Alberto Arbasino molti anni fa (2003) scrisse sulla Repubblica, riguardo alla sudditanza della lingua italiana, rispetto all'anglo-americano.
"Per i termini "coloniali" , dove cioè gli indigeni (a proposito, dico io, che differenza c'è fra indigeni, aborigeni e autoctoni? Vedi in calce *) si sottomettono agli idiomi "dominanti", il caso pare disperato! Infatti anche l'uso strettamente istituzionale di di Audience e Authority, non dipende tanto dall'imperialismo del "rock globale" e dei consumi connessi; e nemmeno da quella "cupidigia di servilità che il vecchio Vittorio Emanuele Orlando piangeva negli italiani. È un sintomo. E, come tale, dipende dall'inconscio. In esso agisce l'idea che dire una cosa in inglese "fa più chic".
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E forse non sono bastati centocinquanta anni circa di unità a stratificare nella coscienza collettiva il fatto di essere portatori di una grande lingua di cultura, che ci è invidiata da molti. Per terminare un esempio piuttosto significativo: abbiamo chiamato un dicastero "Ministero per il Welfare" !!!
(*) Ci sono diverse parole ben note che condividono grossomodo questo significato, ma l'autoctono ha una sfumatura con un mordente eccezionale.
L'indigeno è etimologicamente chi è stato generato in un certo luogo: il latino indigena è derivato di gignere 'generare', col prefisso 'indu-', che vale 'in-'. L'aborigeno è invece chi abita un luogo fin dai tempi più remoti: nella latinità il popolo degli Aborigeni era quello dei primigeni abitatori del Lazio, e forse trassero pianamente il loro nome dalla locuzione ab origine, 'dalle origini'. L'autoctono, infine, emerso in italiano solo nell'Ottocento, cambia le carte in tavola in maniera poetica: è della sua stessa terra. Letteralmente generato dalla sua stessa terra.
In altre parole, se l'indigeno ci presenta in maniera pulita il nativo, non immigrato e non importato, se la qualità dell'aborigeno è un sussistere in un certo luogo da tempo immemorabile, l'autoctono si mostra come esalato direttamente dalle vigorose viscere della terra. Un carattere che, a ben vedere, per quanto abbia i connotati di una lunga presenza, non ci parla solo di una dimensione temporale, ma di un'identità ctonia, sottile e profonda.
Vivendo con gli autoctoni a mille miglia da casa propria si colgono aspetti nuovi e insoliti dei giorni, la regione si pregia dei suoi talenti autoctoni, e i frutti autoctoni di una terra vengono recuperati con cura laboriosa. Ovviamente tanta serietà può essere facilmente volta in ironia antropologica, e quindi può essere divertente l'iniziazione dell'amico, appena trasferito, ai divertimenti autoctoni, e ogni volta che capitiamo a Milano/Roma ci appuntiamo i curiosi costumi degli autoctoni.
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