuoi genitori ed essendomi resa conto della tua indole nel corso della tua educazione, per questo spero che, se ti incamminerai sulla strada che porta a me, tu diventerai senz’altro capace di fare opere belle e nobili, e io apparirò ancora più degna di onore e insigne per queste azioni buone. Non ti ingannerò mettendo avanti il piacere, ma ti spiegherò in modo vero come gli dèi hanno disposto le cose. Infatti, gli dèi non concedono agli uomini nessuna delle cose buone e belle senza fatica e impegno, ma, se
vuoi che gli dèi siano benigni nei tuoi confronti, tu devi onorare gli dèi; se desideri essere amato dagli amici, tu devi fare del bene agli amici; se brami di essere onorato da qualche città, devi giovare a tale città; se pretendi di
essere ammirato da tutta la Grecia per la tua virtù, devi impegnarti a far del bene alla Grecia; se vuoi che la terra ti porti frutti in abbondanza, tu devi coltivare la terra; se pensi di dovere arricchirti con gli armenti, devi
prenderti cura degli armenti; se aspiri, poi, ad acquisire gloria per mezzo della guerra, e vuoi essere in grado di liberare gli amici e sottomettere i nemici, devi imparare le arti marziali da coloro che ne sono esperti, ed
esercitarti a usarle come nel modo dovuto; se, poi, vuoi essere valido anche fisicamente, devi abituare il corpo a sottomettersi alla mente e praticare la ginnastica, con fatiche e sudore».
E la Depravazione, ribattendo, disse, come afferma Prodico: «Ti accorgi, Eracle, come è
difficile e lungo il cammino verso quella letizia che questa donna ti indica? Io, invece, ti condurrò per una via agevole e corta verso la felicità».
Allora la Virtù esclamò: «Disgraziata, che cosa mai hai di buono? O quale dolcezza conosci, se non vuoi fare niente per ottenerla? Tu non attendi nemmeno di avere desiderio delle cose piacevoli, ma, prima ancora di
desiderarle, ti riempi di tutte queste cose, mangiando prima di avere fame, bevendo prima di avere sete, e, per cibarti in modo piacevole, prepari pietanze elaborate, per potere bere in modo piacevole, ti procuri vini
pregiati, e d’estate corri qua e là a cercare la neve, e per dormire piacevolmente, non solo ti procuri coperte morbide, ma anche i letti, e traverse flessibili sotto i letti; infatti, non a motivo della fatica, ma per non
avere nulla da fare, tu desideri il sonno. E ti sforzi di avere piaceri d’amore prima del bisogno, studiandole tutte e servendoti degli uomini come di donne; così insegni ai tuoi amici, offendendone la dignità di notte, facendoli
dormire di giorno, ossia nel tempo più proficuo. Pur essendo immortale, sei rifiutata dagli dèi e disprezzata dagli uomini virtuosi; tu non ascolti la cosa più dolce di tutte le cose che potresti udire, una lode di te, né
contempli la cosa più piacevole a vedersi, in quanto non hai mai contemplato una bella opera fatta da te. Chi mai ti potrebbe credere, quando dici qualcosa? Chi ti potrebbe aiutare, qualora tu avessi bisogno di qualcosa? O chi, se è assennato, avrebbe il coraggio di partecipare alla tua compagnia? Coloro che ne partecipano, da giovani sono già deboli fisicamente; divenuti vecchi, sono privi di senno nelle anime, allevati senza conoscere fatiche nell’opulenza durante la giovinezza, passano la vecchiaia con pena e nello squallore, coperti di vergogna per le azioni compiute, oppressi da quelle che compiono al momento, dopo essere passati di corsa attraverso tutti i piaceri durante la giovinezza, e aver riservato le difficoltà per la vecchiaia.
Io, invece, vivo in compagnia degli dèi, vivo in compagnia degli uomini buoni; senza di me non si compie
nessuna azione bella, né divina né umana. Sono onorata più di tutti, sia dagli dèi sia dagli uomini degni di onore; sono gradita collaboratrice degli artigiani, fidata custode delle case per i padroni, protettrice benevola degli
schiavi, buona cooperatrice nelle fatiche dei periodi di pace, sicura alleata delle imprese in guerra, ottima compagna dell’amicizia. I miei amici godono dei cibi e delle bevande in modo piacevole e senza affanni; se ne
astengono, infatti, fino a quando non cominciano a desiderarli. Il sonno a loro si offre più dolce che agli indolenti, né si irritano quando devono abbandonarlo; né, a causa sua, trascurano di fare i loro doveri. I giovani gioiscono per gli elogi dei più anziani; i più vecchi si rallegrano per gli onori da parte dei giovani; volentieri ricordano le antiche imprese, e compiendo bene le presenti si allietano, poiché, grazie a me, sono amici degli dèi, amati dagli amici, onorati dalle patrie. Quando, poi, giunge il termine fissato, non vengono sepolti nell’oblio privi di gloria, ma, elogiati nei canti, fioriscono per sempre nel ricordo. Se tu, Eracle, figlio di ottimi genitori, affronterai queste fatiche, potrai conquistare la più beata felicità».
Infine possiamo rammentare la sua professione di ateismo quando scrive sull'origine della credenza negli dèi: le forze della natura furono elevate dai primi uomini, per utilitarismo, a rango di divinità.