Maìno della Spinetta ha scritto:Riprendo Slegar e Pacho,
non tanto per guardare a quello che i corridori hanno fatto dopo (Tizio il gelataio, altri, sfruttando il soprannome di gioventù, il garagista o il postino),
bensì per capire cosa significa fare 100 km ogni giorno, guardare sempre la bilancia, e allo stesso tempo crescere bene e non monomaniaci.
Riprendo uno scambio tra Slegar e Pacho:
Slegar mercoledì 10 ottobre 2012, 3:15
Lavenu parla del caso Houanard; preso l'EPO per i punti WT che gli avrebbero permesso il rinnovo del contratto:
http://www.cyclingnews.com/news/houanar ... 2r-manager
Al netto dei soliti giudizi riservati agli appestati, quello di Houanard è un ulteriore caso che dovrebbe far riflettere sulle prospettive esistenziali di uno sportivo di alto livello che arriva a "fine vita" agonistica senza essersi preparato una valida alternativa, perché fin da giovane "focalizzato" esclusivamente sull'attività agonistica.
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come dice più in basso pacho, il ciclismo è forse l'unico sport che richiede varie ore quotidiane di allenamento, di freddo, di estrema attenzione alla cura del proprio fisico e della propria salute, specie quando accoppiato con una frequenza scolastica obbligatoria. L'unica attività paragonabile, lo so perchè ho provato, è lo studio di uno strumento musicale che già in tenera età tiene il ragazzino incollato allo strumento per 3-4 ore al giorno. Non stanca a livello fisico, ma stronca psicologicamente l'essere chiuso in casa a ripetere e ripetere esercizi, suonare e risuonare all'infinito lo stesso pezzo.
La mia opinione è: questo, profondamente, EDUCA.
Mette in contatto il ragazzo con la vita e le sue dinamiche. Nel caso del ciclismo, con il fisico e le sue dinamiche, con la STANCHEZZA, VERA. Con la NECESSITA' DEL RIPOSO, quando è VERAMENTE una necessità. Anche solo vedere ciò che accade nel mondo FUORI. Tanto per fare un esempio, passando in bici a fine allenamento, la gente che esce dalla stazione, come è vestita, come è stanca, quanto freddo prova perchè lo provi anche tu, quanto gli costa ogni giorno rincasare alle 7 di sera dopo 2 ore di treno, queste sono cose che le assorbi anche inconsapevolmente, solo osservandole, captando gli sguardi, per osmosi di sensazioni, così come ogni altra cosa della vita che incontri per strada, e altrettanto incosapevolmente rendono desta la consapevolezza sociale.
Fare un'oretta di allenamento blando alla sera sul campo di calcio è un divertimento, migliore della paystation visto che si tratta di una attività sociale e all'aria aperta, ma sempre la persona rimane "astratta", non tocca i problemi VERI legati al corpo, alla sua salute, alla sua cura, al suo evolversi nel bene e nel male. In un certo senso non tocca la realtà della vita.
Il vero problema dell'educazione oggi, acuito esponenzialmente dal moltiplicarsi degli anni passati a scuola e, ancor peggio, all'università, è proprio questo, l'astrazione dalla realtà della vita quotidiana. Esce il laureato dall'università, e non si rende minimamente conto di che cosa significa modificare la realtà della vita quotidiana delle persone che lavorano. Perciò la fanno facile nell'insinuarsi pesantemente nelle abitudini dei loro dipendenti, e pretendere di modificarle dall'oggi al domani come se nulla fosse, e stupirsi delle difficoltà e delle lamentele....
E poi c'è un'altra cosa. Lo sport (ma anche le discipline artistiche) abitua a pensare la realtà nell'orizzonte della continuità. dell'organicità delle trasformazioni, l'esatto opposto rispetto al sistema universitario.
Non esistono "salti" nell'apprendimento di un'abilità, nella matyrazione di una condizione atletica. Niente avviene dall'oggi al domani, recuperando in tre giorni quello che non hai fatto in un mese. A scuola è l'esatto contrario. Lì ti abitui all'idea che due risposte di un esame orale ti promuovono da insipiente a maestro. E' la logica dell'esame, quel sistema dell 'apprendimento certificato dalla salita di una serie di "gradini", del "dentro o fuori", a portare con sè questa abitudine a vedere le trasformazioni umane in maniera distorta, come se ogni abilità ad un certo punto, con un certo sistemino, trovando il modo di conoscere in anticipo quelle tre domandino (perchè SONO SOLO 3, non l'intero scibile, alla fine....), la si ACQUISISSE DI BOTTO, e poi chi s'è visto s'è visto, indietro non si torna.
Ecco, lo sport rende edotto il giovane che la realtà dell'uomo non è fatta a "gradini", ma in continuo trascolorare. Per cui ogni conquista avviene con l'abitudine quotidiana, e viene certificata con una serie di risultati che vengono da soli quando l'abilità C'E', non basta certo rispondere a tre domandine e poi andiamo a ballare....
Maìno della Spinetta ha scritto:
Mi interessa, perché il monomaniaco, che non pensa all'avvenire (mi viene in mente l'intervista amara di Rebellin) vince anche tante corse, e a me Achille sta simpatico, più simpatico di Ettore. Ma uno muore giovane e vincente. L'altro è padre e mazziato. A parole son tutti amanti della normalità, ma poi il vincente vien guardato con rispetto.
L'analisi sin qua è semplificata (il fatto, forse perché ho lavorato a lungo in paesi "protestanti", è che la normalità la odio abbastanza...), e si pone in termini sbagliati.
Il problema non è quello, è un altro:
come si fa a crescere un ciclista che sappia guardare con curiosità al tutto? Che sappia usare il ciclismo per avere accesso al mondo? .
Come dicevo sopra non c'è miglior modo di avere "accesso" alla realtà, all'essere, dello starvi. Nessuna attività non comporta una immersione nelle sue "regole". Nemmeno lo studente di ingegneria se è per quello non è interamente immerso nel funzionamento della sua attività. Nelle cose che deve fare per ottenere il suo scopo. Nelle sue prospettive immediate. Il ciclista però almeno "dialoga" in modo serio con il suo corpo che è il vero codice della realtà.
Quanti ragazzini imparano ad ASCOLTARSI? Non c'è forse una abitudine più utile alla propria e altrui umanità se non quella appunto di ascoltarsi e di riflesso ascoltare? E' molto più facile che lo imparino quelli che fanno ciclismo secondo me....