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I dispersi della Dad. Quei 200 mila ragazzi in fuga dalla scuola
16 MAGGIO 2021
La paura del contagio, le difficoltà di studiare online, la povertà e l'isolamento. Allarme abbandono dopo due anni scolastici con il virus: dal 40% di Gela al 25% di Pavia. Le storie dei ragazzi sconfitti dalla Didattica a distanza
DI ILARIA VENTURI, CORRADO ZUNINO
ROMA - "Non so dove siano finiti gli studenti, abbiamo scritto alle famiglie". In mancanza di dati pubblici nazionali, il preside Guido Campanini, alla guida di un istituto tecnico di Parma, prova a illustrare che cosa sta facendo la pandemia alla sua scuola in Emilia. E all'intera scuola italiana.
I primi numeri per la comprensione di un fenomeno, la dispersione scolastica e il ritardo nell'apprendimento, che rischia di tagliare le gambe a tutto il Paese, vengono offerti dai privati caritatevoli. La Comunità di Sant'Egidio, dopo aver ascoltato 2.799 ragazzi delle sue "scuole di pace", centri di recupero pomeridiani per studenti delle elementari e delle medie organizzati in ventitré città, ha certificato che a settembre 2020, ripartenza del secondo anno pandemico, il 4 per cento dei bambini-adolescenti non era tornato a scuola. Sono 160 mila alunni su 4 milioni. E il 20 per cento, qui arriviamo a 800 mila scolari in numero assoluto, aveva accumulato troppi giorni di assenza. Sessanta assenze è la soglia d'allarme, quegli ottocentomila erano, e sono, a rischio abbandono. Il lavoro ha preso in considerazione il primo periodo dell'anno scolastico in corso, settembre-dicembre. E un'indagine Ipsos per conto di Save the children aveva già evidenziato che, nel 28 per cento delle classi superiori, ogni studente aveva avvistato - da marzo 2020 a gennaio 2021 - l'addio di almeno un compagno. Qui, i ragazzi arresi, sono altri 34mila. La somma delle due indagini porta a contare 200 mila studenti usciti dal circuito scolastico dalla primaria alla media superiore.
La promozione dannosa
Sono molti, pericolosamente molti, i discenti che abbiamo perso per strada. E li abbiamo persi per diverse ragioni. C'è chi, poco stimolato nella normalità scolastica, ha vissuto l'esenzione 2020 dalla bocciatura come un salvacondotto per chiudere i libri: è stato travolto, soprattutto dalle materie tecniche. C'è chi aveva una cattiva connessione, chi doveva chiedere lo smartphone al papà: le famiglie basso-reddito, nel caso. Chi, semplicemente, si è smarrito nella solitudine e, la cosa peggiore che racconteranno i dirigenti scolastici, chi non ha retto lo stop and go, l'apri e chiudi della classe, l'assenza di continuità e certezze. L'aver contratto, in alcuni casi, il Covid. Tra tutti questi ci sono molti studenti "capaci e meritevoli": sono precipitati nell'autostima e, a ricasco, sui voti.
L'Italia, dato fermo al 2019, viaggiava su una percentuale di abbandono scolastico del 13,5 per cento, in forte miglioramento nelle ultime stagioni, ma in ritardo sulla media europea (10 per cento). Il problema è che le 30-34 settimane di lockdown scolastico a variabilità regionale - ci sono primarie che in Campania hanno fatto 36 giorni di presenza in tutto - rischiano di rimandare indietro gli scolari e la scolarità italiana. Solo lungo il percorso degli ultimi cinque anni di superiori, d'altro canto, si sono persi in 160.000. Il tasso di dispersione, tenendo conto degli ultimi dati, arriva al 27 per cento. Si torna al livello di sette anni fa.
Denunciati 146 genitori
Città fragili come Gela, provincia di Caltanissetta, hanno soglie di dispersione del 40 per cento, un disastro: qui la pandemia ha inciso sulla sopravvivenza di alcune famiglie e la malavita è passata a reclutare i figli dei genitori senza speranza. A Vittoria, provincia di Ragusa, in due successivi controlli realizzati ad aprile i carabinieri del comando provinciale hanno denunciato 146 genitori che non mandavano i figli, iscritti in un istituto elementare, a scuola la mattina.
La questione dispersione negli ultimi sedici mesi si è affacciata, tuttavia, in una provincia ricca come quella di Parma. Campanini, dirigente del tecnico Bodoni, cerca disperato i diciannove studenti scomparsi (sui 700 dell'istituto). "Qualcuno è rientrato, questi sono usciti dai radar. Chi già faceva poco ha fatto ancora meno. Chi non aveva motivazione per lo studio, ma comunque veniva in classe per vedere la ragazza o mettersi d'accordo per il calcetto, ora ha perso ogni stimolo. La dispersione nei professionali, già alta, è schizzata. Non ci sono colpe, c'è stata una pandemia".
La desertificazione culturale va di pari passo con l'impoverimento economico. Non è l'unico motivo, ma nel secondo trimestre 2020 la quota di giovani di 15-29 anni che non studiava né lavorava (i neet cantati dai Cccp di Giovanni Lindo Ferretti) è salita al 23,9 per cento dal 21,2 di un anno prima. Il divario con il resto d'Europa è salito a 10 punti.
In Puglia, e qui i dati li ha raccolti la Uil, si sono persi undicimila ragazzi. Nel Lazio tra dicembre e gennaio si è superata quota venti per cento, sette punti in più della scorsa stagione. Rocco Pinneri, direttore dell'Ufficio scolastico regionale, dice: "Molti non prendono il diploma e cominciano a lavorare". Cristina Costarelli, lei dirigente del liceo scientifico Newton di Roma: "Crescono la depressione, l'ansia da prestazione, vediamo ragazzi che non trovano più il coraggio e la forza di andare a scuola". All'istituto comprensivo Rosetta Rossi, Primavalle, frontiera della capitale, quattro bambini sono stati riportati sul banco. "Due alunni sono seguiti con didattica domiciliare", spiega il dirigente Flavio Di Silvestre, "e altri due, presi da fobia scolastica, vanno in Dad nei momenti di crisi". Sono duecento gli alunni in difficoltà in Italiano e Matematica, qui, e per quaranta bambini si è alzato lo sportello psicologico.
Cinque anni per il recupero
I presidi sono allarmati dalla perdita di competenze, la dispersione implicita. Gian Paolo Bustreo, alla guida dell'Istituto d'istruzione superiore Rolando da Piazzola a Piazzola sul Brenta (Padova), dice: "Sugli apprendimenti i segnali sono tendenti al rosso. Prevediamo un arretramento, il suo recupero è la vera sfida per noi". In un lavoro sviluppato dall'Ufficio scolastico del Veneto, si attesta che la provincia con il tasso di dispersione più elevato è Rovigo. In Lombardia, Pavia e hinterland viaggiano sul 25 per cento. Si stima che, in assenza di interventi, la perdita di apprendimento equivarrà a 0,6 anni di scuola e aumenterà del 25 per cento la quota di bambini delle medie al di sotto del livello minimo di competenze. I testi del ministero già evidenziano un lavoro di recupero da fare per cinque anni di fila.
D'altro canto lo hanno detto gli stessi protagonisti, sempre a Save the children. Uno studente su tre oggi si sente più impreparato di quando andava a scuola in presenza e quattro su dieci dichiarano di aver avuto ripercussioni negative sulla capacità di studiare. Gli adolescenti dicono di sentirsi stanchi (31 per cento), incerti (17 per cento), preoccupati (17 per cento), irritabili (16 per cento), ansiosi (15 per cento), disorientati, apatici. Scoraggiati.
A proposito del rovinoso "apri e chiudi", Maria Rosaria Rosmarino, preside dell'Istituto comprensivo Borgonuovo di Sasso Marconi nella provincia di Bologna, dice: "Questi ragazzi si sono persi nel bosco, hanno trovato un albero per mettersi al riparo, ma quell'albero è stato tagliato". La Dad a singhiozzo, vera colpa del precedente esecutivo. Non sarà il Piano estate a ridare conoscenza organizzata ai nostri ragazzi. Ci si affida, piuttosto, al miliardo e mezzo di euro che il Recovery Fund porterà sul tema dispersione. Da qui al 2026.
Il professionale di Firenze
"Li abbiamo inseguiti anche su WhatsApp, ma tanti hanno scelto di andare a lavorare"
La pandemia ha messo a dura prova gli istituti professionali, solitamente più a rischio dispersione. Osvaldo Di Cuffa, preside dell'istituto Sassetti-Peruzzi di Firenze, un professionale per Servizi del turismo e socio-sanitari che nella sede centrale conta ottocento iscritti, durante il primo lockdown dello scorso anno aveva perso un centinaio di ragazzi, in maggioranza cinesi. Non si erano mai collegati per la didattica a distanza.
I loro professori hanno tenuto i contatti con ogni mezzo, anche We chat, l'app cinese, e WhatsApp. "Gli insegnanti hanno fatto di tutto pur di non perderli usando anche canali non istituzionali - osserva il dirigente scolastico -, ma quest'anno, quando in parte si è potuti tornare in presenza, abbiamo avuto un altro fenomeno. Le famiglie non li mandavano in classe per paura del virus. Abbiamo consentito la Dad a tutti coloro che erano in difficoltà, e almeno cinquanta li abbiamo recuperati". Ma gli altri cinquanta hanno abbandonato, "quelli di 16 anni e più credo siano andati a lavorare". E così il tasso di dispersione rispetto al periodo prepandemico è salito di un buon 30 per cento. "L'altro problema - spiega Di Cuffa - è quello delle competenze, nei professionali i ragazzi vanno continuamente stimolati e a distanza hanno sofferto di più, si sono sempre più demotivati. Hanno perso anche occasioni di laboratori e periodi di stage con le aziende che per loro sono fondamentali. Per le bocciature abbiamo modificato i criteri tenendo conto del contesto. A giugno e a settembre più che sulla socialità punteremo sulle lacune da colmare, sui contatti con il mondo del lavoro da riattivare, questa la nostra sfida".
Il comprensivo di Napoli
"Troppi banchi vuoti in asili ed elementari. Per alcuni eravamo un'ancora di salvezza"
"Hanno sottovalutato cosa significasse chiudere le scuole qui, era l'unica ancora di salvezza possibile per molti dei miei alunni", scuote la testa Colomba Punzo, dirigente dell'Istituto comprensivo Porchiano-Bordiga a Ponticelli, quartiere nella zona orientale di Napoli. Scuola di frontiera del "non uno di meno". Il bilancio dopo due anni di pandemia? Alle medie, su 227 iscritti, sono stati 60 i ragazzini "nuovi dispersi", quelli che se non ci fossero state chiusure e Dad non sarebbero finiti nel conto dei segnalati, "sono tornati o torneranno tra i banchi, ma hanno perso opportunità". Il dato più grave, perché prima erano quasi zero, è alla primaria: 34 alunni non rientrati in Dad e dispersi nel 2019-'20, 31 da segnalare quest'anno. Alla materna, poi, su 150 iscritti dopo l'ultima chiusura ne sono rientrati 20. "Certo che li ritroveremo entro fine anno o a settembre - ragiona la preside -, ma questo fenomeno non si era mai visto. La vera emergenza è quel 40 per cento che non raggiunge le competenze minime, bambini e ragazzini che arrivano in quinta elementare o in terza media con un livello più basso rispetto agli obiettivi. Non sono in grado di capire un semplice testo, per esempio. Questa è la vera dispersione. Non è un problema quantitativo, ma qualitativo". L'urgenza ora è colmare le lacune, aiutarli a recuperare e non solo sulle materie. "Le classi sono difficili da gestire, i ragazzi e i bambini sono disorientati, hanno fatto abuso di telefoni e play, sono fuori controllo dal punto di vista emotivo, hanno perso capacità di ascolto, concentrazione, relazione. Questo ci preoccupa ancora di più".
ll comprensivo di Bari
"Un errore proporre le lezioni on demand. E le famiglie fragili tengono i figli a casa"
"Incontro e parlo con le famiglie di chi non viene più a scuola, non abbiamo mai smesso di farlo soprattutto durante questo anno. E trovo madri sole, scoraggiate, che non credono più nel futuro, con il marito in carcere, situazioni complicate. Una mamma mi ha raccontato che si sente come precipitata in un baratro, preferisce tenere il figlio a casa e non capisce che non può essere lui a portare questo peso. A volte ci restituiscono il pc che abbiamo dato loro: una resa. Al di là della macrodispersione, ci sono situazioni di fragilità e povertà peggiorate con la pandemia". Il racconto è di Maria Veronico, preside dell'Istituto comprensivo Ceglie di Bari: sette plessi su quattro edifici e 620 alunni. La scuola in Puglia ha dovuto fare i conti con la libera scelta lasciata alle famiglie sulla frequenza dei figli, in classe o da casa. "È aumentata la confusione e in questo modo si è dato ai genitori più in difficoltà l'alibi per tagliare i ponti con la scuola". Le troppe assenze sono state il campanello d'allarme in un istituto dove si tentano tutte le strade, "ma dello sportello psicologico quasi nessuno ne ha usufruito, quello che possiamo fare è poco rispetto a servizi integrati nel territorio perché oltre al lavoro sui bambini, sono le famiglie quelle da sostenere". È una lotta continua. "Dalle finestre della scuola vedevo un mio alunno giocare nel giardinetto di fronte invece di venire in classe, grazie ai servizi sociali è tornato. Ma ora non dobbiamo perderlo un'altra volta. Mi ha detto che lui voleva andare in un altro plesso con i suoi amici. Allora gli ho detto: fai il bravo e ti ci mando. Uno a uno, ce la faremo".
Il liceo di Modena
"Triplicati i disturbi alimentari e relazionali. Anche i più bravi oggi sono smarriti"
Giovanna Morini, preside del classico e linguistico Muratori-San Carlo, liceo storico di Modena, li chiama gli "inabissati". Ed è la loro progressione che preoccupa: gli studenti con difficoltà dovute a condizioni socio-economiche, all'ansia e a disturbi relazionali e alimentari erano 21 nel 2019, sono diventati 40 nel 2020 e 80 quest'anno. Triplicati. Certo, anche qui stiamo parlando di una minoranza rispetto ai 1.400 iscritti, ma dietro ai numeri, ricorda la preside, "ci sono sofferenze, volti, nomi".
La statistica serve alla scuola per intercettare chi ha gettato la spugna, per non perderlo, nemmeno i ragazzi ormai a un passo dal diploma "paralizzati" di fronte all'esame. "Quelli che fanno più male sono i bravi che senza più le certezze dei riti e dei ritmi della scuola in presenza sono stati aggrediti da personali insicurezze. Ora si chiedono: ma io chi sono, cosa posso fare nella vita?", osserva la vicaria Titti Di Marco. Eppure i device sono stati distribuiti - ben 70 pc e tablet, inattesa povertà in un liceo -, sono state aumentate le ore dello Sportello di ascolto, i docenti hanno fatto un corso di Psicologia dell'emergenza.
"Ma che fatica e quanta sofferenza dovuta quest'anno soprattutto a questo accendere e spegnere i computer da casa - continua la dirigente -. Alla prima chiusura ricordo che li osservavo mentre passavano davanti alla presidenza, si salutavano dicendosi l'un con l'altro: presto ci rivediamo. Ma quando ci hanno di nuovo chiusi il 4 marzo quei saluti non c'erano più: l'ultimo giorno in presenza sono usciti alla chetichella, in silenzio. Questa immagine mi rimarrà per sempre".