Huck Finn ha scritto:
Visto che mi interessa l'argomento, ti faccio qualche domanda, se hai tempo-voglia di rispondermi:
- Cosa intendi esattamente per completezza muscolare? Ti riferisci alla struttura dell'arto inferiore o (come mi sembra di capire) alla muscolatura in toto dell'organismo (torace, addome, ecc.)?
- Nel caso, che vantaggio conferisce alla prestazione in bicicletta una struttura fisica adeguata, ad esempio, del tronco o dell'arto superiore?
- Nello specifico, in cosa ritieni Sagan superiore a Boasson-Hagen (che non è un'acciughina

)?
Devo fare una premessa che è fondamentale e che sta nel mio dna di concezione dello sport, ciclismo, vivaddio, compreso, certamente ben nota in chi mi conosce da tempo.
Il primo strumento naturale di crescita muscolare è il movimento. Ed è da questa basilare e, se vogliamo, banale base, che deve partire l'avviamento allo sport, dove i muscoli sono parte peculiare per il conseguimento delle migliori prestazioni. Un avviamento che una società evoluta e ben organizzata, dovrebbe spingere se non proprio imporre, attraverso una fase propedeutica basata su un bel numero di discipline sportive, affinché i bambini, fino alla prima adolescenza, possano assorbire ed abituarsi a diverse gestualità, capaci di aumentare, oltre alle capacità coordinative, anche l'uso più completo dei muscoli (ancora embrionali), favorendone, di conseguenza, un salutare equilibrio nella crescita fisica.
Il ciclismo è uno sport che ha bisogno della quasi totalità del novero dell'apparato muscolare, ma l'ha capito tardi, e sono ancora troppi, decisamente troppi, coloro che tendono a concepire le crescite dei ragazzini solo ed esclusivamente sulla bicicletta. Idem quando gli stessi sono diventati agonisti di un certo livello. In sostanza e ad esempio, nell'allenamento, la cura dei muscoli addominali e lombari per poter sfruttare completamente la potenza sviluppata dai muscoli degli arti inferiori, è ancora spesso un optional. Limitatamente all'Italia, la categoria giovanissimi, così com'è vissuta e diretta, rappresenta certamente un fattore di proselitismo e di sopravvivenza del ciclismo agonistico reale, ma è pure troppo spesso un attentato alla crescita migliore in termini di completezza muscolare e di destrezza dei ragazzi. Non è pensabile, anche di fronte alle dimostrazioni che provengono da altri paesi sportivamente più evoluti, rimanere insensibili di fronte al non senso fisico e di crescita, consistente nel far solo ed esclusivamente pedalare questi bambini, senza mai alternare al mezzo, una serie di gestualità e di interlocuzioni con altre discipline sportive, per una promiscuità propedeutica, che porterà solo ed esclusivamente del bene, tanto alle risposte fisiche dei singoli, quanto alle loro menti. Qui, si innesca un discorso più ampio, che tronco per motivi di spazio e di tema, ma che se da una parte completa il senso della mia battaglia ultra-ventennale, dall'altra porta prove tangibili di quanto sia vero, che le risultanze nel ciclismo moderno, divengono migliori, se a monte degli atleti insistono esperienze poli-disciplinari. Lo stesso pedale, attraverso le sue variabili agonistiche, dalla pista, alla strada, al fuoristrada, rappresenta uno step che lascia segni sempre, ribadisco, sempre, positivi. Ed è il migliore deterrente all'uso stesso, in questo caso a mo' di recupero, del doping, nonché alla necessità di inserire, a carriera già cementata, segmenti di allenamenti specifici e particolari, che non essendo metodiche da considerarsi naturali o di lunga legenda anteriore, possono favorire problemi di vario genere all'atleta.
Anche da qui, dunque, in Italia più che altrove, insiste l'esigenza di dare piena fiducia a figure nuove o ancora poco usate nella costruzione di ciclisti, come avviene in altri sport, dove nidificano allenatori di gran lunga migliori dei fanalini di coda del ciclismo e dove i medici sono usati per quello che san fare, non quei totem che sovraintendono il pedale. Più Scienze Motorie e meno Medicina, insomma.
Sulle domande.
Già dalle premesse, è evidente quanto per completezza muscolare, intenda in toto l'organismo. L’uomo non è nato per stare su una bicicletta e spingere i pedali. La postura sul mezzo va ricercata, ed in questo senso gli studi biomeccanici di oggi, consentono sviluppi e cure impensabili solo 15-20 anni fa. Il corpo però, non ha bisogno solo di una posizione ideale per tradurre il potenziale muscolare in motore ottimale, nonché una aerodinamica efficace. Gli servono tutti i muscoli, certamente ad intensità diverse e taluni da usare come correttivi alle tendenze o realtà degli altri. I muscoli addominali (principalmente) ma anche quelli lombari, sono peculiari per mantenere a livello più alto possibile, la flessibilità ed il bilanciamento della schiena. Nello scatto e nella progressione seguente, i lombari aiutano al pieno dominio del mezzo e sono gli assistenti primari di quei dorsali che fungono da cinghia, nonché da ulteriore aiuto ai propulsori degli arti inferiori. Non solo, ma gli stessi muscoli delle braccia, andrebbero curati, perché una esagerata differenza fra il potenziale muscolare degli arti inferiori e quelli superiori, può provocare ondeggiamenti della testa ed una posizione non ottimale a livello aerodinamico, con accumulo di fatica e una trasmissione inferiore. Faccio tre esempi.
Eddy Merckx, il più forte corridore della storia (il che è tutto dire) dondolava a dismisura con la testa, perché era sbilanciato: troppo forte sotto, forte, ma non pari alle gambe, sopra, nonostante degli ottimi dorsali. Non oso pensare che razza di medie avrebbe prodotto se fosse stato ligio agli allenamenti extra bicicletta di oggi e alle conoscenze biomeccaniche che nell’odierno possediamo. Djamolidine Abdoujaparov, lo si ricorda per la sua grinta e quella irruenza con la quale lottava negli sprint fino all'ultimo metro, che gli diede l’immagine di corridore brusco e scorretto. In realtà le sue scorrettezze erano più che altro dovute ad intrinseci difetti di Abdu sulla bici, proprio per la sproporzione fra le masse muscolari delle gambe e delle braccia e a dei lombari troppo deboli. Ciò lo portava naturalmente ad ondeggiare lateralmente oltre il dovuto, nel momento in cui si alzava sui pedali, ed in più il capo nel momento dello sforzo, s’abbassava parallelo all’asfalto e gli occhi non guardavano spesso in avanti. In altre parole, occupava da solo una larghezza di circa un metro e mezzo e l’orientamento era suscettibile di deviazioni marcate senza la volontà precisa di tagliare la strada agli avversari. Prova ne fu quella incredibile e grottesca caduta che lo vide protagonista nell'ultima tappa del Tour de France 1991, quando, da solo e senza nessun disturbo, pedalò in maniera screziata verso le transenne, urtando la borraccia pub-blicitaria della Coca Cola, per poi finire sull’asfalto come una scheggia impazzita.
Gianni Bugno, possedeva dei dorsali pazzeschi, ben bilanciati da addominali e lombari di nota. La sua pedalata era alla fine così perfetta che sembrava passeggiasse. Quando vinse la Sanremo, con una delle più grandi imprese mai viste nella Classicissima, pareva fermo, mentre gli altri, dietro, si contorcevano nello sforzo. Gianni, mostruoso talento, tenne i cacciatori sempre distanti fra i 12 ed i 30 secondi 0 e li sfinì. Il filmato di quella vittoria, dovrebbe essere usato a Scienze Motorie, quando si insegna ciclismo e l’apparato muscolare che interviene nella disciplina.
Ora, alla luce di tutto questo, potremmo, sui muscoli del ciclista, sancire un motto che, nella sua apparente banalità, riassume quanto serva per svolgere al meglio le prestazioni: “lavorare tutti, per lavorare meno”. Ovviamente ci sono fibre che sono più richiamate rispetto ad altre, che hanno funzioni più periferiche, ma se tutte sono stimolate e rispondono alle loro funzioni con l'equilibrio che serve, l'organismo dell'atleta ottiene l'ottimale, spendendo minori energie complessive.
Quanto conti una struttura fisica adeguata in un ciclista è presto detto: tanto. Di più del “famoso” chilo in meno in salita. Siamo tutti cosparsi di puntualizzazioni, anche in sede di telecronaca, sul valore di un peso minore sulle ascese. Si stendono statistiche, diagrammi, si fanno previsioni ecc. Tutto vero, ma il fatto che la “bilancia” sia la voce pressoché unica della ricerca dell'ottimale nella preparazione di un atleta, ha ingigantito il “santonismo” imperante sulle metodologie di allenamento nel ciclismo e prodotto, sugli ascoltatori (ovviamente in primis allenatori, atleti e permettetemi “dopatori”), delle derivazioni esagerate che han portato ad effetti anche gravi come “l'esasperazione da peso che incide addirittura sulla massa magra”. Dei muscoli, invece, si parla pochissimo, spesso li si confonde con con una “plicometria inadeguata ad un atleta” o ancor più puerilmente, come un “peso di troppo”. Bah....a volte c'è da ridere. Sarò “all'antica”, ma l'organismo di Tizio, ha un “suo equilibrio che produce un peso ideale”, sotto il quale anche i chili in meno in salita contano poco o addirittura una cippa, se per giungere a quelle entità, si è compromesso il resto.
Quindi se proprio devo stendere una previsione, senza fare quei numeri che spesso odio, credo che una struttura muscolare adeguata in un ciclista, anche alla luce della costanza nei benefici della sua presenza, valga una grossa percentuale per il successo delle prestazioni. Ho fatto degli esempi sopra e ne faccio un altro anche su questo versante.
Francesco Casagrande, che ha sempre solo pedalato, non ha mai avuto un struttura muscolare di gran nota. Si determinò in gioventù, sia da dilettante che da professionista, come un ottimo cronoman ed un più che discreto scalatore: uno da corse a tappe e non solo, ma col difetto di incappare, dopo giorni di fatica, puntualmente, in una crisi che penalizzava il piazzamento finale in un GT. Ciononostante, si determinò corridore di vaglia, vincendo due San Sebastian, indi Emilia, Placci, Appennino (corsa sempre molto indicativa), Toscana, Matteotti (2), Romagna, Firenze-Pistoia a crono (2), ed a livello di corse a tappe, Tirreno Adriatico, Giro dei Paesi Baschi e, soprattutto, Tour de Suisse. In quel lasso il miglior piazzamento al Tour de France (6°) e al Mondiale (4°), ed un 10° al Giro d'Italia. Poi, nella stagione 2000, la trasformazione a “sugherino pelle ed ossa per la gioia santoniana e plicometrica”. Cosa guadagnò? Nulla. Solo un gran bel 2000 col successo nella Freccia Vallone, il 2° posto al Giro e una nuova vittoria alla Placci, che gli valsero la prima posizione nel ranking mondiale, poi un calo sempre più evidente. Sono andato a memoria, ma non credo di aver dimenticato note pesanti, ed in ogni caso, il curriculum è lì.... È pur vero che stava invecchiando, ma uno col suo spirito di “maniacale monaco”, se il peso fosse stato “il genio della lampada”, avrebbe ottenuto molto di più. Nel complesso, comunque, meglio la prima fase che la seconda di carriera. Quanto basta per dire che la “presenza muscolare”, garantisce almeno quanto il peso. E se poi guardiamo il “muscolare in toto” Boonen di oggi, al massimo di carriera, ci rendiamo conto di quanto le fibre siano decisive.
Infine, a suffragio di quanto detto, il più grande fuoriclasse mai piovuto nel ciclismo femminile: Marianne Vos. Colei che divide con Merckx, il manuale completo del pedale come disciplina: dall'avviamento, alla gestione e ogni capitolo possibile del mezzo spinto dal motore umano. In lei c'è il summa dell'importanza della “polidisciplinarità” precedente il ciclismo, c'è la crescita muscolare più naturale e opportuna stimolata dalla fase propedeutica, c'è l'uso ideale del mezzo che ne deriva e c'è la possibilità di esaltare al massimo le correzioni sul peso, nella preparazione al fine di migliorare su taluni segmenti della fase agonistica. Essendoci la base sotto, ciò che ottiene lei, è praticamente impossibile ad altre. Ed era tutto evidente, altrimenti, il sottoscritto, in mezzo allo scetticismo enorme dell'intorno, non avrebbe mai potuto dire, scrivere ed esaltare la piccola Marianne, fin dal lontano 2005. Anche perché, ed è grave che lo scriva solo ora, ma la bontà o meno dell'apparto muscolare, è piuttosto visibile agli occhi dell'osservatore o tecnico che sia. Aspetto impossibile per altro.... ad esempio per il tanto “famigerato” ematocrito...
Poche battute infine sul confronto Sagan-Boasson Hagen.
Caro Huck Finn (qualcosa mi dice che studi Scienze Motorie

in ogni caso sei un bell'acquisto per Cicloweb), nell'intervento precedente, a dispetto del titolo del thread, parlando della completezza muscolare di Sagan, mi riferivo ad un confronto più generale, non strettamente legato a BH, anche perché, do per scontato che il “crak” fra i due, sia lo slovacco che, non dimentichiamolo, ha pure tre anni in meno.
Comunque, confrontandoli proprio sul tema muscolare, grosse differenze non ci sono. Ambedue infatti godono di un passato in diverse discipline o variabili del ciclismo. Sagan, è più proporzionato: qualche centimetro in più e qualche chilo in meno, nonché una lieve miglior marcatura dei muscoli degli arti inferiori, mentre sopra quasi si sovrappongono. La vera differenza fra i due consiste in una probabile maggior naturalezza di Sagan, visto che BH, ha avuto diversi guai muscolari e tendinei. Aspetto che fa pensare, ma nelle squadre inglesi ci sta tutto, con relative benedizioni.....
Sperando di aver soddisfatto la tua curiosità, ti chiedo scusa per la lunghezza.
Ciao!