Oggi son partito dalla miracolosa convergenza tra temi sociali e musica folk (e poi rock) negli anni '60, e parla parlando mi sono reso conto che quei grandi autori, da Bob Dylan in giù, in realtà non ebbero alcuna funzione maieutica, in quanto le istanze di cui furono megafono erano già presenti nella società dell'epoca. Al limite funsero da pietre miliari, proprio nel senso urbanistico del termine, cioè con le loro canzoni facevano un punto della situazione: siamo arrivati fin qui, questo è lo stato delle cose. E questa funzione operava pure da ritrasmettitore nei confronti - magari - della parte più arretrata della società. Ma non indicava vie nuove.
Perché sono arrivato a una conclusione così brutale? Perché nel frattempo pensavo a come sarebbe bello il mondo se le parole di pace e fratellanza di tante canzoni avessero realmente fatto presa sulle maggioranze, se realmente avessero insegnato qualcosa; e invece così non è, la realtà di tutti i giorni ce lo dice. Poi però sono andato a ritroso, alla ricerca di menti (o ambiti) più grandi, per capire se l'espressione artistica culturale abbia avuto un'influenza sullo sviluppo dell'umanità. E sono arrivato fino al più grande dei fatti culturali della storia, le religioni. Mi sono detto che pure il verbo di Cristo (senza star qui ora a sindacare sul chi e il cosa), l'ama il prossimo tuo come te stesso, è stato clamorosamente disatteso da miliardi di persone che, attraverso quasi due millenni, pure in quel verbo hanno detto di riconoscersi (o a modo loro l'hanno fatto).
E quindi se Cristo non è riuscito a cambiare in meglio il mondo, vorrà farlo Bob Dylan?
Sicuramente ci saranno grandi e sapienti scritti sul tema, sarà interessante se me ne segnalerete. Il punto è che tra natura umana e cultura umana, la seconda tende a soccombere. Il principio animale di sopraffazione, del mors tua vita mea, ha sempre la meglio su qualsiasi bel ragionamento che le menti migliori di ogni tempo possano aver prodotto. E infatti siamo sempre lì, cambiate le forme ma non la sostanza rispetto a duemila anni fa, c'è sempre da qualche parte qualche uomo che sta vessando altri uomini. Il capitalismo finanziario non è che l'ultimo vestito che la natura animale dell'uomo ha indossato. Potrà anche crollare un domani, ma sarà sostituito da un altro abito.
E qui subentra l'aggravante della cultura: posto che non è servita a migliorare l'umanità nel suo profondo, a cosa è servita? A mediare, a frenare la barbarie? Solo apparentemente, direi. A fungere da contentino per minoranze illuminate, con effetti simili a qualunque droga possa trovarsi in giro? Anche sì. Ma soprattutto la cultura è stata un formidabile moltiplicatore di cattiveria e distruzione, perché ha permesso, attraverso la tecnologia e la crescente conoscenza del mondo e delle cose, di impiegare su vasta scala la logica del branco e del territorio, esportando così le dinamiche di sopraffazione tipiche dello stato di natura a livello globale.
Ma lo stato di natura è di per sé innocente: un leone che sbrana una gazzella è un innocente. L'uomo, proprio a causa della cultura, non è innocente e non tanto perché uccide altri uomini, non solo perché è convinto che potrebbe scegliere di non farlo, ma soprattutto perché corre spedito verso l'autodistruzione della specie. Unico animale a poter fare una cosa del genere.
Le domande si affastellavano l'una sull'altra: quando è cominciata questa cosa? Quando potrà finire? Nel momento in cui le macchine prenderanno il potere, con l'intelligenza artificiale che si autocrea su basi di logica e di razionalità, l'uomo verrà decimato e vivrà finalmente in pace con se stesso, non potendo fare altro (in quanto il pensiero astratto, base della cultura, è per sua natura irrazionale, quindi destinato a essere penalizzato dall'intelligenza artificiale)? Ma allora sarà ancora uomo? O si estinguerà prima? O si estinguerà allora? O o o...?
Nel mentre facevo questi pensieri a voce alta, il mio bimbo, lungi dall'addormentarsi questo pomeriggio, si è messo a piangere, perché proprio non voleva saperne di dormire in quel momento. Per un po' l'ho trattenuto a letto, gli ho spiegato che era meglio dormisse di modo da stare più fresco stasera, e tutte le cose del caso. Poi mi sono fermato un attimo a riflettere: la cultura, in quel momento rappresentata dalla mia conoscenza delle cose, dalla mia esperienza specifica sul tema, stava tenendo intrappolato lo stato di natura (non ha neanche due anni, il tipetto), che voleva fare tutt'altro, sentiva altre esigenze o quantomeno quella del sonno non era maggioritaria. Mi sono discosto, l'ho lasciato andare via e sono rimasto lì un po', sopraffatto dai dubbi, da domande a cui temo non ci sia alcuna risposta sensata.
A voi la parola.
