bravo maglianera, ce ne fossero di sinceri democratici come te. Riguardo il fatto che le proteste siano controproducenti, la tua tesi è talmente lungimirante da rubare quasi quasi la parola al trota e al suo galoppino .
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09 ... mo/156163/
Sul fatto che esiste solo quello che appare e che bisogna agire solo in funzione di quello che dicono i giornali, o in funzione di quello che la gènte dice di noi: questa è la più grossa idiozia che il 'movimento' e i cosiddetti 'sinistri' hanno elaborato nel corso degli ultimi 20 anni. E i risultati sono stati disastrosi.
Mi scuso per l'ot, ma quanto scritto qui sotto, anche se appartiene ad un altro contesto, spiega bene l'idea (la riprendo da un opuscolo scritto assieme ai miei amici di qualche anno fa).
LA QUESTIONE MEDIATICA
Uno dei caratteri fondamentali della mobilitazione contro la riforma Gelmini è stata l’attenzione massiccia di buona parte del movimento verso tutto ciò che riguardava i media e la comunicazione più in generale. Ovviamente, gli spunti, le critiche e le valutazioni che ora facciamo su questo argomento non riguardano solo quel periodo e quell’esperienza, ma possono essere tranquillamente riportate a moltissime altre situazioni, analoghe e non. In particolare, una certa attenzione verso ciò che giornali e tv dicono di ‘noi’ è propria di tutto il movimento e di ogni esperienza collettiva di organizzazione e mobilitazione.
Ma andiamo con ordine. Sicuramente, il peso di quelli che vengono definiti ‘mezzi di comunicazione di massa’ è cresciuto in maniera esponenziale nel corso degli ultimi decenni. Ciò che qui ci interessa è mettere in relazione questo fatto con le lotte, ovvero con le situazioni che a vari livelli si battono – nelle università, nei quartieri, nei posti di lavoro – contro le politiche di ristrutturazione economica e sociale, dalle riforme universitarie agli sgomberi fino ai licenziamenti.
Più di ogni altro, il ‘movimento dell’onda’ ha elaborato forme originali e inedite di comunicazione, che poi vedremo, e ha posto un’attenzione estrema a tutto ciò che i media riportavano quotidianamente. La mobilitazione stessa, nelle sue fasi iniziali, si è sviluppata anche grazie all’attenzione che stampa e televisione attribuivano alla riforma dell’università e alle prime risposte di lavoratori e studenti. Da inizio ottobre fino alle giornate romane di metà novembre, il fatto che il dibattito intorno al futuro dell’università occupasse le prime pagine di giornali e talk show televisivi è stato un forte catalizzatore della mobilitazione stessa. Dai tentativi di occupazione o di blocco delle lezioni, alle lezioni in piazza, alle dichiarazioni di Berlusconi e ai deliri di onnipotenza di Cossiga, tutto contribuiva a far sentire gli studenti coinvolti in quell’esperienza come protagonisti effettivi del dibattito politico nazionale, quantomeno per quanto riguarda l’università.
Evitare che ‘Repubblica’ o il ‘Corriere’ esprimessero giudizi negativi veniva considerato funzionale a come l’‘opinione pubblica’ ci avrebbe poi effettivamente percepito. Un esempio su tutti, che fa capire molto bene di cosa stiamo parlando: dopo l’assemblea degli stati generali tenutisi alla facoltà di Lettere e Filosofia di Milano, un corteo spontaneo di migliaia di persone attraversava la città di Milano. È stato uno dei momenti migliori della mobilitazione, anche se quasi ogni giorno si facevano cortei per le strade della città. Nel tardo pomeriggio la manifestazione si è diretta verso la stazione di Cadorna, con l’obiettivo di occuparne i binari. Ma il tentativo dei manifestanti è stato bloccato dagli sbirri che, a suon di manganellate, hanno fermato la testa del corteo nel piazzale antistante la stazione. Il giorno successivo, le prime pagine dei giornali non erano dedicate né alla grande assemblea in Statale, né al successivo corteo, bensì dalle foto delle manganellate agli studenti. Nelle assemblee non si parlava d’altro; il tentativo di ‘bloccare’ concretamente una stazione (cosa che riuscirà qualche giorno dopo a Lambrate), passava quasi in secondo ordine rispetto all’immagine che i giornali trasmettevano di noi.
Prima considerazione: diamo per assodato che un movimento deve farsi capire, conoscere, comprendere, soprattutto da coloro (milioni di persone) che vengono a loro volta colpiti dalle politiche di ristrutturazione. Ora, sappiamo benissimo che TG5, TG4, telegiornali Rai, Corriere della Sera, Repubblica, ecc sono espressione di quelle compagini politiche che portano avanti ciò che noi tentiamo di contrastare. E questo è un dato incontrovertibile. Dal loro punto di vista, essendo il braccio mediatico delle forze di governo, sarebbe alquanto stupido tirarsi la zappa sui piedi, aiutando lo sviluppo di un movimento che si oppone alle scelte di chi li finanzia. Certo, se fa notizia, ci daranno le prime pagine; e se dimostriamo di stare calmi e buoni in piazza Duomo a seguire le lezioni di qualche barone illuminato diranno pure quanto siamo bravi. Salvo poi scatenare i soliti anatemi quando dall’opposizione di testimonianza si passa all’intervento reale nel funzionamento della metropoli (ad esempio con i blocchi).
Seconda considerazione: la fiducia nei media come mezzo per veicolare i nostri contenuti ha come presupposto il fatto che esisterebbe una sorta di ‘neutralità’, ‘oggettività’ e ‘indipendenza’ del giornalista nei confronti di ciò che accade nella società. Nulla di più falso: se ogni organo di stampa è espressione di ben determinate linee politiche, (o addirittura proprietà di uomini politici, come il nostro caro Silvio), va da sé che l’oggettività va a farsi fottere.
Terza considerazione: chiediamoci da cosa è data la forza reale di un movimento, cioè che cosa determina la sua capacità di incidere nel dibattito e sulle scelte che poi sono prese a livello nazionale. L’‘onda’ sicuramente si è posta quest’obiettivo, raggiungendolo pure in parte: sicuramente per i numeri che aveva, per le pratiche concrete che metteva in atto, per la continuità della mobilitazione (praticamente tutto l’autunno). Questa era la sua forza; così come qualche mese dopo (febbraio 2009) un’altra mobilitazione, sempre a Milano, ha raggiunto una vittoria: la ripresa dello spazio sociale Conchetta in seguito allo sgombero, nonostante i giornali dicessero peste e corna di questi ‘occupanti abusivi’.
La realtà è che ci hanno abituato a credere che ciò che non appare in televisione o sui giornali non esiste, e questa cosa ha molti effetti: fa avvitare il dibattito su questioni senza via d’uscita (come ci dipingeranno i giornali?); pratiche efficaci vengono scartate perché ‘non funzionali’ all’apparizione mediatica; ci si arrovella per trovare forme di mobilitazione che ci diano visibilità ‘positiva’ (addirittura in alcuni momenti, visto che i blocchi del traffico causavano giustamente il blocco del traffico, qualcuno proponeva di portare banchi e sedie sui marciapiedi e studiare lì…); ma, soprattutto, quando i riflettori si spengono (o decidono di spegnerli), coloro che si sono abituati a considerare la loro efficacia politica in relazione a quante ‘prime pagine’ collezionano, se ne tornano mestamente a casa. Tant’è vero che quest’anno stampa e TV se ne son guardati bene di parlare della riforma e della sua applicazione reale. Infatti, se nell’autunno 2008 si sono poste le basi politiche della ristrutturazione dell’università, è da quest’anno che concretamente si materializzerà la sua mercificazione, con i tagli, l’ingresso dei privati, l’aumento delle tasse. Ma ciò che in non appare TV, non esiste: e seppur vari momenti di mobilitazione ci sono, soprattutto da parte dei lavoratori, a costoro si da spazio mediatico ZERO. La percezione diffusa è che nulla si muova.
Un altro discorso va fatto sui metodi sviluppati, questa volta direttamente dal movimento, per veicolare i propri contenuti. La mobilitazione dell’onda è stata ricca di esperienze di vario tipo, dall’utilizzo di internet come mezzo per diffondere iniziative o appuntamenti, alla nascita di veri e propri tentativi multimediali di comunicare efficacemente i contenuti, come video e blog, espressione effettiva del livello di mobilitazione nelle facoltà. Da parte nostra, oltre questi strumenti, abbiamo cercato di usare anche lo strumento del volantone, foglio volante che riassumesse in 3-4 articoli alla volta novità e riflessioni a caldo scaturite durante le mobilitazione. Abbiamo tentato di farlo uscire più spesso possibile, cercando di mettere in forma scritta l’humus della lotta. Riprendendo il discorso di prima, appare chiaro che solo ciò che si controlla direttamente sarà funzionale alla mobilitazione. Poiché non esistono campi ‘neutri’, tutto ciò che non è controllato da noi risponderà agli interessi altrui.
Di sicuro, l’uso di queste forme di comunicazione ha permesso alla mobilitazione di ‘funzionare’ in maniera migliore, anche se ovviamente nulla di tutto ciò può sostituire i rapporti diretti che in un movimento si sviluppano. Questo significa che potremo essere anche ‘ottimi comunicatori’, ma ciò che alla fine conta sono le relazioni dirette tra individui, gruppi, collettivi e pezzi di movimento. È da queste relazioni che passerà lo sviluppo di qualsiasi mobilitazione e la sua capacità di essere ‘forza reale’.