Ciclismo dell' Est Europa
Ciclismo dell' Est Europa
Sull'onda della discussione scaturita nel recente topic dedicato a Zenon Jaskula, ho controllato se vi fosse già una discussione dedicata al ciclismo e ai corridori dell'Europa Orientale, tema che credo abbia affascinato molti, specialmente per quell'alone sospeso tra realtà e leggenda che alcuni dei protagonisti del passato, impossibilitati a diventare professionisti per via del blocco che vi era in tutti i paesi che rientravano nell'area d'influenza sovietica.
Così ci si è chiesti quanto e cosa avrebbe potuto vincere uno come Sergei Soukhoroutchenkov se solo non fosse arrivato al professionismo già ultratrentenne; se uno come Olaf Ludwig (a cui pure era stato dedicato un topic apposito qui) sarebbe stato ben più di un semplice corridore veloce (cosa che nel dilettantismo aveva dimostrato di essere). E poi i polacchi a cui si accennava, con Lech Piasecki e Czeslaw Lang ammirati per molti anni in Italia ma che, come abbiamo visto, nonostante un indubbio talento erano stati preceduti e seguiti da connazionali in possesso di doti ancora più straordinarie.
E poi c'è quel mondo che a me affascina da sempre, come quello della ex Jugoslavia, che con un piccolo stato come la Slovenia che sta facendo indubbiamente parlare in questi ultimissimi anni. Che poi io pongo un quesito: la Slovenia andrebbe vista come il più "europeista" degli stati dell'ex federazione jugoslava o il "meno orientale" dei paesi dell'Est?
Beh, senza tirare in ballo temi trattati in ambito universitario, posso dire che qualche anno fa ebbi l'occasione di conoscere un ex ciclista jugoslavo (arrivato fino ai dilettanti), che vestì la maglia della nazionale anche in occasioni importanti come il Giro delle Regioni. A lui, oggi di nazionalità croata, chiesi perché c'era quest'enorme discrepanza tra i ciclisti sloveni e quelli di tutto il resto della federazione (se ci facciamo caso di croati e serbi, a discreti livelli, ne sono venuti fuori pochissimi, se facciamo caso all'estensione territoriale in rapporto alla Slovenia, men che meno di bosniaci). Mi fece notare che effettivamente sono due mondi a parte, esprimendomi un concetto che si può riassumere col fatto che gli sloveni hanno da sempre una diversa programmazione e un diverso modo di allenarsi che era molto più all'avanguardia. Insomma, anche in anni più recenti, credo che un ciclista sloveno potesse già permettersi una bicicletta da corsa di un certo livello, lì dove magari in altri stati ancora giravano modelli vecchissimi. Poi chiaramente subentrano anche motivazioni di carattere storico e non è un caso che la Slovenia sia stata la prima a staccarsi concretamente da Belgrado, nel momento in cui la polveriera balcanica stava per riesplodere.
Comunque sia, per chi vuole, penso che uno spazio ad hoc per sbizzarrirsi fosse necessario.
P.S.: ovviamente vi sono, come per l'intera storia del ciclismo professionistico, varie vicende controverse, che però non sarebbe interesse approfondire in questa sezione.
Così ci si è chiesti quanto e cosa avrebbe potuto vincere uno come Sergei Soukhoroutchenkov se solo non fosse arrivato al professionismo già ultratrentenne; se uno come Olaf Ludwig (a cui pure era stato dedicato un topic apposito qui) sarebbe stato ben più di un semplice corridore veloce (cosa che nel dilettantismo aveva dimostrato di essere). E poi i polacchi a cui si accennava, con Lech Piasecki e Czeslaw Lang ammirati per molti anni in Italia ma che, come abbiamo visto, nonostante un indubbio talento erano stati preceduti e seguiti da connazionali in possesso di doti ancora più straordinarie.
E poi c'è quel mondo che a me affascina da sempre, come quello della ex Jugoslavia, che con un piccolo stato come la Slovenia che sta facendo indubbiamente parlare in questi ultimissimi anni. Che poi io pongo un quesito: la Slovenia andrebbe vista come il più "europeista" degli stati dell'ex federazione jugoslava o il "meno orientale" dei paesi dell'Est?
Beh, senza tirare in ballo temi trattati in ambito universitario, posso dire che qualche anno fa ebbi l'occasione di conoscere un ex ciclista jugoslavo (arrivato fino ai dilettanti), che vestì la maglia della nazionale anche in occasioni importanti come il Giro delle Regioni. A lui, oggi di nazionalità croata, chiesi perché c'era quest'enorme discrepanza tra i ciclisti sloveni e quelli di tutto il resto della federazione (se ci facciamo caso di croati e serbi, a discreti livelli, ne sono venuti fuori pochissimi, se facciamo caso all'estensione territoriale in rapporto alla Slovenia, men che meno di bosniaci). Mi fece notare che effettivamente sono due mondi a parte, esprimendomi un concetto che si può riassumere col fatto che gli sloveni hanno da sempre una diversa programmazione e un diverso modo di allenarsi che era molto più all'avanguardia. Insomma, anche in anni più recenti, credo che un ciclista sloveno potesse già permettersi una bicicletta da corsa di un certo livello, lì dove magari in altri stati ancora giravano modelli vecchissimi. Poi chiaramente subentrano anche motivazioni di carattere storico e non è un caso che la Slovenia sia stata la prima a staccarsi concretamente da Belgrado, nel momento in cui la polveriera balcanica stava per riesplodere.
Comunque sia, per chi vuole, penso che uno spazio ad hoc per sbizzarrirsi fosse necessario.
P.S.: ovviamente vi sono, come per l'intera storia del ciclismo professionistico, varie vicende controverse, che però non sarebbe interesse approfondire in questa sezione.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Serbi e croati fanno solo sport dove c'è una palla. E in quel campo sono i migliori del mondo, considerando i vari sport e il ridotto numero di abitanti.
Il resto gli interessa poco o nulla.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
I ciclisti dell est Europa son sempre stati per me un mistero, mi domandavo cosa avrebbero fatto tra i pro.
In generale avevano carriere piuttosto brevi ad alto livello, correvano su distanze da dilettanti e quasi mai affrontavano grandi salite.
La corsa della pace, che era il loro Tour de France,, non aveva mai percorsi severissimi.
Quando sono passati pro,, alcuni hanno fallito,, altri faticato ma poi sono emersi (vedi Tchmil e Ugrumov), Ludwig era un fenomeno e ha fatto in tempo a vincere,, ma altri come Raab e Ampler,, che nei puri erano nell'elite hanno fatto pochino. Ampler,, figlio d'arte, era passato a 25 anni. Immagino che sia stato spremuto prima,, ma io mi aspettavo di più
La mia domanda era, cosa avrebbero potuto diventare Schur, Szurkowski, soukorouchenkov?
Quanti anni sarebbero durate le loro carriere ad alto livello? Furono atleti spremuti a tutti i livelli per pochi anni o, se meglio gestiti, avrebbero potuto avere carriere più durature?
Ho sempre pensato,, che quando venivano al Giro delle regioni, al Giro baby o al Tour de l'Avenir si scontravano con i dilettanti dell'ovest,, e non sempre vincevano.
Quindi non si scontravano con Hinault o Mosèr ma con ragazzi magari più giovani di loro che non sempre poi emergevano tra i pro.
Quanti Ullrich, Sagan, Menchov o Pogacar abbiamo effettivamente lasciato per strada?
In generale avevano carriere piuttosto brevi ad alto livello, correvano su distanze da dilettanti e quasi mai affrontavano grandi salite.
La corsa della pace, che era il loro Tour de France,, non aveva mai percorsi severissimi.
Quando sono passati pro,, alcuni hanno fallito,, altri faticato ma poi sono emersi (vedi Tchmil e Ugrumov), Ludwig era un fenomeno e ha fatto in tempo a vincere,, ma altri come Raab e Ampler,, che nei puri erano nell'elite hanno fatto pochino. Ampler,, figlio d'arte, era passato a 25 anni. Immagino che sia stato spremuto prima,, ma io mi aspettavo di più
La mia domanda era, cosa avrebbero potuto diventare Schur, Szurkowski, soukorouchenkov?
Quanti anni sarebbero durate le loro carriere ad alto livello? Furono atleti spremuti a tutti i livelli per pochi anni o, se meglio gestiti, avrebbero potuto avere carriere più durature?
Ho sempre pensato,, che quando venivano al Giro delle regioni, al Giro baby o al Tour de l'Avenir si scontravano con i dilettanti dell'ovest,, e non sempre vincevano.
Quindi non si scontravano con Hinault o Mosèr ma con ragazzi magari più giovani di loro che non sempre poi emergevano tra i pro.
Quanti Ullrich, Sagan, Menchov o Pogacar abbiamo effettivamente lasciato per strada?
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Dubbi più che legittimi caro giorgio. Se vogliamo si potrebbe anche pensare a cosa sarebbe stato il ciclismo mondiale se fosse stato effettivamente...mondiale già in certi tempi. Se pensiamo ad oggi vediamo che gli anglosassoni hanno raggiunto livelli altissimi. Il nord Europa (inteso soprattutto come Danimarca e Norvegia) ha raggiunto livelli eccellenti. I colombiani ormai non sono più meri "scalatori da spettacolo" ma corridori in grado di competere per vincerli i giri e anche per puntare ad altri obiettivi (vedasi Gaviria o altri connazionali in grado di vincere mondiali su pista). Prima, se si pensa a certe nazioni, ci si rende conto di ricordarsi bene solo qualche nome: così se penso alla Gran Bretagna penso al povero Simpson o a Barry Hoban, se penso alla Norvegia mi viene in mente Knudsen (mentre la Svezia, ora in un momento meno proficuo, aveva i Pettersson e Prim). Pensare alla Colombia ancor prima di Lucho Herrera mi vien da pensare a Martin "Cochise" Rodriguez.giorgio ricci ha scritto: ↑domenica 22 novembre 2020, 22:19 I ciclisti dell est Europa son sempre stati per me un mistero, mi domandavo cosa avrebbero fatto tra i pro.
In generale avevano carriere piuttosto brevi ad alto livello, correvano su distanze da dilettanti e quasi mai affrontavano grandi salite.
La corsa della pace, che era il loro Tour de France,, non aveva mai percorsi severissimi.
Quando sono passati pro,, alcuni hanno fallito,, altri faticato ma poi sono emersi (vedi Tchmil e Ugrumov), Ludwig era un fenomeno e ha fatto in tempo a vincere,, ma altri come Raab e Ampler,, che nei puri erano nell'elite hanno fatto pochino. Ampler,, figlio d'arte, era passato a 25 anni. Immagino che sia stato spremuto prima,, ma io mi aspettavo di più
La mia domanda era, cosa avrebbero potuto diventare Schur, Szurkowski, soukorouchenkov?
Quanti anni sarebbero durate le loro carriere ad alto livello? Furono atleti spremuti a tutti i livelli per pochi anni o, se meglio gestiti, avrebbero potuto avere carriere più durature?
Ho sempre pensato,, che quando venivano al Giro delle regioni, al Giro baby o al Tour de l'Avenir si scontravano con i dilettanti dell'ovest,, e non sempre vincevano.
Quindi non si scontravano con Hinault o Mosèr ma con ragazzi magari più giovani di loro che non sempre poi emergevano tra i pro.
Quanti Ullrich, Sagan, Menchov o Pogacar abbiamo effettivamente lasciato per strada?
Insomma, certe cose sono state indubbiamente favorite dalla globalizzazione e dalla fine della contrapposizione dei blocchi e sarebbe stato molto ma molto interessante vedere certi fuoriclasse dell'Est (perché uno come "Soukho", tanto per dire forse il più eclatante, fuoriclasse lo è stato eccome) alle prese con i più forti del Vecchio Continente.
Personalmente tra gli ex sovietici ho sempre apprezzato Dimitri Konyshev, uno che per le doti che aveva ha senz'altro vinto molto meno di quel che poteva, pur essendosi ritagliato una carriera professionistica di tutto rispetto. Basti pensare che da corridore che sembrava poter essere portato per far bene anche nei grandi giri si rivelò pure corridore in grado di vincere le volate di gruppo, specie tra la metà e l'ultima fase della carriera.
Ugrumov pareva uno dei pochi in grado di poter mettere in difficoltà Indurain ma la sua parabola non durò a sufficienza. Così come ricordo corridori come Outchakov, Gonchenkov e Teteriuk che avevano saputo far bene nei primi anni Novanta, salvo poi non riuscire a ripetere certe prestazioni (e ci sarebbero diversi altri nomi da fare).
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Non ho la conoscenza storica ne la padronanza del tema per poter contribuire al dibattito, ma intevengo per ringraziare Abruzzese per il thread e per i suoi approfondimenti sul tema; le parobole dei ciclisti dell'est europa mi hanno sempre incuriosito e anch'io - come Giorgio - mi sono domandato spesso cosa avrebbero fatto i dominatori del ciclismo dilettantistico degli anni 70-80 (spesso Sovietici o della DDR) messi a confronto con i grandi del ciclismo professionistico di quegli anni.
Spero che il thread continui ad arricchirsi
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
I colombiani negli anni 80 avevano caratteristiche prestazionali simili a quelli dell'est. Carriere brevi, prestazioni altalenanti, buone potenzialità ma molte volte inespresse. Un Tour de l'Avenir venne vinto da Florez nell '81,, corridore di cui poi si persero le tracce.
Ricordo pure Martin Ramirez al Delfinato 84, altro corridore che non fece più exploit ad alto livello.
Anche il ceco Jiry Skoda vinse due giri delle regioni e fra i dilettanti era ad alto livello,, passò nell'87, quando comunque era ancora competitivo , ma,, a parte qualche piazzamento non fece vedere nulla tra i pro.
La domanda é anche maliziosa,, perché purtroppo andiamo in un campo minato.
Il dubbio non è solo, se Shur o i tedeschi dell'est viaggiassero al limite e con regole più trasparenti sarebbero emersi, ma quanti talenti sono stati lasciati indietro, senza dare loro la possibilità di emergere,, solamente perché avevano una maturazione più lenta.
Ricordo pure Martin Ramirez al Delfinato 84, altro corridore che non fece più exploit ad alto livello.
Anche il ceco Jiry Skoda vinse due giri delle regioni e fra i dilettanti era ad alto livello,, passò nell'87, quando comunque era ancora competitivo , ma,, a parte qualche piazzamento non fece vedere nulla tra i pro.
La domanda é anche maliziosa,, perché purtroppo andiamo in un campo minato.
Il dubbio non è solo, se Shur o i tedeschi dell'est viaggiassero al limite e con regole più trasparenti sarebbero emersi, ma quanti talenti sono stati lasciati indietro, senza dare loro la possibilità di emergere,, solamente perché avevano una maturazione più lenta.
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Come dicevo, l'idea era venuta dopo il thread su Jaskula, dove si era finiti a parlare anche di Plouay e dei tanti successi di corridori dell'Est nelle categorie giovanili lì e nell'edizione successiva dei mondiali a Lisbona. Alla fine limiti di tempo non ce ne sono, si può parlare benissimo anche dell'attuale (non a caso facevo riferimento anche alla Slovenia), quindi ben venga qualsiasi contributo .simociclo ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 10:15 Non ho la conoscenza storica ne la padronanza del tema per poter contribuire al dibattito, ma intevengo per ringraziare Abruzzese per il thread e per i suoi approfondimenti sul tema; le parobole dei ciclisti dell'est europa mi hanno sempre incuriosito e anch'io - come Giorgio - mi sono domandato spesso cosa avrebbero fatto i dominatori del ciclismo dilettantistico degli anni 70-80 (spesso Sovietici o della DDR) messi a confronto con i grandi del ciclismo professionistico di quegli anni.
Spero che il thread continui ad arricchirsi
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Ciao Vivian,Abruzzese ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 18:06Come dicevo, l'idea era venuta dopo il thread su Jaskula, dove si era finiti a parlare anche di Plouay e dei tanti successi di corridori dell'Est nelle categorie giovanili lì e nell'edizione successiva dei mondiali a Lisbona. Alla fine limiti di tempo non ce ne sono, si può parlare benissimo anche dell'attuale (non a caso facevo riferimento anche alla Slovenia), quindi ben venga qualsiasi contributo .simociclo ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 10:15 Non ho la conoscenza storica ne la padronanza del tema per poter contribuire al dibattito, ma intevengo per ringraziare Abruzzese per il thread e per i suoi approfondimenti sul tema; le parobole dei ciclisti dell'est europa mi hanno sempre incuriosito e anch'io - come Giorgio - mi sono domandato spesso cosa avrebbero fatto i dominatori del ciclismo dilettantistico degli anni 70-80 (spesso Sovietici o della DDR) messi a confronto con i grandi del ciclismo professionistico di quegli anni.
Spero che il thread continui ad arricchirsi
mi ha sempre incuriosito la Alfa Lum (era proprio il periodo che ho iniziato a seguire il ciclismo), che aveva in squadra mi sembra nel 1988 praticamente tutti ciclisti Sovietici. Sai qualche retroscena di come si creo quella squadra?
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Anticipato da IlLiceIlLince ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 18:55Ciao Vivian,Abruzzese ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 18:06Come dicevo, l'idea era venuta dopo il thread su Jaskula, dove si era finiti a parlare anche di Plouay e dei tanti successi di corridori dell'Est nelle categorie giovanili lì e nell'edizione successiva dei mondiali a Lisbona. Alla fine limiti di tempo non ce ne sono, si può parlare benissimo anche dell'attuale (non a caso facevo riferimento anche alla Slovenia), quindi ben venga qualsiasi contributo .simociclo ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 10:15 Non ho la conoscenza storica ne la padronanza del tema per poter contribuire al dibattito, ma intevengo per ringraziare Abruzzese per il thread e per i suoi approfondimenti sul tema; le parobole dei ciclisti dell'est europa mi hanno sempre incuriosito e anch'io - come Giorgio - mi sono domandato spesso cosa avrebbero fatto i dominatori del ciclismo dilettantistico degli anni 70-80 (spesso Sovietici o della DDR) messi a confronto con i grandi del ciclismo professionistico di quegli anni.
Spero che il thread continui ad arricchirsi
mi ha sempre incuriosito la Alfa Lum (era proprio il periodo che ho iniziato a seguire il ciclismo), che aveva in squadra mi sembra nel 1988 praticamente tutti ciclisti Sovietici. Sai qualche retroscena di come si creo quella squadra?
Anch'io sono curioso di capire perchè proprio l'Alfa Lum fu lo sponsor della prima squadra professionistica con atleti sovietici e anche quali furono gli impatti sui ciclisti di quel team (ad esempio: i più forti tra i dilettanti furono anche i migliori tra i prof?)
Inoltre: era un progetto che nasceva per durare tot anni e che è stato poi interrotto dalla caduta della Cortina di Ferro?
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Grande fan del ciclismo della Germania orientalegiorgio ricci ha scritto: ↑domenica 22 novembre 2020, 22:19 I ciclisti dell est Europa son sempre stati per me un mistero, mi domandavo cosa avrebbero fatto tra i pro.
In generale avevano carriere piuttosto brevi ad alto livello, correvano su distanze da dilettanti e quasi mai affrontavano grandi salite.
La corsa della pace, che era il loro Tour de France,, non aveva mai percorsi severissimi.
Quando sono passati pro,, alcuni hanno fallito,, altri faticato ma poi sono emersi (vedi Tchmil e Ugrumov), Ludwig era un fenomeno e ha fatto in tempo a vincere,, ma altri come Raab e Ampler,, che nei puri erano nell'elite hanno fatto pochino. Ampler,, figlio d'arte, era passato a 25 anni. Immagino che sia stato spremuto prima,, ma io mi aspettavo di più
La mia domanda era, cosa avrebbero potuto diventare Schur, Szurkowski, soukorouchenkov?
Quanti anni sarebbero durate le loro carriere ad alto livello? Furono atleti spremuti a tutti i livelli per pochi anni o, se meglio gestiti, avrebbero potuto avere carriere più durature?
Ho sempre pensato,, che quando venivano al Giro delle regioni, al Giro baby o al Tour de l'Avenir si scontravano con i dilettanti dell'ovest,, e non sempre vincevano.
Quindi non si scontravano con Hinault o Mosèr ma con ragazzi magari più giovani di loro che non sempre poi emergevano tra i pro.
Quanti Ullrich, Sagan, Menchov o Pogacar abbiamo effettivamente lasciato per strada?
Le maglie grigie della ddr avevano un fascino incredibile
Sia su strada che su pista
Per me hanno ottenuto di meno tra i pro perché gli è mancata l organizzazione
Abituati alle regole , a qualcuno che t dice sempre cosa fare
Il professionismo , specie di allora , t dava molte libertà
In piu.. i soldi
Ullrich i 15 kg d inverno ..non li prendeva sotto becker alla dinamo berlin
Con il contratto da ml di marchi..becker era sempre il suo mentore..ma era quasi un suo dipendente
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Doveva durare più annisimociclo ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 19:05 Anticipato da IlLice
Anch'io sono curioso di capire perchè proprio l'Alfa Lum fu lo sponsor della prima squadra professionistica con atleti sovietici e anche quali furono gli impatti sui ciclisti di quel team (ad esempio: i più forti tra i dilettanti furono anche i migliori tra i prof?)
Inoltre: era un progetto che nasceva per durare tot anni e che è stato poi interrotto dalla caduta della Cortina di Ferro?
Ma il passaggio di ekimov alla panasonic fece crollare l accordo
Più che alfa lum il grande arteficie fu colnago (come per i polacchi)
Konychev era il più quotato (soukou era ormai vecchio)
Poi dietro poulnikov e ugrumov
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Per l'Alfa Lum dei Sovietici urge l'intervento di Morris, che di quella squadra fu il DS.
Preservare lo spirito di quel tempo, in cui credevamo nell'unità e allo stesso tempo nella diversità
Nataša Pirc Musar, 8 febbraio 2024, presidente della Slovenia,
Frase pronunciata a Sarajevo durante la cerimonia per l'intitolazione della pista olimpica al goriziano Jure Franko, unico medagliato jugoslavo alle olimpiadi invernali
Nataša Pirc Musar, 8 febbraio 2024, presidente della Slovenia,
Frase pronunciata a Sarajevo durante la cerimonia per l'intitolazione della pista olimpica al goriziano Jure Franko, unico medagliato jugoslavo alle olimpiadi invernali
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Per ragioni anagrafiche (all'epoca avevo appena 5 anni) non ho vissuto quell'epoca in presa diretta. Qualcuno penso proprio che potrebbe rispondere in maniera molto più esauriente e completa ai vostri quesiti ma purtroppo non scrive più da tempo su queste pagine.simociclo ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 19:05Anticipato da IlLiceIlLince ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 18:55Ciao Vivian,Abruzzese ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 18:06
Come dicevo, l'idea era venuta dopo il thread su Jaskula, dove si era finiti a parlare anche di Plouay e dei tanti successi di corridori dell'Est nelle categorie giovanili lì e nell'edizione successiva dei mondiali a Lisbona. Alla fine limiti di tempo non ce ne sono, si può parlare benissimo anche dell'attuale (non a caso facevo riferimento anche alla Slovenia), quindi ben venga qualsiasi contributo .
mi ha sempre incuriosito la Alfa Lum (era proprio il periodo che ho iniziato a seguire il ciclismo), che aveva in squadra mi sembra nel 1988 praticamente tutti ciclisti Sovietici. Sai qualche retroscena di come si creo quella squadra?
Anch'io sono curioso di capire perchè proprio l'Alfa Lum fu lo sponsor della prima squadra professionistica con atleti sovietici e anche quali furono gli impatti sui ciclisti di quel team (ad esempio: i più forti tra i dilettanti furono anche i migliori tra i prof?)
Inoltre: era un progetto che nasceva per durare tot anni e che è stato poi interrotto dalla caduta della Cortina di Ferro?
Da quel che ho capito uno dei fautori dell'operazione fu Ernesto Colnago, che fece la sua parte per la riuscita del progetto, indubbiamente ambizioso alla vigilia. Purtroppo durò decisamente poco perché poi l'Alfa Lum abbandonò il ciclismo maschile (la ritroveremo qualche anno dopo in ambito femminile) e così solo alcuni di quei talentuosi ragazzi sovietici riuscì a proseguire la carriera professionistica.
Qui comunque c'è un articolo dell'epoca uscito su Repubblica, in cui si parla della nascita di quell'ambiziosa avventura (si consideri comunque che l'Alfa Lum come squadra esisteva già da anni, tanto che prima di quell'inverno aveva avuto tra le sue file l'allora neocampione del mondo Maurizio Fondriest):
https://ricerca.repubblica.it/repubblic ... lismo.html
"L'importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L'importante è ciò che provi mentre corri" (Giorgio Faletti in "Notte prima degli esami")
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Bel thread.
Però tra i ciclisti dell'est che più avevano potenziale da under e promettevano di spaccare il mondo mi permetto di citare Yaroslav Popovych e e il compianto Dmitro Grabovskyy (senza appunto già citare nuovamente i già citati Petrov, Vaitkus, Kvachuk, Lagutin e Ignatiev) e mi pare di ricordare che tutti fossero cresciuti ciclisticamente nel nostro bel paese, perché per esempio, per il più vecchio di loro (Yaroslav) la caduta del muro fu un fatto accaduto solo da bambino e la rigida disciplina stigmatizzata come metodo di successo per gli atleti dell'est non dovrebbe averli influenzati (diverso è il caso di uno Shevchenko, comunque più vecchio di 4 anni, che citava sempre Lobanovskiy e i suoi rigidi allenamenti come fatto propedeutico della sua carreira, ma arrivato in Italia già a 23 anni, età peraltro in cui un calciatore è solitamente già formato rispetto ad un ciclista)
Eppure a cavallo tra gli anni novanta e primi anni duemila i ciclisti dell'est avevano fatto man bassa di medaglie e vittorie tra categorie juniores e dilettanti, in particolare i due ucraini. Come si può giustificare questo fatto? Si può ridurre all'ormai nota storiella del fatto che il doping imperversava selvaggio e quindi viziava le loro prestazioni? (e allora perchè non atleti italiani o di altre nazionalità?).
Però tra i ciclisti dell'est che più avevano potenziale da under e promettevano di spaccare il mondo mi permetto di citare Yaroslav Popovych e e il compianto Dmitro Grabovskyy (senza appunto già citare nuovamente i già citati Petrov, Vaitkus, Kvachuk, Lagutin e Ignatiev) e mi pare di ricordare che tutti fossero cresciuti ciclisticamente nel nostro bel paese, perché per esempio, per il più vecchio di loro (Yaroslav) la caduta del muro fu un fatto accaduto solo da bambino e la rigida disciplina stigmatizzata come metodo di successo per gli atleti dell'est non dovrebbe averli influenzati (diverso è il caso di uno Shevchenko, comunque più vecchio di 4 anni, che citava sempre Lobanovskiy e i suoi rigidi allenamenti come fatto propedeutico della sua carreira, ma arrivato in Italia già a 23 anni, età peraltro in cui un calciatore è solitamente già formato rispetto ad un ciclista)
Eppure a cavallo tra gli anni novanta e primi anni duemila i ciclisti dell'est avevano fatto man bassa di medaglie e vittorie tra categorie juniores e dilettanti, in particolare i due ucraini. Come si può giustificare questo fatto? Si può ridurre all'ormai nota storiella del fatto che il doping imperversava selvaggio e quindi viziava le loro prestazioni? (e allora perchè non atleti italiani o di altre nazionalità?).
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Certo che se Morris intervenisse su questo 3d sarebbe un gran bel regalo,,
Ha una cultura e una passione che quando lo leggo mi emoziono.
Spero voglia aprire una porticina.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Non volendo spingersi su altri terreni, come avevo già precisato nel primo post, la potremmo spiegare allo stesso modo del dominio a livello giovanile delle nostre ragazze, tanto su strada quanto su pista. Se ci facciamo caso quante delle nostre atlete, così vincenti a livello giovanile, sono ancora ad altissimi livelli tra le Elite? Anzi, ci sarebbe pure da chiedersi quante ancora pedalano? (Chiaro che per il femminile entrano in scena altri fattori). La risposta può stare nel fatto di constatazioni emerse in discussioni fatte in passato, ossia che le nostre probabilmente arrivavano agli appuntamenti di cartello decisamente più allenate delle loro colleghe straniere (e so di allenamenti davvero massacranti per l'età che avevano, con distanze percorse assolutamente spropositate), cosicché era fisiologico aspettarsi vittorie ripetute. Una volta giunte nella massima categoria, dove l'asticella si alza ulteriormente, diventa decisamente più difficile restare al passo per chi magari viene già spremuto prima del tempo. Credo che con vari corridori dell'Est il discorso da fare potrebbe essere affine, se si vuole restare nell'ambito delle spiegazioni lecite.Stylus ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 19:54 Eppure a cavallo tra gli anni novanta e primi anni duemila i ciclisti dell'est avevano fatto man bassa di medaglie e vittorie tra categorie juniores e dilettanti, in particolare i due ucraini. Come si può giustificare questo fatto? Si può ridurre all'ormai nota storiella del fatto che il doping imperversava selvaggio e quindi viziava le loro prestazioni? (e allora perchè non atleti italiani o di altre nazionalità?).
Tra gli ucraini ricordo anche Vladimir Duma, buon cacciatore di tappe, Ruslan Pidgornyy che pure si era messo in evidenza nel nostro dilettantismo e quel Sergey Matveyev che a cronometro aveva buone qualità e che per diversi anni fu alla corte dei Reverberi nella Panaria (tra l'altro non vorrei ricordare male ma credo che non si lasciarono benissimo).
"L'importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L'importante è ciò che provi mentre corri" (Giorgio Faletti in "Notte prima degli esami")
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Li viziava il fatto di esser super professionisti però da junior o underStylus ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 19:54 Bel thread.
Però tra i ciclisti dell'est che più avevano potenziale da under e promettevano di spaccare il mondo mi permetto di citare Yaroslav Popovych e e il compianto Dmitro Grabovskyy (senza appunto già citare nuovamente i già citati Petrov, Vaitkus, Kvachuk, Lagutin e Ignatiev) e mi pare di ricordare che tutti fossero cresciuti ciclisticamente nel nostro bel paese, perché per esempio, per il più vecchio di loro (Yaroslav) la caduta del muro fu un fatto accaduto solo da bambino e la rigida disciplina stigmatizzata come metodo di successo per gli atleti dell'est non dovrebbe averli influenzati (diverso è il caso di uno Shevchenko, comunque più vecchio di 4 anni, che citava sempre Lobanovskiy e i suoi rigidi allenamenti come fatto propedeutico della sua carreira, ma arrivato in Italia già a 23 anni, età peraltro in cui un calciatore è solitamente già formato rispetto ad un ciclista)
Eppure a cavallo tra gli anni novanta e primi anni duemila i ciclisti dell'est avevano fatto man bassa di medaglie e vittorie tra categorie juniores e dilettanti, in particolare i due ucraini. Come si può giustificare questo fatto? Si può ridurre all'ormai nota storiella del fatto che il doping imperversava selvaggio e quindi viziava le loro prestazioni? (e allora perchè non atleti italiani o di altre nazionalità?).
Popovytch alla vellutex
Ritiro perenne.. allenamenti durissimi
Peso 4 kg in meno che alla us postal
Genitori? Visti 6 giorni in tutto l anno
Quando firma il bel contratto .. la fame..non c è più
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Comunque vi confesso che, tra le altre cose, avrei curiosità di sapere come stia vivendo l'attuale momento qualche corridore bielorusso. Come penso saprete la situazione nel Paese è tutt'altro che semplice dopo la riconferma al potere di Lukashenko, contestata (eufemismo) dai più. Tra l'altro credo proprio che anche la principale squadra del paese, il Minsk Cycling Club sia in qualche modo legata alle fonti governative (più che altro me lo fa pensare il modo in cui si concluse la vicenda di Krasilnikau qualche anno fa).
"L'importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L'importante è ciò che provi mentre corri" (Giorgio Faletti in "Notte prima degli esami")
"qui c'è gente che è totalmente avulsa dalla realtà e nociva al forum"
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Un filone che mi ha sempre affascinato parlando di est Europa è quello dei corridori baltici, i velocisti estoni come kirsipuu pütsep tombak ( chiedo a voi esperti se c’è una motivazione particolare dietro al fatto che tutti o quasi gli estoni abbiano corso o corrano in squadre francesi?) , il cronoman lettone belohovosciks ed il connazionale vainsteins ( mi piaceva tantissimo) i lituani rumsas ( fortissimo a mio avviso) e vaitkus, insomma un mondo molto affascinante
Re: Ciclismo dell' Est Europa
In Germania est in realtà era statalizzata anche la scelta dello sport da praticare: nel senso che sceglievano i ragazzini e le ragazzine più portati fisicamente e gli assegnavano lo sport più adatto alle loro caratteristiche. Un sistema scientifico.giorgio ricci ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 12:07 I colombiani negli anni 80 avevano caratteristiche prestazionali simili a quelli dell'est. Carriere brevi, prestazioni altalenanti, buone potenzialità ma molte volte inespresse. Un Tour de l'Avenir venne vinto da Florez nell '81,, corridore di cui poi si persero le tracce.
Ricordo pure Martin Ramirez al Delfinato 84, altro corridore che non fece più exploit ad alto livello.
Anche il ceco Jiry Skoda vinse due giri delle regioni e fra i dilettanti era ad alto livello,, passò nell'87, quando comunque era ancora competitivo , ma,, a parte qualche piazzamento non fece vedere nulla tra i pro.
La domanda é anche maliziosa,, perché purtroppo andiamo in un campo minato.
Il dubbio non è solo, se Shur o i tedeschi dell'est viaggiassero al limite e con regole più trasparenti sarebbero emersi, ma quanti talenti sono stati lasciati indietro, senza dare loro la possibilità di emergere,, solamente perché avevano una maturazione più lenta.
A parte il doping ( chi è senza peccato...) una cosa orrendamente liberticida, ma credo fosse difficile gli sfuggisse un talento, la DDR era una oliata fabbrica di medaglie olimpiche
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Per ragioni anagrafiche (all'epoca avevo appena 5 anni) non ho vissuto quell'epoca in presa diretta. Qualcuno penso proprio che potrebbe rispondere in maniera molto più esauriente e completa ai vostri quesiti ma purtroppo non scrive più da tempo su queste pagine.
Da quel che ho capito uno dei fautori dell'operazione fu Ernesto Colnago, che fece la sua parte per la riuscita del progetto, indubbiamente ambizioso alla vigilia. Purtroppo durò decisamente poco perché poi l'Alfa Lum abbandonò il ciclismo maschile (la ritroveremo qualche anno dopo in ambito femminile) e così solo alcuni di quei talentuosi ragazzi sovietici riuscì a proseguire la carriera professionistica.
Qui comunque c'è un articolo dell'epoca uscito su Repubblica, in cui si parla della nascita di quell'ambiziosa avventura (si consideri comunque che l'Alfa Lum come squadra esisteva già da anni, tanto che prima di quell'inverno aveva avuto tra le sue file l'allora neocampione del mondo Maurizio Fondriest):
https://ricerca.repubblica.it/repubblic ... lismo.html
[/quote]
Ti ringrazio per il link, immaginavo che fosse l´anno di Zavarov. Cmq Ugromov velocista non si può leggere
Da quel che ho capito uno dei fautori dell'operazione fu Ernesto Colnago, che fece la sua parte per la riuscita del progetto, indubbiamente ambizioso alla vigilia. Purtroppo durò decisamente poco perché poi l'Alfa Lum abbandonò il ciclismo maschile (la ritroveremo qualche anno dopo in ambito femminile) e così solo alcuni di quei talentuosi ragazzi sovietici riuscì a proseguire la carriera professionistica.
Qui comunque c'è un articolo dell'epoca uscito su Repubblica, in cui si parla della nascita di quell'ambiziosa avventura (si consideri comunque che l'Alfa Lum come squadra esisteva già da anni, tanto che prima di quell'inverno aveva avuto tra le sue file l'allora neocampione del mondo Maurizio Fondriest):
https://ricerca.repubblica.it/repubblic ... lismo.html
[/quote]
Ti ringrazio per il link, immaginavo che fosse l´anno di Zavarov. Cmq Ugromov velocista non si può leggere
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Non so chi sia l'autore di quell'articolo perché non è riportato ma questo fa capire che probabilmente non tutti quei giovanotti fossero così conosciuti al tempo.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Si pensava a tutto: ai ritmi della giornata, al tempo libero e così anche agli sport da praticare, con predilezione per quelli di squadra.Cthulhu ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 23:31In Germania est in realtà era statalizzata anche la scelta dello sport da praticare: nel senso che sceglievano i ragazzini e le ragazzine più portati fisicamente e gli assegnavano lo sport più adatto alle loro caratteristiche. Un sistema scientifico.giorgio ricci ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 12:07 I colombiani negli anni 80 avevano caratteristiche prestazionali simili a quelli dell'est. Carriere brevi, prestazioni altalenanti, buone potenzialità ma molte volte inespresse. Un Tour de l'Avenir venne vinto da Florez nell '81,, corridore di cui poi si persero le tracce.
Ricordo pure Martin Ramirez al Delfinato 84, altro corridore che non fece più exploit ad alto livello.
Anche il ceco Jiry Skoda vinse due giri delle regioni e fra i dilettanti era ad alto livello,, passò nell'87, quando comunque era ancora competitivo , ma,, a parte qualche piazzamento non fece vedere nulla tra i pro.
La domanda é anche maliziosa,, perché purtroppo andiamo in un campo minato.
Il dubbio non è solo, se Shur o i tedeschi dell'est viaggiassero al limite e con regole più trasparenti sarebbero emersi, ma quanti talenti sono stati lasciati indietro, senza dare loro la possibilità di emergere,, solamente perché avevano una maturazione più lenta.
A parte il doping ( chi è senza peccato...) una cosa orrendamente liberticida, ma credo fosse difficile gli sfuggisse un talento, la DDR era una oliata fabbrica di medaglie olimpiche
Quando nel 1974 ci fu la storica vittoria della DDR sugli occidentali (che di lì a poco sarebbero diventati campione) grazie al gol decisivo di Sparwasser, mi pare che 8 mila tedeschi orientali ebbero la possibilità di assistere alla partita tramite un permesso speciale, scaduto il quale però sarebbero dovuti rientrare in patria.
Sul resto beh, molto si è detto. Nulla che non si sappia.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Per quanto riguarda l'Estonia (soprattutto, ma come si è visto sono stati altri gli atleti baltici capitati sotto la sua gestione) il comune denominatore credo che sia Vincent Lavenu, che dopo aver chiuso nel 1991 la carriera ciclistica diventò subito direttore sportivo nella piccola Chazal, in cui cominciò a mettersi in evidenza il mitico Kirsipuu che tante volte abbiamo visto all'opera. Sull'onda di Kirsipuu arrivò più avanti nel team (che intanto aveva assunto la denominazione di Casino) anche il connazionale Lauri Aus, buon passista che purtroppo morì investito da un camion nel 2003 mentre si allenava. Janek Tombak invece arrivò già tra i dilettanti in Francia ma poi passò professionista con la Cofidis. Ricordo invece alla corte di Lavenu il lituano Arturas Kasputis, buon cronoman che anni addietro aveva conquistato l'oro olimpico a Seul nel quartetto sovietico che comprendeva anche Viatcheslav Ekimov.torcia86 ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 22:38 Un filone che mi ha sempre affascinato parlando di est Europa è quello dei corridori baltici, i velocisti estoni come kirsipuu pütsep tombak ( chiedo a voi esperti se c’è una motivazione particolare dietro al fatto che tutti o quasi gli estoni abbiano corso o corrano in squadre francesi?) , il cronoman lettone belohovosciks ed il connazionale vainsteins ( mi piaceva tantissimo) i lituani rumsas ( fortissimo a mio avviso) e vaitkus, insomma un mondo molto affascinante
Tra l'altro qualche buon corridore l'Estonia continua a sfornarlo anche ora: tra i giovani più interessanti segnalo il velocista Rait Arm (classe 2000, terzo lo scorso anno agli Europei U23 vinti da Alberto Dainese) e il passista Gleb Karpenko (classe 2001, quinto sempre agli Europei dello scorso anno ma nella prova a cronometro degli juniores, vinta da Andrea Piccolo). Qualche buon esponente c'è pure nel fuoristrada, come Martin Loo (che ha gareggiato spesso anche in Italia) o come Peeter Prus, che ha gareggiato per vari anni su strada (in realtà lo fa ancora) ma che si è tolto belle soddisfazioni anche nella MTB, diventando campione europeo Marathon nel 2016.
Sul lettone Raivis Belohvosciks la curiosità che posso citare sta nel fatto che anche suo figlio Kristians corre in bicicletta: essendo un 2002 ha concluso la categoria juniores.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Georges Barras , belga vallonetorcia86 ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 22:38 Un filone che mi ha sempre affascinato parlando di est Europa è quello dei corridori baltici, i velocisti estoni come kirsipuu pütsep tombak ( chiedo a voi esperti se c’è una motivazione particolare dietro al fatto che tutti o quasi gli estoni abbiano corso o corrano in squadre francesi?) , il cronoman lettone belohovosciks ed il connazionale vainsteins ( mi piaceva tantissimo) i lituani rumsas ( fortissimo a mio avviso) e vaitkus, insomma un mondo molto affascinante
Ex gregario di merckx
Dietro tutti i corridori dei paesi baltici degli anni 90 inizio 2000 c era lui
Re: Ciclismo dell' Est Europa
EsattamenteCthulhu ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 23:31 In Germania est in realtà era statalizzata anche la scelta dello sport da praticare: nel senso che sceglievano i ragazzini e le ragazzine più portati fisicamente e gli assegnavano lo sport più adatto alle loro caratteristiche. Un sistema scientifico.
A parte il doping ( chi è senza peccato...) una cosa orrendamente liberticida, ma credo fosse difficile gli sfuggisse un talento, la DDR era una oliata fabbrica di medaglie olimpiche
In più per gli uomini il ciclismo era nettamente lo sport numero uno
36 premi di sportivo dell anno nella ddr ..16 ad un ciclista
Avevano un bacino incredibile
Re: Ciclismo dell' Est Europa
E un inno meraviglioso...Winter ha scritto: ↑martedì 24 novembre 2020, 7:31EsattamenteCthulhu ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 23:31 In Germania est in realtà era statalizzata anche la scelta dello sport da praticare: nel senso che sceglievano i ragazzini e le ragazzine più portati fisicamente e gli assegnavano lo sport più adatto alle loro caratteristiche. Un sistema scientifico.
A parte il doping ( chi è senza peccato...) una cosa orrendamente liberticida, ma credo fosse difficile gli sfuggisse un talento, la DDR era una oliata fabbrica di medaglie olimpiche
In più per gli uomini il ciclismo era nettamente lo sport numero uno
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Il ciclismo della DDR è parte di un capitolo più ampio della politica sportiva e non sportiva della DDR e dei paesi dell'Est in quel quarto di secolo che culmina con la caduta del muro.
Stiamo parlando dello sport come affermazione internazionale. La dicotomia con l'occidente era molto sentita pertanto la Russia e la DDR su tutte riuscirono a raggiungere risultati strabilianti. Per la Russia si intuiva che un enorme bacino di atleti poteva sicuramente aiutare. Per la DDR che aveva 18 milioni di abitanti, certi risultati erano a dir poco strabilianti, come il secondo posto nel medagliere in alcune olimpiadi estive di questo periodo.
L'obiettivo erano le medaglie, pertanto dal punto di vista pratico era molto più semplice intensificare gli sforzi statali negli sport dove la resa era più sicura, pertanto si prediligevano sport individuali agli sport di squadra dove la tecnica e la tattica rappresentava un elemento non sempre replicabile. Quindi atletica leggera, sollevamento pesi, getto del peso, nuoto.
"Costruire" un campione era più fruttuoso dal punto di vista del medagliere in queste discipline perchè un singolo atleta poteva anche vincere su più distanze dell'atletica o del nuoto, al massimo le staffette. Investire in sport di squadra era leggermente più difficile, salvo in quegli sport dove la DDR aveva comunque una propria tradizione.
Molti risultati furono ottenuti dalle donne.
Ottimi risultati furono sortiti nel ciclismo.
Pertanto si investiva molto sull'intensità e sulla forza, da tutti i punti di vista.
Lo sport era in mano allo Stato che sceglieva gli atleti da giovani e nel corso della carriera gli allenamenti pare fossero molto intensi, controlli rigidi sulla vita privata. La medicina entrava con decisione in questa pianificazione (Oral turinabol) per cui tanta, ma tanta forza. Se si cerca in giro se ne sentono di tutti i colori. Ovviamente a prescindere del "come" sono avvenuti tali processi, la vita sportiva di alcuni atleti è durata davvero pochissimo.
Alcuni addetti ai lavori occidentali ospiti nelle sessioni di allenamento della Germania Est hanno raccontato di fanciulle che in allenamento polverizzavano record mondiali in scioltezza.
La narrazione di quanto è successo in quei lustri ovviamente in certi casi dalla verità sconfina verso il "leggendario" e" il mitologico", anche perchè certe informazioni erano segrete e i dossier sono stati volutamente distrutti dopo la caduta del muro.
Fra miti e leggende troviamo:
pattinatrici sul ghiaccio a cui veniva monitorata anche la durata dei rapporti sessuali
mezzofondista della Cecoslovacchia che battono record mondiali in gare corse per caso su distanze inedite
atleta di getto del peso che negli anni è diventata uomo
matrimoni fra nuotatori in un'improbabile prospettiva di pro creare dei super campioni nuoto
record mondiali durati 30 anni
Alcune sono leggende altri sono fatti.
Purtroppo non sapremo mai la verità di certe cose, o fortunatamente....
Stiamo parlando dello sport come affermazione internazionale. La dicotomia con l'occidente era molto sentita pertanto la Russia e la DDR su tutte riuscirono a raggiungere risultati strabilianti. Per la Russia si intuiva che un enorme bacino di atleti poteva sicuramente aiutare. Per la DDR che aveva 18 milioni di abitanti, certi risultati erano a dir poco strabilianti, come il secondo posto nel medagliere in alcune olimpiadi estive di questo periodo.
L'obiettivo erano le medaglie, pertanto dal punto di vista pratico era molto più semplice intensificare gli sforzi statali negli sport dove la resa era più sicura, pertanto si prediligevano sport individuali agli sport di squadra dove la tecnica e la tattica rappresentava un elemento non sempre replicabile. Quindi atletica leggera, sollevamento pesi, getto del peso, nuoto.
"Costruire" un campione era più fruttuoso dal punto di vista del medagliere in queste discipline perchè un singolo atleta poteva anche vincere su più distanze dell'atletica o del nuoto, al massimo le staffette. Investire in sport di squadra era leggermente più difficile, salvo in quegli sport dove la DDR aveva comunque una propria tradizione.
Molti risultati furono ottenuti dalle donne.
Ottimi risultati furono sortiti nel ciclismo.
Pertanto si investiva molto sull'intensità e sulla forza, da tutti i punti di vista.
Lo sport era in mano allo Stato che sceglieva gli atleti da giovani e nel corso della carriera gli allenamenti pare fossero molto intensi, controlli rigidi sulla vita privata. La medicina entrava con decisione in questa pianificazione (Oral turinabol) per cui tanta, ma tanta forza. Se si cerca in giro se ne sentono di tutti i colori. Ovviamente a prescindere del "come" sono avvenuti tali processi, la vita sportiva di alcuni atleti è durata davvero pochissimo.
Alcuni addetti ai lavori occidentali ospiti nelle sessioni di allenamento della Germania Est hanno raccontato di fanciulle che in allenamento polverizzavano record mondiali in scioltezza.
La narrazione di quanto è successo in quei lustri ovviamente in certi casi dalla verità sconfina verso il "leggendario" e" il mitologico", anche perchè certe informazioni erano segrete e i dossier sono stati volutamente distrutti dopo la caduta del muro.
Fra miti e leggende troviamo:
pattinatrici sul ghiaccio a cui veniva monitorata anche la durata dei rapporti sessuali
mezzofondista della Cecoslovacchia che battono record mondiali in gare corse per caso su distanze inedite
atleta di getto del peso che negli anni è diventata uomo
matrimoni fra nuotatori in un'improbabile prospettiva di pro creare dei super campioni nuoto
record mondiali durati 30 anni
Alcune sono leggende altri sono fatti.
Purtroppo non sapremo mai la verità di certe cose, o fortunatamente....
1° Tour de France 2018
Campionato del mondo gara in linea 2021.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Record che durano da 35 anni e non sembra siano ancora vicini a capitolare, come i 400 metri di Marita Koch. Da allora il miglior tempo mai corso è 54 centesimi più alto.
Oltre la predominante forza bruta però c'erano anche isole di classe pura - vedi il leggendario dorsista Roland Matthes, detto sughero per la sua straordinaria acquaticità, uno dei nuotatori, oltre che più forti, più eleganti di tutti i tempi -
O la versione sexy e glamour del comunismo, Katarina Witt.
Oltre la predominante forza bruta però c'erano anche isole di classe pura - vedi il leggendario dorsista Roland Matthes, detto sughero per la sua straordinaria acquaticità, uno dei nuotatori, oltre che più forti, più eleganti di tutti i tempi -
O la versione sexy e glamour del comunismo, Katarina Witt.
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Quindi è a lui che faceva riferimento Lavenu, visto che praticamente tutti finivano nelle sue squadre.Winter ha scritto: ↑martedì 24 novembre 2020, 7:26Georges Barras , belga vallonetorcia86 ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 22:38 Un filone che mi ha sempre affascinato parlando di est Europa è quello dei corridori baltici, i velocisti estoni come kirsipuu pütsep tombak ( chiedo a voi esperti se c’è una motivazione particolare dietro al fatto che tutti o quasi gli estoni abbiano corso o corrano in squadre francesi?) , il cronoman lettone belohovosciks ed il connazionale vainsteins ( mi piaceva tantissimo) i lituani rumsas ( fortissimo a mio avviso) e vaitkus, insomma un mondo molto affascinante
Ex gregario di merckx
Dietro tutti i corridori dei paesi baltici degli anni 90 inizio 2000 c era lui
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
in Unione Sovietica non esistevano Imprese private
quindi non potevano trovare sponsor
. . . . . ma allora,xkè nn considerare la nazionale sovietica uguale ad una squadra di club ? ? ?
e fargli fare i grandi giri, le classiche ecc
quanti talenti sprecati
peccato
quindi non potevano trovare sponsor
. . . . . ma allora,xkè nn considerare la nazionale sovietica uguale ad una squadra di club ? ? ?
e fargli fare i grandi giri, le classiche ecc
quanti talenti sprecati
peccato
Re: Ciclismo dell' Est Europa
La nazionale sovietica partecipò alla Vuelta nel 1985 e nel 1986, quando si aggiunse anche la Polonia.
In entrambe le occasioni il migliore in classifica fu Ivan Ivanov, che poi passò con l'Alfa Lum (20° e 27°). Nel 1986 c'era anche Soukho ma arrivò molto lontano.
L'Urss ottenne due vittorie di tappa con Malakov (85, ultima tappa) e Demidenko (86).
Invece solo due corridori polacchi terminarono la Vuelta 86, uno era Kajzer che poi cambiò nazionalità e divenne tedesco.
In entrambe le occasioni il migliore in classifica fu Ivan Ivanov, che poi passò con l'Alfa Lum (20° e 27°). Nel 1986 c'era anche Soukho ma arrivò molto lontano.
L'Urss ottenne due vittorie di tappa con Malakov (85, ultima tappa) e Demidenko (86).
Invece solo due corridori polacchi terminarono la Vuelta 86, uno era Kajzer che poi cambiò nazionalità e divenne tedesco.
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Tornando ai tempi attuali, dato che bartoli nel thread del ciclomercato ci ha ufficializzato la riconferma, devo dire che sono curioso di vedere cosa potrà ancora fare il serbo Veljko Stojnic. Prima dello stop quest'anno non aveva iniziato male, andando spesso in fuga (del resto non è uno che teme di prendere il vento in faccia). Sul passo se la cava bene, due anni fa fece davvero una bella vittoria alla Firenze-Viareggio con una stoccata di finisseur. Secondo me non ha ancora espresso il massimo del suo potenziale e potrebbe essere uno dei volti nuovi da seguire con interesse nell'area balcanica .
"L'importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L'importante è ciò che provi mentre corri" (Giorgio Faletti in "Notte prima degli esami")
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Ovviamente concordoCthulhu ha scritto: ↑martedì 24 novembre 2020, 9:50E un inno meraviglioso...Winter ha scritto: ↑martedì 24 novembre 2020, 7:31EsattamenteCthulhu ha scritto: ↑lunedì 23 novembre 2020, 23:31 In Germania est in realtà era statalizzata anche la scelta dello sport da praticare: nel senso che sceglievano i ragazzini e le ragazzine più portati fisicamente e gli assegnavano lo sport più adatto alle loro caratteristiche. Un sistema scientifico.
A parte il doping ( chi è senza peccato...) una cosa orrendamente liberticida, ma credo fosse difficile gli sfuggisse un talento, la DDR era una oliata fabbrica di medaglie olimpiche
In più per gli uomini il ciclismo era nettamente lo sport numero uno
36 premi di sportivo dell anno nella ddr ..16 ad un ciclista
Avevano un bacino incredibile
Poi il fatto che si sentiva molto spesso.. (e da piccolo) me l'ha fatto restare nel cuore
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Si
Poi per un periodo portava i migliori talenti in giro per l'europa in base alle caratteristiche
Ruote veloci nelle squadre dilettanti di Belgio e Francia
Scalatori nelle squadre dilettanti di Spagna e Italia
Vainsteins per mesi ha abitato a casa sua
A proposito il lettone stara' ancora con la figlia del proprietario della Vini Caldirola ?
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Non erano cose così semplici, c'era la guerra fredda.FRANCESCO1980 ha scritto: ↑martedì 24 novembre 2020, 21:18 in Unione Sovietica non esistevano Imprese private
quindi non potevano trovare sponsor
. . . . . ma allora,xkè nn considerare la nazionale sovietica uguale ad una squadra di club ? ? ?
e fargli fare i grandi giri, le classiche ecc
quanti talenti sprecati
peccato
Una cosa del genere avrebbe
dovuta prima essere approvata dal Politburo.
E poi avevano paura gli scappassero i corridori.
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Voi che siete più informati di me, vado a memoria ricordo Lutz Hesslich (se la grafia è giusta) un imbattibile pistard nella velocità e Lothar Thoms un altro maciste che primeggiava nella velocità e nel Km.
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Thoms non me lo ricordo
Hesslich era imbattibile
Poi c erano hubner ,huck ecc
Erano uno spettacolo con quelle maglie grigie
Hesslich era imbattibile
Poi c erano hubner ,huck ecc
Erano uno spettacolo con quelle maglie grigie
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Thoms faceva il km da fermo, aveva due stantuffi che facevano impressione. Vinse a Mosca con due secondi su tutti.
Re: Ciclismo dell' Est Europa
A me piace tantissimo e ha un grande potenziale. Deve limare alcuni difetti come quello di sapersi muovere in gruppo, in quanto era abituato a corse con pochissimi partecipanti, ed è molto acerbo. Per esempio dopo la Tirreno lo abbiamo testato nelle due corse in Toscana ma era totalmente sfinito quindi sicuramente l'anno prossimo sarà un aspetto su cui migliorare.Abruzzese ha scritto: ↑giovedì 26 novembre 2020, 4:11 Tornando ai tempi attuali, dato che bartoli nel thread del ciclomercato ci ha ufficializzato la riconferma, devo dire che sono curioso di vedere cosa potrà ancora fare il serbo Veljko Stojnic. Prima dello stop quest'anno non aveva iniziato male, andando spesso in fuga (del resto non è uno che teme di prendere il vento in faccia). Sul passo se la cava bene, due anni fa fece davvero una bella vittoria alla Firenze-Viareggio con una stoccata di finisseur. Secondo me non ha ancora espresso il massimo del suo potenziale e potrebbe essere uno dei volti nuovi da seguire con interesse nell'area balcanica .
Soffrire, cadere, rialzarsi, vincere. Questo è il vocabolario del ciclismo e della vita
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Capito
Prime olimpiadi viste..los angeles
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Capisco, del resto è anche normale che ci siano delle cose da migliorare. Comunque, da quel che mi risulta, già il Bard stravedeva per lui e credo che sia uno che ne sappia.bartoli ha scritto: ↑venerdì 27 novembre 2020, 13:38A me piace tantissimo e ha un grande potenziale. Deve limare alcuni difetti come quello di sapersi muovere in gruppo, in quanto era abituato a corse con pochissimi partecipanti, ed è molto acerbo. Per esempio dopo la Tirreno lo abbiamo testato nelle due corse in Toscana ma era totalmente sfinito quindi sicuramente l'anno prossimo sarà un aspetto su cui migliorare.Abruzzese ha scritto: ↑giovedì 26 novembre 2020, 4:11 Tornando ai tempi attuali, dato che bartoli nel thread del ciclomercato ci ha ufficializzato la riconferma, devo dire che sono curioso di vedere cosa potrà ancora fare il serbo Veljko Stojnic. Prima dello stop quest'anno non aveva iniziato male, andando spesso in fuga (del resto non è uno che teme di prendere il vento in faccia). Sul passo se la cava bene, due anni fa fece davvero una bella vittoria alla Firenze-Viareggio con una stoccata di finisseur. Secondo me non ha ancora espresso il massimo del suo potenziale e potrebbe essere uno dei volti nuovi da seguire con interesse nell'area balcanica .
"L'importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L'importante è ciò che provi mentre corri" (Giorgio Faletti in "Notte prima degli esami")
"qui c'è gente che è totalmente avulsa dalla realtà e nociva al forum"
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Si si lo adora. Un altro bel corridore è RajovicAbruzzese ha scritto: ↑venerdì 27 novembre 2020, 19:57Capisco, del resto è anche normale che ci siano delle cose da migliorare. Comunque, da quel che mi risulta, già il Bard stravedeva per lui e credo che sia uno che ne sappia.bartoli ha scritto: ↑venerdì 27 novembre 2020, 13:38A me piace tantissimo e ha un grande potenziale. Deve limare alcuni difetti come quello di sapersi muovere in gruppo, in quanto era abituato a corse con pochissimi partecipanti, ed è molto acerbo. Per esempio dopo la Tirreno lo abbiamo testato nelle due corse in Toscana ma era totalmente sfinito quindi sicuramente l'anno prossimo sarà un aspetto su cui migliorare.Abruzzese ha scritto: ↑giovedì 26 novembre 2020, 4:11 Tornando ai tempi attuali, dato che bartoli nel thread del ciclomercato ci ha ufficializzato la riconferma, devo dire che sono curioso di vedere cosa potrà ancora fare il serbo Veljko Stojnic. Prima dello stop quest'anno non aveva iniziato male, andando spesso in fuga (del resto non è uno che teme di prendere il vento in faccia). Sul passo se la cava bene, due anni fa fece davvero una bella vittoria alla Firenze-Viareggio con una stoccata di finisseur. Secondo me non ha ancora espresso il massimo del suo potenziale e potrebbe essere uno dei volti nuovi da seguire con interesse nell'area balcanica .
Soffrire, cadere, rialzarsi, vincere. Questo è il vocabolario del ciclismo e della vita
Re: Ciclismo dell' Est Europa
Avevo aperto questo thread anche per il gusto di parlare di quella parte d'Europa che, da sempre, suscita in me molto fascino. Proprio per questo penso che sia giusto che lo utilizzi per il mio congedo.
Tornare su questi lidi è stato un errore. Non tanto perché manchi la voglia di discutere di ciclismo, quanto proprio per il fatto che è proprio il forum a non fare più per me. Un tempo mi divertivo e rimanevo anche affascinato a leggere, frequentando certi posti virtuali. Adesso sarà che i tempi sono cambiati ma mi sembra di vedere tutto diverso. Di vedermi diverso. Mi piace ancora sognare ma sento di non voler condividere più determinate cose con tutti. Sarà anche colpa dei tempi che corrono, di questo ciclismo in cui, al di là delle emozioni che sa sempre suscitarmi con certe storie e certi ragazzi e ragazze, troppe cose continuano a funzionare male. Di altre cose che hanno cominciato a funzionare molto male. Anche questo enfatizza un certo modo di discutere. Io poi non sono mai stato maestro di nulla, anche perché l'età neppure me lo consente, al cospetto di altri giganti che hanno contribuito a farmi crescere per davvero qui dentro e che sono coloro che più ho sempre rimpianto.
15 anni sono tantissimi se vissuti (seppur con pause), all'interno di uno spazio. Però forse è giusto capire quando è davvero il momento di farsi da parte, ancor prima che a scrivere la parola fine sia l'infamia di un nuovo ban, che presto o tardi sarebbe giunto nel momento in cui mi sarei di nuovo trovato a voler dire le cose a modo mio. Questo, almeno, lo voglio evitare.
A Marco ho già scritto quel che dovevo, poi lui mi dirà. Abruzzese cessa di esistere su queste pagine e questa volta non vi sarà ritorno.
La cosa importante è che stia bene Vivian, che magari pensi un po' di più a sè stesso e meno agli altri, a cui forse in tutti questi anni ha dato troppo, più di quel che avrebbe dovuto.
Mi congedo così, con un testo scritto sulla mia pagina circa un anno fa. Pensando a quel corridore che fu e al tempo stesso non fu mai, lasciandosi sempre dietro infinite domande.
Di questo thread fatene buon uso. Fatelo pensando al talento. A quell'immensità del talento che non sempre è stata e non sempre sarà mai compresa.
"SOUKHO", LO ZAR INVISIBILE
Sergei Soukhoroutchenkov è un universo parallelo. Un racconto del terrore (come quello che incuteva nei suoi avversari) confinato nei meandri del fantastico. Un meraviglioso progetto di dominio ciclistico capace di splendere nel sogno di una notte. Il tangibile destinato a restare intangibile.
Se ne raccontano tante sulla "Guerra fredda", sui due blocchi contrapposti. Su stili di vita inevitabilmente diversi. Sul tramonto di determinati ideali. Quel che appare certo è che il ciclismo professionistico fu condannato a non vedere mai fiorire il più cristallino talento dell'Est, probabilmente di ogni tempo proveniente da quella parte di globo. Confini da varcare solamente per poter gareggiare in giro per l'Europa e anche oltre ma mai per poter lasciarsi alle spalle la patria natia e inseguire il sogno di diventar professionista. O meglio: le porte si aprirono solamente quando il sole dell'esuberanza atletica stava già irrimediabilmente declinando.
"Soukho", come tutti l'hanno sempre conosciuto abbreviando il chilometrico cognome, ben stampato comunque nella memoria di tutti quelli che si sono trovati ad affrontarlo, avrebbe forse potuto meritarsi un posto nell'olimpo dei più grandi. Si è ritrovato confinato in quel campionario di racconti, popolari o meno, in cui la leggenda finisce spesso per prevaricare la realtà, quasi ci si trovasse al cospetto di quelle storie create appositamente per suscitare lo stupore nei bambini, con gli splendidi eroi senza macchia che partono alla conquista di mondi lontani, sconfiggendo mostri e figuri indicibili.
"Soukho" a suo modo è leggenda. Lui che la leggenda del ciclismo avrebbe potuto scriverla lì dove i confini del talento finiscono per marchiare ripetutamente gli albi d'oro, azzerando quella dimensione del fallace che, inevitabilmente, in certe epoche finisce per prendere il sopravvento, incurante della purezza del genio vero e proprio.
Si racconta di lui di una fuga pazza nel duro circuito attorno a Mosca, prima di regalarsi al tripudio di una nazione che celebrava la sua potenza sportiva alle Olimpiadi del 1980. Avversari sbriciolati e lasciati a vagonate di minuti. Stessa cosa che accadde nel 1981 quando al Giro delle Regioni, già conquistato nell'anno precedente, si mise ad attaccare col furore di un ossesso dimentico di ogni domani sull'Appennino Tosco-Emiliano, con l'assoluta noncuranza di quanti arrancavano sulla strada verso San Marino. Si dice che la sua rabbia originasse da un attacco portatogli proprio dalla nazionale italiana dopo essere rimasto attardato per una foratura.
Una vendetta acuta e tremenda per una "hybris" non richiesta e inaspettata. Dovettero passare undici minuti e mezzo prima di scorgere sul traguardo i primi inseguitori di quel demonio rosso. L'avevano ben conosciuto anche in Francia, quando con i capelli sparsi al vento sotto il berretto era andato a prendersi il Tour de l'Avenir del 1979. Fu uno degli emblemi di una stirpe di ussari e cosacchi capaci di mirabilie alla Corsa della Pace, una di quelle gare in cui l'epica poteva ben presto meritarsi una letteratura tale da poter affascinare a prima vista l'altro mondo, quello dell'ovest e del "ciclismo vero" dei professionisti.
Quando nel 1989 il mondo prese un'inevitabile strada del cambiamento, quel vento dell'Est arrivò finalmente a soffiare anche sui nostri lidi, portando alla ribalta professionistica nomi ben noti ai cultori delle categorie giovanili e dilettantistiche. Qualcuno, come Andrei Tchmil o Dimitri Konychev, la sua traccia nella massima categoria trovò il modo di lasciarla, anche se (specialmente nel caso di "Dima") non con la dirompenza degli anni belli. Per "Soukho" il tutto assunse il tono di pleonastico contentino, un avercela fatta quando ormai non c'era più nulla da dimostrare, poiché fuoriclasse lo sarebbe rimasto comunque, almeno nella considerazione di chi sa dare l'ideale collocazione alle doti ammaliatrici di determinati diamanti.
Nelle file dell'Alfa Lum corse il Giro d'Italia, corse la Vuelta. L'anno successivo ottenne al Giro del Cile le uniche vittorie ufficialmente conteggiategli come corridore professionista. Lui che in salita buttava giù rapporti pesantissimi e piantava lì i suoi avversari. Che col cronometro avrebbe potuto giocare a suo piacimento. Che avrebbe potuto provare a vincere qualsiasi cosa, se solo gli fosse stato permesso ancor prima di volerlo personalmente. Consegnò alla vita e al ciclismo anche Olga, a cui qualche stilla di talento ha trasmesso e che pure la sua onorevole carriera (tutt'altro che conclusa ora che, tra l'altro, gareggia battendo bandiera dell'Uzbekistan per inseguire l'ennesimo sogno olimpico) è riuscita a disputarla.
Forse tutto è materia da albo d'oro. Da elucubrazioni, fantasticherie, deliri accalorati. La certezza è che Soukhoroutchenkov in sella alla bici fu uno zar. Anche se in quell'occidente che si godeva Hinault e Fignon, Roche e Moser, Lemond e Kelly restò per lo più uno zar invisibile. Padrone di un impero che non poté mai conquistare.
Tornare su questi lidi è stato un errore. Non tanto perché manchi la voglia di discutere di ciclismo, quanto proprio per il fatto che è proprio il forum a non fare più per me. Un tempo mi divertivo e rimanevo anche affascinato a leggere, frequentando certi posti virtuali. Adesso sarà che i tempi sono cambiati ma mi sembra di vedere tutto diverso. Di vedermi diverso. Mi piace ancora sognare ma sento di non voler condividere più determinate cose con tutti. Sarà anche colpa dei tempi che corrono, di questo ciclismo in cui, al di là delle emozioni che sa sempre suscitarmi con certe storie e certi ragazzi e ragazze, troppe cose continuano a funzionare male. Di altre cose che hanno cominciato a funzionare molto male. Anche questo enfatizza un certo modo di discutere. Io poi non sono mai stato maestro di nulla, anche perché l'età neppure me lo consente, al cospetto di altri giganti che hanno contribuito a farmi crescere per davvero qui dentro e che sono coloro che più ho sempre rimpianto.
15 anni sono tantissimi se vissuti (seppur con pause), all'interno di uno spazio. Però forse è giusto capire quando è davvero il momento di farsi da parte, ancor prima che a scrivere la parola fine sia l'infamia di un nuovo ban, che presto o tardi sarebbe giunto nel momento in cui mi sarei di nuovo trovato a voler dire le cose a modo mio. Questo, almeno, lo voglio evitare.
A Marco ho già scritto quel che dovevo, poi lui mi dirà. Abruzzese cessa di esistere su queste pagine e questa volta non vi sarà ritorno.
La cosa importante è che stia bene Vivian, che magari pensi un po' di più a sè stesso e meno agli altri, a cui forse in tutti questi anni ha dato troppo, più di quel che avrebbe dovuto.
Mi congedo così, con un testo scritto sulla mia pagina circa un anno fa. Pensando a quel corridore che fu e al tempo stesso non fu mai, lasciandosi sempre dietro infinite domande.
Di questo thread fatene buon uso. Fatelo pensando al talento. A quell'immensità del talento che non sempre è stata e non sempre sarà mai compresa.
"SOUKHO", LO ZAR INVISIBILE
Sergei Soukhoroutchenkov è un universo parallelo. Un racconto del terrore (come quello che incuteva nei suoi avversari) confinato nei meandri del fantastico. Un meraviglioso progetto di dominio ciclistico capace di splendere nel sogno di una notte. Il tangibile destinato a restare intangibile.
Se ne raccontano tante sulla "Guerra fredda", sui due blocchi contrapposti. Su stili di vita inevitabilmente diversi. Sul tramonto di determinati ideali. Quel che appare certo è che il ciclismo professionistico fu condannato a non vedere mai fiorire il più cristallino talento dell'Est, probabilmente di ogni tempo proveniente da quella parte di globo. Confini da varcare solamente per poter gareggiare in giro per l'Europa e anche oltre ma mai per poter lasciarsi alle spalle la patria natia e inseguire il sogno di diventar professionista. O meglio: le porte si aprirono solamente quando il sole dell'esuberanza atletica stava già irrimediabilmente declinando.
"Soukho", come tutti l'hanno sempre conosciuto abbreviando il chilometrico cognome, ben stampato comunque nella memoria di tutti quelli che si sono trovati ad affrontarlo, avrebbe forse potuto meritarsi un posto nell'olimpo dei più grandi. Si è ritrovato confinato in quel campionario di racconti, popolari o meno, in cui la leggenda finisce spesso per prevaricare la realtà, quasi ci si trovasse al cospetto di quelle storie create appositamente per suscitare lo stupore nei bambini, con gli splendidi eroi senza macchia che partono alla conquista di mondi lontani, sconfiggendo mostri e figuri indicibili.
"Soukho" a suo modo è leggenda. Lui che la leggenda del ciclismo avrebbe potuto scriverla lì dove i confini del talento finiscono per marchiare ripetutamente gli albi d'oro, azzerando quella dimensione del fallace che, inevitabilmente, in certe epoche finisce per prendere il sopravvento, incurante della purezza del genio vero e proprio.
Si racconta di lui di una fuga pazza nel duro circuito attorno a Mosca, prima di regalarsi al tripudio di una nazione che celebrava la sua potenza sportiva alle Olimpiadi del 1980. Avversari sbriciolati e lasciati a vagonate di minuti. Stessa cosa che accadde nel 1981 quando al Giro delle Regioni, già conquistato nell'anno precedente, si mise ad attaccare col furore di un ossesso dimentico di ogni domani sull'Appennino Tosco-Emiliano, con l'assoluta noncuranza di quanti arrancavano sulla strada verso San Marino. Si dice che la sua rabbia originasse da un attacco portatogli proprio dalla nazionale italiana dopo essere rimasto attardato per una foratura.
Una vendetta acuta e tremenda per una "hybris" non richiesta e inaspettata. Dovettero passare undici minuti e mezzo prima di scorgere sul traguardo i primi inseguitori di quel demonio rosso. L'avevano ben conosciuto anche in Francia, quando con i capelli sparsi al vento sotto il berretto era andato a prendersi il Tour de l'Avenir del 1979. Fu uno degli emblemi di una stirpe di ussari e cosacchi capaci di mirabilie alla Corsa della Pace, una di quelle gare in cui l'epica poteva ben presto meritarsi una letteratura tale da poter affascinare a prima vista l'altro mondo, quello dell'ovest e del "ciclismo vero" dei professionisti.
Quando nel 1989 il mondo prese un'inevitabile strada del cambiamento, quel vento dell'Est arrivò finalmente a soffiare anche sui nostri lidi, portando alla ribalta professionistica nomi ben noti ai cultori delle categorie giovanili e dilettantistiche. Qualcuno, come Andrei Tchmil o Dimitri Konychev, la sua traccia nella massima categoria trovò il modo di lasciarla, anche se (specialmente nel caso di "Dima") non con la dirompenza degli anni belli. Per "Soukho" il tutto assunse il tono di pleonastico contentino, un avercela fatta quando ormai non c'era più nulla da dimostrare, poiché fuoriclasse lo sarebbe rimasto comunque, almeno nella considerazione di chi sa dare l'ideale collocazione alle doti ammaliatrici di determinati diamanti.
Nelle file dell'Alfa Lum corse il Giro d'Italia, corse la Vuelta. L'anno successivo ottenne al Giro del Cile le uniche vittorie ufficialmente conteggiategli come corridore professionista. Lui che in salita buttava giù rapporti pesantissimi e piantava lì i suoi avversari. Che col cronometro avrebbe potuto giocare a suo piacimento. Che avrebbe potuto provare a vincere qualsiasi cosa, se solo gli fosse stato permesso ancor prima di volerlo personalmente. Consegnò alla vita e al ciclismo anche Olga, a cui qualche stilla di talento ha trasmesso e che pure la sua onorevole carriera (tutt'altro che conclusa ora che, tra l'altro, gareggia battendo bandiera dell'Uzbekistan per inseguire l'ennesimo sogno olimpico) è riuscita a disputarla.
Forse tutto è materia da albo d'oro. Da elucubrazioni, fantasticherie, deliri accalorati. La certezza è che Soukhoroutchenkov in sella alla bici fu uno zar. Anche se in quell'occidente che si godeva Hinault e Fignon, Roche e Moser, Lemond e Kelly restò per lo più uno zar invisibile. Padrone di un impero che non poté mai conquistare.
"L'importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L'importante è ciò che provi mentre corri" (Giorgio Faletti in "Notte prima degli esami")
"qui c'è gente che è totalmente avulsa dalla realtà e nociva al forum"
"qui c'è gente che è totalmente avulsa dalla realtà e nociva al forum"
Re: Ciclismo dell' Est Europa
un grandissimoAbruzzese ha scritto: ↑domenica 24 gennaio 2021, 1:49 Avevo aperto questo thread anche per il gusto di parlare di quella parte d'Europa che, da sempre, suscita in me molto fascino. Proprio per questo penso che sia giusto che lo utilizzi per il mio congedo.
Tornare su questi lidi è stato un errore. Non tanto perché manchi la voglia di discutere di ciclismo, quanto proprio per il fatto che è proprio il forum a non fare più per me. Un tempo mi divertivo e rimanevo anche affascinato a leggere, frequentando certi posti virtuali. Adesso sarà che i tempi sono cambiati ma mi sembra di vedere tutto diverso. Di vedermi diverso. Mi piace ancora sognare ma sento di non voler condividere più determinate cose con tutti. Sarà anche colpa dei tempi che corrono, di questo ciclismo in cui, al di là delle emozioni che sa sempre suscitarmi con certe storie e certi ragazzi e ragazze, troppe cose continuano a funzionare male. Di altre cose che hanno cominciato a funzionare molto male. Anche questo enfatizza un certo modo di discutere. Io poi non sono mai stato maestro di nulla, anche perché l'età neppure me lo consente, al cospetto di altri giganti che hanno contribuito a farmi crescere per davvero qui dentro e che sono coloro che più ho sempre rimpianto.
15 anni sono tantissimi se vissuti (seppur con pause), all'interno di uno spazio. Però forse è giusto capire quando è davvero il momento di farsi da parte, ancor prima che a scrivere la parola fine sia l'infamia di un nuovo ban, che presto o tardi sarebbe giunto nel momento in cui mi sarei di nuovo trovato a voler dire le cose a modo mio. Questo, almeno, lo voglio evitare.
A Marco ho già scritto quel che dovevo, poi lui mi dirà. Abruzzese cessa di esistere su queste pagine e questa volta non vi sarà ritorno.
La cosa importante è che stia bene Vivian, che magari pensi un po' di più a sè stesso e meno agli altri, a cui forse in tutti questi anni ha dato troppo, più di quel che avrebbe dovuto.
Mi congedo così, con un testo scritto sulla mia pagina circa un anno fa. Pensando a quel corridore che fu e al tempo stesso non fu mai, lasciandosi sempre dietro infinite domande.
Di questo thread fatene buon uso. Fatelo pensando al talento. A quell'immensità del talento che non sempre è stata e non sempre sarà mai compresa.
"SOUKHO", LO ZAR INVISIBILE
Sergei Soukhoroutchenkov è un universo parallelo. Un racconto del terrore (come quello che incuteva nei suoi avversari) confinato nei meandri del fantastico. Un meraviglioso progetto di dominio ciclistico capace di splendere nel sogno di una notte. Il tangibile destinato a restare intangibile.
Se ne raccontano tante sulla "Guerra fredda", sui due blocchi contrapposti. Su stili di vita inevitabilmente diversi. Sul tramonto di determinati ideali. Quel che appare certo è che il ciclismo professionistico fu condannato a non vedere mai fiorire il più cristallino talento dell'Est, probabilmente di ogni tempo proveniente da quella parte di globo. Confini da varcare solamente per poter gareggiare in giro per l'Europa e anche oltre ma mai per poter lasciarsi alle spalle la patria natia e inseguire il sogno di diventar professionista. O meglio: le porte si aprirono solamente quando il sole dell'esuberanza atletica stava già irrimediabilmente declinando.
"Soukho", come tutti l'hanno sempre conosciuto abbreviando il chilometrico cognome, ben stampato comunque nella memoria di tutti quelli che si sono trovati ad affrontarlo, avrebbe forse potuto meritarsi un posto nell'olimpo dei più grandi. Si è ritrovato confinato in quel campionario di racconti, popolari o meno, in cui la leggenda finisce spesso per prevaricare la realtà, quasi ci si trovasse al cospetto di quelle storie create appositamente per suscitare lo stupore nei bambini, con gli splendidi eroi senza macchia che partono alla conquista di mondi lontani, sconfiggendo mostri e figuri indicibili.
"Soukho" a suo modo è leggenda. Lui che la leggenda del ciclismo avrebbe potuto scriverla lì dove i confini del talento finiscono per marchiare ripetutamente gli albi d'oro, azzerando quella dimensione del fallace che, inevitabilmente, in certe epoche finisce per prendere il sopravvento, incurante della purezza del genio vero e proprio.
Si racconta di lui di una fuga pazza nel duro circuito attorno a Mosca, prima di regalarsi al tripudio di una nazione che celebrava la sua potenza sportiva alle Olimpiadi del 1980. Avversari sbriciolati e lasciati a vagonate di minuti. Stessa cosa che accadde nel 1981 quando al Giro delle Regioni, già conquistato nell'anno precedente, si mise ad attaccare col furore di un ossesso dimentico di ogni domani sull'Appennino Tosco-Emiliano, con l'assoluta noncuranza di quanti arrancavano sulla strada verso San Marino. Si dice che la sua rabbia originasse da un attacco portatogli proprio dalla nazionale italiana dopo essere rimasto attardato per una foratura.
Una vendetta acuta e tremenda per una "hybris" non richiesta e inaspettata. Dovettero passare undici minuti e mezzo prima di scorgere sul traguardo i primi inseguitori di quel demonio rosso. L'avevano ben conosciuto anche in Francia, quando con i capelli sparsi al vento sotto il berretto era andato a prendersi il Tour de l'Avenir del 1979. Fu uno degli emblemi di una stirpe di ussari e cosacchi capaci di mirabilie alla Corsa della Pace, una di quelle gare in cui l'epica poteva ben presto meritarsi una letteratura tale da poter affascinare a prima vista l'altro mondo, quello dell'ovest e del "ciclismo vero" dei professionisti.
Quando nel 1989 il mondo prese un'inevitabile strada del cambiamento, quel vento dell'Est arrivò finalmente a soffiare anche sui nostri lidi, portando alla ribalta professionistica nomi ben noti ai cultori delle categorie giovanili e dilettantistiche. Qualcuno, come Andrei Tchmil o Dimitri Konychev, la sua traccia nella massima categoria trovò il modo di lasciarla, anche se (specialmente nel caso di "Dima") non con la dirompenza degli anni belli. Per "Soukho" il tutto assunse il tono di pleonastico contentino, un avercela fatta quando ormai non c'era più nulla da dimostrare, poiché fuoriclasse lo sarebbe rimasto comunque, almeno nella considerazione di chi sa dare l'ideale collocazione alle doti ammaliatrici di determinati diamanti.
Nelle file dell'Alfa Lum corse il Giro d'Italia, corse la Vuelta. L'anno successivo ottenne al Giro del Cile le uniche vittorie ufficialmente conteggiategli come corridore professionista. Lui che in salita buttava giù rapporti pesantissimi e piantava lì i suoi avversari. Che col cronometro avrebbe potuto giocare a suo piacimento. Che avrebbe potuto provare a vincere qualsiasi cosa, se solo gli fosse stato permesso ancor prima di volerlo personalmente. Consegnò alla vita e al ciclismo anche Olga, a cui qualche stilla di talento ha trasmesso e che pure la sua onorevole carriera (tutt'altro che conclusa ora che, tra l'altro, gareggia battendo bandiera dell'Uzbekistan per inseguire l'ennesimo sogno olimpico) è riuscita a disputarla.
Forse tutto è materia da albo d'oro. Da elucubrazioni, fantasticherie, deliri accalorati. La certezza è che Soukhoroutchenkov in sella alla bici fu uno zar. Anche se in quell'occidente che si godeva Hinault e Fignon, Roche e Moser, Lemond e Kelly restò per lo più uno zar invisibile. Padrone di un impero che non poté mai conquistare.
De zan raccontava spesso quell impresa al giro delle regioni
Pure cassani
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Vivian 'Abruzzese', sei un grande.
Non.so ciò che è successo, però se scrivere su queste pagine è diventato un peso non posso che rispettare la tua decisione.
Però stavi dando contributi importanti, é un vero peccato.
Non.so ciò che è successo, però se scrivere su queste pagine è diventato un peso non posso che rispettare la tua decisione.
Però stavi dando contributi importanti, é un vero peccato.
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Ti leggevo volentieri anch'io. Eddaiii !!!!
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https://more.arrs.run/runner/12345
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Re: Ciclismo dell' Est Europa
Francamente spero tu ci ripensiAbruzzese ha scritto: ↑domenica 24 gennaio 2021, 1:49 Avevo aperto questo thread anche per il gusto di parlare di quella parte d'Europa che, da sempre, suscita in me molto fascino. Proprio per questo penso che sia giusto che lo utilizzi per il mio congedo.
Tornare su questi lidi è stato un errore. Non tanto perché manchi la voglia di discutere di ciclismo, quanto proprio per il fatto che è proprio il forum a non fare più per me. Un tempo mi divertivo e rimanevo anche affascinato a leggere, frequentando certi posti virtuali. Adesso sarà che i tempi sono cambiati ma mi sembra di vedere tutto diverso. Di vedermi diverso. Mi piace ancora sognare ma sento di non voler condividere più determinate cose con tutti. Sarà anche colpa dei tempi che corrono, di questo ciclismo in cui, al di là delle emozioni che sa sempre suscitarmi con certe storie e certi ragazzi e ragazze, troppe cose continuano a funzionare male. Di altre cose che hanno cominciato a funzionare molto male. Anche questo enfatizza un certo modo di discutere. Io poi non sono mai stato maestro di nulla, anche perché l'età neppure me lo consente, al cospetto di altri giganti che hanno contribuito a farmi crescere per davvero qui dentro e che sono coloro che più ho sempre rimpianto.
15 anni sono tantissimi se vissuti (seppur con pause), all'interno di uno spazio. Però forse è giusto capire quando è davvero il momento di farsi da parte, ancor prima che a scrivere la parola fine sia l'infamia di un nuovo ban, che presto o tardi sarebbe giunto nel momento in cui mi sarei di nuovo trovato a voler dire le cose a modo mio. Questo, almeno, lo voglio evitare.
A Marco ho già scritto quel che dovevo, poi lui mi dirà. Abruzzese cessa di esistere su queste pagine e questa volta non vi sarà ritorno.
La cosa importante è che stia bene Vivian, che magari pensi un po' di più a sè stesso e meno agli altri, a cui forse in tutti questi anni ha dato troppo, più di quel che avrebbe dovuto.
Mi congedo così, con un testo scritto sulla mia pagina circa un anno fa. Pensando a quel corridore che fu e al tempo stesso non fu mai, lasciandosi sempre dietro infinite domande.
Di questo thread fatene buon uso. Fatelo pensando al talento. A quell'immensità del talento che non sempre è stata e non sempre sarà mai compresa.
"SOUKHO", LO ZAR INVISIBILE
Sergei Soukhoroutchenkov è un universo parallelo. Un racconto del terrore (come quello che incuteva nei suoi avversari) confinato nei meandri del fantastico. Un meraviglioso progetto di dominio ciclistico capace di splendere nel sogno di una notte. Il tangibile destinato a restare intangibile.
Se ne raccontano tante sulla "Guerra fredda", sui due blocchi contrapposti. Su stili di vita inevitabilmente diversi. Sul tramonto di determinati ideali. Quel che appare certo è che il ciclismo professionistico fu condannato a non vedere mai fiorire il più cristallino talento dell'Est, probabilmente di ogni tempo proveniente da quella parte di globo. Confini da varcare solamente per poter gareggiare in giro per l'Europa e anche oltre ma mai per poter lasciarsi alle spalle la patria natia e inseguire il sogno di diventar professionista. O meglio: le porte si aprirono solamente quando il sole dell'esuberanza atletica stava già irrimediabilmente declinando.
"Soukho", come tutti l'hanno sempre conosciuto abbreviando il chilometrico cognome, ben stampato comunque nella memoria di tutti quelli che si sono trovati ad affrontarlo, avrebbe forse potuto meritarsi un posto nell'olimpo dei più grandi. Si è ritrovato confinato in quel campionario di racconti, popolari o meno, in cui la leggenda finisce spesso per prevaricare la realtà, quasi ci si trovasse al cospetto di quelle storie create appositamente per suscitare lo stupore nei bambini, con gli splendidi eroi senza macchia che partono alla conquista di mondi lontani, sconfiggendo mostri e figuri indicibili.
"Soukho" a suo modo è leggenda. Lui che la leggenda del ciclismo avrebbe potuto scriverla lì dove i confini del talento finiscono per marchiare ripetutamente gli albi d'oro, azzerando quella dimensione del fallace che, inevitabilmente, in certe epoche finisce per prendere il sopravvento, incurante della purezza del genio vero e proprio.
Si racconta di lui di una fuga pazza nel duro circuito attorno a Mosca, prima di regalarsi al tripudio di una nazione che celebrava la sua potenza sportiva alle Olimpiadi del 1980. Avversari sbriciolati e lasciati a vagonate di minuti. Stessa cosa che accadde nel 1981 quando al Giro delle Regioni, già conquistato nell'anno precedente, si mise ad attaccare col furore di un ossesso dimentico di ogni domani sull'Appennino Tosco-Emiliano, con l'assoluta noncuranza di quanti arrancavano sulla strada verso San Marino. Si dice che la sua rabbia originasse da un attacco portatogli proprio dalla nazionale italiana dopo essere rimasto attardato per una foratura.
Una vendetta acuta e tremenda per una "hybris" non richiesta e inaspettata. Dovettero passare undici minuti e mezzo prima di scorgere sul traguardo i primi inseguitori di quel demonio rosso. L'avevano ben conosciuto anche in Francia, quando con i capelli sparsi al vento sotto il berretto era andato a prendersi il Tour de l'Avenir del 1979. Fu uno degli emblemi di una stirpe di ussari e cosacchi capaci di mirabilie alla Corsa della Pace, una di quelle gare in cui l'epica poteva ben presto meritarsi una letteratura tale da poter affascinare a prima vista l'altro mondo, quello dell'ovest e del "ciclismo vero" dei professionisti.
Quando nel 1989 il mondo prese un'inevitabile strada del cambiamento, quel vento dell'Est arrivò finalmente a soffiare anche sui nostri lidi, portando alla ribalta professionistica nomi ben noti ai cultori delle categorie giovanili e dilettantistiche. Qualcuno, come Andrei Tchmil o Dimitri Konychev, la sua traccia nella massima categoria trovò il modo di lasciarla, anche se (specialmente nel caso di "Dima") non con la dirompenza degli anni belli. Per "Soukho" il tutto assunse il tono di pleonastico contentino, un avercela fatta quando ormai non c'era più nulla da dimostrare, poiché fuoriclasse lo sarebbe rimasto comunque, almeno nella considerazione di chi sa dare l'ideale collocazione alle doti ammaliatrici di determinati diamanti.
Nelle file dell'Alfa Lum corse il Giro d'Italia, corse la Vuelta. L'anno successivo ottenne al Giro del Cile le uniche vittorie ufficialmente conteggiategli come corridore professionista. Lui che in salita buttava giù rapporti pesantissimi e piantava lì i suoi avversari. Che col cronometro avrebbe potuto giocare a suo piacimento. Che avrebbe potuto provare a vincere qualsiasi cosa, se solo gli fosse stato permesso ancor prima di volerlo personalmente. Consegnò alla vita e al ciclismo anche Olga, a cui qualche stilla di talento ha trasmesso e che pure la sua onorevole carriera (tutt'altro che conclusa ora che, tra l'altro, gareggia battendo bandiera dell'Uzbekistan per inseguire l'ennesimo sogno olimpico) è riuscita a disputarla.
Forse tutto è materia da albo d'oro. Da elucubrazioni, fantasticherie, deliri accalorati. La certezza è che Soukhoroutchenkov in sella alla bici fu uno zar. Anche se in quell'occidente che si godeva Hinault e Fignon, Roche e Moser, Lemond e Kelly restò per lo più uno zar invisibile. Padrone di un impero che non poté mai conquistare.