cauz. ha scritto:visione un po' troppo utopica.
lo sport e' una fetta della società: dove la società è perlopiù razzista lo è anche lo sport, non fa eccezione.
il ciclismo ha un grosso vantaggio, come pochi altri sport al mondo, ed è quello di essere per sua natura transnazionale, dunque anche potenzialmente "superiore" alle bassezze dei nazionalismi, dei patriottismi e di conseguenza del razzismo. i corridori vivono un mese in paese e quello successivo in un altro, spesso saltando tra culture profondamente differenti, e questo non puo' che arricchirli e tenerli un po' piu' lontani dai germi, che spesso attecchiscono in situazioni statiche.
No no, la mia affermazione non partiva da una osservazione utopica o da una idealizzazione del mondo del ciclismo. Per nulla, sebbene la tua definizione non mi dispiaccia.
Pensavo, ma non lo avevo scritto ahimè, proprio al meccanismo virtuoso che lo sport genera. Tu puoi anche essere antropologicamente razzista, ma poi ti trovi un leader in squadra che vince ed è un vincente di testa, di colore, e per convenienza inizi a collaborare con lui. Il leader si afferma in modo naturale per quello che è il suo valore e ti trovi gioco forza coinvolto in un meccanismo virtuoso. Dopo qualche mese l'approccio razzista è venuto meno nella sostanza. La forza dello sport.
Al riguardo mi è venuto in mente un aneddoto di un corridore degli anni 60, non della notte dei tempi e di come una sorta di razzismo naturale (ignoranza nel senso etimologico) sia connaturato alla vita umana. Il razzismo vero sta nel perseverare.
La storia mi è stata raccontata in dialetto. La riassumo per sommi capi cercando di mantenerne i colori ruspanti per non perdere efficacia espositiva.
"Eravamo ad Alassio per preparare la stagione, dilettanti di prima e professionisti. Alassio era la capitale del ciclismo in inverno e nei ritiri.
Un dì si è presentato lì uno, un terùn con la faccia da cattivo, parlava poco e sembrava incazzato col mondo. Non era buono di parlare italiano, parlava abruzzese stretto e nessuno lo capiva. Ma in bicicletta era un ostia. Poi è diventato quello che è diventato, un gran corridore".
Chi me lo ha raccontato è un signore del nord che descriveva un mondo del ciclismo anni 60. Il "negro" della situazione (facendo un parallelismo) era tale Vito Taccone da Avezzano, un italiano del sud. Quindi Taccone non era un grande comunicatore da giovanissimo, caratterialmente chiuso e un po' caino.
Di converso sappiamo tutti che razza di personaggio sia invece poi diventato, grande verve dialettica e simpatia innata fra gli appassionati, dalla Vetta d'Italia sino a Capo Passero, nonostante le marachelle che in vita extrasportiva il buon Vito si concesse.
L'intelligenza e la forza comunicativa (evidentemente repressa per timidezza da Vito nei primi anni di carriera) hanno demolito ogni embrione "razzista" del tempo (fra italiani).
Camoscio madonita ha scritto:Non vorrei sminuire questa storica vittoria di un eritreo, ma l'ordine d'arrivo parla da se...diciamo che oltre al discreto scalatore belga (seeldrayes) ed un fuori forma Atapuma, non si è lasciato alle spalle fior di camosci.
Lo stesso Berhane non più tardi di una settimana fa ha chiuso solo al 55° posto nel primo arrivo in salita de Trentino a Vetriolo.
Al d là di questa considerazione sulla scarsa qualità dei grimpeur al Giro di Turchia, il giovanissimo eritreo mi ha veramente stupito con quella bellissima accelerazione ai meno 200 dall'arrivo e mi unisco agli

del forum
Ciò che dici è verissimo, ma Peek ha spiegato bene il contesto di eccezionalità di questa vittoria.
Facciamo un lavoro di empatia per vivere ciò che c'è di fuori dall'ordinario in questa storia.
Natnael è venuto in Europa con una fama di buon velocista che tiene su percorsi un po' mossi. Disputa un buon Valle d'Aosta da protagonista e probabilmente è nel 2012 che approccia per la prima volta salite dure, salite vere più di quelle dell'Avenir, come quelle delle Alpi in gara (in allenamento certamente avrà fatto dei lavori specifici nella sua permanenza al centro di Aigle). Ad Asmara e dintorni si arriva sì a circa 3000 metri (mi pare di aver letto 2900 in un articolo su di lui), ma non ci sono salite vere, bensì pendii dolci verso gli altipiani. Per fare salita serve la MTB, che è cosa diversa dalla salita fatta in BDC.
Immaginiamoci questo ragazzo che già immerso in una sorta di professionismo, cerca per la prima volta di capire il suo motore e le sue possibilità in salita. Da noi in Italia un allievo ha già deciso che sarà uno scalatore, un passista o uno scattista, spesso senza avere minimamente approfondito la conoscenza del suo fisico attraverso lavori diversi dal roteare i pedali.
Siamo nel 2013, corre l'Amissa Bongo in Rwanda (a proposito, questa gara sino a cinque anni fa era poco più di un fenomeno da baraccone, ma quanto è cresciuta?!) e poi due gare di apertura alle Baleari a febbraio. Tra febbraio e marzo fa un po' di gare del calendario francese (una a tappe, il Normandia) nel bel mezzo del gran freddo di questa primavera. Poi la svolta probabile, va ad aiutare un Rolland in cerca di lavoro specifico in gara ed in montagna all'impegnativo Trentino e probabilmente ritrova sensazioni positive sentite in precedenza al Val d'Aosta. Gli risparmiano l'ultima tappa durissima a Sega di Ala per partire per la Turchia più fresco e qui Bernaudeau (che non mi è sempre simpatico per certe uscite alla cxxxo) fa una operazione da vero TM intelligente e dotato di intuito sportivo (merce sempre più rara).
Va in Turchia e sente di avere una buona gamba, ma lui sulle salite oltre 2000 metri non ha mai battagliato. Cosa fa? Ci prova, fa anche la selezione negli ultimi tre chilometri, rispondendo all'attacco del turco Sayar. Poi selezionato il gruppetto giusto punta il rivale più pericoloso, Seeldrayers, e arrivato ai 200 metri non appena lo vede arrancare all'uscita della curva spazzata dal vento mette a frutto il suo spunto veloce. Una azione di una bellezza antica assoluta, la bellezza di un neofita alla scoperta di sé stesso. Per questo la prima volta africana ha un qualcosa di eccezionale e di particolare, al di là del valore degli avversari in campo nel frangente.
Natnael è intelligente ed ha fame di scalare altre vette. La fantasia corre e Dio solo sa quanto il ciclismo 2013 abbia bisogno di fantasia.