Da leggere, anche in questo messaggio, una nota in calce, particolaremente interessante.
EMILIO BOSSI - (Milesbo)
GESÙ CRISTO NON È MAI ESISTITO
Parte Seconda
CRISTO NELLA BIBBIA
Capo VII
LA MORALE SETTARIA E INATTUABILE DEI VANGELI
NON È L'OPERA DI UN UOMO, MA DELLA TEOLOGIA
C'è, nella Bibbia stessa, una prova ancor più grande di quelle tutte da noi finora addotte contro
l'esistenza di Cristo: ed è precisamente la sua morale!
Questa morale, che dagli apologisti fu portata al cielo, e che ora la critica va man mano sfrondando
delle illusioni createvi intorno dalla leggenda e dall'idealità umana, questa morale è la prova
più sicura che Cristo non è esistito, perché la morale che i Vangeli gli prestano non può esser l'opera
di un uomo, ma è bensì quella di una determinata teologia.
Essa è troppo settaria e inattuabile per essere stata insegnata e praticata da un uomo: essa tradisce
troppo le preoccupazioni teologiche e metafisiche di una setta.
Ci sono, senza alcun dubbio, delle massime veramente buone di morale nei Vangeli, non tali
però da entusiasmare uno spirito positivo, perché anch'esse guastate dal misticismo: ma questa parte
buona della morale cristiana, senza della quale il cristianesimo non avrebbe potuto, certamente, attecchire,
non è... cristiana! come dimostreremo più innanzi, in altra parte del nostro lavoro.
Le massime: «non fare agli altri ciò che non volete sia fatto a voi stessi», e «fate agli altri ciò
che desiderate venga fatto a voi», non sono una creazione di Cristo, ossia dei Vangeli, ma preesistevano
nell'Antico Testamento ed a questo erano venute dalle morali metafisiche delle religioni orientali,
principalmente dalla buddistica e dalla zendica o persiana.
Ora, tolte queste massime, che non appartengono al cristianesimo, e che pertanto sono anche
esse una prova contraria all'esistenza di Cristo, il rimanente della morale evangelica è del tutto condannabile,
ed esecrando sarebbe quell'uomo che l'avesse creata, se essa fosse l'opera di un uomo solo!
E l'umanità, che da bambina e da giovinetta fu cresciuta nella dolce illusione che il Cristo biblico
fosse la personificazione di tutte le perfezioni umane, mentre non fu grande se non perché
l'umanità stessa gli ha prestato le proprie idealità, accentrandole in un uomo solo, l'umanità fatta adulta
deve riconoscere che nelle sue età d'infanzia e di adolescenza fu preda di una enorme mistificazione.
Il che non cessa di esser vero, né verrà meno dimostrato perché ai cristiani persi nell'età nostra,
come un Tolstoi 174, od a certi riformatori allucinati dalla leggenda e dalla distanza e sognanti
un loro precursore in Cristo, piaccia di cullarsi nell'antica illusione, contrariamente ad ogni evidenza
e ad ogni conoscenza soda e critica del soggetto.
D'altra parte neppure le classi dominanti e neppure la casta sacerdotale, nelle quali, oltre l'illusione,
è l'interesse di perpetuare la mistificazione due volte millenaria, neppure esse potranno impedire
che venga fatta la luce dal lume della ragione intorno alla morale evangelica... Questa luce da
qualche secolo ha cominciato a rischiarare le menti; e, se non fosse forse un ultimo ritegno causato
dal dolore di dover dire all'umanità delle verità troppo amare, di doverla bruscamente privare di una
illusione che, per essere illusione, costituisce ancora una forza morale, a quest'ora certamente la critica
avrebbe già non solo tolto dagli altari questo ultimo idolo, ma l'avrebbe già precipitato nella
Geenna.
Ma quel che finora non fu fatto, potrà, dovrà venir fatto, perché la verità non conosce compromessi
né debolezze umane, e perché la logica non si sente paga se non arriva fino alle ultime
conseguenze. La scienza, del resto, non ha da preoccuparsi delle conseguenze.
Orbene: mentre la critica è incamminata verso la demolizione dell'idolo cristiano anche in
quella illusione d'una morale superiore che lo rendeva rispettabile, se non caro, perfino agli increduli,
e mentre, se fosse rimasta nell'antico errore di credere all'esistenza di Cristo, non avrebbe potuto
far a meno di tramutare in esecrazione la venerazione tante volte secolare dell'umanità per questo
ideale di perfezione da essa stessa creato; — noi, per contro, togliendo di mezzo la persona di Cristo,
risparmiamo all'umanità il dolore di dover disprezzare l'oggetto della sua più grande venerazione,
poiché dimostriamo che i difetti della morale cristiana non sono imputabili a quel Cristo che non
è mai esistito, ma bensì a quella teologia che lo ha creato.
Badisi bene, però: che a far questo non siano mossi da veruna preoccupazione estranea alla
verità; né dalla preoccupazione finalista di chi crede, né dalla preoccupazione utilitaria dei bisogni
del nostro sistema.
Dalla prima delle quali obbiezioni non fa d'uopo che ci difendiamo; mentre, quanto alla seconda,
ci basta avvertire che non noi volgiamo a profitto della nostra tesi i difetti della morale cristiana,
ma sono dessi, questi difetti antiumani, che entrano a far parte del nostro quadro, attratti dalla
forza irresistibile della verità175.
Ed invero: se nei Vangeli sono massime inumane, tali e tante che un uomo solo, un uomo reale
di questa terra, non avrebbe potuto concepirle né predicarle senza passare o al manicomio o alla
prigione, non è egli evidente che questa circostanza depone già per sé stessa contro la storicità di
quell'uomo, ed in favore della sua creazione puramente mitologica e simbolica e, in questo campo,
specialmente teologica? Tanto più se questa circostanza entra armonicamente in un sistema di prove
analoghe, sì che le altre provano questa, come questa prova le altre?
Ma veniamo ai fatti, più eloquenti di noi.
La morale evangelica, spogliata di quelle buone massime che non sono di sua creazione originale,
ma che, come vedremo, le vennero di fuori, si può dividere in due grandi categorie: quella delle
massime inattuabili, ossia inumane, e quella delle massime settarie. Va però da sé che queste sono
categorie puramente mentali, perché spesso le massime inumane sono settarie, come quelle settarie
sono inumane, sì le une che le altre avendo per fondamento comune il carattere teologico, che ne
tradisce appunto l'origine impersonale e la formazione sistematica e chiesastica.
Cominciamo dalle prime. In Matteo176, Gesù Cristo tiene questo discorso: «Non pensate ch'io
sia venuto a metter pace in terra; io non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada. Io son venuto a
mettere in discordia il figliuolo contro il padre, e la figliuola contro la madre, e la nuora contro la
suocera. Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figliuolo o la figliuola
più di me, non è degno di me».
In Luca egli si esprime così: «Se alcuno viene a me, e non odia suo padre e sua madre, e la
moglie e i figliuoli e i fratelli e le sorelle, anzi ancora la sua propria vita, non può essere mio discepolo
»177.
In Matteo, ad uno che gli aveva chiesto licenza di andare a seppellire il proprio padre, Gesù
risponde: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i morti»178.
In Luca si legge: «Or ancora un altro gli disse: Signore, io ti seguirò, ma permettimi prima
d'accommiatarmi da quei di casa mia. Ma Gesù gli disse: Niuno il quale, messa la mano all'aratro,
riguarda indietro, è atto al regno di Dio»179.
In Matteo, Gesù consiglia i suoi discepoli a praticare la castrazione volontaria per rendersi degni
del regno dei cieli180. Se alcuno non odia la propria vita, non può salvarsi, dice Gesù in Luca181.
E in Giovanni: «Chi ama la sua vita la perderà, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà
in vita eterna»182. Gesù insegna anche a non lavorare; a non preoccuparsi del mangiare, del bere, del
vestire; a non pensare al domani, ma ad imitare gli uccelli del cielo che non lavorano ed i gigli della
campagna che non faticano e non filano183. Egli dà la preferenza a Maria, che trascura le faccende
domestiche per l'ascetismo, su Marta, che deve accudire da sola alle domestiche faccende184.
Egli vuole che l'uomo viva nella più assoluta povertà, nell'indigenza più miserabile. «Niun di
voi, egli dice, il quale non rinunci a tutto ciò ch'egli ha, può essere mio discepolo»185. Onde egli
predilige soltanto i poveri e i miserabili, come ognuno sa.
Anche la dignità umana va gettata via, secondo Cristo.
«Non contrastate al male, dice egli; anzi se alcuno vi percuote sulla guancia destra, volgetegli
anche l'altra. E se alcuno vuol contendere con voi e togliervi la tunica, lasciategli anche il mantello.
E se alcuno vi maltratta un miglio, andate seco due miglia»186.
Or non fa bisogno di molto acume né di grande eloquenza per provare che questa morale è inattuabile,
perché inumana, ossia contraria alle leggi biologiche e sociologiche, incompatibile con
la conservazione e col progresso della specie umana. Basta esporla: essa si condanna da sé.
Ed ora veniamo alle massime settarie della morale evangelica.
L'amore predicato dai Vangeli non va a tutti gli uomini, ma esclusivamente agli Ebrei. Ché
Gesù ordina ai suoi apostoli di predicare il suo verbo ai soli Ebrei, e proibisce loro di entrare nelle
città dei Gentili e dei Samaritani 187. Egli dice che i dodici apostoli sederanno su 12 troni per giudicare
le 12 tribù d'Israele 188. Dunque, la sua missione è limitata ai soli Ebrei: egli è un gretto nazionalista!
Tant'è che alla Cananea, la quale lo pregava di guarirle la figlia, egli rispose che egli era
mandato sol per Israele, dicendo non essere cosa onesta prendere il pane dei figliuoli per gettarlo ai
cani1 89. E quando pronuncia la sua ultima e solenne preghiera, Gesù dichiara che prega solo per chi
crede in lui 190.
Più immorale — no, diremo più settario — è il dogma della predestinazione da lui predicato.
«Niuno può venire a me, egli dice, se il Padre, che mi ha mandato, non lo trae»191. Perciò egli dichiara
che adopera le parabole con quelli che non sono suoi discepoli, affinché non possano capire
le sue parole né salvarsi192.
Questo dogma immorale — o settario se meglio piace — è sviluppato nella parabola del padrone
di casa — che figura Dio —, il quale chiama egli stesso a diverse ore degli operai nella sua
è egli lecito di far ciò che io voglio del mio? Così gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi; perciocché
molti son chiamati, ma pochi eletti»193.
Sempre per questa preoccupazione teologica, egli insegna che «chiunque s'innalza sarà abbassato
e chi si abbassa sarà innalzato»194, e mantiene così, invertendole, le ineguaglianze; che «a
chiunque ha, sarà dato; a chi non ha, eziandio quel ch'egli ha, sarà tolto»195; che egli ha mandato a
mietere coloro che non hanno faticato, facendoli godere del frutto di chi ha faticato 196; che ai poveri
sarà dato il regno dei cieli senza altro merito fuor che la loro povertà, anche se malvagi; e che i ricchi
saranno puniti senz'altro demerito fuor che la loro ricchezza, anche se buoni 197. Della medesima
ispirazione è la parabola dell'invitato punito senza sua colpa 198, non ché quella del figliuol prodigo 199.
Il dogma della predestinazione si trova poi nella Bibbia eretto a vera dottrina da san Paolo 200.
Il carattere, l'origine, lo scopo teologico della morale evangelica è tradito dalla circostanza
che base di questa morale non sono le buone opere, ma la credenza e il culto. Infatti egli insegna
che «chi avrà creduto, e sarà stato battezzato, sarà salvato; ma chi non avrà creduto, sarà condannato
»201. Questa massima va posta in relazione con l'altra, in cui Gesù dice ai discepoli che coloro i
quali non ascolteranno le loro parole saranno, nel giorno del giudizio, trattati più severamente degli
abitanti di Sodoma e di Gomorra 202.
Ove si vede che per la morale evangelica sono preferibili i delinquenti comuni, purché credenti,
agli increduli, anche se onesti.
Ora, questa morale non può essere che teologica. Essa è in relazione con la morale di tutto
l'Antico Testamento, il quale è stato dimostrato appunto essere opera quasi esclusivamente teologica203
e che in molti incontri fa valere questa massima, la quale sconvolge tutto l'ordine morale, spostando
la base stessa della morale dalle azioni nel culto, dal bene oprare al credere ed al seguire le
pratiche religiose204. Coronamento di questo sistema teologico sono l'eternità delle pene predicata
dal mansueto agnello di Nazaret (Matt. XXV, 41, 46; XVIII, 8) e il perdono al nemico predicato in
questa vita soltanto per accumulare sulla sua testa dei carboni ardenti (Epistola ai Romani, XII, 20).
Ma dove principalmente si manifesta il carattere settario, teologico e veramente sacerdotale
della morale evangelica, è nel predicare la persecuzione religiosa.
Non è soltanto col famoso compelle intrare che Gesù Cristo, o meglio coloro i quali hanno
scritto sotto il suo nome, hanno proclamato la legittimità della persecuzione religiosa 205.
Ma vi sono nei Vangeli propriamente espressioni d'una evidenza meridiana in favore della
persecuzione religiosa. Al capo XIX di Luca, v. 27, Gesù mette in bocca ad uno dei personaggi delle
sue parabole, nel quale rappresenta sé stesso, le seguenti parole: «Menate qua quei miei nemici,
che non hanno voluto che io regnassi sopra di loro, e scannateli in mia presenza». Secondo Matteo206
e secondo Luca 207, Gesù ha detto che chi non è con lui è contro di lui. Le quali parole vogliono
significare necessariamente che il cristiano deve considerare come un nemico chiunque non è
cristiano.
Al capo VII di Matteo, Gesù ammonisce i suoi discepoli che si guardino dai falsi profeti, i
quali sono simili agli alberi che danno frutti cattivi. Ed aggiunge che ogni albero che non fa buon
frutto è tagliato e gittato nel fuoco 208.
Al capo XV di Giovanni, Gesù dice testualmente:
«1. Io son la vite e il Padre mio è il vignaiuolo.
«2. Egli toglie via ogni tralcio che in me non porta frutto...
«5. Io son la vite, voi siete i tralci...
«6. Se alcuno non dimora in me, è gettato fuori, come il sermento, e si secca: poi cotali sermenti
son raccolti, e son gettati nel fuoco e si bruciano».
San Paolo, ripetendo l'insegnamento dei Proverbi (XXIV, 17, 18; XXV, 21, 22) consiglia che
si dia da mangiare al nemico che ha fame e da bere al nemico che ha sete, onde raunare dei carboni
accesi sopra il suo capo, vale a dire onde Dio lo possa punire in un modo infinito 209.
Le massime della morale evangelica sono adunque esplicite nel senso teologico, ossia della
intolleranza voluta dal pregiudizio religioso. E calunniò la Chiesa cattolica chi le rimproverò le persecuzioni
religiose, e gli auto-da-fè come un abuso contro la morale cristiana. Poiché il fondamento
di queste persecuzioni è posto nella stessa morale evangelica. Nella Bibbia stessa leggiamo le prime
esecuzioni e le prime apologie dell'intolleranza poiché vi è detto che san Paolo compì in Efeso il
primo auto-da-fè dannando alle fiamme gran numero di libri il cui valore, dicono gli Atti degli Apostoli,
ascendeva a 50.000 denari d'argento 210. E l'apostolo Giovanni, illustrando il pensiero biblico
cristiano, attesta che «chiunque si rivolta e non dimora nella dottrina di Cristo non ha Iddio, e chi
non reca questa dottrina non deve essere accolto in casa, e nemmeno salutato»211.
Perfino l'istituto della scomunica è insegnato esplicitamente dal Gesù dei Vangeli, il quale
vuole che sia posto al bando della Chiesa chi ad essa non si uniforma 212.
Predicando l'intolleranza e la persecuzione religiosa, Gesù Cristo, o meglio la casta sacerdotale
che l'ha inventato, non fece che mantenere la tradizione dell'Antico Testamento, nel quale gli acto
cenni e gli incitamenti all'odio teologico ed alla persecuzione degli increduli si incontrano ad ogni
piè sospinto 213.
Ma nel medesimo tempo ha tradito l'origine prettamente teologica del mito che ha nome Gesù
Cristo. In quanto che è proprio della casta sacerdotale il porre in non cale le massime fondamentali
della morale umana, veramente e naturalmente umana, per imporre il dominio di quella che essa,
animata dal pregiudizio teologico, ritiene essere la verità assoluta 214.
Anche le azioni che i Vangeli ascrivono a Cristo rispondono da una parte allo spirito settario
della teologia, dall'altra alla preoccupazione costante della vita ultramondana che stava in cima ai
pensieri dei suoi inventori.
Egli ricusa di ricevere la madre ed i fratelli venuti a cercarlo, allegando che i suoi parenti sono
i suoi discepoli215.
Quando, a dodici anni, fugge di casa, e i suoi genitori, dopo molte ricerche e vive inquietudini,
lo trovano in capo a tre giorni a Gerusalemme, Gesù Cristo, alle loro dolci rimostranze, risponde
seccamente: perché mi cercavate?216.
Quando, alle nozze di Cana, Maria, sua madre, gli fa osservare che i commensali non hanno
più vino, egli le risponde brutalmente: «Che c'è di comune fra me e te, donna?»217.
Quando i suoi fratelli lo invitano ad andare a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli, egli
risponde negativamente; ma, non appena essi sono partiti, egli si reca colà come di nascosto218.
Egli si diverte in molti casi ad ingannare chi gli parla ed a parlare per non essere inteso219.
Anzi, egli si attribuisce una missione oscurantista 220.
Egli inveisce senza ragione contro gli scribi ed i farisei 221, perché si fanno battezzare, mentre
egli stesso riconosce che essi sono attaccati alla legge di Mosè, e consiglia di fare ciò che essi inse-
gnano 222. Egli dichiara che essi sono irremissibilmente condannati all'inferno affinché tutto il sangue
innocente sparso sulla terra, da Abele a Zaccaria, cada su di loro 223, sostenendo così la dottrina
della riversibilità delle pene, già condannata dagli stessi profeti 224.
Quando Pietro ebbe l'avviso della fine che attendeva Gesù, fa voti che ciò non arrivi; ma Gesù
lo apostrofa chiamandolo Satana 225.
Nella parabola dell'economo infedele egli approva il furto (Luca XVI, 1-9) sicché sant'Ireneo
si appoggiò al versetto 9 del capo XVI di Luca per giustificare gli Israeliti che, nell'Antico Testamento,
sul consiglio del Dio della Bibbia e di Mosè (Esodo III, 21, 22), avevano rubato agli Egiziani
i loro vasi d'oro e d'argento e i loro vestimenti.
Parlando pacatamente al popolo esce improvvisamente a chiamare ipocriti i suoi uditori, senza
che verun motivo sia subentrato a fargli mutare di sentimenti 226.
Egli si fa mantenere dalle donne degli altri 227.
Egli si circonda di gente famigerata 228, e vagabondando coi suoi discepoli, questi non rispettano
l'altrui proprietà 229.
Egli fa precipitare nel mare una mandria di porci, senza preoccuparsi del danno cagionato al
loro padrone 230. Egli comanda agli apostoli di non salutare alcuno quando sono in viaggio 231.
Egli insegna l'egoismo 232 ed anche l'ipocrisia e la vanità 233.
Potremmo continuare dell'altro a dimostrare che il carattere morale e la dottrina morale di Gesù
Cristo sono, sempre secondo la Bibbia, cosa ben diversa da quell'ideale di perfezione che se n'è
formato l'umanità. Ma a qual pro? A noi basta l'aver provato che quella di Gesù Cristo non è, non
può essere la morale d'un uomo, ma d'una setta teologica, e precisamente della casta sacerdotale,
preoccupata non dell'umanità e della realtà della vita, ma dell'interesse della Chiesa e della salvezza
dell'anima.
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174 Quello che c'è di più strano nell'epoca moderna, il fenomeno più ricco d'insegnamenti, e che prova almeno la
grande buona fede dell'umanità, è il fatto che Cristo serve tanto ai rivoluzionari quanto ai despoti. Ed hanno ragione gli
uni e gli altri. Infatti Cristo predica la rassegnazione; san Paolo vieta perfino di reclamare e di fare giustizia (I Cor., VI,
7); e dichiara che ogni potestà venendo da Dio sarà condannato da Dio chiunque vi resiste (Rom. XIII, 1-2). Questo per
i despoti. Ma ce n'è anche per i rivoluzionari, anzi per gli stessi anarchici. Infatti non solo Cristo esalta la povertà, com'è
noto; ma egli considera perfino il civile governo come un abuso e ogni magistrato come un naturale nemico degli uomini
e di Dio (Matt. X, 17-18; Luca XIII, 11). Or non è edificante questa doppia faccia del cristianesimo? E non sono per
lo meno ingenui coloro che basano le loro speranze e i loro privilegi su questa morale siffattamente contradditoria? Ma,
sopra tutto, non si vedrà alfine che una morale così contradditoria non può essere stata l'opera di un uomo solo?
175 I difetti della morale cristiana sono così evidenti, che molti cattolici eruditi, non potendo negarli, e non volendo
decidersi ad abbandonare la fede, li collocarono fra le prove della divinità di questa religione, facendo il medesimo
ragionamento dell'ebreo Abraham, che, avendo constatato in Roma le turpitudini della Corte pontificia, si fece cristiano,
col dire che, se questa religione aveva potuto trionfare e sussistere malgrado tanta corruzione, era segno che godeva della
celeste protezione. Citiamo, per tutti, Nicolò Tommaseo, il quale scrive: «Soldati pagani, appaltatori generali, femmine
dal mondo dette perdute, un uomo che mente e tradisce il suo amico, un uomo che custodisce le vesti di persone intese
a lapidare un innocente, eccovi quali sono gli eletti di Gesù Cristo. Questi vuole che lo storico dei suoi prodigi e delle
sue virtù registri fra gli antenati del Salvatore del mondo un fornicatore, una meretrice, un'adultera, un re traditore ed
omicida. Questi pensieri umiliano lo spirito, ma aprono il cuore alla severità verso sé stesso, ed alla carità verso i suoi
fratelli!!!...» (Roma e il mondo, sezione V, c. XVI).176 X, 34-37.
177 XIV, 26.
178 VIII, 21-22.
179 IX, 61-62.
180 XIX, 12.
181 XIV, 26.
182 XII, 25.
183 Matteo VI, 24-34.
184 Luca X, 39-42-
185 Luca XIV, 33.
186 Matteo V, 39-4.
187 Matteo X, 5-7.
188 Matteo XIX, 28.
189 Matteo XV, 22-26.
190 Giov. XVII, 9-20.
191 Giov. VI, 44.
192 Luca VIII, 10.
193 Matteo XX, 1-6.
194 Luca XIV, 11.
195 Matteo XIII, 12; Marco IV, 25; Luca VIII, 18.
196 Giov. IV, 38.
197 Luca VI, 20; XVIII, 25; Matteo XIX, 24, 25 e 26; Marco X, 25.
198 Matteo XXII, 8-13.
199 Luca XV.
200 Gal. II, 16-21; III, 10-25; I Tim. I, 9; Rom. III, 14-16; VIII, 29-30; IX, 11-12, 47 ss.; XI, 6; Ef. II, 5, 8, 9; II
Cor. IV, 3, 4; II Tes. II, 10-12; I Tim. II, 25; I, 9; Filip. II, 13. Il dogma della predestinazione costituisce un regresso in
confronto del politeismo greco-romano, il quale poneva la giustizia e l'umanità al disopra anche degli Dei, quando questi
non rispettavano le leggi della natura e della coscienza.
201 Marco XVI, 16. Notiamo qui che in altri luoghi Cristo predica la morale indipendente dal culto. Ma, mentre
questa è un'altra di quelle numerose contraddizioni irreconciliabili e fondamentali che si accentrano in Cristo e che provano
essere egli non una persona reale, ma un soggetto di speculazione delle più disparate scuole teologiche, d'altra parte
vedremo a suo tempo che anche in ciò Cristo, o meglio il Vangelo, non fu originale, perché tale dottrina proviene dal
profetismo.
202 Matteo X, 13-15; Marco VI, 8; Luca IX, 3.
203 Vernès, op. cit.
204 Molti sono gli esempi dell'Antico Testamento che si potrebbero addurre. Ci limitiamo a citare l'istituzione del
capro espiatorio (Levitico XVI) e l'istituzione dell'acqua di purificazione (Numeri XIX). In generale lo spirito informatore
di tutta quanta la Bibbia è nel senso della morale religiosa. Vale a dire che per la Bibbia il merito ed il demerito delle
persone non si misurano dalle loro azioni più o meno buone; ma bensì dalla loro devozione. Trascegliamo, fra i molti,
l'esempio di Achab. Nei sei capitoli che l'Antico Testamento consacra a questo re d'Israele, si resta colpiti dal fatto ch'egli
è con grande cura qualificato come empio e sempre maltrattato dal libro divino. Eppure egli non ha commesso le iniquità
di Davide e di Salomone, che la Bibbia predilige tanto. Achab invece è un re buono, un innovatore umanitario, il
quale ammette la fratellanza degli uomini anche indipendentemente dalle loro credenze. Egli salva la vita al re di Siria,
Benadad, dicendo che anch'egli gli è fratello. Ma gli è appunto per questo ch'egli si merita l'odio di quel libro sacerdotale
ch'è la Bibbia. Il suo gran delitto fu precisamente quello d'aver lasciato in vita uno che non credeva nel Dio della
Bibbia! (III Libro dei Re, XX, 34-42). Per contro Davide e Salomone commisero ogni sorta di iniquità, ma favorirono la
casta sacerdotale; ed eccoli posti sugli altari dalla Bibbia. Jehu, l'infame Jehu stesso è simpatico alla Bibbia, perché ligio
ai preti, i quali, anche dopo la Bibbia, hanno sempre giudicato gli uomini a stregua della loro devozione e non della loro
onestà. Un parallelo eloquente di questo pervertimento causato dallo spirito sacerdotale, si può averlo confrontando due
imperatori: Giuliano e Costantino. Il primo è passato alla posterità con un nome d'infamia, soltanto perché non ha volu
to saperne del cristianesimo, mentre fu modello d'ogni virtù; il secondo, che assassinò perfino la propria famiglia e fu in
ogni modo scellerato, fu invece incielato dalla Chiesa, perché la favorì.
205 Luca XIV, 16-24.
206 XII, 30.
207 XI, 23.
208 VII, 15-19.
209 Epistola ai Rom. XII, 20.
210 XIX, 19.
211 Giov. II, Ep. 9, 10, 11.
212 Matteo XVIII, 17. Qui Gesù, parlando della Chiesa, tradisce la favola. Poiché la Chiesa non poteva ancora esistere
al suo tempo, essendo essa venuta dopo di lui e per lui. Onde appare che i Vangeli furono scritti quando la Chiesa
era già costituita, e che essi mettono in bocca a Cristo cose che egli non avrebbe potuto dire: quindi, che inventano
senza scrupoli.
213 In tesi generale si può dire che l'Antico Testamento non è che la scuola della persecuzione religiosa. Indichiamo,
come esempi e insegnamenti di persecuzione religiosa, i seguenti: Mosè, per ordine di Dio, fa sterminare
24.000 Israeliti che avevano sacrificato a Baal-peor (Num. XXV) e ordina il massacro di tutti i Moabiti, comprese le
donne e i fanciulli, perché avevano indotto gli Israeliti all'apostasia (Num. XXXI); il solo fatto di eccitare all'adorazione
di Dei stranieri è punito di morte e l'eccitatore deve essere ucciso precisamente dal fratello, dal padre, dalla sposa o dall'amico
(Deut. XIII, 5-11); il libro dei Giudici non è che un perpetuo avvicendarsi di apostasie da parte degli Ebrei e di
castighi tremendi da parte del Dio biblico; Elia fa scannare 850 profeti di Baal (III Re, XVIII, 19-40); il profeta Eliseo
ordina atroci persecuzioni religiose (IV Re, cap. IX e X); Giosia è caro a Dio per le sue persecuzioni feroci contro gli
altri culti (IV Re, XXII e XXIII); nei Salmi la persecuzione religiosa viene celebrata, invocata da Dio e benedetta
(LXXIX; CXXIV; CXXV); Geremia invoca da Dio lo sterminio degli infedeli (Ger. X, 25); altrettanto e peggio si legge
in Isaia (Isaia XI, 4, 13, 14; LXV, 11, 15); l'Ecclesiastico è dello stesso parere (Ecc. XII, 4-7; XXXVI, 2, 3, 8, 9); nei
Maccabei (I Macc. II) il sommo pontefice Mattatia scanna un eretico su di un altare... Non è a dire se la Chiesa cattolica
abbia felicemente imitato gli esempi e praticato gli insegnamenti d'intolleranza della Bibbia; ma ciò che non fu detto, e
che bisogna dire e proclamare altamente, si è che la Chiesa, facendosi persecutrice ed inquisitrice, non commise nessun
abuso di dottrina, ma praticò invece, con logica imperturbata e geometrica, la dottrina della Bibbia giudaico-cristiana,
tanto nella lettera che nello spirito.
214 L'origine teologica della morale evangelica si rivela anche per un altro carattere importante dei libri dell'Antico
Testamento; per la preoccupazione costante di quei libri in favore del dominio e dei privilegi della casta sacerdotale,
di cui sono, per così dire, la magna charta. Basta leggere, onde persuadersene, il Levitico (VI, 26, 29; VIII, 31; X, 13,
14; XXV, 23; XXVII, 30-32) e sopra tutto il capo XVIII dei Numeri. Esempi molto persuasivi, si leggono nella Bibbia
in favore del privilegio sacerdotale. Così avendo i Filistei presa l'Arca del Signore, il Dio della Bibbia li fa morire come
mosche sì che essi si risolvono a rimandarla agli Israeliti. Nel viaggio l'Arca Santa si ferma fra i Betsamiti, che l'accolgono
con gioia ed olocausti. Ma, nel bel mezzo di questa adorazione, il Dio della Bibbia fa morire cinquantamila e settanta
(50.070) persone semplicemente perché avevano osato guardare l'Arca! (I Re, VI, 13, 15, 19). Uzza è fulminato
semplicemente perché osa toccare l'Arca Santa per impedirle di cadere, essendo nel viaggio stata smossa dai buoi (Paral.
XIII, 9, 10). Questi fatti, cui aggiungiamo il caso di Samuele che depone Saulle dalla carica di re, sono la più bella
prova che la Bibbia è opera teologica della casta sacerdotale, e punto né poco opera storica. La teocrazia del Medio Evo
è frutto genuino della Bibbia.
215 Matt. XII, 46-50; Marco II, 31-35; VIII, 20-21.
216 Luca II, 41-49.
217 Giov. II, 1-10.
218 Giov. VII, 2-10.
219 Giov. II, 21; III; IV; VI.
220 Giov. IX, 39.
221 Matt. III, 7.
222 Matt. XXIII, 2, 3.
223 Matt. XXIII, 13-36.
224 Ger. XXXI, 29-30; Ezechiele XVIII, 19-20.
225 Matt. XVI, 22, 23; Marco VIII, 32-33.
226 Luca XII, 56.
227 Luca VIII, 1-3.
228 Marco II, 16.
229 Marco II, 23.
230 Matt. VIII, 28-34; Marco V, 1-20; Luca VIII, 26-39.
231 Luca X, 4.
232 Luca XIV, 12-14.
233 Luca XIV, 10.
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