Il campo dei santi
Romanzo di Jean Raspail XIX e fine
– Senza peraltro enfatizzare la rilevanza dell’evento – esordì il portavoce ponendo davanti ai microfoni un fascicoletto sottile… In effetti, i ministri erano stati colti alla sprovvista. Ma non arriveranno mai, ho esaminato le foto: una bella tempesta da quelle parti e non ne sentiremo più parlare! –
Dunque: un milione di miserabili che annega in silenzio al piano terra dell’Eliseo, mentre il vento agita dolcemente gli alberi del parco, rivestiti di foglie tenere e fresche.
– Insomma – intervenne il Presidente, sorridendo come sua abitudine, quasi stesse terminando di pranzare – basterà affidarsi a Eolo e a Nettuno. –
Qualcuno tossì, sforzandosi di trovare un’idea semplice: – Non si potrebbe richiedere ai governi del subcontinente indiano di intercettarli, finché sono ancora in tempo? –
Qualcun altro in fondo al tavolo sogghignò.
– Ma esiste davvero un governo nel subcontinente indiano? – chiese un piccolo Segretario di Stato, di solito silenzioso. Dai primi posti si alzarono dei sospiri.
– Sono già in grado di comunicarvi la loro risposta – disse il ministro degli Esteri – eccola: ‘I governi del subcontinente indiano, allarmati dalla situazione interna e dalla drastica riduzione delle risorse alimentari…’ –
Nuovo sogghigno.
– Un casino! – disse il piccolo Segretario.
Il Presidente apprezzava le battute postprandiali ma ritenne che questa volta si esagerasse:
– Signor Segretario di Stato! – disse con tono energico – la prego di mantenere un’opportuna decenza. Prosegua, signor ministro degli Esteri. –
Altro sospiro.
“I governi del subcontinente indiano, per quanto li concerne, dichiarano che è impossibile intraprendere qualsiasi azione, di qualsiasi natura, e declinano in anticipo qualsiasi responsabilità. Esprimono il loro rammarico…”
Si tornò di nuovo al punto di partenza.
– Ecco qualcuno che parla chiaro – disse il Presidente. – Che modo comodo di governare! Mi chiedo se esista, in qualche parte del mondo, un governo responsabile di qualcosa. Non si potrebbe almeno tentare un’azione qualsiasi? Un passo ufficiale? Con prudenza, naturalmente. All’ONU, per esempio. –
Il piccolo Segretario di Stato sobbalzò sulla sedia come un diavoletto e disse esultante:
– Proponiamo all’ONU la seguente risoluzione: internazionalizzazione della flotta nomade sotto le insegne azzurre dell’ONU, con un controllo a bordo da parte di marinai osservatori svedesi, etiopi e paraguaiani. L’UNRWA provvederà a rifornire di viveri a mezzo di elicotteri la popolazione imbarcata e a curare la manutenzione delle navi. Così la flotta continuerà a girare in tondo sugli oceani del globo per vent’anni, tra la soddisfazione generale. D’altronde, l’idea non è nuova. Essa è risultata di grande utilità nel passato. Ovviamente, in vent’anni, la popolazione imbarcata raddoppierà di certo. L’inattività, il caldo… Occorrerà costruire navi che fungano da campi di raccolta, di rinforzo alla flotta. Signori, credetemi: potremo andare avanti per lungo tempo in questo modo! I nipoti dei migranti non sapranno nemmeno più perché abbiano il mare come orizzonte e il ponte della nave come territorio nazionale. Bisogna infatti considerare che sorgerà in loro una coscienza politica. L’inattività, il caldo… Cominceranno ad avanzare rivendicazioni. Esigeranno l'indipendenza. Perché no? Sui seggi dell’ONU siedono i rappresentanti di cento nazioni che non dovrebbero esistere. Ne inventeremo una di più, ecco tutto! La Repubblica Itinerante degli Oceani. Ovviamente, secondo l’usanza, vi sarà una divisione. La flotta verrà spezzata in due, avendo cura che i due tronconi girino in senso contrario l’uno all’altro e non si incontrino mai. Naturalmente bisognerà pagare. Alle nazioni occidentali verrà addebitata, in proporzione alle loro ricchezze concupite, parte delle spese di manutenzione delle due repubbliche oceaniche. Ci siamo abituati. Che cos’altro facciamo quando insorge una crisi nel Terzo Mondo e vogliamo mantenere la pace?
