
...sul tema: corridore dell'anno....
Eliminata la premessa che ho fatto, dallo stesso prospetto del sondaggio, ho necessariamente votato per Boonen, perché il ciclismo di oggi, specialistico oltre le ragioni di quel progresso di cui spesso ci riempiamo la bocca scimmiottando i politici, e che è tale solo per gli alchimisti dell’ottimismo tout court, ogni mia preferenza era costretta a giungere su tinte necessariamente ancor più personali. Trattando di storia nella vita, sono portato a fare continuamente dei confronti, col suffragio di quei capisaldi che l’esperienza nello sport m’ha donato, e senza mai cadere nelle simpatie o nel tifo, perché altrimenti che sondaggio sarebbe?!pienamente d'accordo con te sull'incipit, io credo che il corridore dell'anno sia sven nys, con hoy in seconda battuta, ma tant'e'... e allora boonen qualche dubbio me lo lascia. la sua primavera e' stata straordinaria, ma è mai possibile portare a termine una stagione senza mai correre un GT? non trovi sia una forzatura del calendario, benchè appagante in termini di risultati?
da questo punto di vista, quanto compiuto da wiggo e purito quest'anno è invece encomiabile proprio per la continuità di rendimento nell'arco dell'intera stagione o quasi.
Come l’amico Roger De Vlaeminck sono di Pippo Gilbert, ma riconosco a Boonen di aver fatto in primavera un qualcosa che entra nella storia. Come ho scritto: nelle classiche ci sono cast e corridori non d’attualità, ma degni del passato, non così nelle corse a tappe dove l’armstronghismo ed i camici, hanno distrutto, riducendolo all’osso, questo versante. Purito avrebbe (ed ha) vinto ai punti, ma su quei numeri incidono quei GT che sono attualmente la serie b dei settori ciclistici. Il cross ha grossi interpreti non d’attualità (su tutti Nys), la pista idem, la stessa Mountain Bike, pur ancor così breve, evidenzia probabilmente il più forte di sempre: Julien Absalon. Non così i GT, in cui il migliore, Alberto Contador, è figlio di quest’era e sarà superiore al minimale dell’oggi, solo se vincerà Giro e Tour nello stesso anno, impresa oggi più facile rispetto ad un tempo, proprio per la pochezza di avversari credibili. Il Giro lo ha vinto Hesjedal, non dimentichiamolo.
Sul fatto poi che oggi i big corrano poco, che siano enormemente più incompleti di quelli di un tempo e che scelgano gli obiettivi preparandoli lontano dalle corse (mi spiace, ma pure questo è un tendenziale inno al doping), con me si sfonda una porta aperta. Sono cresciuto vedendo i più forti partire a febbraio, al Giro di Sardegna (gara dal cast superiore ad ogni GT di oggi) e me li ritrovavo tutti al Giro di Lombardia, nel terzo o quarto sabato d’ottobre, nonché una bella fetta al Trofeo Baracchi il 4 novembre. Ma quando mi si chiede di esprimere delle preferenze, in un sondaggio comunque parziale e non proiettato per nulla verso istmi di quella riforma di cui questo sport ha bisogno come il pane, non posso uscire dall’oggi e dalle logiche dell’oggi. Quindi Boonen, per quanto insultante verso ciò che un corridore “dovrebbe”, con la striscia E3 Prijs Vlaanderen, Gent-Wevelgem, Ronde van Vlaanderen, Paris-Roubaix, Parigi-Bruxelles, è stato quello che più di ogni altro ha timbrato il 2012 del ciclismo.
....sul tema Ciclista dell'anno (Vos).....
su questo ne ebbi modo di discutere gia' con qualcun altro poco tempo fa. pure io ritengo che marianne sia già la piu' forte di ogni tempo (e dunque, abbattendo qualche steccato separatista tra i sessi, tra i piu' grandi ciclisti di sempre... con ampie possibilità di andare davvero al numero 1 a fine carriera). mi fu fatto notare pero' che la polivalenza che fa di marianne un fenomeno assoluto fino a pochi anni fa non era verificabile per mancanza di competizioni (ad. es, mondiale di ciclocross iniziato nel 2000), e questo va a riaprire il giudizio sui fenomeni del passato, longo su tutte.
interrogo la tua memoria storica per dirimere il giudizio
Solo il versante del ciclocross è abbastanza recente fra le donne. I primi mondiali si corsero nel 2000, ma gare se ne svolgevano anche prima, soprattutto in Germania, Repubblica Ceka e Belgio. La mountain bike (cross country), fece il suo ingresso iridato nel 1990, sia per uomini che per donne. Su pista, il pedale femminile corre da sempre. I primi mondiali portano la data del 1958, sia su strada, quanto su pista. La prima corsa a tappe di una certa lunghezza in termini di giorni, ci porta addirittura al 1955, col primo “dimenticato” Tour de France, dove a farla da padrone furono le britanniche, a dimostrazione che il ciclismo nella terra d’Albione, è precedente in tutto e di un buon secolo, alle pretese di novità dei "reucci del tornaconto" Hein e Quaglia. Per trovare un’altra corsa a tappe lunga (addirittura lunghissima) però, è necessario arrivare al 1984, quando si corse la seconda edizione del Tour de France, con tappe max di 78 km, ma ben 18 giornate di gara. A farla da padrone, furono quelle americane che, già allora, percepivano stipendi ancora superiori a molte italiane attuali… Negli States, c’era un movimento corposo, perché il ciclismo, là, non aveva bisogno dell’invenzione dell’impostore per ergersi: c’era da sempre. Gli yankee furono fra i fondatori dell’UCI nel 1900 e nel primo embrione della federazione velocipedistica internazionale, risalente al 1894, oltre a loro c’era pure il Canada e…. non c’era l’Italia…. Anche da qui, dunque, un’altra dimostrazione che la pretesa dei trucidatori del ciclismo attuale, i soliti Hein e Quaglia, di essere i propugnatori della mondializzazione, non è altri che una sonora balla. Sempre nel 1984, partì la lunga avventura (ha chiuso nel 2002) dell’International Women’s Challange, che si teneva agli inizi, fra l’Oregon e l’Hidaho e che, poi, si spostò interamente in quest’ultimo stato. La corsa è poi passata alla storia del ciclismo femminile, come “l’Hewlett Packard”, l’azienda che ne sponsorizzò le ultime sei edizioni e che coprì di soldini le partecipanti. Sul piano dei contenuti, la manifestazione americana, oltre a presentare ottimi percorsi, si stabilì dopo un lustro sulle undici giornate di gara, quindi un “top event”. Altro aspetto da evidenziare e da leggere: l’avvento dell’impostore, e ci sono tanti dati a dimostrarlo, catalizzò su di sé sponsor copiosi, ma non verso l’intero orizzonte del ciclismo statunitense che, a parte gli ultimi anni, su diversi settori si impoverì. In particolare, l’epoca aurea del pedale femminile statunitense, è tutta precedente il tragico decennale dell’involuzione di quel tipo. Sodalizi come la Saturn e l’Auto Trader, giusto per citarne due, erano davvero dei top, ed anticiparono l’evolversi di quelli del vecchio continente, di quasi un decennio.
A questi dati scheletrici, va aggiunta una considerazione basilare: le corse femminili, in linea e nelle frazioni dei GT, solo dalla metà degli anni ’90, iniziarono a giungere su lunghezze degne di ciò che il corpo femminile può sopportare tranquillamente. Un dato, questo, che ha favorito soprattutto una signora… che non è mai stato un drago sulle lunghe distanze, nonostante lauti accorgimenti.
Bene, da quanto scritto, dire che una valutazione complessiva, sulla (o sulle), più forte ciclista della storia è aleatorio, in quanto certi metri di valutazione prima non c’erano, mi pare esercizio cervellotico, privo di senso storico e conoscitivo, atto probabilmente a parare i colpi incrinanti in una beniamina. Se poi ciò viene dalla Francia, c’è da stendere un velo poco decoroso e lo dice uno che ama la Francia, la sua storia, i suoi principi sportivi, ma che ha l’onestà di non mettersi mai il prosciutto intero sugli occhi, come dimostrano il tempo, gli attestati della vita e dei suoi particolari consessi e non di un forum sul web. Sarebbe utile per i francesi stessi, pensare un poco di più a quanto l’ASO, in nome dei soldi, abbia partorito delle tragedie tali, da rendere uno dei principali eventi sportivi della Terra come il Tour, a principe delle burlette e della aleatorietà dei risultati finali, oltre che essere sempre più pietoso e dormiente sul piano dello spettacolo puro. E nelle “battaglie” che i francesi svolgono sui forum, soprattutto sul doping, non si dimentichino mai dell’orizzontalità di questo problema nello sport e del bisogno di avere sul tema atteggiamenti uguali per ogni disciplina. Così come non possono evitare, scremando ogni tassello dei campioni “x” o “y”, di farlo anche per una certa signora.
Anni fa il forumista Felice, che vive in Francia, mi chiese di parlare di Jannie Longo. Non lo feci, non certo per atteggiamento bizzarro verso di lui, ma perché allora, come oggi, non volevo in qualche modo prestare il fianco ad interpretazioni errate o tendenziose. Ero stato un uomo di grande protagonismo, senza presunzione alcuna, nel pedale femminile. Un uomo che ha creduto in Italia a questo settore del ciclismo, fino al punto di abbandonare, da perfetto idiota anche se onesto, la direzione della più grossa polisportiva italiana in termini di sezioni, dove vivevo da nababbo, fra passioni e soddisfazioni. Nonché dirigente, l’unico al mondo, che può dire di essere stato il team manager delle uniche due atlete che hanno fatto la doppietta Giro-Tour: Fabiana Luperini (tre volte) e Joanne Somarriba (una volta). Negli anni da protagonista, come del resto da storico, mi sono fatto il mazzo per capire, generare e studiare e mi resta ancora da sapere se anche stavolta ho fatto una coglionata o meno, ma tant’è.
Sul finire del 2005, quando già avevo abbandonato il ciclismo come team manager, vidi una giovane correre e pedalare su prati e fango col passo e l’armonia alata. Mi impressionò. Si chiamava Marianne Vos. Contattai la mia federazione, la FCS, il mio team che, dalla mitica Alfa Lum s’era votato ad organizzare il giro di San Marino, ed ambiva, forte di dati alla mano, ad organizzare una prova di Coppa del Mondo e chiesi loro una mano per trovare uno sponsor degno e ripartire con una squadra dal niente, proprio come avevamo fatto con l’Alfa Lum. Aggiunsi che c’era un fenomeno pazzesco in Olanda, che non conosceva nessuno fra i possibili concorrenti e che, proprio perché non noto, non costava cifre: ce lo saremmo fatti crescere in casa e saremmo tornati al primo posto nel mondo con poco. Mi si disse che c’era una multinazionale di base olandese con succursale sammarinese, che poteva essere interessata, ma che bisognava aspettare il 2006 sul 2007. Risposi che l'interesse di quella azienda ed i relativi tempi, cozzavano con l'esigenza di far presto, perché la ragazzina sarebbe esplosa subito, vista l’enorme differenza rispetto alla media, ed i costi sarebbero lievitati enormemente. Mi rassegnai, ed accettai quella ipotesi che vedevo più piccola della capocchia d’un fiammifero, ma continuai ad osservare.
Marianne, nella stagione d’esordio fra le elite, cresceva di corsa in corsa. Andai a studiarmi ogni sua gara, analizzando le modificazioni su manifestazioni e quei relativi percorsi che ancora ricordavo bene. Giunsi alla convinzione che era la mia favorita per i Mondiali di Salisburgo. Esternai quelle impressioni che vedevo certezze al mio vecchio diesse, che mi disse che ero un….”sognatore”. Niente di male, mi ero abituato: quando portai la Luperini in Sanson, nell’ambiente, mi si disse “che un tappo non faceva la storia” e quando telefonai a Joanne (che aveva praticamente smesso) per portarla in Alfa Lum, lei stessa, viste le mie convinzioni sulla sua grandezza, mi disse che ero “loco”. Fatto sta, che il “giovin nettare di ciclismo astronomico” chiamato Vos, non solo vinse l’iride di Salisburgo, ma una acuta e onesta disamina di quella corsa, la mostrò come la più forte del lotto. Come temevo però, avendo ella uno sponsor banca, capii che era irraggiungibile. Mi rimaneva la soddisfazione dell’appassionato, che è sempre da anteporre a quella del professionista, ed aggiunsi ai miei detrattori della vigilia iridata, che era solo l’inizio. La storia ha fatto il resto, ed oggi ribadisco quello che ogni mio semplice conoscente sa da tempo: Marianne Vos, se il mondo, Maya o non Maya, si dovesse fermare al 2012, è stata la più grande ciclista d’ogni tempo, ed è l’unico vero fuoriclasse tentacolare dell'intero ciclismo.
Sui settori singoli, solo nelle corse a tappe con alte montagne (oltre i 2000, per intenderci), Fabiana Luperini in particolare e Joane Somarriba le stanno davanti, mentre lei insegue con Edita Pucinskaite e Maria Canins. Nelle corse a tappe brevi, è la prima su Diana Ziliute, Leontien Van Moorsel e Jannie Longo. Nelle corse di un giorno vince per distacco su Diana Ziliute e Genevieve Gambillon. Su pista, partendo da zero, ma con atletismo impressionante di base, ha bruciato le tappe, vincendo tutto quel che si poteva vincere. Nel fuoristrada è tentacolare (ed il cross sarebbe da consigliare a tutti, altro che Tende!): se deciderà di gareggiare con continuità in mountain bike (nelle poche occasioni, certo minori, ha vinto sempre), il suo dominio sarà ancor più marcato. Le sue punte: è passata prima sul Mortirolo, scattando come fosse un enorme biliardo; quando le serve vincere i volatoni li vince (memorabile il suo successo nel 2007 nel “Nurnberger Alstadt”, dove, per far sua la Coppa del Mondo, fu chiamata a vincere su quel tavoliere e lo fece con uno sprint imperiale, mettendo in fila Teutenberg, Schleicher, Gilmore, Wild e Holler). Ha perso qualche mondiale di troppo, in parte per l’aleatorietà della manifestazione stessa, come sovente ci ha detto la storia, in parte per sfortuna, ed in parte perché è umana, ed è proprio questo aspetto che la rende gradevole ed unica: non è antipatica a nessuna, ed evidenzia una “faccia” che non si era mai vista nei dominatori di ambo i sessi. Anche in chiave….. di quella "sospettabilità" ulteriore che viene in chi è troppo pieno e, magari, fasullo, come l’impostore. Vedere un atleta affaticato coi chiari segni del suo status, rappresenta sempre quell’umano e realistico certificato di garanzia, di non possedere uno “scalino precluso o impossibile agli altri”.
I giovani di oggi, in un ciclismo da catapecchia venduto per iper-moderno, hanno una grande fortuna, poterla osservare per imparare la tecnica sulla bicicletta, ed ogni variabile che, sul mezzo, impreziosisce l’affresco di questo sport. Qualcuno dirà, soprattutto i “tuoromani”, che a cronometro prende delle stecche, ed io senza peli sulla lingua, come ho sempre detto a Pantani, ribadisco che il cronometro è un esercizio prima di tutto di concentrazione e di spersonalizzazione della propria vocatio, dove serve pensare armonia, più che essere virtuosi. Poi vengono le predisposizioni del fisico, della potenza, della freschezza ecc. Uno che fa alti e bassi a cronometro, è, spesso, un talento smisurato che non sempre riesce ad adattarsi al “pecorame richiesto” e quando in un GT la fatica di giorni e giorni, sfuma il dettame del pecorame per innalzare il talento puro, è più facile che quel talento incida. Grandi scalatori come Charly Gaul, Marco Pantani e lo stesso Federico Bahamontes, imparando ad andare contro natura, lasciarono il segno anche contro le lancette, sempre o quasi verso il finale dei GT. In particolare Gaul, capace addirittura di battere "Monsieur Chrono" Jacques Anquetil. Marianne è sulla loro linea, ed infatti, al Giro 2011, senza un comunque pesante contrattempo, avrebbe vinto la cronometro finale. Non è quindi occasione di scalfittura del suo immenso patrimonio di virtù e stimmate, la sua crono olimpica a Londra. Assolutamente.
E la Longo?
Non voglio trattarla, come ho detto sopra. Le preferenze che ho citato, sono il finale estremo di ragionamenti, esperienze, dichiarazioni, letture ecc. Sulla francese di origine italiana, che non vuole sentirselo dire, proprio come quell'illustre collega di altro sport, che ha consumato tutto le sue virtù sul campo, per lasciare al resto e all’intorno, continue palpazioni di parti basse, porto dei dati scheletrici, affinché chiunque faccia i ragionamenti che ritiene più opportuni. Dati veri ed incontestabili, che ho vissuto coi miei occhi, perché questo versante del ciclismo lo seguivo quando molti, qui, non erano ancora nati. Pur giungendo al ciclismo dopo anni sugli sci, quindi con un atletismo di base superiore ai soli pedalatori (aspetto che sarebbe sempre da evitare anche se fa incavolare virgulti tecnici del niente del ciclismo nostrano), fino ai 27 anni compiuti, era nota per i pianti dopo i suoi piazzamenti. Sbeffeggiata sempre, da Hage, Carpenter, Twigg ecc. Poi ruppe il ghiaccio ai Mondiali di Giavera del Montello, percorso troppo facile perché Maria Canins, con semplici progressioni, la potesse staccare di ruota. Al primo Tour de France, corso sempre nell’85, prese oltre 22 minuti da Maria. Nel secondo (’86) quasi 16. Poi, nel terzo (’87) con la mamma di Val di Non non in calo e le altre Inga Thompson in primis, alle medesime distanze e valori, approfittando dei miracoli e della cortezza delle tappe, rovesciò le risultanze e le logiche, anticipando di un paio di minuti l’italiana. Di lì iniziò a dominare il panorama per tre anni, esattamente dieci anni dopo l’esordio. Indi si fermò per avere un figlio che non ebbe a quando tornò, le prese da Leontien Van Moorsel al punto di provare l’evasione nella mountain bike, dove trovò un’appena arrivata italiana, Paola Pezzo, che le precluse il mondiale. Su strada poi, iniziò a prenderle sistematicamente da Fabiana Luperini, fino al punto di giungere a minacciare il ritiro, se l’organizzatore connazionale della Grande Boucle, lasciava passare la corsa, come da programma, sul Col de la Bonette. Con una scusa ridicola, in grado di far ridere una Scala Wechsler Belleuve a 59, quel tipo rispose: “Obbedisco!”. Le uniche vere luci del ritorno: i mondiali di Duitama e le Olimpiadi di Atlanta. Indi la longevità impressionante, anche tenendo conto del più lungo segmento agonistico delle donne negli sport di forza resistente e un finale che i puristi francesi, così prodighi di pensieri ombrosi e relativi epitaffi verso gli altri, non hanno evidenziato. E se sanno come dicoino di sapere, dovrebbero perlomeno riflettere sulle consistenze della luce del mito: se è totale, o insiste un “Obscured by clouds”.
Per me è inferiore alla Vos nel complesso e ad almeno altre cinque nei GT. E ricordo, per finire, visto che devo scappare, che l’olandesina, ha ancora due anni interi prima di giungere a quei 27 anni che furono l’età di rottura del ghiaccio della francese. Ed a Marianne, non augurerei mai di essere, a quasi la mia età, ancora là a contare i titoli ed a correre con velleità. Sarebbe come se accettassi nella boxe, i ritorni sul ring di un Evander Holyfield o di un George Foreman. Robaccia. Che non ha niente a che fare con lo sport vero.
....sul diesse dell'anno.....
Povero Damiani, sai può essere tutto, ma quando si hanno fra le mani le certezze del poco, si spera nelle eccezioni che la follia ogni tanto riesce a creare. Secondo me ha giocato quelle carte, consapevole di fare sciocchezze, nella rarefattissima speranza di far saltare il banco. Gli è andata male, ma i cavoli non sono peschi e passare da Gilbert all’attuale è, effettivamente, come tuffarsi in piscina con trenta centimetri d’acqua.sante parole sul bravo guercilena, per quanto riguarda damiani pero' io qualche dubbio lo conservo. avra' anche avuto un compito arduo ma le tattiche lampre quest'anno, soprattutto al giro, sono state spesso da mani nei capelli. forse pure il DS ha beneficiato un po' troppo in tempi recenti di avere in mano un corridore come gilbert, col quale tutto veniva infinitamente piu' facile.
....sul giornalista (carta stampata)....
Ognuno ha le sue migliori stagioni e quando si raggiungono illuminate e bellissime punte, l’augurio migliore è quello di scendere il più possibile piano. È capitato ai Pink Floyd, può capitare anche a lui, Tanto più se si è chiamati in un consesso, dove al posto di un Gilmour, o un Waters, o un Wright, ci sono degli snob confondenti o iper ingigantiti. Per me, Repubblica, resta un caposaldo delle derive di questo nostro Paese. Esattamente come chi la fondò. Opinione s’intende. Che farà arrabbiare certi intellectuals che tanto ricordano i colleghi bizantini della Bisanzio opulenta, i quali nel vortice imperioso dei loro discorsi e relative elucubrazioni, arrivavano a chiedersi se quell’essere che veniva avanti loro, aveva fra le gambe una protuberanza o una fessurina….(anche se pure il buon mura mi pare stia perdendo i colpi con l'invecchiamento. sempre piu' inacidito)
Adesso vado... sugli altri due quesiti, risponderò al ritorno....